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Autore: Daisy Ross    25/09/2015    4 recensioni
Dal Prologo:
"Se c'era una cosa di cui Alice Paciock andava certa, fin da bambina, era che la compostezza e l'eleganza caratterizzanti sua madre e sua nonna, oltre che tutti i numerosi cugini Abbott, c'entravano con lei quanto i cavoli con la Burrobirra.
Difatti a soli cinque anni, dopo una sfilza di infinite cadute tragiche e numerose visitine al San Mungo, poté constatare di avere totale assenza di equilibrio e, invece, una buona dose di goffaggine.
Insomma, era una bambina piuttosto imbranata.
Ed ora, compiuti quindici anni...non era cambiata poi granché. Anzi, è più corretto dire che fosse peggiorata."

~
Prendiamo una Nuova Generazione scombussolata dai normali problemi dell'adolescenza, i primi amori e le prime delusioni; aggiungiamoci una buona dose di bugie, filtri d'amore spaventosamente potenti, fidanzati segreti e piani strampalati per sabotare matrimoni. Accostiamo il tutto a misteriose forze oscure che gravano segretamente sul Mondo Magico e tanti, troppi misteri da risolvere...ne viene fuori un mix piuttosto esplosivo, non vi pare?
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus, Severus, Potter, Alice, Paciock, Jr, James, Sirius, Potter, Nuovo, personaggio, Rose, Weasley | Coppie: Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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24.
The hardest part

“Oh I, I wish that I could work it out.
And the hardest part
Was letting go, not taking part…”
The Hardest Part, Coldplay
 
 
 
