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Autore: LuciaDeetz    23/09/2015    7 recensioni
Un giovedì notte, un giardino privato, un giudice gastronomico: questo è il terzetto di elementi che riassumono la storia.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Darcy Lewis, Loki
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seconda stanza a destra (e poi dritti fino al mattino)

«Tu faresti fessi anche quelli di Guantanamo, lo sai?»
Darcy si lascia sedere sull'erba rinsecchita e incrocia le gambe. Gli allunga la tazza di Bertha la Mucca e lo squadra attraverso il vapore profumato che sale serpeggiando come un cobra attratto dalle note di un flauto.
Loki giace supino sul prato, le gambe accavallate all'altezza delle caviglie e le dita intrecciate a formare un supporto dietro la testa. Rughe gli tendono le tempie e i suoi occhi in penombra studiano il vuoto, in direzione dell'infinito. Darcy lo asseconda alzando il viso.
Il cielo è spruzzato di scintille sopra il profilo delle case a schiera e delle chiome degli alberi. Un quarto di luna galleggia al centro delle stelle. Darcy inspira aria tiepida, pregna di umidità estiva. Il frinire dei grilli, l'unico suono a popolare il silenzio, si leva incessante da ogni zolla del giardino sotto forma di decine di cori scompagnati.
«Stai cercando la via per l'Isola che non c'è?» chiede Darcy dominando il concerto. «Jane dice che ci sono più stelle nella Via Lattea che granelli di polvere sulla Terra. Ti ci vorrà un po' per imbroccare quella giusta.»
Sente delle falangi sovrapporsi alle sue dita e scioglie la presa dalla tazza, scendendo con lo sguardo. Il cobra di fumo si dissolve allo spostamento d'aria. Bertha la Mucca cambia proprietario. Il Nuovo Proprietario si issa a sedere, un avambraccio a sostenere il peso del corpo e l'altro che solleva il ruminante. Quando il bordo della tazza preme contro le sue labbra, il musone di Bertha, decalco scelto fra i tanti della collezione Le cerAmiche della Fattoria, fa altrettanto. Uno, due, tre secondi di apnea. Al quarto sorso, lo stesso braccio depone la tazza sul tappeto d'erba.
Il livello di liquido è sceso ai minimi storici e la mente di Darcy, per un solo, celestiale, mistico secondo, si vede calcarsi in capo la toque blanche e fregiarsi del titolo di mastro pasticciere, con tanto di attestato rilasciato dal rinomato giudice Loki Laufeyson in bella vista sulla parete dietro al bancone del negozio.
Poi giunge l'atteso verdetto a smontare tutto quanto: «È diabetica.»
«Di nuovo?!»
Con uno stormire di foglie e uno squittio scandalizzato, un pipistrello schizza fuori dal prugno nano che cresce a ridosso della cancellata del vicino e svolazza zigzagando fino a farsi inghiottire dal buio. La voce di Darcy deve aver raggiunto la frequenza degli ultrasuoni. Loki si ridistende con le mani giunte dietro la nuca, mentre il suo diaframma si alza e si abbassa a cadenza tranquilla sotto gli strati di pelle del suo bislacco vestito. La bandoliera e le placche metalliche che gli ornano il petto assorbono la luce fredda della plafoniera sopra l'ingresso di casa. Deve decidersi a cambiare quella stramaledetta lampadina prima che le sue entrate da stagista arricchiscano il bilancio del fornitore di energia. Rimane accesa troppo a lungo, ultimamente.
Darcy sospira mentre abbandona Penny la Gallina sull'erba, refrattaria a imitare l'assaggio. Non capisce perché si ostini a preparare sempre due porzioni di cioccolata quando a lei la cioccolata fa schifo (repulsione accentuata dal fatto che le sue cioccolate, a detta di Loki, facciano schifo già di per sé).
«Stava ancora giocando a Galaga?» chiede poi, tanto per fare conversazione.
«Ovvio.»
«E non si è accorto di niente?»
«Come sempre.»
