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Autore: Vitriolic Sheol    30/09/2015    0 recensioni
"Il passato non può essere rivissuto, Adria... ciò che è stato non può essere cambiato."
"No... ma può essere volto a nostro favore."
Roma, 1503. La lotta tra Templari ed Assassini continua feroce e senza sosta, sanguinaria e violenta, senza esclusione di colpi... Una guerra che impiegherà ogni goccia di sangue disponibile alla sua causa, senza alcuna distinzione di sesso, razza o religione.
Roma, 2012. Sotto la chimera del progresso, tutto sembra essersi estinto, spento, appianato. Ma qualcosa ancora si muove nell'ombra, una flebile fiamma pare voglia riaccendersi. I Templari esistono ancora, vivono, respirano ed operano.... così come gli Assassini.
Ed il tempo non è mai stato così relativo.
Genere: Azione, Drammatico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Desmond Miles, Ezio Auditore, Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 4
Do ut des
 
L’uomo cammina per l’ambiente. E’ inquieto, i suoi occhi d’ombra lo rivelano tramite la luce nervosa che guizza nelle iridi mentre a grandi falcate, sicure e virili, compone il suo percorso sul pavimento di cotto dell’edificio; da una settimana a quella parte, Niccolò non aveva fatto altro che parlare di… “questa cosa”, come lui stesso la definiva. Sconcerto a parte, non avrebbe saputo dare una definizione precisa al suo stato d’animo attuale… confusione? curiosità? scetticismo? In tutta onestà, l’idea che potesse esistere una persona in grado di fare “quello”, lo lasciava leggermente interdetto.
Continua ad incedere, immerso nei suoi pensieri, rivolgendo saluti distratti e frasi smozzicate a coloro che incontrano il suo cammino e che gli riservano inchini del capo colmi di rispettosa deferenza.

“Stasera ci sarà la svolta, l’alleato che noi tutti attendevamo.” le parole dell’amico ancora gli risuonano nelle orecchie, assumendo però sfumature radicalmente diverse rispetto a quelle cariche di aspettative di Niccolò.

Solo quando arresta i propri passi e si guarda attorno, si rende conto di essere giunto nella sala maestra dove, addossato al muro a lui parallelo e coperto da un pesante velo di velluto rosso, giace placido il mezzo che servirà a celebrare tale alleanza….

“Non so chi tu sia, non conosco il tuo volto né ho mai udito la tua voce… ma ti attendo, Varcatrice.”
 
…. Ma mentre osserva quel velo, si rende conto che, forse, squarciarlo e guardarvi attraverso non sarà poi così di facile adempienza.
 
***
 
Caos.
Se le avessero chiesto di descrivere la propria famiglia in quella precisa giornata, “caos” sarebbe stata la parola più adatta.
Dopo aver sfrecciato per le vie di Roma, beccandosi anche qualche impropero decisamente colorito da alcuni pedoni, la giovane riesce finalmente a parcheggiare la moto sotto il palazzo signorile che identifica la dimora dei genitori; mentre sfila il casco e riavvia con una mano i lunghi capelli castano ramati, sente chiaramente sua madre interagire con il fratello riguardo un servizio di piatti, un giocoso ridacchiare infantile e l’esclamazione divertita di una seconda voce femminile…e sorridendo, si dirige verso il portone principale, andando a schiacciare il rotondo bottoncino metallico del citofono. Un solo “buzz” è sufficiente per creare un festoso, movimentato brusio nella casa.
 
“E’ arrivata! Isaia, per favore, vai ad aprire a tua sorella!”
La giovane donna ridacchia leggermente al sentire il concitato entusiasmo materno e dopo aver sentito il meccanismo del portone sciogliersi, scivola leggera all’interno dell’edificio andando poi a salire una marmorea, imponente rampa di scale.
 
“Meno male che sei arrivata… mamma cominciava a dare di matto, ancora qualche minuto ed avrebbe telefonato alla Farnesina…”
 
La divertita voce maschile che pronuncia tali parole, la portano ad arrestarsi a metà rampa e sollevare il viso sorridente verso l’alto, verso l’uscio dove un giovane uomo sulla trentina, dal fisico asciutto ed i capelli castani, la attende poggiato con la spalla allo stipite, le braccia conserte ed un affettuoso sorriso.
 
“Non ho sentito la sveglia, scusa…” si trova a mormorare con un sorriso lieve, mentre si avvicina all’uomo appellato con il nome di Isaia per poi abbracciarlo dolcemente; egli ricambia l’abbraccio con altrettanto affetto ed un lieve bacio sulla guancia femminile.
“L’importante è che sei arrivata… ciao sorellina.” le risponde, guidandola poi all’interno e richiudendo la porta alle proprie spalle.
 