Alice osservò, sbuffando, il vestito tutto merletti e pizzi che si trovava sul letto.
Lo stava fissando da diversi minuti, ormai, e più lo guardava, più si convinceva che qualcuno lo doveva avere affatturato proprio perché diventasse così brutto.
E ci era riuscito, alla perfezione. Era il capo d’abbigliamento più orrendo che avesse mai visto, sembrava uscito da un catalogo del 1500: lungo fino alle caviglie, ti ricadeva addosso come una tunica informe, bianco latte, con le maniche larghe sugli avambracci e la scollatura praticamente inesistente, incorniciata da un nastro.
Era persino più bizzarro delle tuniche per maghi, che ormai in pochi, dopo la Guerra, si ostinavano a portare.
(Dopo l’integrazione dei maghi nel mondo babbano, incoraggiata dal ministro Shacklebolt, nelle varie cittadine magiche era stato aperto più di un negozio che vendeva quasi esclusivamente roba babbana: elettrodomestici, apparecchi dagli usi più svariati e, naturalmente, vestiti. E così, mentre i Babbani continuavano a vivere serenamente all’oscuro del mondo che li affiancava, i maghi si avvicinavano sempre di più a ciò che, per lungo tempo, gli era stato tenuto lontano.
Nonostante questo, la maggior parte della popolazione magica continuava ad ignorare come si utilizzasse il cellulare o come funzionassero i dvd, e non; ma il segreto era, come diceva sempre il ministro, fare le cose un passo alla volta.)
Dopo aver preso un lungo respiro, comunque, Alice si provò il vestito lo stesso, perché così le aveva indicato di fare sua madre; non si girò verso lo specchio, decisa più che mai a non vedere il proprio riflesso – sapeva che, se l’avesse fatto, si sarebbe tolta quella cosa di dosso immediatamente.
Si diresse, quindi, verso la finestra, per sbirciare la vita che scorreva placida nel quartiere: i giardini ordinati, il terreno morbido, gli alberi spogli e i loro rami ancora ricoperti della neve che era caduta qualche giorno prima. Sulla strada principale, sulla quale la stanza di Alice si affacciava, c’erano tre bambine, che pedalavano allegre sulle loro biciclette, avvolte da pesanti giubbotti invernali che quasi nascondevano loro il viso.
Nel cortile dei vicini, ricoperto da grandi vetrate che impedivano al freddo di entrare, il vecchio signor Thompson se ne stava fermo, in piedi davanti al suo cavalletto, con una mano sul mento e gli occhi fissi sulla tela di fronte a lui. Da quella prospettiva, Alice non poteva vedere il dipinto; non era mai riuscita a vederne uno, nonostante le capitasse spesso di scorgerlo là, a fissare i suoi quadri con quell’aria pensierosa, e la mente che nuotava in chissà quali abissi a lei sconosciuti.
La signora Joplin, dall’altra parte della strada, non faceva che annaffiare le aiuole, in qualsiasi periodo dell’anno: persino ora che gli arbusti erano costituiti da rami aggrovigliati e i boccioli erano solo un vago ricordo della primavera precedente, lei apriva la finestra al piano terra, che dava sul giardino, e passava con cura l’annaffiatoio su ogni pianta.
Ma era quella di Alice a vincere la nomina di casa più bizzarra del vicinato, solo che da fuori poteva dare l’impressione di essere perfettamente ordinaria, e così, a saperlo, erano solamente i suoi abitanti, che quell’anno in particolare ammontavano all’egregio numero di quattro: lei, sua madre, suo padre e Frittella.
Frittella era la più scalmanata, non faceva che saltellare dal suo baule, abbandonato mezzo pieno ai piedi del letto (Alice non aveva voluto svuotarlo tutto, visto che, tra nemmeno due giorni, sarebbe dovuta ripartire per raggiungere Rose), al tappeto, che era ormai diventato la sua lima per unghie preferita. Approfittava di quei pochi instanti in cui Alice non c’era per metterle a soqquadro la stanza: quando lei poi provava a spiegarlo a sua madre, Hannah non le credeva, e si arrabbiava moltissimo per tutto il disordine. Alice continuava a credere che quel gatto fosse posseduto, ma forse era solo tremendamente intelligente.
Nel tentativo di ammazzare la noia di quei giorni, aveva sistemato la scrivania, rimesso al proprio posto tutti i libri sugli scaffali della libreria, piegato e ripiegato i vestiti nei cassetti dell’armadio ad angolo; aveva camminato fino al negozio di ferramenta lì vicino per comprare delle lucine natalizie da appendere qua e là sui muri della loro abitazione, e poi suo padre le aveva incantate perché emettessero della musica ogni volta che qualcuno vi passava accanto. Così ora, quando le capitava di aggirarsi per la casa, i suoi passi erano prontamente seguiti dalle note di Jingle Bells e White Christmas.
Sotto l’albero, che avevano sistemato nel salotto, sostavano cinque regali: uno per lei da parte dei suoi genitori, uno per suo padre e uno per sua madre da parte sua, uno per Frittella e uno per la nonna.
A pensarci, le dispiaceva più di quanto avrebbe creduto non poter passare quel Natale con sua nonna – ma la prospettiva di trascorrerlo con Rose e Cathy era troppo entusiasmante per rinunciare.
« Alice? Alice? Vuoi scendere, per piacere? È tardi, santo cielo! »
La voce di sua madre le fece, come al solito, alzare gli occhi al cielo.
Prese frettolosamente le proprie cose (un pacchetto di fazzoletti, qualche zellino e il telefono cellulare che Jo le aveva regalato l’anno precedente), le infilò nella sua borsa fidata rivestita di toppe colorate e si recò giù per le scale, dove mamma-belva la aspettava con indosso un vestito spaventosamente simile al suo, sul viso un’espressione contrariata.