Con un rapido calcolo, Darcy conta dodici evasioni. Questa segna la tredicesima nel giro di tredici settimane, una ogni giovedì notte. «Un giorno mi dirai il tuo segreto.»
«Preferirei di no, o dovrei ucciderti.»
Darcy incassa con altrettanta imperturbabilità, spingendosi la montatura degli occhiali sul naso. «È buffo,» dice in un mezzo sorriso «qualche mese fa ho minacciato Peter con lo stesso sistema. Aveva visto la lista dei miei ex fissata al frigo da una calamita. Dopo aver voltato il foglio per continuare a contare, – un A4, se capisci cosa intendo – aveva alzato un sopracciglio e chiesto quale fosse il mio segreto per averne fatti scappare così tanti.»
Loki si produce in un grugnito di divertimento. «E?»
«E gli ho detto che avrei dovuto ucciderlo per dargli una risposta. Lui ha deciso di giocarsi la decisione ai dadi.»
«Com'è finita?»
«Con una lavanda gastrica al reparto rianimazione.» Darcy emette un sospiro di piombo. «Il referto medico annoverava, come causa dello shock, una salsa verde più caustica della soda. Ma ho avuto recensioni peggiori.»
I grilli monopolizzano il silenzio per alcuni istanti, finché una risata roca e contenuta, gutturale come le voci fuoricampo di certi spot d'automobili, – le ugole d'oro delle campagne pubblicitarie – si diffonde dalle labbra di Loki. È la prima volta che Darcy lo sente ridere. Con molta probabilità, è l'unica su quel pianeta che l'abbia mai sentito ridere.
Ma tu guarda, pensa Darcy. Senza poter sopprimere l'istinto, sfodera un indice e si azzarda a infilzarlo sulle reni, a mo' di rimprovero. Non oserebbe in altre occasioni (non cova istinti suicidi), ma l'umore insolito di lui – estroverso, quasi, ed è una parola grossa – strizza l'occhio a una maggiore temerarietà da parte di lei, e Darcy si sorprende, suo malgrado, a farsi contagiare dalla sua risata. Quando i grilli si rimpossessano del silenzio, Darcy gli dice: «Rispondi a questa domanda, però.» Non che si aspetti una risposta, comunque, ma tanto vale un tentativo. «Perché da me?»
Loki lancia uno sguardo corrugato al cielo e Darcy si sente in dovere di spiegarsi meglio. «Voglio dire,» si schiarisce la gola, recide ciuffetti d'erba ingialliti dalla terra ai suoi piedi «sei fuori, in libertà, – o in latitanza, a seconda di come vogliamo vedere le cose – eppure torni sempre qui come una falena alle prese con una lampadina. Non dirmi che ti piace come preparo la cioccolata, perché non me la bevo – letteralmente.»
«Potrei porre la stessa domanda a te: perché, in tutte queste settimane, non hai ancora allertato i tuoi amichetti Vendicatori delle mie escursioni notturne?»
La velocità con cui ha dirottato il discorso a suo vantaggio induce Darcy a pensare che abbia preceduto la domanda ancor prima che fosse embrione fra i neuroni.
«Non è chiaro?» dice, sradicando l'ennesimo tarassaco con un colpo secco. «Sei il mio agnello sacrificale. Perfino Jane si è rifiutata di attentare alla sua vita con la mia cucina, e fra tutti quelli che conosco sei l'unico a potermi esprimere un parere senza rischiare di finire imbracato su una barella del 911.»
Ma quando l'ultima sillaba esce dalle labbra, dissolvendosi nell'aria, Darcy comincia a nutrire dei dubbi circa il senso delle sue parole. Sono una scusa conveniente per sostituire un “Non lo so”, sì, e ora suonano anche ridicole. Non si reggono in piedi, come un castello edificato con sabbia secca.
«Thor?»
CVD. Come Volevasi Dimostrare: Loki impiega mezzo secondo a impugnare la paletta e fare un parcheggio di tutte quelle giustificazioni.
Ma Darcy si è procurata un altro secchio di sabbia. Bello intriso d'acqua, stavolta. «Un parere obiettivo, intendo. Thor ha tanti peli sulla lingua che potrebbero farne una pelliccia.» E con questo spera d'averlo zittito.
