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Autore: _sonder    23/09/2015    3 recensioni
Annette non ha dimenticato di essere una moglie, ma prima di tutto, una madre.
| Ispirata e scritta in occasione del contest Briciole di Letteratura indetto da radioactive sul forum di EFP. |
[William/Annette, accenni]
Genere: Angst, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annette Birkin, Sherry Birkin, William Birkin
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Ho utilizzato: Resident Evil 2 e DC come riferimento, assieme a parte dell'analisi di Annette nel terzo libro della serie della Perry e nel comic dedicato. Alcuni spunti sono tratti dai vaghi riferimenti di Albert Wesker nel suo primo report. Ho preferito trattare l'immagine più umana di Annette, dato che la ritengo più tragica e interessante del ritratto leggermente più paranoico in RE2.
Si consiglia l'ascolto della track Mother della ost di Resident Evil 2 durante la lettura.
Un paio di precisazioni: non si vuole assolutamente parlare di abusi domestici per quel che concerne il rapporto dei coniugi Birkin con la figlia, ma sottolineare l'ossessione dei due per il proprio lavoro e quanto un'aspirazione di realizzazione individuale riesca - purtroppo - a cambiare drasticamente le priorità e a inaridire gli affetti.
L'atteggiamento morboso di Annette precedente alla morte di William è pura sperimentazione e interpretazione personale, opinabile e non condivisibile, certo, ma che era coerente con la scelta presa a riguardo della caratterizzazione.
I gradini del titolo e la scala rappresentano il tempo che scorre e il percorso della vita.




Gradini alle spalle
« e ora che non ci sei è il vuoto a ogni gradino »
C'è un filo d'aria che soffia dal condotto, attraverso la grata di ventilazione: alita sulle spalle di Annette e le impone i fremiti di un freddo inaspettato. Ha la testa che duole: è una resa continua al martello dell'emicrania, ai colpi serrati che le impediscono di pensare.

Il silenzio grava sulla polvere e sulle scartoffie in disordine: sangue e ragnatele tingono l'acciaio del laboratorio di graffiti metropolitani. Manca la vita in questa città sotterranea, che si abbarbica su scalinate di gradini vuoti e camici abbandonati a terra, abiti stracciati e qualche scarpa persa nella fretta di fuggire. I tonfi rimbombano e chiamano i dipendenti, ma non v'è più l'ombra di turni di lavoro né dei bip delle porte scorrevoli ad accesso autorizzato. Chissà dove sono scesi o saliti coloro che cercavano la salvezza; non una voce risponde ad Annette, non una mano la rassicura. Tanti di quei tesserini ignorano da giorni i lettori di riconoscimento e le rampe si sono riempite di carcasse ambulanti. Gli occhi di Annette puntano i vetri antiproiettile e lo spettacolo di ruggine e stoffa strappata: i colori si mescolano in pozze secche. Brandelli di interiora, abbandonati come briciole di snack, si offrono ai topi, ai licker... e di umano c'è il tanfo della paura, c'è il bisogno di pulire, di allontanarsi da tanto scempio e trovare lo sguardo della società, della civiltà che repelle durante la routine. La morte cammina accanto a chi resta, col braccio che aiuta a scendere gli ultimi gradini prima dell'inferno. Non importano più i ritardi, le ambizioni della carriera e un salario adeguato alle aspettative: un unico urlo, che domanda pietà, si alza dal fondo della struttura... si ode uno sparo, forse due, e uno scalpiccio più lento a dominare la calma improvvisa. Gli altri deglutiscono, nudi: la loro pelle penzola come le magliette lacere; le larve percorrono quelli che fino a ieri erano muscoli sani e bagnati dalla colonia.

Annette stringe le dita sino ad affondarle sul tessuto dei pantaloni; tenta di darsi il coraggio che la solitudine le nega. Le ore scorrono lente nel timore di non uscire di lì, ma almeno Sherry è al sicuro. La stazione di polizia è un forte di barricate e di uomini preparati. L'accademia non li ha allenati a questo, alla creazione di William... però si tratta pur sempre di specialisti armati. Scrolla il capo e trattiene un singhiozzo; l'ennesimo. Di William, ha il sorriso impresso nella mente, l'ampio scalone della villa dove le aveva infilato un anello al dito, con l'insolenza e la sicurezza di ricevere un sì; e i capelli, mai spettinati, fra cui passava le dita, quando era sotto stress e il lavoro li teneva in piedi, eccitati di fronte a un microscopio e a un paio di vetrini. Si poteva ridere assieme allora, anche di creature che un tempo avevano la stessa normalità. Si poteva parlare e sapere di percorrere a due a due la discesa per il medesimo pianerottolo. Fianco a fianco, le menti complici nel dovere e nella curiosità di osare, di scoprire.

