Cacciatori e Vittime.
La Profezia
Capitolo 5.
È
passato così tanto tempo da quando ti ho vista così. Illuminata di quel
bagliore che mi feriva gli occhi e riempiva il cuore di dolore e amore.
Mi
sei mancata.
Vederti
così, finalmente libera…
…ora
puoi contare le stelle insieme a lui.
Io
mi farò da parte… e vivrò guardandoti da lontano, mentre sorridi.
Il
trucco è voltarsi, e camminare fin quando non hai più memorie.
Che
infantile, che egoista, comportarmi così…penserai.
Ma
alla fine penso che sia meglio così. Per me. Mi dispiace abbandonarti.
Ma
se dovessi scegliere tra me e te ora…sceglierei di salvare me stessa.
Le
guerriere fanno così, si salvano da sole.
E tu
sei la principessa che mi aveva ammaliato, invogliandola a salvarla. Ma io non
sono il tuo principe azzurro. Non lo sono mai stata.
Mi
dispiace, scusami.
Ora
va. Io sto qui. Ho una missione da compiere…
Devo
combattere… per me stessa.
Nonostante
la potenza di Cassandra, e del potere della Dea della Luna, le guardie
continuavano ad affluire in massa dentro il salone, scavalcando i cadaveri dei
propri compagni e a scivolare sul sangue che imbrattava il pavimento bianco.
«Ritiriamoci,
via!» Elisa urlò, tornando normale e aprendo la porta sotto le scale, dove di
corsa si insinuarono Andrea e Joshua, provati dai combattimenti. Cassandra
ignorò platealmente il suo comando, continuando a combattere. Dardi composti da
pietra di luna nascevano e affluivano come pioggia aguzza contro i guerrieri
che cercavano di ripararsi dai suoi attacchi usando scudi di ferro. La pietra,
così come moriva spezzandosi contro di essi, spariva nel nulla, lasciando solo
un bagliore tenute nell’aria.
«Cassandra!
Muoviti!» le urlò, spingendo via altri due uomini armati. Erano troppi.
«Ce
la posso fare!» rispose, continuando a scagliare scaglie di luna e a lanciare
con la forza della dea i guerrieri lontano da lei. Ma una presa forte sul
braccio la trascinò con forza, spingendola dentro il piccolo corridoio buio,
chiudendo la porta in legno.
Bloccò
con un bastone la porta, subito assediata dai soldati dall’altra parte.
«Muoviamoci!
Correte!» e iniziarono a correre per il corridoio. Cassandra prese il braccio
di Elisa, fermandola infuriata.
«Come
ti sei permessa di trascinarmi qui! Ero completamente in grado di farcela!» il
suo orgoglio ferito gridava vendetta. Elisa la fulminò con lo sguardo.
«Se
non te ne sei accorta, signora sacerdotessa, non esisti solo tu! E ora muoviti,
discuteremo poi!».
Elisa
si strinse il fianco con una mano. Una fitta lancinante le aveva spezzato il
respiro. Cassandra notò il gesto, ma non proferì parola, continuando a correre.
Era ancora arrabbiata per il modo in cui l’aveva trattata.
Alla
fine del corridoio si ritrovarono in una saletta, dove subito i due ragazzi
iniziarono a liberarsi dell’armatura, ormai inutile e pesante nei movimenti.
«Dobbiamo
dividerci.» dissero all’unisono Elisa e Andrea. La ragazza divenne leggermente
color porpora in viso, deviando lo sguardo dal suo. Quegli occhi gialli, mezzi
spezzati dal marrone, non riusciva a reggere il confronto. Il respiro di Elisa
si fece affannato. Quella fitta al fianco… non si fermava dal pulsare.
«Sì,
voi andate verso est, mentre noi due attireremo l’attenzione portandoli nelle
strade, dove faremo perdere le nostre tracce.» i rumori di passi pesanti e di
comandi urlati ai soldati si avvicinavano sempre di più.
