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Autore: Elizabeth_Tempest    27/09/2015    8 recensioni
Nella Danimarca settecentesca, il destino di una testarda contessa e di un misterioso giovane venuto da lontano s'intrecceranno.
"Friederieke guardava fuori dalla finestra, annoiata, rigirandosi pigramente il lavoro tra le mani; il cucito non l’aveva mai entusiasmata, lo aveva sempre trovato noioso dato che non ne trovava una vera utilità pratica –del resto i suoi abiti arrivavano sempre da qualche sartoria della capitale, dove suo padre spendeva un vero e proprio patrimonio per farle avere sempre i modelli più in voga alla corte francese.
Si concentrò sul ricamo, tentando di ricordare cosa fosse di preciso… forse un usignolo? si chiese, lanciando un’occhiata perplessa ai fili azzurri.
Non le sovvenne nulla ed alzò lo sguardo, sperando di poter sbirciare il lavoro della signorina Bernstein che invece pareva tutta presa dalla sua opera e la teneva in modo tale che la fanciulla non potesse vedere cosa stesse ricamando." [dal primo capitolo]
La storia è ambientata prima degli eventi di The Lost Canvas, ed è collegato ad uno dei gaiden.
Genere: Angst, Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio, Pisces Albafica
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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Capitolo XVII


