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Autore: Fabbricante Di Sogni    24/09/2015    2 recensioni
[890 parole | Argomenti Delicati | One Shot | Personaggio sorpresa | Ispirato al film “Noi ragazzi dello Zoo di Berlino”]
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"I problemi e i misteri bruciano, come al rogo, in un tramonto che leva il respiro, lasciando posto a mille spilli che perforano il mantello della notte; dando così vita a una mostra di bellezza non annunciata..."
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"...sapeva di aver già da tempo superato il limite che non si doveva superare, tutto quello che continuava e si imponeva di fare non soltanto gli logorava il cervello ed il corpo, ma perfino l’anima..."
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"...avevano fatto tutto insieme, erano quegli amici che non sanno stare l’uno senza l’altro. Ricordava benissimo la soddisfazione dei primi acidi, il senso di spensieratezza, quell'immortalità che lo faceva sentire giovane ed invincibile..."
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Sono argomenti abbastanza delicati, per chi è facilmente impressionabile non consiglio di leggere, volevo solo cercare di dare un'interpretazione realistica di questo tipo di vita, oltre che scrivere una Fan Fiction su uno dei mie personaggi preferiti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorpresa
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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La notte è di chi non sa morire -


La notte è delle puttane, dei pokeristi,
degli ubriachi, degli insonni
e dei portieri d’albergo.
La notte è di chi non sa morire.


 
[ Ispirato al film “Noi ragazzi dello Zoo di Berlino”]
 