«Ci
ritroviamo in una delle case abbandonate vicino alla porta di sud-est. Saprete
quale perché vedrete il simbolo della dea su una di quelle porte.» E detto
quello i due giovani sparirono dietro l’angolo del corridoio.
Elisa
si trasformò, e ruggì con forza per farsi sentire dalle guardie. In quel
momento Elisa sentì quasi le forze cederle. Rimanere trasformata… le rendeva le
cose più facili.
«Monta
su, forza!» intimò alla sacerdotessa, con voce gutturale e furiosa. Cassandra,
a quelle parole reagì in maniera completamente diversa da quella che la donna
pantera si aspettava. Sembrò spaventata.
«No!»
disse, come se si fosse scottata col fuoco. I suoi occhi erano pieni di timori.
Qualcosa che Elisa non riusciva a comprendere.
«Forza,
muoviti! Non c’è tempo!» delle guardie stavano correndo verso la loro
direzione, richiamando le altre guardie. La sacerdotessa, con riluttanza, salì
sulla pantera, afferrando il pelo del collo. Elisa ruggì, instillando nelle
guardie la paura. E Cassandra sentì un brivido familiare percorrerle la
schiena. In quel momento, il calore di lei, il suo odore così forte, la
delicatezza della sua pelliccia sotto le sue mani e quel ruggito così
rassicurante, pieno della potenza e della rabbia di lei, pronta a difenderla
con la sua vita.
Ecco, di nuovo quel sentimento,
Cassandra.
Ma allora, in tutti questi anni, cosa
hai imparato?
Dopo tutto questo tempo… quel
sentimento è ancora vivo?
Non posso farlo…
Non voglio ferirla di nuovo. Non posso.
Non io.
Devo mantenere le distanze.
Se non sarà lei quella matura… lo sarò
io.
E
poi il vento le sferzò il volto, il balzo del corpo della pantera sotto il suo
peso la trascinò in una corsa per la sopravvivenza in mezzo a lance e frecce,
dove per resistere al non cadere si afferrò con tutte le sue forze al collo di
quel possente animale che era la sua amica morta. La sua amica morta tornata
alla vita per uno scopo divino.
Quando
uscì fuori non si rese nemmeno conto che c’era la luna piena, e la luce era
così forte da far sembrare la notte il giorno. E i corridoi del palazzo
scorrevano veloci sotto i suoi occhi, così come i palazzi intorno ad esso. Era
stata velocissima a uscire dalla residenza del sacerdote capo, una volta la sua
residenza, ignorando completamente le guardie che tentavano di fermarla. Era
inesorabile, scattante e veloce. Ignorava completamente le guardie e, se
poteva, evitava di fare loro del male.
Come
se avesse un presentimento, quando si fermarono in mezzo ad un incrocio di
strade, Cassandra poté sentire benissimo il fiatone della pantera. Ansimava
pesantemente.
“Qualcosa
non va.”.
«Elisa…
Stai bene?» domandò la sacerdotessa, accarezzandole il collo, ma venne
prontamente zittita scostando il volto, come a scacciare quel gesto. Stava
ascoltando, Elisa. Cercando di ignorare il rumore pesante del suo respiro.
Aveva evitato i colpi più pericolosi, ma era comunque ferita. Non riusciva a
capire come mai si sentiva a corto di energie. Il suo corpo sembrava non
rispondere bene ai comandi. E il fianco… non la smetteva di pulsare e spingere
nelle sue viscere, come una lama incandescente nelle sue interiora e scuoterle.
Forse, pensò, quando aveva afferrato il bastone per strapparlo al falso
sacerdote, l’energia del Dio del Sole non le aveva risucchiato solo la poca
energia divina rimasta in lei. Ma anche le sue energie di semplice essere umano.
Un
rumore da ovest la fece correre subito in avanti, spingendo oltre i limiti del
proprio corpo. Il rumore di cavalli lungo le vie la mettevano sotto uno stress
ulteriore. La vista iniziava a calare. Ad un certo punto, saltando da un
palazzo, si accorse a metà caduta di aver perso le sembianze di pantera. Lei, e
Cassandra, stavano letteralmente cadendo nel vuoto. In quell’istante, in mezzo
all’aria, la prima cosa istintiva fu quello di girarsi e afferrare Cassandra
per proteggerla dalla caduta.