-Allora? Avete scoperto qualcosa?- chiese Jens Andersen, posando davanti ad Albafica un bicchiere di grappa. Ormai il giovane guerriero ci stava facendo l’abitudine e pian piano gli pareva che la bevanda fosse meno forte. Mandò giù un goccio… no, era stata una pia illusione: bruciava come al solito, quel sorso era stato come bere della lava.
-No…- ansimò il ragazzo, con la gola in fiamme e le lacrime agli occhi. –O meglio, ho avuto modo di parlare con Iedike, cioè, con la contessina, di ciò che è accaduto negli ultimi mesi e abbiamo ricostruito la dinamica del grigiore con precisione.
-E non avete costruito solo quello.- disse l’anziano con un sorrisetto sornione dipinto in volto mentre accarezzava il testone di Cane, che pareva soddisfatto delle attenzioni del suo padrone. –Ho sentito dire che a breve al castello si festeggerà un bel matrimonio. Ditemi, come pensate di sistemare il problemuccio delle differenti religioni?
Albafica impallidì per poi arrossire violentemente, ma avrebbe dovuto aspettarselo: il vecchio Andersen non era persona da perder l’occasione di fare battute. Il problema era che non era l’unico ad aver toccato l’argomento: nel giro di un paio di giorni la notizia era arrivata fino in città e Solveig si era discretamente –per quanto discreta l’ostessa potesse essere- congratulata con lui, strizzandogli poi l’occhio e promettendogli di non dir più nulla finché il matrimonio non fosse stato annunciato; avrebbe dato qualsiasi cosa pur di sprofondare mentre due delle ragazze della locanda ridacchiavano in un angolo, additandolo come il futuro signore di Frydenjord –apparentemente metà delle prostitute di Århus era convinta che Ludvig sarebbe morto per mano di qualche marito geloso e l’altra metà che lo avrebbe fatto nel letto di una di loro prima di ereditare o comunque nel giro di breve tempo-.
Senza contare che al castello egli e Iedike avevano gli occhi costantemente puntati addosso: nei due giorni che erano trascorsi da quando la fanciulla aveva messo in piedi quell’inganno il conte e la baronessa li avevano osservati cercando di nascondere i sorrisetti compiaciuti, Sophia sembrava sul punto di avvelenare la cena di Iedike e faceva impazzire tutti quanti coi suoi capricci, Ludvig si stava evidentemente trattenendo dal fare battutacce al “futuro cognato” e alla sorella –a quanto pareva la contessina lo aveva minacciato in un qualche modo, ma non aveva voluto riferire al guerriero il come- e Christina pareva sul punto di impazzire perché la madre le aveva proibito di esprimere il proprio entusiasmo e la sorella minore le aveva tolto il saluto; solo la signorina Bernstein pareva riuscire a mantenere la calma e di sicuro quel clima gli metteva ancora più agitazione indosso: ogni gesto suo e della contessina doveva risultare quello di due innamorati e non era affatto facile, ma l’anziano Andersen era venuto in loro soccorso, insegnandogli un paio di cosucce sulle donne… che Athena l’avesse in gloria, senza quell’uomo non avrebbe saputo cosa fare.
-Presumo che sarà il conte a levarci da questo impiccio, Jens.- rispose il ragazzo, tentando di non lasciar trapelare i propri sentimenti.
-Ah, sicuro! Vi crede ricco, colui che salverà la tenuta e per di più è convinto che sua figlia vi ami. Foste pure un infedele con la pellaccia nera, troverebbe il modo di farvela sposare, statene certo.- rise l’anziano, battendo un palmo sul tavolaccio di legno mentre Cane, deciso di non essere interessato all’argomento, si accomodava mollemente sul pavimento, cercando una posizione comoda per dormire.
Albafica osservò Jens, soppesando le sue parole: quell’uomo ne sapeva una più del Diavolo, pareva conoscere tutti fin troppo bene… per essere stato solo uno stalliere sembrava fin troppo in confidenza col conte, che, da parte sua, non faceva che dire un gran bene sul suo vecchio servitore, la voce piena di affetto e di un caldo entusiasmo per quell’uomo che ci sapeva fare tanto bene coi cavalli, con i racconti di viaggio e con quei due monellacci che erano stati i suoi figli.
Jens Andersen, si disse, doveva essere stato un bell’uomo in gioventù: viso squadrato –ormai cotto dal sole e solcato da decine di rughe profonde-, tratti virili e un fisico che, nonostante l’età avanzata e la vita di miserie che doveva aver conosciuto dopo il Santuario, conservava ancora qualcosa della possanza che doveva aver avuto da giovane.
-Jens, non vorrei risultare maleducato, ma potrei chiedervi quanti anni abbiate?- disse il giovane, guardandolo negli occhi. L’anziano rise, buttò giù un sorso di grappa e accarezzò Cane.
-Lo senti questo impertinente, eh, bestiaccia? Ma certo che potete chiedermelo, siamo tra colleghi… be’, più o meno.- disse, liquidando quella questione con un gesto della mano –In ogni caso ne ho cinquanta, ragazzo, ossia un bel po’ più di voi, che, ad occhio, ne avrete diciotto, al massimo una ventina, anche se con quei muscoli lì sembrate più grande.
-Ne ho venti.- confermò il giovane guerriero.
