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Autore: Lilith_Holmes    26/09/2015    3 recensioni
[The Evil Within]
[The Evil Within][Joseb]
"È stato così, vero? Dopo l'incidente, intendo...".
"Beh, almeno io non mi sono mai puntato una pistola alla testa".
"No, certo che no... tu ti sei solo annegato nell'alcool".
"Non possiamo essere tutti perfetti... ma non ha mai influito sul mio lavoro. Però, hey, tu hai letto il rapporto dell'AI".
"Sai che non ho fatto rapporto perché ero preoccupato per il tuo lavoro, Sebastian".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Scritta sulle note di “On my own” degli Ashes Remain
 
 
Erano riusciti a scampare agli haunted e s’erano rifugiati in una catapecchia che riusciva a stare in piedi per una volontà non meglio definita.
Seduto a terra, Joseph fu colto dall’ennesimo eccesso di tosse mentre Sebastian scuoteva una fiaschetta argentea per controllare se ci fosse ancora qualcosa da bere, ma dal rumore intuì che non ve ne era rimasto che un umile goccio.
“È stato così, vero?” chiese Joseph, attirando su di sé lo sguardo interrogativo dell’amico.
“Dopo l’incidente, intendo…” cercò di spiegarsi, non sapendo come altro definirlo. Nemmeno mai vi accennavano, figurarsi il parlarne.
“Beh, almeno io non mi sono puntato una pistola alla testa” mentì. Più di una volta era stato sul punto di spararsi, ma il coraggio era immancabilmente venuto meno. Questo, però, Joseph non poteva saperlo e sarebbe stato meglio per tutti che non ne venisse a conoscenza. 
“No, certo che no” ribatté inaspettatamente calmo “tu ti sei solo annegato nel alcool” concluse. Non c’era scherno nella sua voce, né rabbia... solo una vaga tristezza, che fece ricordare a Sebastian le sere in cui si ubriacava fino a non riuscir nemmeno a stare in piedi e l’amico gli restava accanto per assicurarsi che non gli succedesse nulla.
“Non possiamo essere tutti perfetti… ma non ha mai influito sul mio lavoro” tentò di difendersi, avvicinandosi all’uomo.
“Ma, hey, tu hai letto il rapporto dell’AI, no?”. Lo guardò fisso negli occhi scuri, ma si convinse di non voler interpretare quel che vi leggeva.
“Sai che non ti ho segnalato perché ero preoccupato per il tuo lavoro, Sebastian”. Distolse velocemente lo sguardo, puntandolo altrove – ovunque sarebbe andato bene tranne che sull’uomo.
“Che altro c’è?” domandò, quando udì dei rumori provenire dall’esterno. Si avvicinò alla finestra, sollevato dal poter cambiare argomento.
Capitava che lo lasciasse avvicinare al momento che più temeva di affrontare e se ne pentiva sempre quasi subito.
Fece finta di ignorare l’espressione addolorata sul viso dell’amico e guardò fuori, dove scorse alcuni di quei dannati haunted correre claudicanti verso la catapecchia.
“Non abbiamo tempo per questo” affermò, tirandolo con forse eccessiva violenza in piedi.
“Ho bisogno del mio partner qui”.
 