Rovinarono
dentro un vecchio magazzino, sfondando il tetto di semplice paglia, cadendo e
scivolando su dei vecchi cumuli di vestiti.
Elisa,
tremante, strinse il corpo di Cassandra, come pronta a nuovi dolori. A nuove
fitte. Le mani di Cassandra strinsero con dolcezza i fianchi di lei, che
rispose scattando, issandosi.
Il tuo respiro sul collo…
O Dea…
I
loro volti vicini, gli occhi che si mischiano in una apoteosi di magia e
incanto, persi nel loro mondo fatato pieno di dolcezza e confusione, di
amarezza e voglia di affogarci, riempiendosi e svuotandosi di sentimenti oltre
il confine del voluto e non voluto.
Baciami.
Cassandra
si perse in quel desiderio e i suoi occhi, indecifrabili, erano indecisi se guardarla
e basta, o prendere le sue labbra lì, in quel preciso istante, così
inevitabilmente vicine alle proprie. Così dannatamente invitanti.
Si
guardarono per istanti che sembravano eternità, eternamente indecise se
rispondere a quella voce lontana che ricordava il loro passato, travestita da
istinto, e baciarsi, o rispondere alla chiara voce della ragione, che gli
ricordava che erano entrambe braccate e ricercate da tutte le guardie della
città.
Elisa
mosse leggermente un ginocchio, sfiorando l’interno coscia di Cassandra. Che
rispose con un ansimo.
Dea, Cassandra…
Pensavo di essere andata avanti…
Ma le tue mani sul mio corpo…
La tua voce ansimante…
Tra
i due litiganti il terzo gode, dice il detto.
Il
fisico spossato di Elisa ha vinto sia sui suoi istinti, sia sulla ragione, e
perse i sensi svenendo addosso a Cassandra.
«Elisa?!»
la sacerdotessa cercò di scuoterla, sorpresa, sentendo come era crollata a peso
morto addosso a lei. Non riuscendo a svegliarla la scostò da lei, appoggiandola
al pavimento con cura. Con le mani impose dei simboli sulla sua fronte,
mormorando parole dimenticate. Il bastone brillò leggermente, e gli occhi di
Elisa si riaprirono.
«Elisa,
mia Dea… come stai?» mormorò, parlando a bassa voce. Le urla delle guardie
riecheggiavano nelle vie, ma erano lontane…per ora. I desideri carnali…spariti.
Forse è meglio così.
Ci sei andata troppo vicina,
Cassandra…troppo vicina.
«Ah…
che mi è successo?» domandò, stringendosi la testa con le mani. Finalmente la
fitta di prima le era passata…ma non aveva ancora capito perché.
«Sei
svenuta…» rispose, e l’aiutò ad alzarsi.
«Dobbiamo
andare, adesso che siamo riuscite a far perdere le nostre tracce…» mormorò,
traballando leggermente. La presa dolce di Cassandra addosso a lei bruciava. La
scostò, come per farle capire che sapeva stare in piedi da sola.
«Sì,
andiamo…» mormorò, delusa dal distacco immediato di lei. Il contatto…era
qualcosa che ricercava, e allo stesso tempo temeva. Si avvicinarono al portone,
aprendolo leggermente.
«Ah,
Cassandra…» disse Elisa, scrutandola dal buio con i suoi occhi gialli.
«Grazie.» e uscì, lasciando un sorriso sincero sul volto della giovane donna
riccia.
Dea Elisa… mi fai sentire come se non
avessi cent’anni.
Mi fai sentire di nuovo come quella
ragazzina impacciata, che voleva solo crescere…
Dea, se potessi tornare indietro…
********
I
ragazzi si muovevano veloci e silenziosi per la via, rivestiti da mantelli neri
stracciati avanzavano nella notte, i capelli rossi di Andrea si potevano vedere
lontano metri, illuminati dal bagliore della luna piena.