La sera è accompagnata sempre da un manto leggero che si schiera sulle città; una coperta scura che avvolge nel limbo tutte le preoccupazioni del giorno. I problemi e i misteri bruciano, come al rogo, in un tramonto che leva il respiro, lasciando posto a mille spilli che perforano il mantello della notte; dando così vita a una mostra di bellezza non annunciata.
A lui però non interessava nulla del sole, che stava con lentezza esasperante, calando dietro i palazzi della grande metropoli.
Né tanto delle pallide stelle, che dalla direzione opposta, sorgevano timide come lentiggini a macchiare la volta celeste. In quel momento nulla di quegli spettacoli rapiva il suo sguardo, i suoi occhi spenti e offuscati cercavano fisso quello che gli serviva per andare avanti, per continuare a vivere.
Era arrivato al punto di non ritorno, sapeva di aver già da tempo superato il limite che non si doveva superare, tutto quello che continuava e si imponeva di fare non soltanto gli logorava il cervello ed il corpo, ma perfino l’anima.
Ricordava benissimo il modo nel quale aveva iniziato, gli sembrava ancora di sentire la sua stessa voce nella testa, quella voce che all’epoca aveva ancora un tono di vita, mentre ora era un suono rauco e vuoto, che riconduceva i pensieri solo alla morte.
«È soltanto una *spada, e poi io ho un grande autocontrollo.» certe volte, tra una crisi di astinenza e l’altra, riviveva la scena in terza persona.
Quello lo ricordava come uno dei periodi più belli della sua vita, all’epoca condivideva un bilocale con Genda, avevano iniziato a drogarsi insieme loro due, avevano fatto tutto insieme, erano quegli amici che non sanno stare l’uno senza l’altro.
Ricordava benissimo la soddisfazione dei primi acidi, il senso di spensieratezza, quell’immortalità che lo faceva sentire giovane ed invincibile.
Né aveva prese di facciate contro il mondo d’allora, però di fatto erano ancora entrambi sulla stessa linea, il mondo a fare schifo e lui a fregarsene di tutti. Nemmeno di se stesso gli importava.
Tre mesi prima Genda era morto per overdose, l’aveva ritrovato in camera sul letto con gli occhi fissi nel vuoto, una spada piantata nel braccio.
Non lo aveva accettato, inutile fingere che fosse tanto forte da sopravvivere a una simile emozione.
Semplicemente aveva ignorato il problema; aveva abbandonato il corpo di Genda, dato fuoco a tutto quello che glielo ricordava. In quel periodo lo aveva giurato, se lo era promesso e spergiurato.
«Quella merda non la prendo più.»
Quante volte aveva ripetuto la stessa frase?
Quante volte aveva intanto le sue promesse a se stesso promettendo che era l’ultima?
Si era ritrovato più e più volte piegato in due in un vicolo per strada, tremava per i sintomi dell’astinenza, riaffioravano i ricordi di quando era solo un bambino; suo padre che picchiava sua madre e la chiamava puttana, suo padre che sbatteva la porta, suo padre che non tornava più.
La sua infanzia era un grande vuoto nero di cui non aveva molti ricordi.
Lì aveva cancellati, per sopravvivere.
In quel periodo l’unica cosa che lo faceva sentire bene era l’eroina, anche se avrebbe preso volentieri pure la polvere del muro, da spararsi in vena, se avesse posseduto una casa in cui vivere.
In quanto era diventato questo? Un anno? Dieci mesi?
Era passato da un ragazzo con il sarcasmo tra i denti a un corpo che agiva vedendo nel suo subconscio il riflesso delle azioni che compiva.
Era arrivato a rubare, era arrivato a non provare più nulla sul suo corpo se non il forte bisogno della droga.
Il suo viso che non dimostrava più di sedici anni pareva quello di un fantasma, spento, i suoi occhi vuoti riflettevano il nulla più totale. I suoi capelli corti castani erano diventati di un colore tendente al cenere ed anche la sua pelle pallida aveva preso una tonalità più grigia che rosea.
Camminava solitario per una via solitaria, tutto il magnifico quadro composto dal cielo non rappresentava altro che una circostanza nella quale era costretto ad agire. Cercava la sua spada e la voleva adesso.
Voleva stare bene, ancora per una volta, forse l’ultima volta.
Perché per i casi come lui ogni volta può essere definitiva, non gli importava.
Scambió rapidamente i soldi con la dose e si preparò a iniettarsela, inserì con la meticolosità di un medico la droga nella siringa e stringendosi un pezzo di stoffa attorno al braccio strinse la siringa e premette, fino a veder l’ago penetrare nella pelle e raggiungere la vena. Subito arrivo quel senso immediato di pace, poi barcollo e cadde a terra mentre un sorriso si faceva strada su volto.
Sentì improvvisamente la gola secca e finí per tossire a terra quello che doveva essere un grumo di sangue; ciò nonostante sorrise, con i denti insanguinati, pensando che quella dovesse essere la fine, ma che se era la fine doveva almeno sorridere mentre se ne andava.
Immaginó negli ultimi attimi di lucidità il suo sguardo che si sarebbe spento come una luce e i giornali il mattino seguente che avrebbero recitato: “Akio Fudou, sedicenne morto per overdose, giovane vittima della droga.”
Buttó uno sguardo in alto, che paradossalmente andò a finire proprio alle stelle, lo spettacolo che solo adesso riusciva a scorgere.

*Spada: modo gergale di chiamare le siringhe che i tossici utilizzavano.




Smiley's Corner:

Ero tanto partita bene oggi volendo scrivere una storiella su una canzoncina tenerella sull'amore. 
E poi ispirazione, film, Akio Fudou, ed eccovi questo scempio.
Non lo so, penso di amare quello che ho appena scritto, anche se ho fatto morire Genda di overdose e vi ho lasciato con un Akio in fin di vita, ma a parte questo, mi piace molto come ho reso l'idea del tutto.
So che non sono proprio argomenti che si toccano tutti i giorni ed ho voluto per questo mettere i dovuti avvertimenti.
Detto questo, spero che la Fan Fiction vi sia piaciuta, in caso fareste una Smiley tanto felice se mi lasciaste un commentino. c:
Questo è tutto,
baci.

 
  
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