 * * * *
 
Il silenzio vigeva pesante.
Sebastian s’era offerto di riaccompagnarlo a casa, ma Joseph sapeva bene che non era stata una semplice gentilezza la sua, così come sapeva che aveva già bevuto qualche sorso dalla fiaschetta che aveva sempre con sé, anche se mai la mostrava. Poteva intuirlo dal fatto che odorava d’alcool e dalla macchina che di tanto in tanto occupava la corsia opposta.
Si impose la calma, ripetendosi che a quell’ora della notte non c’era nessuno e che non avrebbero fatto incidenti e così fortunatamente fu.
Il silenzio continuò a vigere mentre salivano le scale che portavano all’appartamento di Joseph, che avrebbe voluto dire qualcosa, qualsiasi cosa, ma la voce gli si bloccava sul fondo della gola ogni qual volta tentava di farla uscire, così si limitò ad osservare la schiena ampia del collega fino a che non si fece da parte per fargli aprire la porta.
Si sentiva a disagio a farlo entrare in casa sua, così come si sentiva a disagio a rimanere solo con lui da qualche mese a quella parte.
Accese le luci, illuminando il piccolo salotto, che rispecchiava la personalità del proprietario: ordinato, luminoso e semplice.  
“Grazie per avermi accompagnato” gli disse, mentre Sebastian si guardava attorno. Raramente era entrato in casa di Joseph, così ogni volta che vi entrava sembrava essere in un posto completamente nuovo.
“Figurati, questo ed altro per un amico”. Joseph abbassò lo sguardo, imbarazzato. Aveva temuto di affrontare il discorso per tutto il viaggio, aveva temuto che Sebastian lo iniziasse di punto in bianco così aveva passato tutto il tempo a pensare a cosa dire o fare e non aveva trovato nulla di abbastanza convincente.
“Mi dispiace” fu l’unica patetica cosa che riuscì a far uscire dalla bocca.
Sebastian fece gli si avvicinò, bloccandolo fra lui e lo schienale del divano.
“Perché lo hai fatto? Perché mi hai segnalato agli Affari Interni? ” fu tutto ciò che chiese. Joseph realizzò che non era arrabbiato o che, se lo era, lo nascondeva bene. Fissò il suo petto, non sapendo cosa dire.
“Joseph?” lo spronò allora Sebastian “almeno guardarmi”.
Il canadese si impose di portare lo sguardo sul viso del compagno. Era troppo vicino. Sebastian tendeva a mantenere una certa distanza dalla persona con cui conversava, che fosse questa un amico o uno sconosciuto, ma il quel momento era tanto vicino che poteva sentire il suo respiro accarezzargli il viso. Odorava di whiskey, tuttavia non era sgradevole. 
“Io…” sussurrò, non riuscendo più a ragionare con lucidità. Una risposta, una qualsiasi risposta che non fosse stata la verità sarebbe andata bene.
Sebastian stava aspettando, quieto. Voleva sentire le sue ragioni prima di dare in escandescenze, questo Joseph l’aveva capito e infondo lo apprezzava: raramente Sebastian si fermava a ragionare prima di agire e il fatto che non stesse saltando a conclusioni affrettate lo faceva sentire meglio… nonostante questo, continuava ad essere agitato.
Seb gli appoggiò le mani sulle spalle, scuotendolo.
“Insomma, c’è una risposta o l’hai fatto perché non avevi niente di meglio da fare?” sbottò. Iniziava ad irritarsi e Joseph non poteva biasimarlo. Non osava immaginare come si fosse sentito non appena aveva scoperto che il suo migliore amico l’aveva tradito in un modo tanto meschino, spingendo sulla pubblica piazza tutti quei problemi che Sebastian s’era impegnato tanto a nascondere.
Annuì mestamente, convincendosi ormai che l’unica cosa rimastagli da fare fosse essere sincero, perché non c’era null’altro che potesse dire.
Le parole continuavano però a restare bloccate sul fondo della gola. Si odiò per questo.
Gli si fece più vicino e Sebastian gli cinse le spalle con un braccio, convinto che l’amico volesse semplicemente abbracciarlo, ma era lontano dalle vere intenzioni di Joseph.
Sapeva di star tremando, poteva sentire i tremori scuoterlo mentre si alzava leggermente per raggiungere le sue labbra. Sebastian non si irrigidì né arretrò come Joseph s’era aspettato, ma non lo ricambiò per un primo, lungo momento. Si limitò a stare completamente immobile, fino a che qualcosa non lo scosse e non decise di circondarlo con le braccia e aggredire la sua bocca. Il canadese sussultò nel sentire tanta foga, ma gli si abbandonò quasi subito, chiedendosi se quella poteva bastare come motivazione per le sue azioni.
Non durò, non come Joseph avrebbe sperato, ma non osò lamentarsi accettando l’abbracciò che ne seguì quasi sollevato. Il suo cuore continuava a battere tanto forte che temeva stesse per esplodere e il suo corpo continuava ad essere scosso dai tremori.
Aveva desiderato quel momento a lungo, trattenendosi ogni volta che s’era presentata la possibilità perché convinto che avrebbe rovinato quell’amicizia che avevano costruito con così tanta fatica. Questa volta era diverso. Sapeva di averla già rovinata nel momento in cui l’aveva tradito. Baciarlo e rivelargli ciò che nascondeva da anni non avrebbe cambiato le cose, se solo se ne fosse reso conto prima invece di dannarsi così tanto alla ricerca di un altro modo per occultare quel tumulto di sentimenti che lo uccidevano sempre di più giorno dopo giorno.
“Sebastian” lo chiamò titubante quando quello si allontanò da lui. L’uomo non disse nulla, dandogli le spalle e uscendo in fretta dall’appartamento.
La prima cosa che Joseph fu tentato di fare fu seguirlo, ma comprese che era meglio restare fermo dov’era.
Aveva causato fin troppi danni ed era sicuro che la situazione non potesse peggiorare, ma non voleva affatto sfidare la sorte.
 