«Ugh.»
Stomacato, piuttosto.
«Ora è il tuo turno.»
Loki si puntella con un gomito e beve il resto della cioccolata, prendendosi tutto il tempo per elaborare la risposta. Esaurito l'ultimo goccio, Bertha la Mucca pascola sull'erba in orizzontale. «Perché, ad oggi,» parla più adagio del solito, come a volersi accertare che lei raccolga appieno il messaggio «sei l'unica complice delle mie scampagnate notturne. Avresti potuto denunciarmi, la prima volta, ma non lo hai fatto. E perché?»
Una complice, così l'etichetterebbero quelli dello S.H.I.E.L.D.? Thor? Jane? Perché? Non si aspetta una scusa meno idiota delle precedenti, vero? Era una domanda da riempitivo, sì?
«Un ruolo che perfino mia madre respingerebbe. Nessuno lo chiamerebbe eccesso di zelo, né ripudio materno.»
Respiro di sollievo. Sì, domanda riempitivo. Ma nella voce di Loki si è ora infilata una nota stonata, carica di rancore come la pancia di una pistola di proiettili. Darcy non ha mai avuto contatti con la madre di Loki. Non ha metri di giudizio per decidere se lui la stia facendo troppo tragica o se abbia preso atto di essersi spinto troppo in fondo al baratro per pretendere che qualcuno gli cali la fune dall'alto.
Inoltre, realizza di aver appena sfiorato il bottone atomico: paragonando il temperamento di Loki al quadro comandi di una centrale nucleare, affari di famiglia è la didascalia del tondo bottone rosso da non schiacciare. Darcy spera di poterlo pilotare verso una conversazione meno turbolenta.
«Allora,» dice adottando un tono vivace «stai assimilando la parlata di queste parti? Diabetico non è un aggettivo che definirei asgardiano... i Pop Tart, gli Hot Pocket e i grassi idrogenati hanno colonizzato anche la tua dieta? Forse potremmo fare un salto da McDonald's, un giorno, magari quei canestri dello S.H.I.E.L.D. ti passano il favore di un paio d'ore di libertà condizionata, forse se lo chiedo a Jane, e se viene anche Thor a tenerti d'occhio...»
«Non è mio desiderio andare da questo McDonald's.» È il commento lapidario che interrompe il monologo esteriore di Darcy, ed è anche un po' cafone, perché, insomma, chi rifiuterebbe un pasto gratis? Domanda retorica.
«La prossima volta che te la svigni, allora, ti faccio trovare hamburger e patatine al posto della cioccolata. Mi mancano David e Bob per completare la collezione dei minion, così ho il pretesto di comprare un Happy Meal in pi–»
«Che cosa sarebbe l'Isola che non c'è?»
«È la casa di Peter Pan!» Darcy lo fissa come se lo vedesse per la prima volta in vita sua. Se solo avesse installato una telecamera da esterni, a quest'ora avrebbe potuto rivedersi a oltranza la sua faccia di quel primo giovedì. Un bel ricordo. Mannaggia.
Loki le rivolge un'occhiata di traverso il cui traducente è “ne so quanto prima”.
«Peter Pan, il bambino che non cresce mai!» esclama Darcy spalancando le braccia, come a rimarcare l'ovvio.
«Seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino. E mai dire che le fate non esistono. Ma non ve le leggono, a voi vichinghi, i libri della buonanotte?» Si adatta lesta all'argomento, deve farlo parlare.
Altro sguardo obliquo, altro traducente: “no”.
«Eccola là.» Darcy stende un braccio e punta un indice al cielo, in direzione di una delle capocchie di spillo che brillano nel canovaccio nero. «La seconda stella a destra.»
Loki intercetta il suo sguardo. «È la terza, quella.»
«No, è la seconda.»
«Dipende dai punti di vista.»