***

Avrebbe voluto dare un pugno a qualcosa. Od a qualcuno. Preferibilmente ad una persona il cui nome iniziasse per “N” e finiva con “iccolò”, per l’ansia che gli aveva trasmesso con quel suo continuo parlare del fantomatico evento della serata.
Ansia…. Ma poi, si ritrovò a pensare, perché provarla? Per quale motivo lui, uomo “navigato” e con esperienza di anni, ermetico nelle emozioni come nei sentimenti, si era ritrovato a contorcersi le mani e le sinapsi nell’attesa di qualcosa completamente oscuro e sconosciuto? Niccolò gli aveva assicurato più di una volta che non avrebbero incontrato altro che un alleato, quindi perché tormentarsi tanto?
 
Eppure l’inquietudine non dava nessuno accenno del volersene andare.
 
***
 
Una famiglia è un organismo complesso e di difficile decifrazione. E’ strano come possa cambiare, nel corso del tempo, per gli occhi di un individuo che vi si ritrova a farne parte. Da bambini, la famiglia è il mondo perfetto e dorato che non vorremmo mai abbandonare; tutti ci coccolano, ci viziano e ci coprono d’attenzione. Siamo gli ultimi arrivati, le bamboline di porcellana da proteggere sotto piccole campane di cristallo forgiate d’amore materno e paterno. Durante l’adolescenza, la campana si spezza, la famiglia diventa una gabbia, una prigione di schematicità, regole ed imposizioni di quieto vivere da cui vorremmo scappare il più lontano possibile; insofferenza e ribellione si muovono dentro di noi, che sembriamo avere come unico scopo, il portare scompiglio nella vita dei placidi genitori che, da vezzose bamboline di porcellana, ci vedono trasformarci in strani ibridi con pensieri nascosti ed emotività altrettanto confuse. Ecco quindi comparire i primi piercing, i primi tatuaggi eseguiti in sordina, le prime sigarette ed i tentativi di far sparire l’odore di fumo da alito e abiti prima del rientro a casa; i litigi, le discussioni, i ritardi e i cosiddetti “scontri generazionali”, uno strano e mal definito termine di cui forse ancora nessuno ha capito bene il significato.
 
Per Adria, “dall’alto” dei suoi venticinque anni, la famiglia era un placido porto di sicurezza e sostegno da cui tornare per leccarsi le eventuali ferite. Non si scambi però tale definizione con mero e bieco opportunismo. Adria teneva in altissima considerazione il proprio nucleo famigliare, amando i pregi ed i difetti di ognuno e ringraziando mentalmente loro ogni giorno per amare e sopportare i suoi. E quindi, seduta al signorile tavolo in stile liberty della sala, dove si stava svolgendo il pranzo in onore del suo compleanno, Adria si ritrovò ad osservare ognuno dei commensali che la circondavano. Partì proprio da lui, seduto capotavola e prima colonna della famiglia, suo padre; Manfredi Antinori, medico, un uomo affascinante dai capelli brizzolati e gli occhi grigi sempre attenti ed animati dalla vitalità dello spirito che racchiudevano. Da lui, Adria, aveva preso la sete per la conoscenza, la curiosità dell’andare sempre oltre il primo velo delle cose… ed una certa dose di testardaggine e savoir faire; con una risata mentale ed un sorriso corporale, la giovane si ricordò degli anni del liceo, e di come fosse possibile che ogni amica che varcasse la soglia di casa, si ritrovasse ammaliata dalla figura di suo padre.
 