-A che età siete diventato Cavaliere dei Pesci?- chiese l’anziano facendosi serio e mettendosi comodo sulla seggiola.
Il ragazzo posò i gomiti sul tavolo. –Sedici.
-L’età della contessina adesso. Gran brutto colpo per un ragazzino.- disse l’anziano –Conoscevo Lugonis, sapete? Di vista, non eravamo di certo amici, aveva una decina di anni meno di me e si sa come sono i ragazzi di quell’età, un branco di idioti che si credono già grandi e snobbano i mocciosi, ma lo conoscevo… Ricordo quando arrivò, io ero lì già da parecchi anni: un bimbetto sui cinque, sei anni con questa massa di riccioli rossicci che sgambettava dietro al Cavaliere dei Pesci dell’epoca. Non era un bello spettacolo, per niente: noi allievi avevamo una paura dannata di Piscis, se potevano stargli alla larga ne eravamo ben felici e ci dispiaceva per il ragazzino, non sapeva evidentemente a cosa stava andando incontro. Ricordo che era sempre gentile con tutti… poi mi rovinai la schiena e addio sogni di gloria, appena mi ripresi me ne andai e per anni evitai ogni contatto con il Santuario.- concluse l’uomo. Si era fatto scuro in volto e gli occhi erano diventati pensierosi.
Come quelli di Albafica, del resto: non avrebbe mai pensato che Jens avesse conosciuto il suo maestro eppure, facendo due conti, la storia dell’anziano era verosimile.
Lugonis era morto quattro anni prima, all’età di trentasette anni, quindi ne avrebbe avuti quarantuno se fosse stato ancora in vita: Jens, invece, ne aveva cinquanta, nove in più, quindi, quando Lugonis era giunto al Santuario, l’anziano stalliere danese ne aveva una quindicina.
Provò ad immaginare l’uomo che lo aveva cresciuto così come Jens lo aveva descritto: un bambino dalla bellezza fuori dal comune –dono che gli dei avevano fatto a tutti i precedenti Cavalieri dei Pesci da che se ne avesse memoria-, coi riccioli rossi e gli occhi verdi che caracollava dietro ad un uomo in armatura, camminando verso un futuro di solitudine e isolamento forzato, un futuro il cui unico conforto era stato proprio egli, Albafica.
Il figlio che non aveva mai potuto avere, il figlio che lo aveva ucciso inconsapevolmente. Si chiese se suo padre avesse mai rimpianto il giorno in cui le stelle lo avevano scelto per il rosso legame. “Padre, sono un debole o questo dubbio che cerco di scacciare è normale? Vorrei che tu fossi ancora qua, per potermi rispondere.
-Figliolo, fatevi un altro cicchetto, ne avete decisamente bisogno.- ordinò perentoriamente Jens, rabboccandogli il bicchiere con quel liquido trasparente ed infernale –Immaginavo che fosse ancora una ferita aperta… ebbene, volete sapere una cosa? Lo sarà sempre. Qualsiasi cosa voi facciate, non cambierà mai. La mia Maria è morta più di cinque anni fa eppure ogni giorno mi sveglio e spero che lei sia accanto a me. Era più giovane di me di quindici anni, sapete? Eppure una sera è andata a dormire e la mattina dopo era fredda come il ghiaccio. Dicono che il tempo rimedi a tutto… e lo fa, ma non come ce lo immaginiamo: il tempo ci aiuta soltanto a trovare un modo di scendere a patti con la perdita, di non impazzire, ma non potrà mai cancellare quello che è stato. Il tempo aiutò Maria facendole incontrare Iedike quando il nostro ragazzino venne chiamato a sé da Dio e Iedike facendole amare disperatamente mia moglie quando sua madre e suo fratello raggiunsero mio figlio; ha aiutato Lude, facendogli conoscere i piaceri della carne e dell’alcol per dimenticare il dolore per sua madre e il conte, dandogli una bambina bellissima su cui riversare l’amore che non poteva più donare a sua moglie. Vedrete, il tempo aiuterà anche voi a trovare il vostro modo. Non è sempre un modo facile o costruttivo, ma prima o poi tutti lo troviamo.- buttò giù un sorso di grappa, invitando Albafica a fare lo stesso con lo sguardo, poi proseguì –Ma non siamo qua per mettere su un circolo di povere vedove, ragazzo. Stasera parteciperete ad un ballo, no? Siete pronto?
Albafica scacciò il viso del proprio maestro morente dalla mente e annuì. –Presumo di sì, anche se si tratta di qualcosa di decisamente nuovo per me.
-Oh, ho notato, non temete, ma presumo che per voi sia difficile corteggiare o portare nelle vostre stanze una ragazza… certo, c’è da dire che anche quel genere di esperienza vi servirebbe a poco, al momento, non siamo alla corte di Francia. E non arrossite così, perbacco!- ridacchiò l’anziano –Ricordate: cortesia, amabilità, conversazioni piacevoli e di poco conto, lasciate che siano gli altri ad intavolarne di più profonde e cercate di non risultare troppo originale e concedente un ballo anche alle baronessine Eckersberg, ma ballate soprattutto con la nostra Iedike.
Il ragazzo annuì, concentrato; aveva già mandato a mente quelle istruzioni, ma sentire la voce ruvida dell’anziano ripeterle lo rassicurò.
-Al resto- concluse Jens –ci penserà Iedike. Fidatevi di lei e fate ciò che dice e tutto andrà per il meglio.
Tra i due calò il silenzio.
 