 * * * *

“Hai mai avuto il bisogno di semplicemente saltare?” un'altra domanda che non capiva, che non voleva capire. Poteva vedere quanto debole fosse e avrebbe voluto che risparmiasse le forze invece di perdersi in discorsi che nessuno dei due voleva affrontare.
“Dalla cima di un palazzo o sui binari della metropolitana…” . Gli tornò alla mente il momento in cui Joseph s’era puntato la pistola alla testa. Per un attimo aveva davvero temuto di perderlo e rimanere solo in quell’inferno. S’era infuriato, trattenendosi a stento dall’urlargli addosso tutti i pensieri che gli avevano appesantito la mente… ma, era estremamente egoista. Sapeva cosa aveva spinto Joseph a tentare di compiere un gesto tanto disperato, ci aveva fatto i conti lui stesso.
“Immagina di avere questo bisogno per un minuto… e poi due minuti…” continuò a dirgli Joseph. Sembrava sul punto di piangere e Sebastian sapeva che non avrebbe saputo come gestire una situazione simile. A volte Myra, sua moglie, era scoppiata a piangere e nemmeno in quei momenti era riuscito a fare molto più di tenerla stretta sperando che smettesse in fretta.
“Lo hai combattuto, Joseph” lo spronò “stai imparando a fermarlo”.
Inaspettatamente, Joseph lo spinse via, accusandolo di non ascoltare. 
“Non mi preoccupa il non poterlo fermare, Seb…” disse, a fatica “sono preoccupato di non volerlo fermare!”. Si sfilò tremando gli occhiali. Ogni movimento e ogni parola che diceva, sembravano costargli un enorme energia.
“Una parte di me vuole… cambiare…” spiegò “non so perché, né riesco ad impedirlo”.
“È come un istinto… ma molto più profondo”.
Cos’avrebbe dovuto dire? Cos’avrebbe dovuto fare? Riusciva solo a guardarlo, boccheggiando, alla ricerca di una parola di conforto, qualcosa che non suonasse stupido e che potesse dargli forza.
Avrebbe voluto lasciar vedere a Joseph tutto ciò che gli passava per la mente in quel momento, perché capisse quanto desiderasse riuscire a farlo stare meglio, quanto desiderasse prendersi cura di lui e proteggerlo da qualsiasi cosa lo stesse tormentando, per contraccambiare tutte quelle volte che Joseph l’aveva messo davanti a tutto e a tutti, arrivando persino a farsi odiare pur di aiutarlo.
Quando mai Joseph gli aveva negato il suo aiuto? Oh, se solo avesse capito fin da subito quanto importante fosse per lui, forse non sarebbero nemmeno arrivati a quel punto.
 