Alla destra paterna, Isaia, il primogenito e medico chirurgo come il padre. Trentuno anni di vita mescolati con la freschezza di uno sguardo azzurro-grigio che alcuni ciuffi di capelli nascondevano e rivelavano sapientemente. Ecco la seconda, grande “cotta” delle amicizie liceali della ragazza… ma su questa, Adria non doveva sperticarsi troppo per comprenderne il perché; era legatissima ad Isaia, sentimento che il fratello non si era mai dimostrato avaro nel ricambiare. Stranamente, lui era stato il suo sostegno negli anni dell’adolescenza, il suo confidente e consolatore alle prima emotività amorose non corrisposte od infrante; crescendo poi, l’unicità di quel ruolo si era sdoppiata, consentendo anche ad Adria di poterlo assumere nei momenti di bisogno del fratello. Fratello che ora, dopo anni tribolazioni e fidanzate sbagliate, aveva trovato stabilità ed equilibrio emotivo in Annalisa, placidamente seduta al suo fianco, con un occhio sempre a controllare la piccola Eva sonoramente addormentata del grande divano dietro di lei. Annalisa Orsini, di solo due anni più giovane di lui, la bella e bionda rampolla di una delle famiglie più antiche e rinomate di Roma; si erano incontrati all’università e da allora sembrava fosse impossibile vederli separati, di matrimonio ancora non se n’era parlato, ma avendo già una figlia di cinque anni, Adria sapeva ormai che la cosa sarebbe stata imminente.
All’altro capo della tavola, opposta al padre, ecco apparire la seconda colonna portante della famiglia: Beatrice Antinori, cinquantasei anni di dolcezza ed educazione come gli occhi nocciola ed i capelli color miele scuro suggerivano. La donna possedeva innata eleganza e compostezza, unite alla fantasia e sensibilità che i suoi studi da ex professoressa di lettere le avevano donato, un mix che Adria aveva sempre segretamente ammirato; vedeva sua madre come una creatura strana, leggermente fuori posto in questo mondo moderno e razionale, una damina vittoriana caduta per sbaglio nella buca dei viaggi nel tempo e catapultata nel 2012 contro la sua volontà. Adria era convinta che, se ci fosse stata l’opportunità di tornare nel passato, sua madre non ci avrebbe pensato due volte ad accettare.
 
Ed infine lei. Adria Antinori, la festeggiata, la secondogenita, l’unica figlia femmina, l’animo artistico ed il giullare della casa, grazie ad un lavoro come restauratrice ed un senso dell’umorismo che faceva da interessante cornice ad un bel viso con grandi occhi grigio chiaro e lunghi capelli castano ramati leggermente ondulati. Adria, che dopo questa lunga e silenziosa speculazione, si riscuote dal suo momentaneo “stand-by” e va ad apportare, con sorrisi e battute, il suo personale contributo alla conversazione già in corso.
 
***
 
Attendere. Che verbo fastidioso. Un verbo dalla doppia faccia, dalla doppia accezione; nel positivo, è il trepidante e festoso preludio di qualcosa che arriverà a breve, un oggetto necessario, un regalo da scartare, un’occasione colta al momento giusto… nel senso positivo, appunto. Ma per lui, al momento si poteva parlare di tutto tranne che di positività.
Aveva camminato in lungo ed in largo per tutto l’edificio, facendo anche più di una volta una parte del percorso, aveva cercato di tenere la mente occupata con qualsiasi mezzo gli fosse capitato, fisico o mentale che fosse… ma niente da fare, la sua mente e la sua attenzione tornavano sempre , a quella stanza, a quell’oggetto coperto da un drappo scarlatto che pareva prendersi beffardamente gioco di lui. Più di una volta la tentazione di correre là e dare una sbirciata lo aveva colto…ma poi si era reso conto che sarebbe stata un’ammissione di debolezza, lusso che non si era mai potuto permettere prima, e che non avrebbe davvero cominciato adesso a prendere.
Perciò aveva atteso. Per ore. Interminabili ore che lo avevano condotto non solo alla notte, ma anche ai venti minuti cruciali che lo separavano dall’evento.
 
***

Il pomeriggio era trascorso in fretta, come sempre quando si passa del tempo piacevole. L’orologio a pendolo della sala aveva appena segnato le 23.40, quando Manfredi si alzò dalla poltrona, chiuse il libro che aveva catturato la sua attenzione e si diresse verso la figlia.

“Adria, tesoro… puoi venire un secondo con me?”

A quelle parole, vi fu un’impercettibile variazione di atmosfera nell’aria, mentre Beatrice, Isaia ed Annalisa assunsero all’unisono l’espressione del viso che farebbe chi sa che è arrivato il momento di attuare una cosa già pianificata da tempo.
 
“Certo papà,” fu la pronta risposta di Adria mentre si sollevava dal pavimento in cui era intenta ad intrattenere Eva; in pochi passi la giovane lo affiancò, osservandolo e facendo incontrare iridi dello stesso grigio, ma di tonalità differente: scure e tendenti all’ardesia quelli del padre, chiari e con sfumature di ottanio per la figlia. “eccomi… cosa succede?”
 
All’innocente e curiosa domanda della figlia, Manfredi si aprì in un lieve sorriso, muovendo corpo e braccio per invitare Adria a seguirlo nel suo studio. “Vieni con me tesoro…c’è qualcosa che devo farti vedere.”
 
***

“Allora?! L’hai trovata?!”

Come risposta gli arrivò un grugnito stizzito. Beh, meglio di quanto aveva sperato di ricevere.