A corto di battute, Darcy spreme le meningi mentre si guadagna una pausa di riflessione nel distendere le ginocchia anchilosate. Attorno alle sue gambe giace un cimitero di vittime recise alla radice. I grilli, da perfetto sottofondo a uscite imbarazzanti, cicalano al massimo della loro gittata sonora. Loki sposta gli occhi su di lei. Darcy si sente sotto pressione, come una pentola che sta per fischiare, e ricambia lo scambio d'occhiate. C'è un balenìo insolito nello sguardo di lui. Eh, no. Sentendosi come se l'avessero usurpata del ruolo di calcolatrice umana – Jane, scherzando, l'ha soprannominata così, una volta – Darcy si piega di lato col busto, frapponendosi fra Loki e il cielo, e controlla la stella da quel punto di vista. Prima, seconda. Prima. Seconda. Conta una terza volta, giusto per andare sul sicuro. Poi gira il collo. Da quand'è che le distanze si sono così accorciate?
«È sempre la stessa» dice a Loki da sopra la spalla. «Guarda che stai parlando con una studentessa da trenta e lo...»
Un fruscio e un viso che le viene incontro. Il contatto è improvviso quanto inaspettato, a fior di labbra e quasi incerto. Ma che...? Darcy solleva un braccio, determinata a fargli leva su una spalla, poi il sapore del cacao filtra nella bocca e le dita si bloccano a mezz'aria. È un gusto lieve, dolce. No, non così dolce. Bugiardo! È accettabile, ecco. È un crescendo di pressione e confidenza, come una di quelle canzoni che partono in bonaccia e tempo della fine sollevano un'onda anomala che ti avvolge tutta la testa e ti scarica brividi lungo la schiena, è il bacio di un tenore esperto che reclama il suo soprano. Darcy, il braccio ancora sospeso, cala le palpebre sul mondo. Con la mano sfiora i rilievi dell'armatura sulla spalla sinistra di lui, la sua guida nel buio. Sente un tocco di cinque dita sull'incavo della schiena, e un grillo molesto che freme sopra a tutti gli altri. Darcy, spingilo via! Segue il tessuto del colletto in pelle, risalendolo, poi aggira la stoffa fino a conquistare il traguardo: l'attaccatura dei capelli dietro la nuca. Darcy, per la miseria! Sono scarmigliati e indomati al di fuori, ma lisci e serici fra le dita. E mentre Darcy avverte una mano estranea e calda percorrerle il profilo della guancia e affondare le dita nei suoi capelli (Darcy, Cristo, ripigliati!), il sapore del cacao si fa più dolce, le labbra più esigenti, e i respiri più irregolari, e i battiti dei cuori più ravvicinati, e tutti i grilli più silenziosi.
«...ki.»
Quando le loro labbra si dividono, Darcy impiega qualche secondo a tornare partecipe del mondo esterno.
Percepisce un peso in eccesso lungo il corpo, poi degli sbuffi d'aria che le sfiorano il mento. Riapre gli occhi, sbatte le palpebre in rapida successione.
Sono a meno di un palmo di distanza. Loki è disteso su di lei, gli avambracci ai lati del suo viso. La mano destra di Darcy è ancora dispersa e beata nell'intrico di capelli neri. La mano sinistra, invece, per volontà propria, si è innocentemente posata sull'altra spalla di lui, sopra la clavicola.
Cri-cri. Cri-cri. Cri-cri.
Loki accenna un sorriso rassicurante come lo sfavillio di un arakh in uno scontro fra dothraki. «Convieni che sia troppo dolce?» chiede, gli occhi vispi sotto le folte sopracciglia.
Nel palato di Darcy, l'aroma del cacao va scemando, ma il suo ricordo rimarrà ben impresso in ogni papilla gustativa.
I concetti si fissano meglio con un bel ripasso.
Darcy, è l'ultimo avvertimento.
«Lo hai fatto apposta!»
Lui allarga il ghigno, esponendo una dentatura divina. Darcy, l'ultimissimo. «Sono il dio degli inganni, no?»
Il suo peso preme sul corpo di Darcy, ed è quasi confortante. Sia mai che il pipistrello di poco prima abbia mire di vendetta. Mentre i loro respiri continuano a mescolarsi, il campanile della chiesa del quartiere rintocca la mezza.
Darcy, non puoi prolungare oltre questa farsa!
Darcy, questa cosa ti sta sfuggendo di mano.
Darcy, devi allertare subito lo S.H.I.E.L.D.
Darcy, questa incertezza non è sana.
Darcy, devi allontanarlo.
Darcy, è un assassino.
Darcy, guardalo!

