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Autore: Wellesandra    30/09/2015    7 recensioni
[...] Elpis capì che le speranze dovevano essere cercate, trovate e assecondate, e non c'era nulla che le piacesse fare di più. Alcune la chiamavano e la attiravano, senza che neanche se ne accorgesse.
Genere: Fluff, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elpis si dondolava sull'altalena e le sembrava quasi di arrivare al cielo.
C'era quasi riuscita, mancava l'ultimo passo ed era fatta. La realtà dei fatti la fermò dal tentativo di balzare in alto e raggiungere il mondo che le apparteneva: il Paradiso, come lo chiamavano gli umani, se lo immaginava in modo particolare: morbido e soffice, fresco e sicuro, traballante e rigoglioso. Pieno di vita, di felicità e di leggerezza.
Essere la Speranza le arrecava molti acciacchi. Ogni giorno, qualcuno la lasciava andare e altri la tenevano stretta, creando quell'equilibrio perfetto che stava per tramutarsi nella sua tanta amata ricompensa.
Secondo quello che le avevano detto i suoi fratelli, poteva lasciare il suo posto a qualcun altro se solo avesse adempiuto alle missioni che le sarebbero state affidate dal momento della sua scelta. Ed Elpis era riuscita a superarle quasi tutte.
La terra stava diventando un mondo troppo stretto per lei e, paradossalmente, lei stessa stava perdendo fiducia nella razza umana, sempre più incline all'egoismo. Se c'era qualcosa che aveva capito dall'inizio del suo arrivo, da quando Pandora non riuscì a resistere alla curiosità, era che il male, per quanto nocivo potesse essere, ritornava sempre al suo posto. Eppure, nonostante tale convinzione, Elpis avvertiva che il suo tempo stava per finire. Si sentiva esausta, spossata. Era chiamata migliaia e migliaia di volte durante il giorno, anche se nessuno pronunciava apertamente il suo nome.
Era il desiderio bruciante degli uomini che la scombussolava, e lei si sentiva più o meno bene a seconda dell'esito.
Elpis pensava simpaticamente che sua sorella Altea, il Destino, era proprio malefica quando programmava la strada di ogni uomo. Ma a tutti toccavano i propri compiti e sapeva a cosa sarebbe andata in contro, se avesse accettato. Non si pentiva della sua scelta, però le cose si stavano rendendo difficili e serviva un carattere molto più forte del suo per superare montagne così alte.
I lunghi capelli neri le si pararono davanti al viso, privandole della meravigliosa vista che la natura le offriva, e si rese conto di aver sognato ad occhi aperti. Rallentò e scese dall'altalena, spolverando il suo vestito turchese. Come gli altri fratelli, poteva rendersi visibile agli umani ogni volta che voleva e quella peculiarità le permetteva di fare esattamente ciò che le andava.
Camminava in punta di piedi, quasi saltellando tra le aiuole fiorite. Aveva il viso di porcellana rivolto al sole, i cui raggi sembravano sfiorarla come una carezza. Nulla sembrava infrangere il suo animo candito e pulito come l'aria di montagna, generoso come solo un povero arricchito poteva essere e sincero come sua sorella Veritas.
Ma in realtà c'era qualcosa che la rendeva triste e amareggiata. Avveniva tutte le volte che gli esseri umani perdevano la fiducia in lei. Quando una persona lasciava la propria speranza, la sua aurea diventava meno brillante e la sua forza si affievoliva. Il vuoto veniva quasi subito colmato, ma la sensazione di lasciare andare via un pezzo di sé la indeboliva nell'animo, e quel dolore era indescrivibile.
La Dea passeggiava tra i boschi, attendendo l'arrivo di una richiesta che valesse la pena di ascoltare. Nella sua mente rimbombavano le speranze futili delle persone, che volevano vincere la lotteria o che volevano ottenere qualcosa senza muovere un dito. Quelle esigenze erano facili da ignorare. Difficili da misconoscere erano, invece, quelle che chiedevano una mano per salvare la vita di una persona. Come divinità, in quei casi, poteva fare ben poco.