“Me l’hai già chiesto dieci volte nell’arco di cinque minuti e la risposta non varia. No. Non l’ho ancora trovata. Sono uno storico non un hacker, e se pensi che la gente abbia microchip di localizzazione impiantati nella nuca, allora hai visto troppi film di fantascienza…dato che escluderei i libri.”
 
“Sono sempre più convinto che tu sia in quel periodo del mese perennemente, benchè tu sia un uomo. Con tutta quella roba che hai davanti ancora non sei riuscito a trovarla?”
 
All’ultima osservazione, ci manco poco che al primo individuo non prendesse un principio di infarto; voltandosi di scatto con la sedia girevole, fulminò il secondo con un’occhiata che avrebbe potuto competere con lo sguardo della Gorgone…. Se non fosse stata accompagnata da un poco intimidatorio e lieve tic nervoso all’occhio.
 
“Questa roba?!” esclamò con qualche ottava di più nella voce, che andò immediatamente ad abbassare. “Questa roba, ehm, questa roba non è niente di speciale, davvero, questa roba è solo la roba che impedisce a tutta la nostra operazione di andare a puttane.”
 
“Wow…” aggiunse una terza voce, femminile stavolta. “Hai ripetuto “questa roba” cinque volte nell’arco di un minuto e venti… il tuo record andrebbe aggiornato, prima era di un minuto e quaranta.”
 
Si aspettarono entrambi una risposta acida e tagliente di rimando… o almeno l’invito ad andare al diavolo. Invece no, niente. Tutto quello che ottennero fu una sorta di ringhio sommesso ed una schiena voltata per poter tornare al lavoro.
 
***

L’odore dello studio paterno l’aveva sempre fatta sentire a casa, in un certo qual modo. Libri antichi e profumati di corti rinascimentali, di polvere da sparo delle guerre, di colori ad olio ed inchiostro dei grandi pittori e scrittori.. ma anche l’odore del legno delle scaffalature, amorevolmente curate e cerate sommato, a volte, con quello pungente della lampada a cherosene, vezzo vintage che il padre aveva acquistato tempo addietro da un antiquario e che a volte si divertiva ad accendere per “un salto nella luce del passato”, come a lui piaceva chiamarlo.
Ma oltre a tutte quelle sensazioni, un dettaglio l’aveva particolarmente colpita; appoggiato alla scrivania vi era un oggetto di forma lunga e rettangolare, coperto da un lungo drappo nero che lo nascondeva completamente e vicino al quale Manfredi si fermò, rimanendo in piedi. Un nuovo pezzo d’antiquariato acquistato e che voleva mostrarle? Una tela da farle restaurare? Un ipotetico regalo di compleanno decisamente ingombrante? Non faceva fatica ad ammetterlo… stava bruciando di curiosità.

“Adria… tu sai chi sono gli Assassini vero?”

“Gli Assassini, anche noti come Confraternita degli Assassini, sono un ordine di sicari il cui scopo è preservare la pace e il libero arbitrio del genere umano. Essi sono attivi sin dall'alba del dominio degli uomini sulla Terra, e conseguono una secolare guerra contro l'Ordine dei Templari. Vorresti anche il motto? Eccotelo: Agiamo nell'ombra per servire la luce, siamo Assassini. Nulla è reale, tutto è lecito"
 
Fu la risposta tra il serio ed il faceto di Adria, che aveva impostato volutamente la voce a scimmiottare una lezione scolastica imparata a memoria, con un sorriso bonario sul volto.

“Scherzi a parte papà, certo che so chi sono gli Assassini… E’ da quando ho tredici anni che istruisci me ed Isaia a riguardo. Credo, Templari, frutti dell’eden… non mi manca nulla, ci hai fatto leggere e studiare forse tutto quello che aveva pagine scritte a riguardo.”
 
Manfredi ascoltò la figlia sorridendo lievemente, annuendo con la testa a conclusione delle ultime parole giovanili mentre la mano sinistra cominciava ad andare a posarsi sulla sommità dell’oggetto nascosto.

“Mi fa piacere vedere che tutto il tempo speso per tale motivo non è andato perduto.”

“Papà, non mi ci è voluto molto per capire che tutti quegli uomini seri e burberi che ogni tanto incontravi qui, fossero in realtà Assassini.. beh, ad Isaia magari è anche scappato detto qualcosa, ma chiunque si sarebbe accorto che non fossero semplici pazienti.”

“Accidenti…” ribattè il padre gentilmente scherzoso. “Credo di aver creato un mostro. Tuttavia, ho un’ultima domanda.. Sai chi è Ezio Auditore, giusto?