* * * *
 
Sentì qualcuno bussare alla porta e controllò sul cellulare che ore fossero.
Le 22:20, chi poteva cercarlo a quell’ora?
Con un sospiro mise da parte il libro che stava leggendo e si alzò dal divano per raggiungere la porta e guardare dallo spioncino.
Sebastian? Non si parlavano da mesi… dal giorno in cui... cercò di scacciare il pensiero e aprì di fretta, cercando di mostrarsi indifferente. Non voleva lasciar trasparire la gioia del ritrovarselo lì.
Tuttavia, sia la gioia che l’indifferenza lasciarono il posto alla preoccupazione non appena vide lo stato pietoso in cui versava Sebastian.
Non era ubriaco, ma le occhiaie scure, i capelli arruffati e i vestiti scompigliati lasciavano intendere che stava molto peggio.
“Non se ne è andata” fu l’unica cosa che disse Sebastian. Joseph notò che non indossava il trench, ma che lo stringeva compulsivamente fra le mani, come se fosse l’ultima cosa rimastagli a cui aggrapparsi. E, forse, era proprio così.  
“No, non se ne è andata” gli assicurò, afferrandogli delicatamente l’avambraccio per portarlo all’interno dell’appartamento.
In realtà, Joseph non sapeva cosa ne era stato di Myra. Aveva preferito non farsi una propria opinione e quando gli avevano chiesto che idea aveva della situazione, si era limitato ad alzare le spalle e a dire che proprio non sapeva cosa pensare.
“Vuoi qualcosa da bere, Sebastian? Non ho alcolici, mi dispiace”. Sebastian si lasciò andare sul divano, posò lo sguardo sul libro abbandonato sul tavolinetto e poi sul televisore spento.
“Ti ho disturbato?” chiese, coerente con la domanda precedentemente postagli.
“No, sta tranquillo”.
“Un po’ d’acqua andrà bene, allora”, continuava ad essere incoerente, ma Joseph non fece commenti. Aveva l’aria di un bambino spaesato, tanto che il canadese si chiese come diavolo fosse arrivato fino a lì. Forse aveva solo bisogno di trovare un porto sicuro.  
“Certamente”. Si diresse in cucina, in fretta. In un primo momento aveva pensato di chiedergli se voleva dargli il trench così che potesse appenderlo sull’appendiabiti, ma sapeva che non se ne sarebbe separato. 
Tornò quasi subito in salotto con un bicchiere d’acqua, ma Sebastian si limitò a prenderlo e a poggiarlo sul tavolinetto, ringraziandolo.
“Anche tu credi che Myra mi abbia lasciato, non è vero?”.
“Io non credo nulla, Sebastian. Non so cosa pensare, ma tu conosci Myra meglio di me, così mi affiderò al tuo giudizio. Se tu pensi che non se ne sia andata, allora non se ne è andata”. L’ispanico lo scrutò e sembrò concludere che il collega gli stava dicendo la verità.
“Non sapevo dove altro andare. Nessuno mi prende più sul serio” fece una piccola pausa, valutando cosa dire in seguito “ho fatto bene a venire qui”. Joseph gli sorrise, annuendo. Non sapeva se era davvero stata una buona idea quella di Sebastian, ma era davvero felice che fosse andato da lui. Credeva di averlo perso dopo quel gesto tanto avventato e il tradimento e non c’era stato giorno in cui non ne aveva sofferto. Il fatto che Sebastian avesse scelto di andare a cercare conforto da lui,  sapendo che Joseph l’avrebbe accolto gli faceva sperare che forse non era andato tutto perduto.
Sebastian riprese il bicchiere fra le mani, ma non accennò a bere. Lo strinse e lo osservò, come se avesse qualcosa di realmente interessante.
Lo turbava vedere l’amico in quello stato, non sembrava più lui.
“Mi sta sfuggendo tutto dalle mani e non so più cosa fare per impedirlo” rivelò Sebastian, dopo un po’.
Sentì il vetro del bicchiere scricchiolare per la stretta troppo forte e si affrettò a toglierglielo dalle mani prima che lo rompesse e si tagliasse. Sostituì il bicchiere con la sua mano, stringendo quelle grandi e tremanti di Sebastian con gentilezza.
Se c’era una cosa che l’ispanico odiava era mostrarsi debole. Nessuno doveva vederlo distrutto, nessuno doveva vederlo mentre scivolava lungo una parete con una bottiglia di whiskey fra le mani e le lacrime agli occhi, nessuno doveva sentirlo mentre soffocava le urla contro il dorso della mano… il fatto che in quel momento gli si mostrasse senza difese doveva forse dimostrare che, nonostante tutto, si fidava ancora di lui?
“Sebastian…” mormorò, non appena avvertì alcune lacrime cadere sulla mano che stringeva le sue. L’uomo distolse lo sguardo, perché non lo vedesse e Joseph seppe che si sentiva umiliato dall’essersi mostrato in quello stato.
Lo strinse in un abbraccio, stupendosi ancora una volta di non trovare né resistenza né ritrosia.
“Si sistemerà tutto” sussurrò, anche se sapevano che non era vero, pur sapendo che avevano passato ormai da troppo tempo il punto in cui le cose potevano ancora ritornare al loro posto.
 
* * * *
 
Aveva ripercorso passo dopo passo la travagliata storia di Ruvik, giungendo alla conclusione che non avrebbe mai potuto provare pietà per lui. In un'altra occasione e in un'altra situazione avrebbe potuto, avrebbe anche pensato che potevano essere la stessa persona tanto erano simili… ma aveva giocato con loro troppo a lungo e troppo crudelmente per poter anche solo cercare di trovargli delle scusanti.
Lo STEM, il mondo malato in cui Ruvik era sia carnefice che vittima, era crollato, ma non significava che fosse finito, questo lo sapeva.
Se ne era andato dalla stanza del terminale cercando di non pensare a ciò che aveva perso, cercando di non guardarsi attorno alla sua ricerca.  
L’ospedale era sembrato enorme, infinito, mentre cercava disperatamente di uscirne e quando alla fine fu colpito dalla luce accecante dell’esterno dovette schermarsi gli occhi.
Prese una lunga boccata d’aria, mentre si rilassava nel freddo invernale. Le strade erano umide, segno che aveva smesso di piovere da poco, e l’odore dell’asfalto bagnato, solitamente così sgradevole, ora lo faceva sentire vivo, tuttavia la sensazione non durò oltre, quando tornò a pensare a ciò che aveva perso.
Joseph.
Come sarebbe andato avanti, senza ne lui ne Myra?
Penso che forse avrebbe dovuto semplicemente lasciar perdere, smettere di inseguire così tenacemente la verità, ma dopo essere uscito da quell’inferno riteneva che mai più di allora avrebbe dovuto scoprire cosa si celava dietro lo STEM. Se non era più sicuro che Myra fosse ancora viva, era certo che Joseph lo fosse e gli doveva troppo per dar ascolto alla parte di lui che si era stancata di cercare di comprendere cosa stava mandando in frantumi la sua vita.
Non era riuscito a proteggerlo nello STEM e non riusciva a perdonarselo. Aveva bisogno di averlo al suo fianco, così da potersi dire che, almeno una volta, sarebbe riuscito a prendersi cura di qualcuno che amava.
   
 
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