« Perché ci hai messo così tanto? »
« Mi stavo preparando » mentì, pensando con un moto di tristezza a tutti i suoi tentativi fallititi di scappare dalla finestra. Il fatto che fuori da Hogwarts non potesse utilizzare la magia aveva reso tutto più complicato.
« Dobbiamo muoverci, siamo in ritardo! »
Hannah afferrò con irruenza la sua borsetta dal tavolino nell’ingresso, come se quella le avesse fatto chissà quale innominabile torto. Buttò un’occhiata verso Alice, probabilmente per controllare che avesse indossato quello che aveva preparato per lei – e che la ragazza era stata ben felice di coprire il più possibile con il cappotto.
« Prendi il mio braccio » disse poi, non appena furono sull’uscio di casa.
Alice continuava ad odiare la Materializzazione, ma la cosa pareva inevitabile, visto che suo padre, l’unico in famiglia a saper guidare un’automobile, non sarebbe tornato dal Ministero fino a quella sera, e non c’era nulla al mondo che avrebbe convinto Hannah Paciock ad usare le scope.
Così pose, riluttante, una mano sul braccio che la madre tendeva verso di lei. E un secondo dopo, ecco che il mondo attorno a loro era sparito, mentre l’unica cosa a cui riusciva a pensare era il suo corpo, innaturalmente compresso su se stesso mentre viaggiavano nello spazio-tempo.
Ma fu questione di pochi istanti: tutto finì in fretta come era iniziato, e Alice si ritrovò improvvisamente con i piedi sul marciapiede che si trovava proprio di fronte a Madame Lefévre, la Sala da Tè più raffinata del mondo magico – o almeno, così diceva l’insegna luminescente che pendeva sopra il locale. In realtà, le aveva sempre dato l’impressione di essere un posto molto squallido, che però fingeva di avere un certo decoro: era un buco grande all’incirca quanto l’aula di Divinazione, pieno di tavolini in legno rivestiti con tovaglie bianche, piattini e posate di ceramica e candele profumate che fluttuavano sopra i divanetti di pelle, ma anche grosse ragnatele sul soffitto, biscotti rancidi e camerieri ancora più sgradevoli.
Hannah si lisciò le pieghe sui vestiti, mentre Alice aveva solo voglia di vomitare.
Stupida, stupida Materializzazione!
« Non mi sento molto bene » rantolò.
« E’ normale sentirsi frastornati dopo essersi materializzati… »
« Non penso sia normale sentirsi così tanto frastornati, però. »
Hannah sospirò. « Devi abituartici, Alice. Cosa farai, altrimenti, quando sarai più grande? Andrai a piedi in ogni posto? Non potrai volare su grandi distanze. Ti comprerai una di quelle diavolerie babbane su quattro ruote? »
« Potrei sempre avere una motocicletta, che ne ha due, di ruote. »
« Non scherzare, signorina. Non ti permetterei mai di avvicinarti a uno di quegli aggeggi mortali, per carità! »
Alice scosse la testa, rassegnata: era totalmente inutile parlare con sua madre.
Si trascinarono dentro il locale, l’una con un gran sorriso tirato stampato in faccia e i capelli sistemati in un’impeccabile crocchia ordinata, l’altra con le gambe tremolanti, l’orribile vestito sgualcito e la faccia di un colorito che somigliava vagamente al verde.
Quando entrarono (Hannah ripeté, per l’ennesima volta, quanto fossero in ritardo) trovarono il loro solito tavolo, in fondo alla sala e vicino alla finestra che dava sulla strada, praticamente già al completo.
Alice non ebbe nemmeno il tempo di prepararsi mentalmente alla situazione che un’ondata travolgente di chiacchiericci e schiamazzi la travolse non appena fu a portata d’orecchio.
« Hannah! Hannah, da questa parte! »
« Siete arrivate finalmente! »
« Che vestito grazioso! »
Alice si sforzò di non storcere il naso, mentre sua madre sorrideva e annuiva a tutto con una determinazione ed un’eleganza che facevano invidia al mondo intero.
Le streghe che partecipavano con loro, ogni anno, al Tè delle Streghe erano sette:
Julia Littleton, capo dell’organizzazione Le Streghe In Bianco di Londra e leader di ogni incontro del Tè delle Streghe da che Alice ne avesse memoria, era anche felicemente sposata da dieci anni, lavorava part-time al Ministero e si vociferava che avesse nove vite come i gatti; Vanessa McFly, la donna più chiacchierona che Alice avesse mai incontrato, famosa per i suoi abiti dalle stoffe pregiate e, in generale, per il peso esorbitante del suo portafoglio; Calì e Padma Patil, gemelle e graziose come due rose, che Alice trovava molto più simpatiche di tutte le altre nonostante fossero esageratamente impiccione; Annalise Macmillan, madre della sua compagna di scuola Stacey e, come lei, nata con lo straordinario potere di sapere tutto sui fatti di tutti; Marietta Edgecombe, dalla voce acuta come uno spillo, che aveva sempre in tasca qualche insulto camuffato sotto le spoglie di un bel complimento; e ultima, ma non meno importante, Mary Finch-Fletchley, affetta da gravi manie di protagonismo e da una fissazione per l’ordine talmente insopportabile che Alice aveva deciso di affibbiarle il soprannome di Signora Perfettini, e non se pentiva nemmeno lontanamente.
« Abbiamo avuto qualche imprevisto » si scusò sua madre, prendendo posto accanto Padma Patil e lasciando ad Alice l’unica altra sedia libera che, con sua immensa gioia, si trovava proprio a capo tavola, così che potesse essere vicina da un lato ad Hannah e dall’altro alla Signora Perfettini.
Come se non bastasse, si sentiva ancora tremendamente nauseata dalla materializzazione di poco prima, e le sembrava che il suo stomaco stesse facendo le capriole.