“Ezio Auditore da Firenze…un nobile fiorentino che divenne uno dei più grandi Mentori dell'Ordine degli Assassini. Papà certo che lo so, perché mi stai chiedendo l’ovvio?”

Un sorriso carico di soddisfazione incurvò le labbra ed illuminò gli occhi di Manfredi… si, era pronta. Sua figlia era quello che gli avevano pronosticato venticinque anni prima, il giorno della sua nascita.
 
“Mia cara, forse ora mi prenderai per pazzo e non potrei biasimarti; probabilmente io penserei la stessa identica cosa..”

“Papà, ora mi stai inquietando” lo interruppe per un attimo Adria, passando il peso del corpo dalla gamba destra a quella sinistra. “Dove vuoi arrivare? Che motivazione lega tutte queste domande, il mio compleanno, Ezio Auditore e quest’oggetto nascosto?”

La risposta di Manfredi non si fece attendere, semplice e concisa come soleva fare con le questioni importanti.

“Adria… io ti sto per offrire l’opportunità di incontrarlo.”

***

Quello?! Tutto quel trambusto e quella segretezza per quello?! La sala grande piena di candele e bracieri accesi chiusa a chiunque altro che non fosse lui, Machiavelli, sua madre e sua sorella… per quello?! Quando Niccolò andò a togliere il drappo carico della sua ansia dall’oggetto, rivelandone finalmente la natura e la forma, sulle prime pensò che l’amico fosse ammattito.

“Mi stai prendendo in giro per caso?” esordì con un tono di voce simile ad un ringhio ed a cui Machiavelli non fece una piega.

“Ti sembro qualcuno che ti stia prendendo in giro?” ribatté pacato.

“Direi di si, dato quello che mi si sta presentando davanti agli occhi! Non penserai davvero che possa funzionare o che io creda ad una simile cosa!”

“Ezio io non ho mai detto che ci devi credere.” Replicò l’uomo più anziano in tono calmo e naturale, come se gli stesse dicendo la cosa più naturale del mondo. “Ma solo che lo devi accettare così com’è.”

Un secondo ringhio, più profondo e piccato fu la risposta… odiava essere preso in giro, e se Machiavelli davvero si aspettava che lui accettasse una cosa del genere come fatto compiuto, beh.. si sbagliava di grosso.
 
***

Era ufficiale, suo padre era completamente partito di testa. Quella spiegazione, quel titolo che, secondo lui, lei portava sin da quando era nata.. e soprattutto quello che avrebbe dovuto fare, in relazione a tale nomea.

No. Decisamente no. Ulteriormente no, osservando il “filo conduttore” tra le due cose che Manfredi aveva terminato pochi istanti prima di spiegarle.

“Papà, se questo è uno scherzo, direi che è davvero di pessimo gusto… come pensi che possa credere a questa cosa?”

“Adria, in tutti questi anni quante volte ti ho dato motivo di dubitare di me?”

“Ehm… mai?”

“Esattamente… quindi, perché dovrei cominciare proprio ora? Lo so che può sembrare assurdo e surreale, e probabilmente lo è; ma ci sono cose a questo mondo che dobbiamo accettare così come sono.”

La giovane si trovò a riflettere su quelle parole… effettivamente suo padre non le  aveva mai mentito, quindi perché avrebbe dovuto, appunto, cominciare ora a farlo? E su una cosa così improbabile. Forse quello che le stava dicendo era davvero la verità… una verità che forse non avrebbe mai capito come potesse esistere, ma la realtà effettiva delle cose; mosse appena la testa, quel tanto sufficiente per guardarlo negli occhi.

“Quindi mi stai dicendo che…”

“Si.”

“E che io…”

“Si.”

“Con…"

“Si.”

“Ma che…”

“No.”

“Cos’è, stiamo giocando a –Completa la frase prima di Adria-?!” ribattè leggermente piccata, strappando una risata divertita a suo padre.

“Scusa tesoro, non volevo prenderti in giro…tra poco dovrai andare.”

“Cosa?! Ti aspetti sul serio che lo faccia? Da sola?”

“Oh no, certo che no…”

“Ah, Dio ti ringrazio…” fu l’osservazione femminile, con un piccolo sospiro di sollievo….

“Solo per stavolta io verrò con te.”

…. Che suo padre trasformò immediatamente in un pigolio strozzato.


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Wow. Stavolta lo dico io, vedendo che sono riuscita a pubblicare addirittura un giorno prima della scadenza. Discorsi a parte, scusate per l'attesa e grazie per essere arrivati sin qui.

Dead Rose Gardener
 

 
  
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