Nel suo caschetto di grano, liscio e senza una ciocca fuori posto, Annette parla da sola e regge la fronte. Si trascina, uno scalino dopo l'altro, con un obiettivo; sorride a se stessa, perché ormai è la sofferenza fisica a ricordarle di essere in vita. Sentire il dolore è la prova dell'esistenza di un essere umano, la certezza di scampare alle goffa andatura di uno zombie. A dispetto della stanchezza, allunga il piede verso il basso. Indossa scarpe da impiegata, da animale confinato dietro una scrivania, provette e piccoli oggetti innocui. Ora, tiene le dita sulla pistola e si fa strada con questa, eliminando cervelli che un tempo condividevano le sue giornate. I colpi esplodono, mentre avanza, senza mai soffermarsi a guardare, a tentare di capire di chi si tratta; c'è solo un velo d'istinto carnivoro in quegli occhi assenti e nella dentatura annerita. Non riconosce più chi ha di fronte; è una sfida alla sopravvivenza e in gioco c'è il suo dovere di moglie, di madre.

Ingoia il boccone e caccia le lacrime. Deve mettere fine al tradimento: intrappolare i membri dell'Umbrella e portare al sicuro il virus. Se solo William avesse avuto più tempo... Annette immagina le brevi vacanze a Parigi e Sherry così piccola, nascosta nel suo petto. C'è William con lei: ha due gelati per le sue principesse e l'aria inquieta di un uomo che desidera impiegare le proprie energie altrove.

A volte, nel tepore della camera da letto, Annette pensava alla doppia vita che conducevano: la scienza e il governo avevano bisogno di loro, del genio di William, di sacrifici umani per conoscere il potere del progresso, la bara del nuovo che avanzava.

Sa di aver rinunciato all'etica per cogliere i frutti degli esperimenti. Non ha posto domande ed è scesa al livello inferiore, testando su animali e uomini; ogni giorno opponeva meno resistenza e le restava soltanto la sfida di sostenere lo sguardo di Sherry. Si chiede quando ha cominciato a sviare gli occhi da lei; non ricorda, perché gli incarti delle prove empiriche erano sempre più gonfi. E Sherry, Sherry è finita sul fondo delle carte, nascosta in un cassetto, nei ritagli delle ore libere, in una fotografia sulla scrivania dell'ufficio.
Ha sceso dandole il braccio rampe di scalini: giorni lieti e occupati ad allattarla per poi inserire i dati dei campioni; pomeriggi ad accompagnare i suoi primi, stentati, passi.
Sherry che si tiene al corrimano in legno e guarda il padre accomodato sul divano; Sherry che chiama forte, mentre William è immerso nelle carte e urla alla nuova interruzione del suo progetto, lanciando una statuetta africana contro il camino; Sherry che piange e arretra verso il muro.

Annette serra le unghie sino a raschiare il calcio dell'arma: deve tornare a prenderla, nasconderla da qualche parente e poi... tenerla con sé. Ciò che vuole è il calore di quella piccola mano, che può coprire nella sua, ancora. Si appiglia al futuro per riparare ai suoi errori di madre, genuflessa nella preghiera di avere tempo, ancora.
Il pianto le segna il volto: William, ormai, non può tornare e gli attimi trascorsi su pianerottoli, ballatoi e passerelle di ferro sono lontani, com'è distante la scia del dopobarba che gli aveva regalato per il Ringraziamento.

