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Autore: KingRose_    22/09/2015    0 recensioni
Sebbene il contesto in cui vivesse gli rendesse le cose leggermente più difficili, Claude Frollo aveva sempre amato l’arte, in tutte le sue forme. In quel momento, tuttavia, per quanto impegno ci stesse mettendo, non riusciva a trovare nulla di più sublime del suono del tamburello suonato dalle aggraziate e leggiadre mani della zingara che ballava sul sagrato di Notre Dame.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Da quando era stato rinchiuso, e rinchiuso era la parola giusta dal momento in cui non aveva avuto scelta, erano passati sei mesi.

Erano stati i mesi migliori e peggiori della sua vita. I migliori perché aveva la possibilità di studiare. Poche cose lo facevano sentire bene come il profumo della carta, il rumore sottile che fanno le pagine mentre sono sfogliate. Aveva letto molti libri durante la sua breve vita, ma in quei mesi le sue letture erano notevolmente aumentate, e non erano più libri  per ragazzi, no. Leggeva diritto, religione, storia e, le poche volte in cui riusciva a non farsi scoprire, scienze e alchimia. Ed era qui che arrivavano le note negative.

Secondo i monaci, i suoi istruttori, leggere quei libri era peccato: tutto ciò di cui l’uomo aveva bisogno Dio glielo aveva fornito, non c’era alcun motivo per cui dovessero porsi domande alle quali Lui non voleva avessero una risposta.

Tuttavia i libri erano lì, ordinati in ordine alfabetico sui polverosi scaffali della biblioteca, e per il giovane Frollo questo gli dava il diritto di poterli leggere.

Le regole del monastero erano molto severe, questo Claude lo imparò presto. E non si limitarono a lasciarlo a digiuno per un giorno la seconda volta che lo trovarono con un libro che trattava tra le mani.

Gli dissero che faceva parte del diventare uomo peccare, ma doveva essere punito per averlo fatto. La frusta calò su di lui con una forza che nessun uomo avrebbe usato su un bambino di dodici anni, ma i frati non provavano pietà per peccatori, di qualsiasi età essi fossero.

E l’urlo uscì con prepotenza dalle sue labbra sottili, senza che riuscisse a controllarlo. Urlò ancora prima che il dolore gli esplodesse al centro della schiena, per poi diffondersi a tutto il resto del corpo. Per un tempo che non riuscì a definire, ma che gli sembrò enormemente lungo, non ci furono altro che urla e dolore, e buoi.

 

“Non voglio andarmene da qui, maman.”.

Era all’incirca la decima volta che Corinne Frollo andava a trovare il figlio. Non era mai stata particolarmente convinta della vita ecclesiastica alla quale stavano indirizzando il suo secondogenito, tuttavia si era tenuta ben lontana da esprimere il suo parere.

In quel momento più che mai, però, era convinta che quella fosse una pessima scelta. Suo figlio aveva dodici anni (dodici anni, di grazia, era ancora un bambino!) e lo avevano fustigato come un criminale. I monaci avevano giustificato l’accaduto dicendo che era il loro metodo d’insegnamento, e Claude non se n’era minimamente lamentato, ma lei si era accorta che qualcosa non andava.

Gli aveva proposto di tornare a casa ma la sua risposta era stata così decisa da stupirla. Non l’aveva pronunciata in modo maleducato o impertinente, ma la decisione che traspariva da quelle parole rasentava l’autorevolezza.

Era cresciuto molto, il suo Claude, in quei pochi mesi in cui erano stati separati. Era sempre stato un bambino introverso, ligio ai doveri e amante dello studio, ma il ragazzo che aveva incontrato in quella piccola stanzetta illuminata appena dal sole, sebbene avesse le fattezze del suo bambino, era un piccolo uomo. Capace di discutere con un adulto di un qualsivoglia argomento sul piano intellettuale.

Riuscì a trattenere le lacrime a stento e, per nasconderle, si avvicinò al figlio per dargli un leggero bacio sulla fronte prima di congedarsi. Quando si chiuse la porta alle spalle capì che quella precauzione era stata del tutto inutile: suo figlio sapeva esattamente come si sentiva.

 

 

Sebbene il contesto in cui vivesse gli rendesse le cose leggermente più difficili, Claude Frollo aveva sempre amato l’arte, in tutte le sue forme. In quel momento, tuttavia, per quanto impegno ci stesse mettendo, non riusciva a trovare nulla di più sublime del suono del tamburello suonato dalle aggraziate e leggiadre mani della zingara che ballava sul sagrato di Notre Dame.

Era rimasto incantato da quella danza, si era appoggiato al davanzale della finestra del suo studio, sporgendosi leggermente per vedere meglio, e non era più riuscito a muoversi.

La gitana nel frattempo aveva finito la sua danza, e raccoglieva con un sorriso gli applausi che il pubblico, entusiasta, le dedicava. Solo allora, e con un notevole sforzo di volontà, l’arcidiacono si allontanò dalla finestra, consapevole del fuoco interiore che quella visone gli aveva procurato si stava trasformando in un dolore fisico.

Così prese una decisione che da anni aveva evitato con cura. Prese la frusta che conservava dai tempi della sua giovinezza e, toltosi la toga e la camicia, iniziò a colpirsi, sperando di eliminare il desiderio peccaminoso che la zingara aveva acceso nel suo corpo. 

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