« Non importa, tesoro » esordì Vanessa, che quel giorno aveva deciso di portare un enorme cappello di paglia ricoperto di fiori finti, così ora la sua testa assomigliava ad una serra. « Come sta tuo marito? »
« Molto meglio, cara. Con le giuste cure, si è ripreso perfettamente. »
« Ernie era così scioccato! » intervenne Annalise. Ernie, che era suo marito, aveva frequentato Hogwarts negli stessi anni di sua madre, così i due si conoscevano praticamente da una vita. Stessa cosa valeva per Justin, il marito di Mary, che però non si faceva mai vedere in giro (Alice sospettava che si fosse ritirato in esilio volontario dopo tutti quegli anni di matrimonio passati con lei).
« Lo eravamo tutti, tesoro, lo eravamo tutti » annuì Vanessa, comprensiva.
Padma si rivolse ad Alice, attirando simultaneamente l’attenzione della sorella.
« Come stai, tu? Dev’essere stato un brutto colpo. »
« Sto bene » assicurò Alice, « anche se…non abbiamo ancora capito, uhm, com’è successo. »
Si sentì orribile ad approfittare così della situazione ma, in fin dei conti, non stava facendo male a nessuno. Inoltre, Padma lavorava al Ministero, e Calì nella Gazzetta del Profeta…le probabilità che ne sapessero qualcosa non erano alte, ma neanche inesistenti.
« Un orribile incidente » sospirò Padma, « mi ricordo quella notte come fosse ieri. »
« Oh, sì, a chi lo dici! Gli uffici della Gazzetta sono letteralmente impazziti » disse Calì.
« Ma non avete scritto nulla sull’accaduto » sottolineò Alice cautamente.
Ne era certa, perché aveva controllato i giornali per settimane dopo quel giorno in ottobre, e sebbene altri incidenti inquietanti fossero stati riportati in tempo record, di un articolo sull’attacco a Neville e Ron non c’era mai stata traccia.
« Abbiamo scritto eccome! » esclamò Calì, « ma ci è stato impedito di pubblicare. Un’ordinanza urgente del Ministero, pare…un tantino sospetto, se vuoi sapere come la penso io. »
« ‘Lice » intervenne a quel punto Hannah, che fino ad allora era stata presa da una carismatica conversazione sui fidanzati, a quanto pareva numerosi, della proprietaria dei Tre Manici di Scopa – cosa di cui a chiunque altro non importerebbe nulla, ma le loro vite erano così noiose che farsi gli affari propri non era pensabile. « Perché non racconti a Mary di come sta andando la scuola? »
Padma le lanciò un’occhiata complice, come a dire ne-parliamo-dopo, mentre la Signora Perfettini portava i suoi sottili occhietti accusatori su di lei. Erano ancora più spaventosi dietro le lenti dei suoi occhiali a cerchio, che li facevano sembrare grossi quanto due palle da golf.
« Ehm…bene, credo » farfugliò, a disagio.
« Mi fa molto piacere, Alicia – »
« …è Alice… » la corresse.
« – visto che so che quest’anno avrai i tuoi G.U.F.O. »
Non sapeva il suo nome, ma sapeva che avrebbe avuto i G.U.F.O., ovviamente. Alice si sforzò di sorriderle, sebbene quelle palle da golf le facessero venire voglia di scappare via.
« Benjamin ha ottenuto i voti più alti del suo corso, quando diede i suoi esami » esclamò la Perfettini, senza darle il tempo di dire alcunché, « tutti i professori ne rimasero colpiti! »
Benjamin era suo figlio, nato un paio d’anni prima di Alice, che ora faceva l’apprendistato di Medimagia diciassette ore su ventiquattro al San Mungo. Come lo sapeva? Semplice: Mary non aveva smesso di parlarne un secondo l’anno precedente, dopo che il figlio aveva brillantemente superato tutti i test d’ammissione.
« Anche Alice va molto bene a scuola » commentò sua madre con una punta di acidità, « non è vero? »
Lei, presa alla sprovvista, farfugliò qualcosa di poco significativo. « Be’…sì, più o meno… »
« Benjamin aveva Eccezionale in tutte le materie eccetto Pozioni » disse Mary quasi ringhiando, nonostante mantenesse il suo sorriso zuccheroso.
« Alice è la migliore studentessa di Cura delle Creature Magiche del suo corso » abbaiò  Hannah in tono perfettamente misurato.
Veramente, non era del tutto vero…
Ma quando fece per parlare, lo stomaco di Alice si ribaltò di nuovo: Dio, quella nausea. Al ritorno, non si sarebbe smaterializzata nemmeno morta, anche a costo di farsela a piedi fino a casa.
« Benjamin lavora più sodo di tutti gli altri nel suo apprendistato. »
« Alice diventerà un Medimaga eccezionale. »
« A Benjamin è già stato chiesto di operare in piccoli interventi con gli specializzandi. »
« Alice è Cacciatrice nella sua squadra di Quidditch! »
« Benjamin giocava come Battitore! »
Andò avanti così per quelle che parvero ore. Le altre streghe al tavolo si limitarono ad ignorarle, tanto che alla fine l’unica vittima della loro sfuriata fu il cameriere, il quale fece lo sbaglio di offrire un biscotto alla cannella alla Signora Perfettini, che essendo allergica, lo minacciò di andare a fargli causa per tentato omicidio dal Ministro della Magia in persona.
Alice, scioccata dal comportamento della madre, realizzò che doveva essersi persa qualche puntata cruciale, visto che il Tè delle Streghe era mutato da soap opera a reality show nel giro di qualche minuto. Poi, proprio quando la sua nausea da materializzazione stava per raggiungere il culmine, ormai convinta di essere sull’orlo di rimettere tutti i biscotti che aveva ingurgitato, quasi non si accorse del lieve tintinnare del suo cellulare.
Era così poco abituata a quel suono (non riceveva né inviava mai messaggi, visto che lo utilizzava pressappoco una volta ogni sette anni), che quello dovette suonare per un buon quarto d’ora prima che realizzasse qual era la fonte del rumore.
 