Annette scende nel cuore del complesso: è una prigione di morti che non muoiono, di occhi accecati da una fame avida, che cercano vita e freschezza da sbranare. I ragni tessono tele argentee e avvelenano: come mosche, tanti ricercatori si sono spinti nelle profondità per trovare riparo in una nicchia buia.
La paura di morire l'assale di nuovo e le ginocchia strusciano fra loro, cercano appoggio sulla parete striata di sangue. Non avrebbe mai pensato di cercare sollievo in un angolo lordo di mondo, come una mendicante. Spingersi in basso, annegare nella sofferenza, sono abitudini degli ultimi giorni da condannata. Non può farne a meno: sottrarre tutto a chi ha distrutto la sua famiglia è necessario; sporcarsi e addolorarsi fino a non vedere altro che il fine, sono priorità. Annette si spinge in avanti; le scarpe ballano per la camminata malferma. Conta i proiettili che le rimangono e lascia i gradini dello ieri alle spalle. Più si inoltra dove deve e più percepisce le assenze e il peso di non dividere il percorso con William: lei, che era sempre dietro di lui, moglie devota e custode del suo ego, ora è sola, con l'eco dei tacchi a ricordarle la fragilità di scontrarsi contro creature abominevoli, la paranoia di non avere alleati e altri su cui contare. Sherry... va presa e portata in salvo... dopo l'innesco del sistema di autodistruzione.

Fiale in frantumi e bossoli espulsi da armi di vario calibro adornano i piani; sono fotografie dell'apocalisse, del nuovo che arriva per spazzare via l'umano medio, l'imperfetto, l'anonimo. Annette corre all'immagine di sua figlia: piccola, delusa da due adulti che non badano a lei. Si batte il ventre in cui l'ha tenuta nove mesi, prima di disfarsene. Allora, era più semplice occuparsi di lei e conciliare la professione alle gioie della maternità e proseguire dabbasso, verso la meta sicura della famiglia. Allora, Sherry non era che un involucro di speranze e una novità; crescendo, ha sviluppato esigenze e una spiccata sensibilità alla realtà.
Con quegli occhi da bambina, Sherry osserva il mondo e sente, respira la verità dell'abbandono di ogni giorno. Corre per una casa grande, che potrebbe inghiottirla e si rifugia sulle scale da cui inquadra le schiene che la ignorano. Le basta un momento per serbarne il ricordo e odiare un po' di più il lavoro di mamma e papà.
Con quegli occhi da bambina, pieni di foschia, fiabe e fantasticherie, Sherry guarda a un mondo diverso e vero. Lì non c'è posto per i contrattempi, per le trappole dei traditori e dei disonesti; lì non c'è posto per chi non sogna, per i mostri. Non ci sono morti che infestano le strade né animali che divorano i loro padroni.

Annette mozza il fiato e si inietta della morfina per placare il dolore. Vorrebbe chiudere gli occhi e trovarsi nel letto con William, vedere il suo sguardo accendersi, parlando del G-Virus. Ha visto fiamme nei suoi occhi piccoli e distaccati: lampi a confinare il proprio territorio e ambizione da vendere.

***


Manca un gradino: un giorno perché tutto finisca. Annette non sente il piede nella pozza di sangue. La mano cerca la pistola, ma si arrende al dolore al fianco. La fede nuziale pulsa sul dito e sente le forze scemare, chiudersi nel diametro di un anello semplice, nel cerchio di una promessa non mantenuta.

— Sherry, ti voglio bene... perdonami.
Scende ancora nel dormiveglia; nell'oppio della mente, il suo piede non tocca più il fondo delle scale per un nuovo passo. Fra le fessure offuscate dalla debolezza, Annette vede il mondo di Sherry, con iridi innocenti: occasioni non colte e tanti rifiuti. E batte il pugno a terra per avere tempo, perché ormai il virus è perduto, William è perduto; impazzisce dalla voglia di abbracciare Sherry, ne percepisce la sofferenza. Sa quanto dolore stia provando: la stessa smorfia era dipinta sul volto di William e Annette aveva provato terrore e piacere di poterlo trattenere fra le braccia, senza che potesse rifiutarle un momento soltanto per loro. Tremante, aveva osservato la deformità rapirgli il viso e colare come gocce d'acido sui nervi, offrendogli il sapore della morte.
In cerca d'aiuto, convinta che la sua salvezza dipendesse da lei, si era allontanata tra l'orrore e la brama di riuscire dove era stata lasciata in disparte. Si illudeva: William aveva commesso l'irreparabile e lei non era stata che una spettatrice fuggiasca.
Annette batte il pugno: chiede tempo al tempo, senza più capire, col viso di Sherry nello sguardo e un ultimo respiro ad arrancare sulle gradinate, un ultimo sussurro prima del buio. La mano si apre e le scale attendono invano, con l'alba a sorgere sopra il suo volto spento.
  
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