Le missioni non erano facili da percepire: Elpis capì che le speranze dovevano essere cercate, trovate e assecondate, e non c'era nulla che le piacesse fare di più. Alcune la chiamavano e la attiravano, senza che neanche se ne accorgesse.
Come in quel momento.
Sul tronco di un albero caduto, forse a causa di un vecchio temprale, una giovane ragazza dai capelli color oro aveva la faccia rivolta verso il sole. La Dea sorrise, pensando che anche a lei piaceva farlo. La forza che sprigionava l'umana era tale da attirarla a sé come una calamita. Sentiva, come se fosse il proprio, il desiderio di credere in qualcosa.
Si rese visibile e calpestò di proposito qualche rametto per testimoniare la sua presenza. Il trucchetto funzionò.
Quando la ragazza le puntò gli occhi addosso, Elpis non ebbe più nessun dubbio. Si fermò a pochi passi e le sorrise.
« Ciao, ti ho spaventata? » domandò la Dea.
« A dire la verità, sì. Ma solo un po'. »
Elpis le sorrise. «Mi dispiace, non sapevo che ci fosse qualcun altro affezionato a questo tronco. »
« Neanche io. » La ragazza ricambiò il sorriso. « Vuoi sederti qui? Oggi il sole è tiepido e rilassante. »
« Con piacere. Io sono Elpis, comunque. »
« Elpis? Da dove vieni? Io mi chiamo Vanessa, banale e comune come nome. »
Mentre Vanessa si presentava, la Dea si accomodò abilmente accanto a lei. « Banale e comune, ma pur sempre bello. Mio padre è di origini greche ed è molto affezionato ai nomi della sua terra. »
« Elpis è davvero molto particolare. »
« Grazie. » Rispose, prima di incrociare le gambe sotto la sua veste e rivolgere il volto al sole.
“Mio fratello oggi è di buon umore”, pensò tra sé e sé.
« Cavolo, avevi proprio ragione! Oggi il sole è una benedizione! »
“Come se non lo sapessi”.
Vanessa rise e la imitò. « Te l'ho detto. Rilassante e tiepido. »
« Sei stressata? »
« E chi non lo è? » Ribatté la ragazza, corrugando la fronte. « Semplicemente, mi sono annoiata, di tutto. »
“Ci siamo.”
«
Ti capisco perfettamente. Anche io non ne posso più di questo posto. A volte ho voglia di mollare e sparire per sempre. »
Udendo le sue stesse parole, Elpis pensò che non stava mentendo. Avvertiva il forte desiderio di lasciare nelle mani di qualcun altro il suo intero mondo, privato e pubblico, per poter staccare la spina e vivere finalmente come voleva.
« Esatto. E non c'è nessuno che ti capisce, ma solo persone che ti chiamano scema e che ti puntano il dito contro. »
« Non deve badare a ciò che dicono gli altri. Però devi dare alle parole il giusto peso. Nessuno sa meglio di noi stessi cosa sta succedendo, e se le parole ti colpiscono così tanto è perché forse è vero. »
Vanessa la guardò con un sopracciglio alzato. « Stai dicendo che sono scema? »
Elpis ricambiò lo sguardo con un sorriso beffardo. Allungò davanti a sé un braccio e sporse l'indice. Un uccellino si appoggiò sopra, cantando allegramente.
« Al contrario, sto dicendo che sei troppo intelligente per dare importanza alle parole vane. Forse lo fai perché hai paura di notare il resto, ciò che c'è intorno. »
Vanessa la guardò, perdendosi nei gesti che ad Elpis sembravano così normali. Ma quale uccellino si sarebbe appoggiato tranquillamente sul dito di una persona? Erano cose che accadevano solo nei film. Eppure lei aveva assistito tutto in prima persona, e si era sentita quasi ipnotizzata. Anche il tono di voce la trasportava in un mondo al limite della realtà: Vanessa si sentiva cullata, quieta e ogni dubbio, ogni rimorso venivano vanificati. Più Elpis parlava, più si rendeva conto che poteva fare e a credere a qualsiasi cosa quella ragazza le chiedesse.
