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Autore: Alina_Petrova    25/09/2015    4 recensioni
Semplicemente quello che avevo bisogno buttare giù dopo la 5.13.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Kinney, Justin Taylor
Note: Traduzione | Avvertimenti: Spoiler!
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Sinceri ringraziamenti al gentilissimo Lusio che mi ha dato una mano come beta per questa storia (e spero, lo farà per le altre).
 
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Il titolo e la struttura della ff sono stati fregati da questo video.
https://www.youtube.com/watch?v=kz9UBfXmXsM

La traduzione della mia ff, l'originale è in russo, link:  http://archiveofourown.org/works/4340036

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Ci sono momenti in cui la vita separa due persone solo perché capiscano quanto l'una sia importante per l'altra.
(Paulo Coelho - Il vincitore è solo)
 
 
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Justin aspettava in piedi davanti alla finestra osservando distrattamente le luci della città che non dorme mai.
 
Non odiava quella città, no.
 
Quella città gli aveva regalato tante cose bellissime, tanta gioia e soddisfazione; l’aveva aiutato ad acquistare sicurezza e a rinforzare la fiducia nel proprio talento. Non che ne avesse mai dubitato, ma il fatto che collezionisti esperti, intenditori d’arte, fossero disposti a sborsare non pochi quattrini per il suo lavoro, era una valida conferma che a quel punto della sua vita non guastava.
 
Qui aveva incontrato molte persone interessanti, che lo tenevano in buona considerazione e  apprezzavano. Si era fatto un certo nome – non era diventato una celebrità, ma nelle gallerie di New York sapevano chi Justin Taylor fosse.
 
E quindi, no, non provava odio per quella città... solo verso ogni maledetto  giorno, vissuto lì.
 
... non ha importanza, è solo il tempo!”gli aveva detto Brian, ormai più di un anno fa.
 
E Justin ci aveva creduto. Si era sforzato con tutto se stesso di crederci, e per un po’ c’era pure riuscito.
 
Ma il tempo passava... e proprio non aveva importanza. La sua vita era priva di peso e consistenza se non poteva vedere Brian, se non poteva sentire dietro di sé il suono dei suoi passi che si avvicinavano un attimo prima di sprofondare nel suo abbraccio, nel suo calore, nel suo odore, che in un istante avrebbero restituito un senso allo scorrere del tempo.
 
Senso, che ora non c’era.
 
Senso, che era nascosto in ogni sorriso di Brian, quelli speciali, che magicamente trasformavano il suo viso tra un bacio e l’altro. Quei sorrisi appartenevano solo a lui. Justin aveva visto Brian con altri, tante, troppe volte, e il suo viso si illuminava di desiderio, di estasi, di piacere, ma mai... mai una volta vi era apparsa anche solo un’ombra di quel sorriso felice, che sembrava incapace di trattenere invece quando era con lui.
 
Justin faceva fatica ad immaginare la sua vita senza Brian. Probabilmente, è così che succede quando il tuo primo ragazzo, che hai conosciuto a diciassette anni, si scopre essere l'amore della tua vita. Qualche volta aveva provato ad immaginare come avesse fatto Brian a vivere così tanti anni da solo... senza di lui?
 
“Raggio di sole, come riuscivo a farcela senza di te?”
 
“Non ci riuscivi!”
 
Non era stata solo una battuta a ben vedere...
 
Ma Brian allora non aveva scelta, visto che Justin non era ancora entrato nella sua vita, e quindi era costretto a... tirare avanti alla meno peggio senza rendersene nemmeno conto. Come un uomo che non conosce il sapore del sale non si accorge quanto è insipido il suo cibo. Ma una volta assaggiato...  
 
No, non voleva più fare a meno di Brian.
 
Poche brevi visite, che si erano concessi, quando la distanza cominciava a pesare troppo, avevano solo peggiorato le cose sbattendogli in faccia quello che voleva che la sua vita fosse – una vita nella quale ci fosse Brian Kinney in carne ed ossa, e non come una voce nella cornetta del telefono, non sotto forma di posta elettronica con delle foto oscene. Justin desiderava disperatamente che Brian Kinney riempisse ogni sua giornata, invadesse prepotentemente il suo spazio; voleva pianificare il fine settimana insieme, camminare semplicemente per strada sentendo la sua mano possessiva intorno alle spalle, discutere e litigare con lui... sì, anche questo gli mancava! Gli mancava in modo doloroso, facendogli a volte mancare il respiro nel bel mezzo di una cena con gli amici o di un appuntamento con qualche potenziale cliente.
 
