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Autore: BulaBula    12/02/2009    5 recensioni
Un'amicizia nata in un orfanotrofio.
-Senti, io mi chiamo Naruto, tu?
Gli chiese all’improvviso, spiazzandolo. Tendeva la manina verso di lui attendendo la risposta con un sorriso.
-Sasuke...
Mormorò stringendola. E in quel momento capì di non essere più solo.
Genere: Triste, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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That little blond child


Fu portato in quell’orfanotrofio all’età di otto anni. Non capiva bene cosa dicessero quelle persone in quella grande stanza fredda, e non gli interessava nemmeno capirlo.
Pensava solo alla sua mamma e al suo papà, e ai loro corpi tutti rossi, tutti rossi... sembravano così spaventati. Gli avevano fatto paura.
Quando gli dissero che avrebbe vissuto in quel posto accettò senza fare storie, come gli era stato insegnato; non si scompose nemmeno quando vide colui che era il padrone di quel posto, un uomo grasso, dalla faccia sudata e malvagia, vestito di tutto punto senza tuttavia riuscire a essere elegante.
L’unica cosa che provò fu la rassegnazione di chi sapeva di non avere scelta.

L’orfanotrofio era pieno di bambini, gli ricordava un po’ la sua scuola, se non fosse che i bambini che stavano lì non giocavano, non ridevano, stavano sempre zitti o comunque attenti a non fare chiasso.
Era diverso in tante cose dalla scuola per bambini ricchi che aveva frequentato. Erano vestiti con una casacca larga fatta di un materiale ruvido e che pungeva la pelle, che d’estate era troppo calda ma d’inverno troppo fredda. I maestri pretendevano che fossero sempre puliti e in ordine, ma d’estate potevano usare l’acqua una volta a settimana, per non sprecarla e lasciarla disponibile ai padroni, mentre d’inverno, che grazie alla neve e alle piogge di acqua ce n’era in abbondanza, questa era sempre ghiacciata, ed era praticamente impossibile usarla.
Solo nella prima settimana di permanenza, dimagrì cinque chili, per le misere razioni di cibo che gli fornivano.
Ricordava perfettamente, e non lo avrebbe mai scordato, il giorno in cui, dopo ormai un mese che si trovava lì, aveva osato chiedere un po’ più di cibo alla cuoca, una donna corpulenta e con la faccia rossa. Sapeva che non poteva, e gli altri bambini erano tutti terrorizzati dal momento in cui avevano sentito la sua richiesta, ma davvero non ce la faceva più.
Non era abituato a quel freddo e a mangiare così poco, le forze lo stavano ormai abbandonando.
La cuoca lo guardò spalancando gli occhi, quindi uscì dalla stanza senza una parola, lasciandolo lì davanti alla pentola con il suo piattino in mano. Stava pensando di intingere il cucchiaio in quella sbobba, ma gli avevano insegnato che prima di prendere si doveva chiedere. Sì, ma... tutto quel cibo incustodito davanti a lui... e lui aveva così tanta fame... Fu in quel momento che la porta si spalancò di nuovo, ed entrò il rettore seguito dalla cuoca. Sembrava inferocito. Si fermò davanti a lui senza dire una parola, quindi gli mollò uno schiaffo. nella sala si fece assoluto silenzio.
Si limitò a fissare l’uomo che l’aveva colpito senza capire perché l’avesse fatto, con la guancia che pulsava dolorosamente; che aveva chiesto di così terribile? Possibile che nessuno notasse quanto fossero deboli e magri i bambini di quel posto e quanto sporgessero le piccole ossa da quelle luride casacche?
-Come ti sei permesso di chiedere più cibo? Forse non ti basta quello che ti diamo con generosità ogni giorno?
Non rispose, troppo preso ad annusare rapito l’odore di carne arrosto emanato dall’uomo.
-Allora?
-Avevo fame, signore
Mormorò con voce debole, ma senza chinare il capo. Se possibile, la faccia del rettore divenne ancora più rossa.
-Ora ti darò una bella punizione, cosìcchè tutti i ragazzini impertinenti e ingrati come te capiscano i loro errori!- disse tirando fuori dalla tasca una lunga corda in pelle.
Spalancò gli occhi, mentre gli veniva ordinato di inginocchiarsi e di togliersi la casacca. Lo fece,, mentre l’uomo si posizionava dietro di lui.
Il primo colpo lo fece urlare dallo spavento, perché non se l’aspettava; solo in seguito, con gli altri colpi che gli venivano inferti da quella faccia sadica, il dolore si fece sempre più forte, come se tutto il suo essere si stesse per spaccare in mille pezzi. Ma dopo il primo urlo, non ne aveva cacciati altri, mordendosi le labbra a sangue.
Riuscì solo a sentire il calore di qualcosa di liquido che colava lungo la schiena e bruciava, prima che diventasse tutto buio.