« Hai ragione » disse, « su questo non posso darti torto. La cosa bella è che me ne rendo conto, e così mi rattristo ancora di più. È un circolo vizioso, da cui spero di uscire il prima possibile. E, tra l'altro, non è neanche la cosa che mi deprime di più. »
Confessò l'umana, chinando il capo.
« Esserne consapevoli è il primo passo. Fidati, io ci sono passata. Ti capiterà anche di ricadere nelle tue ossessioni, e di credere di essere di nuovo una perdente, ma non sarà così. Gli sbagli ti rendono migliore, e non è una frase fatta. E, se ti va di parlare di cosa ti fa soffrire veramente, io sono qui. A volte è meglio chiacchierare con degli estranei, piuttosto che con le persone che conosci. »
Elpis soffiò verso il canarino, che volò via.
« Ma come hai fatto? »
Il tono stupito dell'umana fece sorridere la Dea. « Ho una sorella amante della natura. Conosce molti segreti, da come rendere rigorose le piante, a come calmare le acque dell'oceano... »
Quando la Dea si voltò, sul volto di Vanessa vide dipinta un'espressione esterrefatta. Ridendo, balzò giù dal tronco, atterrando silenziosamente. « Stavo scherzando, Vanessa. Ci vediamo in questi giorni. »


Elpis si rese invisibile, e seguì Vanessa fino a casa. Entrò in una villetta dai toni aristocratici, curata fin nei minimi dettagli e con niente fuori posto. Al loro arrivo, sembrava che in casa non ci fosse nessuno.
Vanessa chiuse la porta e salì di sopra. La sua stanza era l'unico posto dove si sentiva al sicuro, lontano dai lamenti dei suoi genitori. Non sapeva il perché, ma loro non erano mai contenti per lei. Più volte si era sentita dire di essere inutile, solo per non aver superato un esame, oppure di essere stupida, per non essersi ancora laureata. Non sapeva bene come comportarsi, ma ultimamente aveva deciso di dire la sua, ad ogni costo. La situazione non era cambiata, ma almeno Vanessa si sentiva più leggera. Le accuse infondate facevano ancora male, però riusciva a sopportarle più facilmente e ciò le bastava. Senza considerare, tra l'altro, che aveva quasi raggiunto il traguardo. E, cosa molto più importante, il suo segreto era rimasto tale, nascosto da due anni. Se ne avesse parlato, forse i suoi le sarebbero stati più vicini.
Ma ormai era passato. Anche se faceva un male da morire, era passato.
Ripensò alla strana mattinata che aveva appena trascorso. Elpis era così... rivelatrice. Non era di certo la prima volta che qualcuno le diceva apertamente ciò che pensava, eppure ascoltando le sue parole aveva visto il mondo con occhi nuovi. Era come se l'inverno fosse stato spazzato via e fosse subentrata improvvisamente la primavera. La rinascita stava avvenendo sul serio, quella volta. Aveva parlato dei suoi problemi reali solo ad una psicologa, che aveva incontrato in un centro di aiuto. Da un paio di anni non spiaccicava parola con nessuno estraneo. Era buffo che quel giorno si fosse allontanata così tanto da casa e che avesse scambiato parola con una ragazza che conosceva. Ma probabilmente era quello il punto: era giorno ed Elpis era una ragazza. Non si era più esposta tanto da quando, quella notte, un uomo non l'aveva presa con la forza. Era stata così stupida da non denunciare l'accaduto. Del resto, non aveva parlato per due mesi di fila. Forte del fatto che in quel periodo i suoi genitori erano fuori per lavoro, aveva chiuso i ponti con tutti, dai vicini ai pochi conoscenti che aveva in città. In quell'asso di tempo aveva raggiunto in pieno giorno l'unico centro di aiuto che conosceva e aveva parlato dell'accaduto. La psicologa di turno era stata molto professionale con lei. Le aveva consigliato cosa fare, le aveva pregato di ritornare. Vanessa però non aveva mai fatto nulla di ciò che le era stato chiesto.