 
Nuovo messaggio, 334 567 9100:
Ciap, spnp James. Seu d@ Mad88ame Lefevre5?
 
Alice fissò il display, esterrefatta, tentando di dare un senso a quello che c’era scritto. Alla fine replicò:
 
Sì, sono da Madame Lefévre. Come lo sai? E come hai il mio numero?
 
Ripose il telefonino nella tasca della borsa a toppe, sempre più sconvolta. Osservò le labbra della Signora Perfettini muoversi, senza ascoltarla davvero, per un altro po’ – poi, l’avviso squillante di un nuovo messaggio la fece praticamente sobbalzare sulla sedia.
« Ma che ti prende?! » le bisbigliò allora sua madre, cercando di evitare le occhiate invadenti delle altre streghe.
« Niente. Scusa. » sussurrò.
Non appena Hannah tornò a partecipare attivamente alla conversazione, e la lunga sequela di velate umiliazioni ricominciò, Alice riprese il telefono.
 
Nuovo messaggio (1), Albus Potter:
James non sa usare il cellulare. Siamo qui fuori, ti abbiamo vista dalla vetrina e non eravamo sicuri che fossi tu.
 
Nuovo messaggio (2), 334 567 9100:
Lp sp usare benniss3mp. Esc5i?
 
Alice scosse la testa e digitò frettolosamente la risposta:
 
Non posso uscire.
 
Non dovette attendere molto prima che lo schermo s’illuminasse di nuovo.
 
Nuovo messaggio, 334 567 9100:
Ven3iamo dentrp a prendert3i.
 
Spalancò gli occhi, nel panico. Gettò un’occhiata al di là della vetrina, ma non riuscì a vederli da dove si era seduta. Riprese a digitare furiosamente:
 
Vi prego, non fatelo. Mia madre ucciderebbe prima me e poi voi.
 