Sì, Justin sentiva la mancanza di Brian, ma non di quel mister Perfezione che gli era apparso davanti tempo fa all’uscita dal Babylon e che era sembrato quella sera a lui, un ragazzino ingenuo e spaventato com’era, niente di meno che una divinità.
 
O meglio, non aveva nostalgia solo di quel semi-dio... perché, cazzo, parliamo sempre di Brian Kinney, che è sempre stato e sempre sarà giovane e bellissimo, e proprio di quel Brian Kinney si era innamorato a prima vista Justin.
 
Ma poi, nel corso di tutti questi anni, giorno dopo giorno era riuscito ad intravvedere e a conoscere sotto questo guscio splendente un uomo e proprio quell’uomo con le sue paure, debolezze, difetti e dubbi – aveva imparato ad amare.
 
E aveva continuato ad amarlo e a prendersi cura di lui, anche quando Brian lo respingeva e lo feriva.
 
Anche quando lui stesso aveva lasciato Brian, per sempre sembrava, nel profondo del suo cuore Justin sentiva la pura e semplice verità – tra loro non era finita, non poteva finire, troppo unici e speciali erano diventati l'uno per l'altro, e nessuno sarebbe mai più riuscito a salire al di sopra del secondo posto nelle loro vite.
 
Ma allora, perché diavolo aveva accettato di andare via? Per quale cazzo di motivo stava vivendo la sua vita lontano dalla persona che amava? Per realizzare al massimo il proprio talento? Stronzate! Il talento, se di talento vero si trattava, sarebbe riuscito a farsi sentire e vedere ovunque – Van Gogh aveva mandato al diavolo Parigi; Rousseau dipingeva in santa pace nella sua casetta di doganiere creando i suoi mondi fantastici; Wyeth, che Justin letteralmente adorava, per tutta la vita aveva dipinto solo ed esclusivamente quel buco nel mezzo al nulla di Chadds Ford con i suoi pochi abitanti, il che non gli impedì di diventare uno dei più grandi artisti americani. New York poteva contribuire alla sua carriera, al successo, agevolare la vendita dei suoi quadri... ma ne valeva davvero la pena? Ultimamente Justin si poneva questa domanda sempre più spesso...
 
In realtà, più si prolungava la loro separazione, e più si rendeva conto che non ne poteva più. Ed è per questo che un paio di settimane fa, durante una conversazione telefonica, gli era scappato quasi in un singhiozzo quel maledetto «Mi manchi!» che suonò meschino da fare schifo persino alle proprie orecchie. Brian fece finta di non averci fatto caso, ma dopo quella conversazione si era sollevato un muro di silenzio tra di loro. Le chiamate e messaggi di Justin rimanevano puntualmente senza risposta. Solo che... Brian non aveva capito un fico secco di lui, se credeva seriamente che fosse disposto di arrendersi.
 
Quindi non fu affatto difficile prendere quella decisione. Justin Taylor non aveva più intenzione di buttare nel cesso i suoi giorni, perché tutto era esattamente come aveva detto a Lindsey – la prospettiva della sua vita non era New York, ma Brian. E il tempo trascorso lontano da lui, lo aveva solo reso ancora più evidente.
 
Avrebbe potuto dipingere ovunque. Probabilmente non sarebbe diventato un nuovo Warhol, ma in compenso sarebbe stato, sperava, un uomo felice. Non è forse questa la massima aspirazione di ogni persona?
 
Non nutriva illusioni, sapeva che Brian avrebbe tentato di dissuaderlo, di rimandarlo indietro, che non si sarebbe arreso senza combattere. Ma l'unica cosa con la quale veramente avrebbe potuto respingere Justin, sarebbe stato il suo non-amore, l'arma che lui stesso volontariamente gli aveva ceduto confessando i suoi sentimenti. Quindi Justin Taylor era pronto per la battaglia, che non sarebbe stata né la prima, né l’ultima, e, dato che la posta in gioco era la vita con Brian Kinney, era pronto a combattere fino all'ultimo sangue.
 