Stette per un tempo interminabile, dopo essersi svegliato, nel letto duro in cui dormiva ogni notte, in un grande stanzone con un’altra ventina di letti, uno per ogni bambino.
Era con la schiena rivolta verso l’alto, il volto poggiato sulle lenzuola ruvide, ma la casacca gli era stata rimessa addosso, e la sentiva attaccata alla schiena. Gemette, pensando a quando avrebbe dovuto toglierla.
Piccole lacrime scesero sul cuscino. Mai. Mai in tutta la sua vita era stato picchiato. Quel posto era orribile, chi è che l’aveva mandato lì? Ricordava le liti sei suoi zii, dopo il funerale dei suoi genitori, per chi dovesse tenerlo. Nessuno desiderava tenersi in casa un peso del genere.
Si riscosse dai suoi pensieri, che lo stavano per far singhiozzare vergognosamente, a un tocco leggero sulla spalla. Aprì gli occhi asciugandosi rapidamente le piccole lacrime con il lenzuolo, e si trovò davanti un bimbo piccolissimo accovacciato a lato del suo letto, che lo fissava con due grandissimi occhi azzurri.
-Ti fa male?
Gli chiese con una vocina infantile accennando con il capo alla sua schiena. Lui annuì. Il bambino si alzò e si sedette sul bordo del suo letto, posandosi sulle ginocchia una piccola bacinella con un po’ d’acqua e uno straccio che sembrava ricavato da una delle loro casacche.
Si girò un po’ per poter osservare cosa stesse facendo, fissando incuriosito gli arnesi che aveva, chiedendosi dove avesse preso la bacinella. Evidentemente quello capì, perché gli sorrise furbo.
-Segreto! Ma non dirlo a nessuno, ok?
Annuì nuovamente. Non aveva nessuna voglia di parlare, lasciava che a farlo fosse quel bambino dai capelli incredibilmente biondi, che per un qualche motivo a lui ignoto lo stava aiutando.
-Oh, no, si è tutto attaccato...- l0 sentì mormorare, poi una manina si poggiò sulla sua spalla in segno di conforto –Ora farà male.
Gli staccò in un sol colpo la maglia dalla schiena, e gemette mordendosi le labbra per non urlare. Temeva che nessuno sarebbe stato felice del fatto che uno dei bambini lo stesse aiutando.
-Scusa...
Mormorò il bambino, mentre il bruciore tornava a farsi sentire più insistente di prima, come se avesse del fuoco rovente sparso per tutta la schiena, e sentiva il sangue fuoriuscire di nuovo dalle ferite. Poi di colpo provò un grande sollievo nel sentire la pezza bagnata di acqua gelida posarsi sulla sua schiena.
-Sai, li hai fatti proprio arrabbiare... di solito le frustate le riservano a me!
Disse con aria allegra, come se ormai ci fosse abituato.
-Ormai conosco tutti i segreti per guarire in fretta, quindi non preoccuparti, tra un po’ starai meglio!- gli disse sorridendo mentre gli puliva la schiena dal sangue e dal pus. Ridacchiò pensando a qualcosa che probabilmente aveva a che fare con le frustate che gli avevano dato, e fu colto da un accesso di tosse, che scosse il suo piccolo corpicino per qualche secondo, e che poi si calmò.
Rimase a fissarlo mentre gli passava la pezza sulla schiena con delicatezza, provando sempre più sollievo, anche se il freddo si stava avvicinando. Poi il bambino biondo smise di pulirlo e tirò fuori dalla tasca un sacchetto con delle piantine. Ne scelse una e se ne mise un pezzetto in bocca. Lo masticò per un po’, per poi toglierlo e spalmare la specie di crema che aveva ottenuto sulle sue ferite. Sussultò per il bruciore improvviso, che però dopo qualche secondo si era tramutato in sollievo.
Chiuse gli occhi ascoltando quel bambino che continuava a parlare.
-Sai, ho scoperto che nel giardino ci sono moltissime erbe che servono per curare. Certo, è vietato andarci, ma io ci vado lo stesso per procurarmene un po’ ogni tanto!
Fu colto da un altro attacco di tosse. Pensò che probabilmente era solito fare quelle marachelle, e che fosse per questo che lo frustavano come gli aveva detto. Di sicuro non poteva aiutarlo, però era venuto lo stesso incurante del pericolo di una punizione.
Non sapeva il perché l’avesse fatto, ma il gesto di quel gracile bambino sconosciuto gli aveva un po’ scaldato il cuore in quel posto tanto gelido. Si rilassò, e i suoi pensieri corsero al passato, quando ancora viveva a casa sua, con la sua mamma e il suo papà... e automaticamente arrivarono a quella notte, quando i ladri avevano bloccato la loro carrozza e la mamma lo aveva fatto nascondere. Poi le urla, e due corpi che cadevano in una pozza di sangue...
Sentì una manina che si poggiava delicatamente sul suo volto, che scoprì essere bagnato di lacrime. Il bambino lo fissava preoccupato con i suoi occhi enormi e bellissimi, che gli facevano tanto pensare al cielo d’estate.
-Stai pensando alla tua mamma e al tuo papà?
Annuì, senza riuscire a fermare le sue lacrime. Spalancò gli occhi sorpreso quando si sentì avvolgere dalle braccia magre dell’altro, che lo teneva vicino a sé cercando di dargli un po’ di conforto. Quel gesto inspiegabilmente non fece che aumentare le sue lacrime, e si sentì scuotere dai singhiozzi tra quelle braccia.
-Sai, io non ho mai conosciuto i miei genitori, quindi non so molto bene cosa si prova a perderli... però sono sempre stato solo, e posso capire quanto questo possa fare male...
Gli disse dolcemente. Continuò a piangere per qualche minuto, finalmente sfogandosi di quel dolore che si teneva dentro da troppo tempo, aggrappandosi disperato a quel bambino.
Quando finalmente smise si staccò, asciugandosi gli occhi con il dorso della mano e vergognandosi un po’ di aver pianto di fronte a quel bambino che sembrava non averlo mai fatto.
-Senti, io mi chiamo Naruto, tu?
Gli chiese all’improvviso, spiazzandolo. Tendeva la manina verso di lui attendendo la risposta con un sorriso.
-Sasuke...
Mormorò stringendola. E in quel momento capì di non essere più solo.