« Allora, Alicia - »
La voce di Mary la riportò bruscamente alla realtà.
« Alice » la corresse ancora una volta.
« – sai già quali materie prenderai il prossimo anno? »
Mascherò uno sbuffo. « Sì, più o meno, credo che… » ma a quel punto si portò la mano sulla bocca, assalita da un vero e proprio conato di vomito.
Mary la fissò come se fosse impazzita, mentre negli occhi di sua madre si faceva lentamente strada la comprensione di ciò che sarebbe successo di lì a poco: in quell’istante, Hannah si sporse verso di lei, allarmata, ma Alice, voltata dall’altra parte, aveva già vomitato tè, biscotti e probabilmente anche l’anima sopra la lunga gonna color porpora della signora Perfettini.
Sull’intero tavolo piombò il silenzio.
Un secondo più tardi, l’urlo disgustato di Mary squarciò l’aria come un vaso che cade in frantumi, e tutta la sala d a tè, fortunatamente non molto popolata, si voltò nella loro direzione.
« Toglietemelo di dosso! Toglietemelo! Toglietemelo! »
« Mi dispiace tanto…davvero, io…mi scusi… » farfugliò Alice nel panico, dandosi da fare con le salviettine di carta, finché  Hannah non le bloccò il polso.
« Lascia perdere, faccio io qui, tu va’ in bagno a pulirti! »
Alice non se lo fece ripetere due volte, balzando in piedi e precipitandosi nella toilette più in fretta che poteva; lì si sciacquò la bocca, maledicendo l’acqua ghiacciata, poi sostò circa dieci minuti davanti la porta chiusa a chiave senza trovare il coraggio di uscire, mentre dalla sala provenivano le urla forsennate di Mary e l’inconfondibile rumore di risatine.
Finita. La sua vita era finita.
Ma fu a quel punto che sentì un botto contro il vetro della finestra, come se qualcuno, da fuori, vi stesse tirando contro qualcosa. Se ne stette in silenzio finché non udì ripetersi lo stesso rumore un’altra volta: a quel punto, si fece forza con le braccia e, scostata la tenda, tirò su il vetro, lasciando che una folata di freddo pungente invadesse tutta la stanza.
« Fidati del mio istinto, piccolo Albie! »
« Potresti, di grazia, piantarla di chiamarmi così? »
« James, finiscila di tormentare Albus. »
« “Finiscila di tormentare Albus!”  Per Godric, Lily, sembri la mamma! »
Alice scosse la testa, incredula. Affacciata dalla finestra, aveva riconosciuto chiaramente le figure dei tre fratelli, uno dei quali teneva in mano una manciata di sassolini.
« Come sapevate che c’ero io? » domandò, al che i tre Potter si voltarono verso di lei.
« Ecco, appunto » spiegò Albus accigliato, « non ne avevamo idea, in realtà. »
« Ah, ma figurati, ne ero certo » protestò James, lasciando cadere tutti i sassolini a terra e guadagnandosi un’occhiataccia da parte di Lily. « E come vedi, avevo ragione. Adesso esci? » aggiunse, rivolto ad Alice.
« Ehm… »
D’accordo, forse rientrare lì dentro dopo quel che era successo non era esattamente al primo posto nella lista delle cose che avrebbe voluto fare…ma sarebbe stato totalmente illogico, se non pericoloso, sgattaiolare via – in particolare perché poi, in ogni caso, sua madre l’avrebbe scoperto, e a quel punto non osava neanche immaginare cosa sarebbe accaduto. E poi non aveva nemmeno il giubbotto con sé, quando lì fuori dovevano esserci circa dieci gradi.
Insomma, forse la dignità l’aveva persa dieci minuti prima in quella sala, ma aveva ancora un po’ di buon senso.
E così, naturalmente, alla fine disse: « …certo. »
Si arrampicò sul bordo della finestra, che grazie al cielo si trovava al piano terra, e poi, complice la sua innata grazia e destrezza nei movimenti, scivolò giù di sedere sull’asfalto di fuori.
James le offrì una mano per rialzarsi.
« Cosa ci fate qui? » chiese poi, incuriosita, mentre si ripuliva il vestito dallo sporco che c’era per terra. Improvvisamente si rese conto che, senza il suo cappotto, Albus, James e Lily godevano di una vista impeccabile di quel disastro di vestito che portava addosso. A quel pensiero, arrossì furiosamente, e cercò di sembrare a suo agio come meglio poteva, nonostante fosse praticamente impossibile ormai.
« Compriamo i regali di Natale » disse Lily spiccia, stringendosi nelle spalle. « Tu, invece? »
« Be’… » e raccontò loro dell’incontro, di quanto lo odiasse, e di come era andato a finire.
Quando smise di parlare, Albus le mise una mano sulla spalla con aria comprensiva, Lily si portò le mani alla bocca con aria scioccata, mentre James si stava sbellicando dal ridere.
« Le hai…davvero…addosso…ah-ah-ah… »
« Non è divertente! » lo riprese lei.
« Un po’ lo è » disse Albus in un sussurro, al che Alice lo guardò davvero molto, molto male.
Ma poi scoppiò a ridere anche lei, perché la risata di James era tremendamente contagiosa e perché, in effetti, un po’ lo era davvero.
Aggirarono il locale passando dal retro, per avere la sicurezza di non essere visti da Hannah, e si ritrovarono ben presto sulla via principale. L’intera strada era illuminata da decori natalizi di ogni genere: lucine colorate, pupazzi di babbo natale e grosse scritte che recitavano “Auguri!” erano appese da tutte le parti; il Ghirigoro aveva messo in mostra in vetrina un gigantesco pupazzo di neve animato che salutava i passanti, mentre dalla cucina aperta di Fortebraccio proveniva un invitante odorino di cioccolata calda.
James, Albus, Lily e Alice ne presero una tazza a testa, e vagarono per Diagon Alley con grossi sorrisi e baffi di cioccolata. Successivamente si fermarono davanti ad Accessori di Prima Qualità per il Quidditch, dove trascorsero quelle che parvero ore. Alice s’incantò ad osservare un paio di guanti da Cacciatore esposti in bella vista su uno degli scaffali: erano neri, di pelle di drago, e attiravano il suo sguardo come l’avrebbe fatto un diamante grosso quanto una palla da biliardo. James e Lily sbirciarono con estremo interesse gli ultimi modelli di Nimbus, esageratamente cari per tutti loro, e poi James s’innamorò di un set di adesivi per scope che recitavano cori, insulti alle squadre avversarie e tutta una serie di incitamenti spiritosi.
I fratelli Potter ebbero una piccola discussione sul regalo da fare a Ginny, in quanto James era più che propenso a comprarle un kit professionale di manutenzione delle scope, mentre Albus continuava a ripetere che il deodorante per ambienti alla Mandragola le avrebbe fatto più piacere. Alla fine, come Alice immaginava, vinse Lily, che uscì dal negozio tutta soddisfatta con una cornice incantata, seguita a ruota dagli sbuffi dei suoi fratelli. Alice chiese che si fermassero al Serraglio Stregato, dove acquistò i croccantini per Frittella e un grazioso collare ricoperto di vischio; una volta usciti, si avviarono verso una panchina ricoperta dalla neve del giorno prima.
In quel punto, la strada era praticamente deserta, eccezion fatta per loro tre -ma d’altronde, a quell’ora del pomeriggio, era quanto mai improbabile trovare molta gente a spasso per Diagon Alley.
« Germania, 1967. I Cannoni di Chudley contro gli Heidelberg Harriers » stava dicendo James con una strana luce negli occhi, come se stesse parlando della sua fidanzata o di una cosa a lui molto, molto cara. « Giocavamo in trasferta, su un campo nuovo, e con il Battitore di riserva. Le possibilità di vittoria erano praticamente inesistenti. »
« Eppure il destino era dalla nostra » cantilenarono Albus e Lily, l’ombra di un sorriso sui loro volti. Lo dissero come se avessero ripetuto quelle parole altre mille volte, e Alice sospettò che James avesse già raccontato questa storia, e che il resto della sua famiglia ormai la conoscesse a memoria.