Infilò due dita nella croata tentando di allentarla, mentre la carrozza che aveva noleggiato percorreva il viale di querce che portava al maniero dei Frydendahl. Si sentiva nervoso e sapeva che, dopotutto, era normale: quella era una situazione nuova e pericolosa, correva il rischio di farsi scoprire o di fare un buco nell’acqua; per di più sarebbe stato attorniato da persone e, nelle sue condizioni, di certo non era l’ideale.
Quando il cocchiere fermò i cavalli prese un profondo respiro e scese, mentre un valletto si avvicinava per scortarlo all’interno; gran parte delle finestre del pian terreno erano illuminate, ma persino la luce che filtrava diventava quasi grigiastra all’esterno. Lanciò uno sguardo al giardino che circondava il maniero, ormai il grigiore era arrivato a non più di una cinquantina di piedi dall’entrata dell’antico palazzo e più tempo passava, meno speranze aveva di salvare quelle persone.
Scacciando quel pensiero orribile, entrò all’interno e si fece guidare dal valletto; pian piano sentì la musica, poi il chiacchiericcio ed infine venne annunciato e fatto entrare in un’ampia sala dall’arredamento moderno, perfetta per le danze e la musica, che comunicava con un’altra sala che non riusciva a vedere; la luce la rendeva calda ed accogliente, mentre i mobili francesi e le cineserie le davano un’aria raffinata che era sicuramente da imputare alla signorina Bernstein o a Ludvig e le decorazioni per quella piccola festa tra amici, come l’aveva definita Iedike il giorno prima, rendeva il tutto più allegro. In un angolo una piccola orchestra –Ludvig non aveva certo badato a spese, si disse Albafica- stava suonando, mentre gli ospiti si erano riuniti in piccoli campanelli e parlottavano del più e del meno; ad una rapida occhiata fu evidente che il conte Frydendahl e sua figlia mancassero all’appello: Ludvig stava parlando con due giovani uomini a lui sconosciuti, ma abbastanza simili da far pensare che fossero parenti –probabilmente fratelli-; Sophia si stava intrattenendo con due giovani donne e sua sorella, mentre altri due gentiluomini chiacchieravano con la baronessa Maria; quando il giovane guerriero comparve tutti si girarono verso di lui, fissandolo con occhi rapaci e Ludvig gli andò incontro, apparentemente felice di vederlo come se si trattasse di un amico di vecchia data che non vedeva da tempo.
-Ah, monsieur Van Dijk, proprio di voi si parlava! Venite, venite, permettetemi di presentarvi a questa modesta compagnia di amici che siamo riusciti a metter assieme per svagarci un po’. Mia sorella sarà qui a breve, non temete.- gli disse il giovane conte con fare amichevole, prima di dare inizio ai vari convenevoli: venne presentato a tutti i presenti e più di un paio di occhi si accesero di bramosia nel sentirlo definire “amico di Friederieke”: ecco il prossimo pettegolezzo che avrebbe rallegrato la corte danese.
Per un istante si dolse di ciò che stava facendo a quella povera ragazza, gettandola in pasto alle malelingue che sicuramente le avrebbero infangato la reputazione e cosa vi era di più pericoloso di una reputazione rovinata per una donna tanto giovane e di una certa levatura sociale? Ma non ebbe che pochi istanti per rimuginarci sopra, prima che venisse investito da una serie di nomi, titoli, professioni e alberi genealogici: vi erano Christian e Gottlob Kaas, due ragazzotti ben piantati –parecchio lontani dall’immagine raffinata di Ludvig con quelle spalle larghe, le braccia grosse e le mani grandi come badili- figli di un nobile locale di rango inferiore rispetto ai Frydendahl, ma che, stando a quanto gli aveva spiegato Iedike il giorno prima, era dotato di grande accortezza e di uno spiccato talento per la gestione della propria tenuta e di una moglie che aveva fatto dell’economia e della parsimonia una ragione di vita, tanto da essere diventato in breve tempo uno dei maggiori creditori del conte Ludvig.
Gli furono poi introdotte Louise Hvide, anch’essa figlia di un nobile locale e sua cugina Vilhelmina Hansen. Le due ragazze non si assomigliavano minimamente –una era minuta, rossa e civettuola; l’altra alta, bionda e parecchio sgraziata- ed era palese che Louise dominasse la cugina in tutto e per tutto, dato che questa le stava due passi dietro e pareva essere un’ombra sbiadita, più che una persona vera e propria. “Ve lo dico per il vostro bene, ché voi non conoscete i lupi travestiti da agnelli che attorniano la mia famiglia: Louise è simile a Sophia, solo che a differenza di mia cugina è povera in canna: il padre era… be’, un debosciato.” aveva detto la contessina Friederieke quando, il giorno prima, aveva deciso di istruirlo in vista del ballo. Dopo aver pronunciato quella parola con evidente disprezzo, aveva storto la bocca “So che sta male parlare così dei morti e non dovrei farlo, ma è vero: ha dilapidato il proprio patrimonio per vivere come il più immorale dei pascià dell’Oriente e quando egli e sua moglie sono morti prematuramente –si mormora che abbia preso un brutto male da una delle sue maîtresse, se capite quel che voglio dire e che l’abbia trasmesso a sua moglie-, la figlia –be’… la sola figlia legittima, per lo meno-, è andata a vivere con gli zii materni. La sorella di sua madre ha sposato un mercante –fu un gran scandalo, ne parlano tuttora- ed evidentemente fece bene i suoi calcoli, perché suo marito ha avuto successo e vende stoffe preziose a tutti quelli che contano qualcosa a corte, quindi il denaro agli Hansen non manca… purtroppo mancava loro un’erede degna di tale nome: il loro unico figlio maschio è morto di morbillo quand’era un infante e Vilhelmina è sempre stata una ragazzina goffa e timida. Immaginatevi quanto siano impazziti di gioia quando han preso con sé una ragazzetta graziosa, compita, scioccarella e ruffiana come Louise. Povera Vilhelmina, la odia con tutta sé stessa, ma non può dir niente, ché i suoi genitori le preferiscono la cugina e si dice che l’abbiano scelta come loro erede, lasciando alla figlia solo una misera rendita…
Il turbine di visi, riverenze ed inchini si concluse con Hans Ulrik Astrup e Andreas Wenner, i due gentiluomini che stavano discorrendo con la baronessa Maria: il primo, un uomo sulla trentina dai tratti fini e uno sguardo sveglio, era uno dei tanti creditori del conte Frydendahl –un brav’uomo, secondo Iedike, che però lo mal sopportava perché già una volta l’aveva chiesta in moglie al conte, il quale aveva però declinato l’offerta estremamente vantaggiosa vista la tenera età della sua figlioletta, all’epoca nemmeno quattordicenne-, mentre il secondo, un ragazzotto di belle speranze e d’aspetto piacevole che gli doveva essere maggiore di un paio di anni, prestava servizio nell’esercito danese come ufficiale ed era amico di Ludvig –nonché compagno abituale di battute di caccia, sia alla volpe che a donne sposate-.
Nel giro di qualche istante i gruppi si riformarono ed Albafica venne dolcemente sequestrato da Sophia, Christina e Louise –Vilhelmina sembrava più che altro vittima, al pari suo, della volontà delle altre tre ragazze-, ansiose di saperne di più sui suoi viaggi, sulle stoffe preziose e sulle storie buffe che sicuramente avrebbe avuto da raccontare sui suoi clienti. Ancora una volta chiese ad Atena di benedire Jens e Iedike, che molto previdentemente gli avevano scritto qualche aneddoto da spacciar per vero, alla condizione di mascherare, “per decenza, s’intende”, l’identità di una tal signora delle Fiandre, di un certo messere tedesco o di un tal mercante turco: le buffe storielle inventate dai suoi due alleati mandarono in visibilio le fanciulle.
Mentre raccontava la storia di un mercante di seta cinese –“che ho sentito da un mio caro amico che l’ha sentita a sua volta da un certo italiano con cui fa affari, il quale non si sa bene da chi l’abbia sentita, ma garantisce che sia vera” si premurò di specificare, ringraziando Jens e i suoi pellegrinaggi-, padre Hans fece la sua entrata, che però passò quasi sotto silenzio, sia per la compostezza dell’uomo, sia perché in capo a qualche secondo il conte e Iedike apparvero.
La fanciulla ammiccò e Albafica restò senza fiato.