Non capiva perché un bambino dall’indole allegra come Naruto si fosse tanto affezionato a lui, così serio e sempre sulle sue, che parlava poco mentre l’altro non stava mai zitto. E non capiva nemmeno come uno con un carattere del genere fosse riuscito a sopravvivere in quel posto.
In ogni caso, Naruto faceva di tutto per lui. Gli dava un po’ del suo cibo quando vedeva che stava diventando troppo debole, ogni volta che lo volevano punire si schierava dalla sua parte e immancabilmente le prendeva anche lui. Ma più Sasuke si era sentito così male come la prima volta che lo avevano picchiato. Perché quando si mettevano in un angolino a curarsi le ferite, Naruto falca sembrare tutto come se fosse privo di senso.
Gli aveva fatto capire come tutte quelle sofferenze un giorno sarebbero state ripagate, perché nella vita, dopo tanto dolore, deve arrivare sempre la felicità. Gli faceva le imitazioni del rettore e dei maestri, facendolo ridere, e subito dopo tornava serio dicendo che loro due non si sarebbero mai separati.
E, potrà sembrare strano, ma Sasuke si sentiva felice.

Quando arrivò l’inverno, la tosse di Naruto peggiorò; non poteva nemmeno dire due parole di fila senza essere colto da un nuovo attacco, ma sembrava non preoccuparsene, continuava a comportarsi come aveva sempre fatto, e nemmeno i maestri sembravano preoccuparsene più di tanto, non avevano mai chiamato un dottore.
Quando Sasuke gli chiedeva cosa avesse e perché non gli passava, Naruto sorrideva e gli diceva che era tutto a posto. Inizialmente ci credette.
Poi un giorno Naruto non scese a colazione, ma lo lasciarono nel suo letto, ordinando di non andare da lui, e Sasuke obbedì, preoccupato ma allo stesso tempo fiducioso in quello che l’amico gli aveva detto.
Se era tutto a posto, di sicuro sarebbe guarito subito e sarebbe tornato da lui, gli aveva promesso che sarebbero stati per sempre insieme.
Quella notte Sasuke si svegliò, trovando il letto di Naruto vuoto e con le lenzuola tolte; colto dal panico, uscì dalla stanza, ritrovandosi in corridoio. Fu colto dal sollievo quando sentì un colpo di tosse provenire da una stanza dalla quale proveniva una debole luce.
Corse ed entrò nella stanza, trovando Naruto disteso in un grande letto sepolto dalle coperte: evidentemente avevano deciso di allontanarlo dagli altri per evitare un contagio, e per fortuna l’avevano messo al caldo. Si rallegrò, pensando che in queste condizioni di sicuro sarebbe guarito più in fretta da quella brutta tosse, finchè Naruto non lo chiamò con una vocina debolissima.
-Sasuke, che ci fai qui?
Si avvicinò, rimanendo pietrificato sul posto. Naruto era, se possibile, dimagrito ancora di più, il volto con le guance incavate e due profonde occhiaie, pallido, gli occhi un tempo allegri spenti e sofferenti. Rimase a guardarlo inorridito mentre tossiva, mettendosi la mano davanti alla bocca, senza trovare sollievo.
-Naruto...
Aveva capito, e sentiva le lacrime premere per uscire.