« Esattamente » annuì il ragazzo. « Sette minuti dopo il fischio d’inizio, Johnny Hopkins afferra il boccino, il suo primo boccino nella sua intera carriera da Cercatore! »
« Evviva » commentò Albus senza entusiasmo, facendo scoppiare a ridere la sorella.
Ma James non se ne curò, preso com’era dal suo racconto. « La partita si conclude 150 a 0. In meno di dieci minuti! La folla è in delirio. I tifosi tedeschi per poco non iniziano una rissa. »
« Saranno stati furiosi » osservò Alice.
 « Puoi dirlo forte. Non erano furiosi. Erano neri. Ma ormai avevamo vinto, che potevano farci? »
Albus scosse la testa, esasperato, mentre Lily sembrava divertita.
« E così i Cannoni vincono la prima partita di campionato. »
« E l’ultima » gli fece notare Alice. Quando James la guardò male, si strinse nelle spalle. « L’incontro successivo l’abbiamo perso 190 a 10…e poi siamo usciti dal campionato. »
Non era mai stata una grande tifosa, ma sapeva bene di quel particolare evento, in quanto Ron, il padre di Rose, non faceva altro che ricordarlo con rammarico ogni volta che si parlava dei Cannoni di Chudley in casa Weasley -  cioè sempre.
James, ora, aveva un’espressione ferita.
« Be’, è vero… » si giustificò Alice.
« Ma solo perché abbiamo perso anche il secondo battitore. »
« Nemmeno la Bulgaria andava forte » ribatté Lily a quel punto, « il loro Cercatore regolare si era rotto tutte le costole la settimana prima. »
« Ma avevano comunque due dei Cacciatori più forti al mondo: sono ritenuti ancora oggi dei grandi nonostante ormai siano troppo vecchi per giocare, e… »
« Ragazzi » li richiamò Albus, un po’ scocciato.
« E noi avevamo Peaks come Portiere, che era decisamente superiore al portiere bulgaro… »
« Ragazzi. »
« Cosa?! » domandarono a quel punto Alice, James e Lily.
Albus lanciò loro un’occhiata di sbieco, sulla difensiva, poi fece un cenno spazientito verso la strada. « Non vi pare un po’ strano? »
Inizialmente Alice non capì a cosa si riferisse, ma poi, dopo uno sguardo più attento nella direzione indicata, lo vide: Draco Malfoy, parzialmente nascosto dall’albero che sovrastava la panchina dove i ragazzi erano seduti, se ne stava dritto in piedi con sguardo altero davanti a quello che, un tempo, era stato il negozio di bacchette di Olivander. A seguito della guerra, tuttavia, di questo non erano rimaste nient’altro che macerie. Il locale era ancora in piedi per miracolo, ma gran parte del muro davanti era ormai quasi del tutto crollato – probabilmente colpito da chissà quanti incantesimi dei Mangiamorte – la porta era stata sradicata dai propri cardini e tutte le finestre sbarrate con pesanti assi di legno. L’interno era in fase di ristrutturazione da anni, ma i lavori erano poi stati abbandonati per mancanza di fondi. I più giovani erano talmente abituati a quel posto in rovina da non farci neanche più caso, nonostante si trovasse nel bel mezzo di una delle strade magiche più frequentate; per gli adulti, invece, era tutta un’altra storia: nessuno di loro, anche dopo tutti quegli anni, riusciva a rimanere indifferente di fronte a quel disastro. Tutti avevano acquistato le loro bacchette da Olivander.
« Che cosa ci fa lì…? » bisbigliò Lily.
Ma tutti loro tacquero quando lo spettacolo si fece improvvisamente ancora più curioso. Narcissa Malfoy  sbucò da quel vano buio che era l’entrata, facendosi strada a grandi falcate tra i mattoni e la polvere per raggiungere in figlio. I due si scambiarono qualche parola sottovoce; poi, dopo essersi gettati un’occhiata intorno per controllare che la via fosse vuota, si avviarono con circospetto dall’altra parte della strada.
Fortunatamente, l’albero vicino la panchina li aveva nascosti a sufficienza: né Draco né la madre sembravano essersi accorti della presenza di Lily, James, Albus e Alice.
« Be’, Al, credo che tu abbia ragione. E’ un po’ strano » commentò James.
Alice aggrottò le sopracciglia, sporgendosi per sbirciare ancora verso l’edificio. « Non è vietato entrare? »
« Probabilmente sì » disse Albus, « e comunque, non ha senso. Non c’è più niente lì dentro. Il Ministero ha ripulito tutto dopo la guerra. »
« E poi non ce li vedo i Malfoy a rubare nei vecchi negozi » disse Lily.
James lanciò alla sorella un’occhiata strana, che sembrava chiaramente dire “perché parli bene dei Malfoy?”. Lei sembrò capire al volo, poiché aggiunse: « Oh, per favore, piantala. I Malfoy non ti piacciono solo perché vuoi imitare a tutti i costi papà. »
Fu come se avesse appena dato a James uno schiaffo in faccia. « Senti un po’, saputella… »
« Non è proprio il momento » li interruppe Albus, e dal suo viso Alice intuì che fosse quasi annoiato. Anche quello, rifletté, doveva essere stato un argomento di discussione trito e ritrito nella famiglia.
Lily incrociò le braccia al petto. « Non è colpa mia se nostro fratello è un razzista. »
« Io sono un razzista? Lily, hai idea di quello che hanno fatto i tuoi cari amichetti durante la guerra? Di quello che hanno fatto ai nostri genitori? » Il suo sguardo s’incupì improvvisamente. « Hanno quasi ucciso papà. »
« Sono passati più di vent’anni, santo cielo! »
« Be’, non mi importa. »
« James, certe volte sei proprio ottuso. »
« Non parlarmi con questo tono, Lily! »
Alice guardò Albus in cerca d’aiuto, ma questi scosse la testa in modo sconsolato. « Sì, fanno sempre così » constatò.
Lei continuò a guardare, a disagio, i due fratelli litigare. Alla fine decise che era proprio arrivato il momento di mettere fine a quello spettacolino, così se ne uscì con la cosa più assurda, più improbabile che avrebbe potuto dire.
« Ehm, scusate » si schiarì la voce. « Io credo che dovremmo seguirli. »
James e Lily s’interruppero e la fissarono con la bocca spalancata.
« Cosa? » fece Lily, « Alice? »
« Sì, insomma, si stavano davvero comportando in modo strano, e poi…lei aveva preso qualcosa, una scatola, credo. Piccola. Vorrei sapere che cos’era. Voi no? »
Non mentiva: aveva visto la scatolina in mano a Narcissa una volta uscita da Olivander, sebbene solo per un fugace attimo prima che la donna la nascondesse sotto le vesti.
Albus aveva un’espressione in qualche modo tradita, e Alice capì che l’idea non gli piaceva affatto. Forse aveva pensato che lei avrebbe trovato un modo un po’ più intelligente di porre fine alla litigata dei suoi fratelli…
« Be’, uhm… » Lily sembrò pensarci su. « E’ un po’ strano, voglio dire, non è illegale seguire la gente? »
« Già, non è una buona idea » rincarò Al.
Ma James era già partito in quarta. « Ha ragione, è un’idea grandiosa. » Rivolse loro il più entusiasta dei sorrisi. Poi, di fronte alle loro facce incerte, sbuffò. « Oh, andiamo, non siete curiosi di sapere che stavano facendo? Nemmeno un po’? »
Lily si mordicchiò le labbra e Alice capì che aveva già deciso. Albus, invece, aveva quell’espressione che mettevano su i professori quando non avevi portato i compiti, o ti eri dimenticato il rotolo di pergamena in dormitorio.
« Non possiamo metterci a seguire la gente e basta » sbottò.
Alice alzò le spalle e lo guardò in segno di scuse.
« Ma non ci stiamo mettendo a seguire la gente e basta » precisò James. « Stiamo solo…pianificando di percorrere casualmente i loro stessi passi. Di nascosto. Semplice, no? »
Fece loro l’occhiolino.
 