Sentì lo squillo del telefono.
 
“Mr Taylor... il suo taxi è all'ingresso.”
 
 
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Attraverso il finestrino dell’aereo Brian osservava, sempre più vicine, le luci della città che non dorme mai.
 
Non odiava quella città, no.
 
Solo ogni maledetto giorno che Justin trascorreva lì, lontano da lui.
 
Sì certo, lui stesso lo aveva convinto ad andare a New York per realizzare il suo sogno, per ottenere il successo che meritava e che la provinciale Pittsburgh mai e poi mai avrebbe potuto offrirgli. E questa, sicuramente, fu la soluzione giusta, non ne aveva dubitato nemmeno per un secondo.
 
Il suo sbaglio era stato un altro.
 
... non ha importanza, è solo il tempo!”
 
Erano sue quelle parole... che stronzata! Come cazzo avevano fatto a venirgli in mente parole simili! Ma quel giorno ci aveva creduto veramente, e poi, che bella frase piena di puro romanticismo, proprio come piaceva a Justin.
 
Allora non poteva nemmeno immaginare come sarebbe stato nella realtà.
 
Il tempo... il tempo senza Justin strisciava lentamente e  contemporaneamente volava senza lasciare traccia.
 
E per l'amor di Dio, la vita di Brian era sempre stata piena di giornate vuote senza senso nè scopo, ma, tuttavia, fino ad un certo punto gli riusciva di rimanere fedele alla sua eterna regola – nessun rimpianto!
 
Ma questo perché prima Brian Kinney non aveva un’alternativa. Anzi, Brian Kinney non aveva mai considerato nemmeno una possibilità di qualsiasi alternativa. Non per lui. A dirla tutta, non la voleva neanche.
 
Ma poi era accaduto un miracolo, e solo ora l’aveva capito. La sua bionda alternativa col nasino all’insù portava il nome di Justin Taylor, e ormai da più di un anno abitava nella Grande Mela... e Brian rimpiangeva ogni minuto passato senza di lui.
 
Dentro di sé era sicuro che la distanza avrebbe rovinato quello che c’era tra  loro, che l’invisibile filo che li legava col tempo si sarebbe consumato e un giorno si sarebbe strappato.
 
Ma anche qui si era sbagliato! Quel filo si era rivelato essere una corda elastica assai resistente, che non permetteva loro di prolungare troppo la separazione, costringendo o l’uno o l’altro a mollare tutto e tutti e correre nell’altra città, per poter stare insieme almeno un paio di giorni.
 
Ogni incontro era simile ad un sorso d’acqua fresca, ma ogni nuova separazione diventava sempre più difficile, sempre più dolorosa. Almeno per Brian.
 
Si vergognava ad ammetterlo addirittura con se stesso, ma soffriva di gelosia in una maniera che non avrebbe mai creduto possibile. Il loro rapporto fin dall’inizio presumeva sempre la piena libertà di qualche scappatella da parte di entrambi, e  tutti e due l’avevano sfruttata appieno pur vivendo sotto lo stesso tetto, allora su cosa avrebbe potuto contare ora? Che un sano attraente ragazzo di ventitré anni si sarebbe messo a stecchetto per dei mesi? Sopratutto, considerando l’ambiente... Tuttavia, non era tanto la folla dei playboy a preoccupare Brian. Sempre più spesso gli veniva in mente la storia con il violinista... aveva seriamente rischiato di perdere Justin, se quel Paganini junior non si fosse fregato con le proprie mani... Ma grazie a Dio l’aveva fatto, e Justin era tornato, ancora una volta adattandosi alla sua vita.
 
Si adattava sempre, eppure, l’indole tante volte un po’ remissiva di Justin, la sua cedevolezza in alcune situazioni non erano mai un segno di debolezza o di mancanza del proprio punto di vista. Al contrario, quando qualcosa lo toccava veramente si buttava a capofitto nel problema cercando di risolverla, di fare la differenza. E quando  prendeva una decisione – nessuno, nemmeno Brian, era in grado di fargli cambiare idea.
 
E se Brian lo conosceva così bene, come credeva, ora stava succedendo proprio questo – Justin stava maturando una decisione in quella sua testolina.
 