Erano
riusciti a scampare molto velocemente. Dopotutto, le ricercate erano Cassandra
ed Elisa, non loro.
«Qui.»
bisbigliò Joshua, indicando una porta divelta. Passando vide inciso sullo
stipite il simbolo della dea.
Raggiungendo
il piano superiore poté sentire gli scricchiolii delle scale sotto il suo peso.
Poi, in un secondo, vide il mantello del ragazzo sollevarsi, e la voce
gutturale di Elisa uscire dal buio, così come i suoi occhi iniettati di giallo.
«Identificati.».
«Siamo
noi, lascialo andare!» sbraitò d’istinto Andrea, e vide lui crollare sul terreno.
I suoi occhi gialli erano su di lei, ed erano tremendamente affascinanti. Sentì
il suo corpo cedere a quello sguardo e non smise di fissarla e desiderarla. Le
vesti stracciate di lei che tralasciavano pezzi di pelle che in quell’istante
Andrea desiderava mordere e fare sua.
Cassandra
uscì da un angolo, portando in mano un globo di luce fievole, che illuminava
appena la stanza, ma abbastanza forte da potersi vedere in faccia. E la magia
si spezzò.
«Elisa,
calmati.» le rimproverò, scocciata. Rispose grugnendo e sedendosi per terra. La
coda si muoveva in modo agitato.
«Cos’ha?»
domandò Joshua, stringendosi il collo. Gli aveva spezzato il respiro con poco.
«Non
lo so.» rispose la sacerdotessa «Voi come state?».
«Vi
abbiamo portato delle provviste.» disse la rossa, porgendo un fagotto alla
riccia.
«Le
avete rubate?» domandò Cassandra, conoscendo il passato di Joshua. I suoi occhi
fulminarono il ragazzo, che prontamente rispose.
«No,
le ho comprate.» disse seccato, conoscendo benissimo quello sguardo di lei.
Aveva lo stesso identico sguardo quando gli chiedeva dove aveva preso la roba.
Sì, era ringiovanita, e aveva ripreso la vista, ma era sempre lo stesso modo di
guardarlo. Anche se, con il buio e con quelle vesti così…succinte, riecheggiava
di meno la rabbia nel suo corpo, per far spazio a più frivole fantasie… che
cacciò passando un fagottino a Elisa.
Lei
lo guardò stranito.
«Che
è?» domandò, come se non capisse.
«Cibo.»
rispose.
Elisa
lo afferrò e vide una forma di formaggio insieme a un pezzo di pane. La sola
vista le fece venire un conato di vomito. Troppo forte da ritirare. Abbandonò
il fagotto sul pavimento e si precipitò verso la finestra, vomitando.
«Elisa!»
Andrea scattò verso di lei, mettendole una mano sulla spalla, come per
sorreggerla. Vomitò bile. E cadde sulle ginocchia, come se non avesse più forze
per reggersi in piedi. Andrea l’afferrò con forza, trascinandola verso
l’interno. Le passò dell’acqua che prontamente Joshua le aveva passato. Bevve
come se non avesse mai bevuto in vita sua, come un assiderato nel deserto.
Andrea notò le labbra fruste di lei appoggiarsi al boccale della borraccia da
dove aveva bevuto prima, e non riuscì a reprimere quella piccola soddisfazione
di aver condiviso con lei quel bacio indiretto.
La
voce di Cassandra spezzò, per la seconda volta, le sue fantasie.
«Lei
mangia solo carne. Il resto la disgusta.» disse, come per informare gli astanti
che lei non è un semplice essere umano ma un Infetto. Un mostro che divora
carne e interiora per il proprio autosostentamento.
«Carne…»
iniziò a mormorare, come in una litania. Una preghiera. E gli occhi da marrone
passarono al giallo. Con forza sovraumana spinse sul pavimento Andrea,
costringendola sotto il peso di quello che ora era più pantera che essere
umano.