A distanza di tempo prese di nuovo la sua vita in mano. A sua madre e a suo padre non aveva mai detto nulla e l'università era la sua univa valvola di sfogo. Faceva un effetto strano, ma non se ne lamentava affatto. Al contrario, si sentiva rinata ed entusiasta di continuar ciò che voleva. Doveva combattere ancora con gli attacchi di ansia e di panico, ma a tutto c'era rimedio. Non aveva mai del tutto abbandonato la speranza di cambiare vita, anche se le sembrava che il destino avesse un piano diverso per lei. E, in quel modo, le sue aspettative potevano andare a farsi benedire.
Con il cuore che le esplodeva di felicità, Vanessa si buttò sul letto abbracciando il suo cuscino e chiuse gli occhi.
Intanto, ancora invisibile, Elpis pensava che stava per dare di stomaco. Quando aveva letto i suoi pensieri non poteva crederci: Vanessa era una guerriera, non c'era dubbio. Superata la prima parte, si gustava la scena con un sorriso ebete sulle labbra. Non pensava che le sue parole potessero fare così tanto colpo, considerando che contava di rivederla “per caso” almeno altre due volte.
« Non contare vittoria subito, sorellina. Vanessa è volubile. » La Dea si voltò verso Altea*.
« Volevi spaventarmi? » Le chiese, sorridendole.
« Come se non sapessi che puoi percepirmi ad anni luce di distanza. » Rispose l'altra, scuotendo il capo divertita.
« Come stai, sorella? Non ci siamo viste molto ultimamente. »
« Sto bene. Impegnata con il caso della mia vita. »
La Dea del Destino ne sembrava felice.
« Cosa ci fai qui? »
« Sono venuta ad aiutarti. » Prima che Elpis potesse protestare, continuò. « O meglio, sono qui per sondare il terreno. »
La confusione le si dipinse sul volto e, guardandola, la sorella continuò.
« Ti ricordi di Dom, il mio protetto, vero? Mi sono stufata di vederlo sempre solo. È il momento di fare qualcosa. »
Elpis scosse il capo. « Aspetta un attimo. Ma tu non avevi perso ogni capacità divina? »
Altea fece spallucce. « Alcune cose mi sono rimaste, ma tienilo per te. Con i nostri fratelli non ho ancora un buon rapporto. »
« Sarò muta come un pesce. Cosa avevi in mente? »
Altea ridacchiò, e il suono che produsse le ricordava numerosi campanellini. «Solo fare andare le cose come devono andare. »
« Non fare giochetti con me. Vanessa merita qualcosa di buono e Dom ha già avuto la sua possibilità. » Il tono duro di Elpis non ammetteva discussioni. Ogni divinità aveva delle regole da rispettare e una di queste era che non bisognava oltrepassare i limiti degli altri.
Gli occhi di Altea si assottigliarono. « Il Destino non risponde a regole. È tutto prestabilito, tutto organizzato. Tu fa' quello che devi. » Senza aggiungere altro, Altea sparì.
Elpis scosse il capo e rimase ad osservare Vanessa, che si era addormentata beatamente.


« Ah, V, tu mi farai impazzire! »
Elpis le prese i capelli e iniziò a farle di nuovo la treccia. L'umana rise, scuotendo il capo.
« La smetti? Come faccio a sistemarteli se non stai ferma? »
« Oh El! Non puoi capire come io sia felice! »
Elpis ridacchiò. “Eccome se lo so”.