Quel suo disperato “Mi manchi!” scappato oltre volontà nell’ultima  conversazione telefonica aveva allarmato Brian non poco. Se Justin aveva perso il controllo fino a quel punto, significava che era arrivato al limite, quindi, poteva semplicemente arrendersi e mollare tutto, lasciare New York, rovinando la sua carriera, sotterrando il suo talento per stare con lui a Pittsburgh. Ma Brian non poteva permetterglielo.
 
Si era sempre preso cura di Justin, sin dal loro primo incontro. E sorvolando sul fatto che questa preoccupazione, tante volte, fosse molto particolare e spesso apparisse più simile all'indifferenza, ma anche quando Brian lo respingeva e lo feriva profondamente – consapevolmente o no –  aveva sempre e comunque cercato di proteggerlo, spesso da se stesso.
 
Ma quel ragazzino testardo e cocciuto tornava di nuovo, e più Brian imparava a conoscerlo, più difficile gli riusciva respingerlo.
 
Gradualmente, in modo quasi impercettibile era diventato una parte integrante e talmente irrinunciabile della sua vita, che quando Brian aveva sentito di quell’esplosione al Babylon, un solo pensiero sulla possibilità di perdere Justin per poco non lo aveva mandato al manicomio. Perderlo per lui era diventato l’equivalente del perdere la luce, la terra sotto i piedi... l’aria.
 
Ed era stato allora che, resosene conto, Brian si era arreso, e dalla sua bocca era uscito fuori un impensabile «Ti amo!» Naturalmente, Justin non ci aveva creduto, ritenendo queste parole una banale reazione allo shock. E sarebbe stato inutile negarlo, lo shock c’era stato e aveva fatto la sua parte, la quale si era ridotta però solo a dargli un’ultima spinta, perché aveva semplicemente costretto Brian a guardare in faccia la realtà e accettare i propri cambiamenti.
 
Brian Kinney aveva bisogno di Justin Taylor. Ed aveva anche un’incredibile fortuna dalla sua, perché Justin aveva bisogno di lui.
 
Quindi la presa di questa decisione non fu affatto difficile. Brian Kinney era pronto... anzi, voleva cambiare la propria vita per stare con Justin.
 
Aveva inviato i suoi curricula ad alcune agenzie pubblicitarie di New York e  qualche giorno fa aveva ricevuto delle risposte positive da parte di due di queste. Aveva messo in vendita la propria agenzia e aveva affidato la gestione del Babylon alle cure di Emmet e Thad. Lo sapeva, non sarebbe stato facile, New York non era Pittsburgh, lì non avrebbe potuto più contare di essere il più desiderato sulla piazza, ma, d’altronde, ora ci teneva ad esserlo per una persona sola.
 
Brian non nutriva illusioni, sapeva che Justin non avrebbe voluto da lui tali sacrifici, quel piccolo stronzetto sarebbe stato capace di citargli, parola per parola, ciò che lui stesso aveva detto tempo fa a quel proposito. Ma quando fai ciò che davvero desideri, di fatto non è più un sacrificio, no?..
 
 
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Alla vista della casa avvolta nel buio, Justin subito ebbe un brutto presentimento. Sì, forse, arrivare così, senza preavviso, non era stata una buona idea. Non c’era la minima possibilità che Brian fosse semplicemente andato a letto e quindi spense le luci. E non era uno di quelli, che stanno attenti al risparmio energetico – quando era in casa, la casa si illuminava come un albero di natale.
 
Pagando il tassista, Justin aveva aggiunto dei soldi in più per un’altra mezz'ora e aveva chiesto di aspettarlo un po’, visto che probabilmente sarebbe stato necessario fare un giro in centro città...
 
Appena  all'interno aveva capito – la casa era vuota. Justin accese la luce in salotto, in procinto di fare un paio di telefonate agli amici per restringere il campo delle ricerche di Brian. La stanza sembrava pulita e abbastanza ordinata, ma aveva quell'aria accogliente di un ambiente vissuto – qua e là erano sparse un po’ di cose... le sue cose!
 