La scintilla giocosa persiste ancora nei suoi occhi. I suoi abiti le accarezzano le narici con un aroma di pelli conciate, e le punte dei suoi capelli inselvatichiti da mesi di prigionia – il convento dello S.H.I.E.L.D. deve avergli negato il privilegio di un'acconciatura dal barbiere – le solleticano il collo. L'angolo destro della sua bocca, incurvato verso l'alto, è macchiato da un alone di cioccolata ed è su quel dettaglio, quasi invisibile alla scarsa luce artificiale, che Darcy si scopre a indugiare più del dovuto.
Guardalo.
È un Adone.
Devi accasartelo.
Questa incertezza non è sana.
Devi sentire di nuovo quel sapore.
Non puoi sopravvivere oltre alla tentazione!

Loki sorride, i denti scoperti e gli occhi accesi di una smania famelica condivisa da entrambi.
Al diavolo il grillo della coscienza.
«Seconda stanza a destra» dice Darcy.
Non ci sono obiezioni, questa volta.

***

Bip-bip. Bip-bip.
Il rosso della luce solare filtra attraverso le palpebre.
Bip-bip. Bip-bip.
Darcy sbadiglia, rotolando su un fianco. Non appena si protende dal bordo del letto per zittire la sveglia sul comodino, scariche di dolore si irradiano, come onde concentriche provocate dal tuffo di un sassolino in uno specchio d'acqua, da una zona in prossimità del basso ventre.
Bip-bip. Bip-bip.
Stava sognando qualcosa di inebriante, qualcosa di inafferrabile e mistico e irripetibile come sono solo i sogni dimenticati al risveglio. Perché, allora, ha la sensazione che le sia deragliato un treno addosso? O di aver corso la maratona di New York?
Bip-bip. Bip-bip.
Basta!
In preda a fulminanti dolori alle articolazioni del suo corpo, – deve sentirsi così una Barbie cui una sadica bambina abbia rivoltato le giunture delle anche e delle ginocchia – Darcy scaglia un cuscino verso la sveglia, aspettandosi di sentirla cadere sul pavimento. Si sente uno sciabordio, e bam, un tonfo sordo, e poi un deng. Di un rumore previsto, Darcy ne ha registrati tre.
Si stropiccia gli occhi con i palmi e sbadiglia una seconda volta, schermandosi il viso con la mano. Quando i suoi occhi impastati prendono nota del disastro, non si prende la briga di raccattare la mascella dal copriletto.
Dei granellini bianchi si stanno cristallizzando all'interno del vetro di un bicchiere sbeccato e rovesciato alla base del comodino. L'acqua ha scurito e infradiciato lo scendiletto. Altri due rivoli sono colati a circondare il perimetro inferiore del mobile, riempiendo i solchi fra una piastrella e l'altra del pavimento. Nell'aria aleggia un fresco profumo di menta. In tutto questo disastro, Darcy nota un foglietto che si affaccia da sotto il cuscino buttato di traverso sul ripiano di legno. Lo estrae.