Era passata qualche settimana dal loro incontro e da quel momento le cose sembravano essere andate per il meglio. Dopo un paio di incontri “causali”, Elpis e Vanessa avevano iniziato a vedersi spesso, la maggior parte delle volte nel loro rifugio. L'umana le aveva prestato nuovi pantaloni e magliette, meravigliandosi che in Grecia ci fosse ancora una mentalità così chiusa. Elpis si morse la lingua per raccontarle la sua vera natura, ma quanto le sarebbe piaciuto! Non le era mai capitato di voler uscire allo scoperto con qualcuno, ma Vanessa le trasmetteva una fiducia e una forza che fino a quel momento le erano state sconosciute. Pensò addirittura di voler continuare ad essere la Dea della Speranza, se ciò significava starle accanto.
«Non credevo di poter avere nessuna possibilità, neanche una! E invece la speranza è sempre l'ultima a morire! »
Elpis rise. «Su questo hai ragione. Io penso che sia immortale, pensa un po'. »
Girandosi indietro verso la Dea, Van la guardò dritta negli occhi.
“Ecco, lo sa”, pensò, e il suo cuore perse un paio di battiti.
« È grazie a te che ho potuto affrontare i demoni del mio passato. Ti voglio bene. »
Elpis scrollò le spalle e con l'indice e il medio le girò il volto, in modo da poterle nascondere i propri occhi che erano lucidi. Riprese a farle la treccia, cercando di trattenere i riccioli d'oro che di tanto in tanto sfuggivano alla sua presa.
« Io non ho fatto nulla, Van. Il merito è il tuo. Hai affrontato le tue paure e ci hai creduto veramente. »
L'amica fece schioccare la lingua. «Non dire stupidaggini. Ho avuto te sempre affianco. Ti ho trovata di giorno, proprio su questo tronco. Il pomeriggio, dovunque io fossi e anche di sera, nei miei sogni. Sei onnipresente e non potrò mai ripagarti. »
Legando l'estremità dei suoi capelli con un nastro colorato, Elpis la fece girare verso di lei.
« Averti conosciuta è stata la mia più grande fortuna. » Disse la Dea, sfiorandole il volto con una mano. «Ho sempre sperato di poter incontrare qualcuno in grado di farmi cambiare idea. Ed eccoti qui. »
Gli occhi grigi di Vanessa rotearono verso il cielo. « Mettiamo in chiaro una cosa. Quella depressa ero io. Ti ricordi che circa tre settimane fa stavo pensando di bere candeggina e addio mondo? Oppure, qualche giorno prima guardavo insistentemente la lametta che uso per depilarmi le gambe? Oppure... »
« Smettila Van... » la Dea scosse la testa. Per lei erano stati momenti di terrore.
« No, fammi finire. Oppure quando aspettavo sulle rotaie un treno? In quei casi avevo raggiunto il massimo della pazzia. E chi avevo sempre accanto a me? Chi mi ha confortata, calmata e sollevata? »
«Ti sbagli. Sei stata tu ad aprire gli occhi. Cosa pensi che abbia fatto io consolandoti o dicendoti due parole? » La Dea le sorrise. Sentiva che le parole dell'umana erano vere ma non le andava di diventare una nuova dipendenza per Vanessa.
Vanessa le prese il viso tra le mani e si avvicinò fin quando la punta dei loro nasi non si sfiorò.
« Tu sei l'unica cosa che conta per me. Tu mi hai indotto a sperare sul serio, a credere in me stessa e ad avere coraggio. »
« Te ne sei solo andata di casa, Van. Nulla di diverso da quello che fanno altri ragazzi della tua età. »
« Non è vero. Io ho cancellato dalla mia vita coloro che mi hanno fatto del male. E lo sai che non parlo solo dei litigi, El. Lo sai. »
Nei suoi occhi passò un'ombra, tanto scura da renderli quasi neri.