La sua camicia, che aveva dimenticato durante la visita precedente, era appesa sullo schienale della sedia; i fogli per i suoi schizzi sul divano e addirittura la sua tazza da caffè abbandonata sul tavolino senza il sottobicchiere e rimasta come l’aveva lasciata, non lavata... Durante la loro ultima discussione telefonica a proposito della prossima uscita di Furore, Michael aveva menzionato la strana reazione di Brian, quando lui, insieme al suo bicchiere, aveva messo nel lavandino anche una tazza sporca raccolta sul tavolino – Brian subito, senza dire una parola, l’aveva rimessa al suo posto.
 
Accidenti!.. Brian creava l’apparenza della sua presenza in casa...
 
Justin rapidamente pescò dallo zaino il cellulare e compose il suo numero...
 
 
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Al campanello non rispose nessuno, e Brian aprì la porta con la propria chiave – lo accolsero il buio e il silenzio assoluto, Justin non era in casa. Ma non c’era da meravigliarsi, perché mai un ragazzo giovane e attraente sarebbe dovuto stare, a quest’ora, da solo in un appartamento vuoto?.. Lui personalmente non lo avrebbe fatto. Beh, cioè, formalmente, ora sì. In un appartamento vuoto di Justin.
 
Brian si sedette sul divano in mezzo al salotto e distrattamente prese in mano, abbandonato lì, l’album da disegno. Le prime pagine erano piene di schizzi per il fumetto, ma ad un certo punto, tra quelli sempre più spesso iniziarono a capitargli davanti – alcuni fatti con dei veloci tratti superficiali, altri disegnati  attentamente e con incredibile precisione nei dettagli – i suoi ritratti. Lui che dormiva, rideva, parlava al telefono...
 
L’improvviso squillo del telefono lo fece sobbalzare e lasciò cadere l’album. Brian imprecò e si mise a frugare nelle tasche della giacca alla ricerca del  cellulare.
 
 
 
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– Dove sei? – si sentì contemporaneamente su entrambe le estremità della linea. E dopo un breve silenzio, altrettanto contemporaneamente, suonarono i due sorpresi: – A casa!
 
Questa volta Brian fu più svelto ad interrompere il silenzio confuso:
 
– A casa... dove?
 
Maledizione... no, non in questo modo, Justin non aveva intenzione di sganciare la bomba e raccontare della sua decisione per telefono, ma forse era meglio così  – un colpo solo, rapido e indolore! Prese un gran respiro e poi...
 
– A Pittsburgh... ho deciso di tornare... al diavolo tutto, Brian! Voglio... non ce la faccio più... ho bisogno di te, quindi... ovunque tu sia, vieni qui, ti aspetto a casa! – sbottò velocemente senza lasciarsi il tempo per riflettere su come presentare la notizia.
 
– Cazzo, Justin... non puoi tornare a Pittsburgh, questo posto non è fatto per te! Allora non ti ho insegnato proprio niente? Per nessuno al mondo devi rinunciare ai tuoi sogni... Raggio di sole.
 
Raggio di sole... questo soprannome sentito da Brian fece diventare di colpo molli le ginocchia di Justin costringendolo sedersi senza forza sul bordo del letto.
 
– E se... se sei tu il mio sogno? Allora cosa dovrei fare? – chiese con tono di sfida.
 
– Allora... magari dovresti liberare un paio di cassetti nel tuo armadio e permettermi di pagare la metà del affitto per il tuo appartamento... almeno fino a quando non troveremo un posto più spazioso per noi due. Che ne dici?
 
Justin trattenne il respiro. Aveva davvero sentito quello che gli sembrava di aver sentito?
 
– Hai intenzione di trasferirti a New York per me? Ma... come la mettiamo con  tutti i tuoi discorsi sui sacrifici... non devi lasciare tutta la tua vita...
 
– E se... se sei tu la mia vita? Allora cosa dovrei fare? – ridacchiò Brian facendogli il verso.
 
– Non so che dire... sì.
 
– Sì – cosa?
 
– Sì – sono d'accordo! Sì – scegli tutti i cassetti che vuoi e sì – insisto che paghi la metà dell’affitto!
 
– Bene... allora ci vediamo a casa?
 
– Ci vediamo a casa... suona perfetto!
 
– Però, Justin... ti rendi conto, vero, che tocca a te riportare le tue chiappe di nuovo qui, perché io sono già a casa!
 
 

 
   
 
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