***

Si ritrovarono ben presto nel vicolo che portava a Notturn Alley. La questione, dovette ammettere Alice, si stava facendo sempre più sospetta; la maggior parte dei negozi di quel lato della strada avevano chiuso da tempo, e ben poca gente si azzardava a frequentare quei pochi rimasti. Certo, le arti oscure non erano scomparse con la caduta di Voldemort e forse non sarebbero mai state debellate del tutto, ma a nessuno piaceva essere visto lì, probabilmente temendo di poter poi passare in cattiva luce di fronte alla comunità magica. Inoltre, ancora adesso la strada era pattugliata da un gruppetto di Auror a intervalli regolari della giornata, che di tanto in tanto facevano controlli nei locali aperti.
« Ahia, James, mi hai pesato un piede! »
« Scusa, Lils, ma non dare la colpa a me se i tuoi piedi sono grandi come quelli di un troll. »
Alice udì un tonfo alle sue spalle, e il successivo gemito di dolore di James. Soffocò una risatina.
« Shh! » li ammonì Albus. « Siamo vicini. Potrebbero sentirci. »
I quattro si sistemarono in fila dietro ad una colonna di mattoni. Alice, che in qualche bizzarro modo era finita in capo al gruppo, si sporse per avere una visuale sulla strada. Ed eccoli: Narcissa e Draco, a braccetto, che suonavano il campanello di Magie Sinister. Sparirono dietro la porta.
« Sono entrati nel negozio » dichiarò Alice facendo un passo indietro.
« Ah, accidenti. Dobbiamo trovare il modo di entrare anche noi. »
« Forse non sarà necessario, fratellone » replicò Lily rivolgendo a James un sorriso furbo. La discussione era già stata dimenticata, a quanto pareva. « Ho un paio di queste. »
Frugò nelle proprie tasche e tirò fuori due piccole cimici a forma di orecchio. Erano un prodotto rigorosamente Weasley: figlie delle Orecchie Oblunghe, erano state perfezionate da George affinché risultassero più comode e meno appariscenti nell’utilizzo.
« Basterà infilarne una sotto la porta e sentiremo tutte le cose sporche che hanno da dirsi » affermò Lily, soddisfatta.
Albus storse il naso a quell’uscita, mentre James sorrise. « Sono davvero orgoglioso di te » disse a sua sorella.
Alice provò un moto di tenerezza, come sempre accadeva quando aveva modo di constatare quanto profondo e particolare fosse l’affetto che legava i tre fratelli Potter. Era anche piuttosto sollevata che la litigata fosse passata in secondo piano così velocemente, visto che a lei, le discussioni, non piacevano per niente, e tanto meno amava vedere i suoi amici così turbati.
Fu lei, poi, a sporsi nuovamente verso la strada e a lanciare la cimice, che rotolò fin sotto la porta e scivolò silenziosamente dentro il negozio.
« Io l’ho detto che la tua mira è eccezionale » si complimentò Lily, « sei davvero un’ottima Cacciatrice. »
Alice le sorrise, arrossendo un po’, e poi tutti loro si azzittirono non appena l’orecchio rimanente cominciò a vibrare nella mano di Lily, attivandosi.
« …Non vogliamo comprare niente, qui » stava esclamando, in tono sprezzante, Narcissa. La sua voce risuonò acuta e leggermente metallica attraverso la cimice.
« Allora fuori dal mio negozio! » abbaiò Sinister.
« Bada a come parli » lo riprese quello che Alice identificò come Draco. « E’ mia madre quella che hai davanti. »
« E dovrebbe importarmene qualcosa? » Sinister scoppiò a ridere. « Il vostro nome non è più niente! Niente! Non avrete nessun rispetto, da me. »
Si udì qualche rumore sordo, poi Draco iniziò a bisbigliare. « Nemmeno tu vali più nulla, stupido imbroglione. Senza più nessuno a cui fare da leccapiedi… » Altri rumori di sottofondo. Qualcosa che colpiva una superfice dura. « …cosa ne sarà della tua misera vita? »
« Ora basta, Draco. »
« Sì, Dracuccio, dai ascolto a mammina… »
« Sei un pezzente » sbottò Malfoy. Il suo tono faceva paura, e Alice dovette reprimere un brivido. « Mi prenderò quello che è mio, con o senza il tuo consenso. E ora dammi quella chiave. Non voglio passare in questo posto sudicio un minuto in più del necessario. »
« Dovevate pensarci bene, prima di nascondere le vostre cose nel mio negozio…prima di tradire… »
« Tu parli a noi di tradimento? Sappiamo bene del tuo colloquio con gli Auror. Sappiamo tutto, di come ti sei venduto e hai venduto altri Mangiamorte per non finire ad Azkaban… »
« Ah! » Sinister stava di nuovo ridendo. La sua voce era ruvida e flebile, e continuava a tossire ad intervalli regolari. Sembrava in condizioni pietose, a dir la verità. Ma c’era una cattiveria spaventosa nel modo in cui pronunciò le parole successive, che erano intrise di veleno. « Tutti noi abbiamo giocato sporco dopo la guerra. E stando alle voci che sento in giro…voi Malfoy più di tanti altri. »
« Lucius ha fatto quel che doveva per proteggere la sua famiglia » replicò Narcissa.
« Lucius si è nascosto! Come un codardo! Per tutta la guerra! »
« Acoltami attentamente, feccia » intervenne a quel punto Draco. « Conosco persone a cui non farebbe piacere sapere dei giochetti che hai architettato per evitare di andare in fallimento…ti sei tenuto le tue ricchezze, ma ad un prezzo molto alto. Ora tu mi darai quello che cerco – e me lo darai immediatamente – o io mi premurerò di alimentare quelle voci di cui parli. Hai fatto carte false pur di salvarti…e ora ne pagherai le conseguenze. Scommetto che non ti piacerebbe avere uno dei vecchi amici alle calcagna…no, vero?...lo immaginavo… »
Ci fu qualche secondo di silenzio. Poi altri rumori: qualcosa che veniva spostato, un cassetto chiuso, un suono vagamente stridulo. Alla fine, Sinister parlò di nuovo, questa volta in modo molto più controllato, calmo, professionale.  « Se non c’è altro, signori, vi prego di lasciare il locale. »
 
Alice fissò i compagni a bocca aperta; sentirono la porta del negozio tintinnare ed aprirsi. I ragazzi si schiacciarono contro il muro, aspettando pazientemente che il rumore dei passi di Draco e Narcissa Mafloy si facesse sempre più fievole fino a sparire del tutto.
A quel punto però, prima che qualcuno di loro potesse azzardarsi a fare il primo commento, un suono agghiacciante proveniente dalla cimice li fece tutti sobbalzare, al che Lily la lasciò andare improvvisamente facendola cadere a terra.
Fissarono, scioccati, il piccolo oggetto. All’altro capo, che si trovava ancora all’interno del negozio, qualcuno stava evidentemente sfregando il secondo orecchio, poiché il rumore provocato era una specie di gridolio – simile a quello prodotto da una forchetta che struscia su un piatto o dalle unghie che graffiano una lavagna. Era a dir poco insopportabile.
Poi, così all’improvviso come era cominciato, il rumore s’interruppe, sostituito da una voce ancora più terribile.
« Chi è là? Chi c’è? So che state ascoltando…ficcanaso! Feccia! Se vi prendo… »
Sentirono anche i passi minacciosi di Sinister, ma prima ancora che l’uomo potesse mettere il naso fuori dalla porta, loro erano già scappati via, più veloci della luce, lungo la strada di ciottoli che riconduceva a Diagon Alley.










Note:
Eccomi qui (finalmente, direte voi...)! Innanzitutto, grazie, come sempre, di essere arrivati fin qua. Sono sparita - ma chi mi segue ul gruppo Facebook sa già di cosa parlo. Ho voluto aspettare un po' a pubblicare questo capitolo non perché non fosse finito, ma perché ho deciso di prendermi un po' di vantaggio e scrivere, scrivere, scrivere, di modo che d'ora in avanti la pubblicazione possa essere più regolare. Poi grazie a Elisa 
, la splendida ragazza che si è offerta di farmi da beta, mi sono finalmente decisa a postare. 
Ho buttato giù tutta la trama per filo e per segno da qui alla fine, e ho anche inserito e tolto molte cose per aggiustarne l'insieme. La storia dovrebbe arrivare, se tutto va bene, intorno ai 33 capitoli. E...che dire? Spero che rimarrete fino alla fine :P 
Tornando a noi: fate
mi sapere che ne pensate di questo capitolo, se vi va! I commenti sono ovviamente sempre ben accetti, e mi aiutano un sacco a scrivere.
Il capitolo 25 arriverà tra 10 giorni (se il calendario non mi inganna, dovrebbe cadere di lunedì). 

A presto

 
  
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