Di slancio, Elpis l'abbracciò. Non voleva che ricordasse di nuovo ciò che avevano scoperto in passato- con l'aiuto di uno dei suoi fratelli, ma ciò era opinabile.
« Ti voglio bene anche io, Van, come a nessun altro. »
Ricambiando l'abbraccio, l'umana affondò il volto nei capelli corvini dell'amica.
« Non credere che non abbia sentito ciò che hai detto prima. Hai tante cose da raccontarmi anche tu. »


« È giunta l'ora. »
La Dea abbracciò l'umana, accarezzandole la schiena. « Andrà tutto bene, non preoccuparti. Hai studiato come una matta per arrivare a questo punto. »
« Non voglio farlo più. » Mormorò Vanessa, stringendola più forte. «Hai visto quanta gente c'è? »
Staccandosi, Elpis la guardò negli occhi e le sorrise. « Eccome! » Non le disse che un bel po' di persone fuori a quel locale era lì sotto sua richiesta e che aveva pregato i suoi fratelli più lontani di andare a farsi un giro dalle sue parti. Essere in debito con loro non l'aveva mai resa più felice. Il locale dove Vanessa avrebbe suonato per la prima volta in vita sua era strapieno anche di umani. Il che, d'altro canto, significava molto. Quando giunse il suo momento, l'amica prese un bel respiro e si incamminò, fino a salire sul palco allestito da un pianoforte nero e lucido. Elpis strinse le proprie mani al petto e un senso di orgoglio le soffocò l'animo.
« Hai visto cosa si prova? » Alla sua sinistra, Altea le appoggiò la testa sulla spalla. « È questa la sensazione che si prova quando fai quello che devi. Quando sai che sei nel giusto. »
Elpis annuì. « Non c'è nulla di meglio. »
« Esatto. »
Rimasero in silenzio, ascoltando le note che fuoriuscivano dall'animo di Vanessa, dalle sue mani e dallo strumento musicale che avrebbe definito divino. La Dea pensò che tutto sommato il suo compito era stato facile: gli umani pensavano sempre che, se le cose andavano bene, era perché avevano sperato, perché ci avevano creduto. Se, invece, le cose non andavano nel verso che avevano immaginato, allora Dio l'aveva abbandonati, la speranza era morta prima ancora di nascere e la colpa era del destino.
« Non è stato semplice come pensi. » Bisbigliò Altea.
« Non leggermi nella mente, per favore. È da maleducati. »
« Veramente hai parlato ad alta voce. E poi lo fai sempre anche tu. »
Arrossendo, El continuò a seguire l'esibizione.
« Tutto quello che hai detto è vero, ma il tuo compito è stato più arduo di quello che pensi. Forse non te ne sei resa conto, ma dall'esterno tutti noi abbiamo partecipato al tuo dolore, sia di perdita che di sconfitta. Non è avvenuto ciò che avevi pensato, ovviamente. Quella ragazza è rinata. »
« Non per mezzo mio. Ho cercato di spiegarlo anche a lei. »
Altea scosse il capo. « Sorella, ci sono passata prima di te. Le cose che facciamo per i nostri protetti ci escono dal cuore e non ci pesa offrire loro la nostra vita, se la situazione lo richiedesse. A volte bisogna uscire dagli schemi per ottenere dei risultati. » Guardando Altea, notò i suoi occhi velati di tristezza. Aveva ragione su tutto. Lei, come dea del Destino, era stata privata di parte della sua divinità.
« Sei riuscita ad aggiustare una situazione di per sé critica, Elpis. »
« Lo rifarei altre diecimila volte. »
Sua sorella sorrise. « Lo so. Anche io. »


Alla fine dell'esibizione, Vanessa era più rilassata e sicura di sé. Aveva pensato, in un primo momento, di darsela a gambe e non presentarsi, ma non poteva fare una cosa del genere ad Elpis. Era consapevole che molte di quelle persone erano lì sotto sua richiesta. Aveva visto alcune avvicinarsi all'amica e abbracciarla, altri sollevarla in braccio, addirittura. Aveva scorto nei loro occhi l'amore di una famiglia, di un gruppo di amici che ci sarebbe sempre stato per lei. Quanto aveva sperato di poter trovare anche lei una famiglia così!