Naruto scosse la testa, facendo un debole sorriso.
-C’è freddo fuori. Vieni, vieni vicino a me sotto le coperte.
Si spostò un pochino facendogli spazio per farlo sdraiare accanto a sé nel piacevole tepore delle coperte. Da vicino si poteva capire perfettamente quale sarebbe stata la sua sorte.
-Non piangere, Sasuke...
-Ma tu...
Cosa avrebbe fatto senza di lui? Senza il suo unico amico, il suo unico sostegno?
Naruto gli prese le mani, stringendole con la poca forza che aveva.
-Sì. Ma tu continuerai a vivere...
-Non voglio...
-Devi vivere Sasuke... fallo per me...
Perché tutti quelli che amava lo lasciavano? Perché doveva sempre rimanere da solo?
-Non mi lasciare, Naruto... ti prego.
Sorrise debolmente, un sorriso rovinato dal dolore.
-Ma noi non ci lasceremo davvero. Te l’ho promesso no? Staremo sempre insieme.
-Ma dove?
Gli posò una manina sul petto, all’altezza del cuore.
-Qui, Sasuke. Nei nostri cuori staremo per sempre insieme, se non ci dimenticheremo l’uno dell’altro.
-Non potrò mai dimenticarti...
Sorrise. –Bene...
Si avvicinò per sporgersi e dargli un debole e delicato bacio sulla fronte.
-Buonanotte Sasuke...
Si addormentarono abbracciati.

Il mattino dopo Sasuke fu svegliato dalle urla del rettore che cercava di tirarlo fuori dal letto prendendolo per un orecchio.
-Screanzato! Come ti sei permesso di abbandonare il tuo letto!!
Tuttavia Sasuke non lo ascoltava, e incredibilmente il rettore non era riuscito e tirarlo giù dal letto.
Rimaneva saldo al corpo di Naruto accanto a lui, e si rese conto che era diventato freddo e rigido. La sua espressione era migliorata dalla notte prima, era finalmente serena.
Il rettore dovette interrompere i suoi rimproveri nel sentire il bambino singhiozzare come se avesse perso il suo bene più prezioso, mentre si stringeva a quel piccolo corpo senza vita.


Ormai sono passati vent’anni da quella notte, e non è passato giorno che io non sia venuto qui sulla sua tomba. Ma non piango più ormai. Passo il tempo a raccontargli come mi vanno le cose, quello che faccio... a parlare con lui.
Mi ha detto che dovevo vivere... guardami Naruto, il bambino che piangeva per i colpi che gli davano sta vivendo.
Finalmente posso camminare da solo, grazie alla forza che tu mi hai dato. Vorrei solo averti dato qualcosa anch’io,l ma di sicuro tu sei contento anche così.
Non ho mai pensato che non avessi mantenuto la promessa, perché ti sento ogni girono accanto a me...
Mio salvatore, mia luce, mio angelo... sei stato così importante per me che rimarrai per sempre nei miei pensieri. Ti ricordo ancora con l’espressione che avevi da morto, serena e felice...
Non potrò mai dimenticarti...
E aspetto con ansia il momento in cui potrò ancora scaldarmi alla tua luce...



Insieme al nuovo capitolo di Black Stuff, pubblico questa piccola oneshot senza pretese che è anta dopo aver visto il film di Jane Eyre. Spero di essere riuscita a farvi emozionare, fatemi sapere che ne pensate!
  
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