Ho pensato di farti un favore e risparmiarti un'impietosa odissea in farmacia. Tranquilla, sono passato inosservato. Ho lasciato un secondo bicchiere in cucina, nell'eventualità che il primo venga sottoposto allo stesso destino che, alle sette, temo incomberà sulla tua sveglia. Un nome alquanto appropriato per un medicinale, non trovi? Giacché li abbiamo finiti, ho anche fatto fornitura di quegli strani involucri che conservavi nel cassetto. Due piccioni con una fava, dite da queste parti. Seconda stanza a destra, e poi dritti fino al mattino. Mi piace. L

Darcy solleva il cuscino, rivelando, ai piedi della abat-jour, una bustina di Oki strappata a un'estremità. Gira uno sguardo incredulo per la stanza. Ricorda tutto.
«O. Mio. Dio.»
That escalated quickly, come recita il suo meme preferito.

***

L'erogatore del caffè gronda nettare al ritmo dei granelli che scendono in una clessidra.
«Muoviti!» Darcy, in piedi di fronte alla macchinetta, gli affibbia una manata.
«Ehilà, Darcy!»
Scuotendo il braccio in segno di saluto, Jane le viene incontro dal fondo del corridoio. Darcy sfila il bicchierino dai ganci e se lo porta alle labbra, soffiandoci sopra. È il terzo della mattinata.
«Ehi, Jane. Ti trovo bene.»
«Anch'io ti trovo... uh, bene.»
Da dietro gli occhi nocciola, Jane sembra che stia valutando se portarla dal medico o difilato al pronto soccorso.
«Hai fatto colazione? Ti vedo stanca.»
“Stanca” non arriva a coprire il 10% dello spettro di sensazioni che ha sommerso Darcy questa mattina.
«Ascolta, Jane...» Ora che le ha suscitato pietà, è il momento giusto per avanzare la sua richiesta. «Ti offendi se mi prendo un paio d'ore, stasera? Sbrigo l'ultima pratica della denuncia di Schäfer e poi esco, non è una commissione urgente ma preferirei sbrogliarmela entro oggi, o mi trovo il centro chiuso...»
«Certo, non c'è problema. Di quale centro stai parlando?»
«Del centro scampoli.»
«Vuoi che ti dia uno strappo?»
La domanda che si chiede al compagno di bevuta intenzionato a guidare mezzo ubriaco.
«No, no, grazie... faccio da me.»
«Per curiosità, cosa devi comprare?»
«Un paio di tende nuove.» Riflette per un paio di secondi mentre agita il caffè con lo stecchetto di plastica. «Ho dovuto accudire il gatto della mia vicina, ieri sera. Mentre giocavamo, mi ha squarciato le tende della camera da letto.»
«Oh, capisco.»
No, che non capisci.
Rivolge a Jane un sorriso ebete e pregno di significato mentre la vocina della sua coscienza smania e sbraita fra le sinapsi: Lo vedi, scellerata? Ti sta già traviando e istruendo nell'arte della menzogna!
Mentre Darcy imbocca il corridoio, reprime un brivido artritico che si propaga per i muscoli del suo corpo. Si sente stanca? Sì, molto.
È disfatta.
Come camera sua.
È complice.
Come nessuno.
Ma soprattutto è in attesa.
Di qualcuno. Forse, come qualcuno.
A metà strada dal suo ufficio, incrocia il veterano giocatore di Galaga che trasporta un fascio di documenti. Gli batte un paio di buffetti sulla spalla massiccia, prima di continuare per la propria strada.

~fin~



Angolino d’autrice:
Questa shot si piazza in un ipotetico contesto post-Avengers nel quale Loki, invece di vedersi consegnare alla giustizia asgardiana, viene sbattuto (nonchiedetemiperché) in un'asettica cella del complesso S.H.I.E.L.D. e qui lasciato ad ammuffire in vista di accertamenti (nonchiedetemiqualiaccertamenti). Ma si sa, a Loki non la si fa...

Sento di aver profanato il capolavoro di Barrie. James, chiedo venia.
Questa è la prima Darcy/Loki che scrivo, e come coppia è una delle più difficili su cui mi sia capitato di lavorare. Ho fatto del mio meglio per cercare di mantenere Loki IC ma, se ho fallito nel tentativo, siete autorizzati a farmelo presente tramite il lancio di frutta marcia.
Spero vi sia piaciuta :3

Hasta la vista!

   
 
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