Il primo passo per cambiare le cose era avvenuto proprio con la conoscenza di Elpis, quella strana ragazza dalle origini greche, che si vestiva come se fosse scesa dall'Olimpo. Aveva impiegato tutte le sue forze per farle capire che abiti del genere non erano adatti, soprattutto ora che arrivava l'autunno. Con un po' di fortuna e pazienza l'aveva convinta ad indossare jeans e gonne, a mettere su magliette e camice e, cosa principale, ad indossare le scarpe.
Mentre si inchinava al pubblico un paio di volte, non le aveva staccato gli occhi di dosso. Per la prima volta aveva trovato un'amica vera, una sorella. Era il suo sogno diventato realtà ed era grazie a lei che aveva continuato a vivere. Le aveva infuso la speranza, la forza, la determinazione.
Andarsene di casa era stato il secondo passo più importante della sua vita. Mollare definitivamente chi non la capiva era essenziale per crearsi una vita nuova.
Scese dal palco, per dirigersi verso Elpis. Le sorrise e lei ricambiò, illuminando tutto il locale. L'abbracciò di slancio e si trattenne dal piangere.
« Sei stata grandiosa. » Quel sussurro la colpì dritto al cuore. « Vieni, » continuò, « ti presento alcuni mie amici. »
Al suo fianco c'erano una ragazza, poco più bassa di lei e dall'aspetto sbarazzino. Continuava a sorriderle e, nei suoi occhi, notò una nota di malizia che non stonava.
« Io sono Altea! È un piacere conoscerti, finalmente. Elpis non ha fatto altro che parlare di te. »
« Ah, davvero? » Mentre stringeva la mano ad Altea, Vanessa alzò un sopracciglio voltandosi verso l'amica. Elpis arrossì e corrugò la fronte.
« Giuro! Non lo avresti mai detto, vero? Eppure non chiude mai bocca quando si tratta di te. Lui è Dominic, il mio protetto. »
« Protetto? » La voce le morì quando alzò gli occhi.
« Ehm... volevo dire un mio caro amico. »
Ignorando le parole di Altea, Van si concentrò sull'uomo che aveva di fronte.
« Ciao, sei stata davvero brava. »
« Grazie mille. È la prima volta che suono live. »
« Non si direbbe. » Le sorrise.
Vanessa sentì sciogliersi le gambe. Poco dopo avrebbe ricordato quella serata come il terzo punto più importante della sua vita.




Nota dell'autore:
-La storia partecipa alla sfida "Vizi e Virtù" del gruppo facebook Efp famiglia: recensioni, consigli e discussioni. La mia consegna era una virtù, ossia la Speranza, come avete potuto vedere.
-Inizialmente avevo in mente altro, ma poi più scvrivevo e più la storia si raccontava da sé. Ammetto che avrei voluto approfondirla molto di più, ma un po' per mancanza di tempo e un po' perché devo rispettare i tempi di consegna ho deciso che per ora la lascio così.
-Nella storia trovere un asterisco rosso, che indica un particolare: la storia di Altea e di Dom è stata già scritta e potete trovarla nella mia pagina con il titolo di "Fate".
-Per quanto riguarda il genere, non ero certa cosa scegliere: il fluff è stato inserito perché, secondo i miei canoni, il rapporto di amicizia tra le due ragazze è davvero molto dolce.
-Il nome della Dea l'ho scelto facendo una serie di ricerche e ho optao per quello greco perché mi piaceva di più! Da wikipedia si legge: "Nella mitologia greca, Elpìs (Greco antico ἐελπίς, ἐελπίδος) era la personificazione dello spirito della speranza."

  
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