«Carne…»
mormorò con voce gutturale, passandosi la lingua sulle fauci che ora grondavano
saliva, come a pregustare il banchetto sotto le sue mani.
La
rossa rimase come immobilizzata. Fissandola negli occhi completamente gialli,
che le penetrava l’anima.
La
sua presa era così forte che le mise in moto l’adrenalina e l’eccitazione.
Il
suo corpo a contatto col suo era così invitante… poi vide un bagliore bianco
dividerle, e il corpo di Elisa tornare normale. Ansimante e sudato. Come se
avesse ripreso una coscienza in maniera brutale e dolorosa, abbandonò la presa
su Andrea e in quel momento la mora si rese conto di cosa stava per fare.
La
rossa, come di fronte ad un vetro, vide l’evolversi delle sue emozioni: prima
la sorpresa, come se la pantera non fosse sotto il suo totale controllo, poi la
stanchezza, un barlume di confusione – così intrigante, così affascinante – e
infine quello che le spezzò il cuore… l’amarezza. Il disgusto verso se stessa
per quello che stava per fare.
«Andrea…»
si scostò di lato, trascinandosi verso il muro, appoggiando la schiena.
«Scusami, io non…».
«…non
eri in te.» finì la frase Cassandra, scocciata. Il bastone in mano.
«Osa
toccarla un’altra volta e ti spezzo le ossa.» Joshua guardava la sacerdotessa
con i poteri della Dea nelle sue mani e la Vista nei suoi occhi. Era come
l’apoteosi della magnificenza divina. Ed era fottutamente eccitante. Scosse di
nuovo la testa per scacciare quei carnali pensieri dalla testa.
In
quel momento Andrea odiò sua madre con tutta se stessa, e la fulminò con gli
occhi, come se avesse interrotto qualcosa che non doveva essere fermato.
«Dobbiamo
andare via da questa città, prima o poi ci troveranno.» disse il ragazzo,
guardando le due donne che si stavano scannando con gli occhi. Madre e figlia
in un combattimento silente.
«Dobbiamo…
rubare un cavallo…» disse Elisa, ansimando. L’incantesimo di Cassandra aveva
effetto immediato, ma non poteva darle sollievo. L’unica cosa che l’avrebbe
rimessa in forze era la carne…e lei sapeva benissimo quello che doveva fare.
Anche se il solo pensiero la disgustava.
«Qui
vicino c’è una caserma, poco prima dell’accesso verso il deserto.» informò
Joshua, che conosceva benissimo quel posto. Vi era stato rinchiuso, una volta.
«Allora
tu sai come fare per prenderlo…dico bene?» insinuò Cassandra, con lingua
malevola. Il ragazzo non rispose alla provocazione.
«Riuscirò
a prenderne solo uno però.».
«Non
importa, uno basta.».
«Ma
siamo in quattro. Un cavallo riesce a portare al massimo due persone.».
«Una
la porterò io.».
«Ma
non sei in forze. E poi ci sono troppe guardie per passare inosservati dalla
porta.» disse Andrea. Cassandra mangiava in silenzio, mentre osservava Elisa. I
suoi occhi diventarono gialli, sogghignò, e il suo sguardo divenne maligno. E
un ricordo le balenò in mente.
«Mi
hai tradita!» urlò Cassandra, tra le lacrime, coprendosi con un velo. Elisa,
tornando alla forma umana, sogghignò. Gli occhi gialli. La voce distorta.
«Stupida
umana, che credevi? Che mi fossi innamorata di te?».
«A
loro ci penserò io.» e un brivido freddo passò per i due giovani che la
guardavano. Uno per lo spavento, l’altra per l’eccitazione. Più la guardava e
più la desiderava.
Ero alla
ricerca di un sogno.
Lo bramavo,
e lo cercavo nella carne.
E ora, nel
buio della notte… quel sogno sta prendendo le forme di un corpo.
E di un
volto.
Il suo.