 

 
 
 


 
Lettori, lettrici, ave a voi.
Speravate che ci fosse il ballo, vero? Ed invece nada. Ma ho un’ottima spiegazione, giuro.
Prima di tutto mi scuso per il ritardo, ma questo capitolo ed il seguente si stanno rivelando belli tosti da scrivere… c’è un manuale di storia dei balli del Settecento? Non avevo idea che descrivere un ballo potesse essere così complesso D:
Che dire? Questo è sicuramente un capitolo pieno di feels, almeno da parte di Albafica –ma pure Jens non scherza- e spero non sia risultato troppo pesante.
In più è entrata in scena la degna compare di Sophia, ma, per la vostra gioia, vi assicuro che si eclisserà in fretta… mentre chissà se Hans Ulrik potrebbe rivelarsi un problema per la copertura di Albafica? Oppure sono io che adoro mettervi in allarme per niente? Chissà.
Tornando alle cose serie, vi aspetto per il prossimo capitolo –sì, questa volta il ballo ci sarà-, che pubblicherò negli ultimi giorni di ottobre –università permettendo, visto che finalmente inizio anche io <3 Yeeeh-.
Alla prossima, con Albuccio fulminato e Iedike amiccante.
Beth

P.S.: purtroppo, dopo una vita senza usare NVU, non mi ricordo come si usa -non che prima fossi molto capace-, ergo se il carattere dovesse essere troppo piccolo o troppo grande, mi scuso.

   
 
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