Anime & Manga > Tengen Toppa Gurren Lagann
Ricorda la storia  |      
Autore: EmmaStarr    02/10/2015    0 recensioni
Kamina si sdraia e chiude gli occhi all'ombra del melo sotto cui stanno sdraiati, e un sottile filo di vento gli scompiglia impercettibilmente i capelli. Simon morde la punta della matita per un minuscolo istante prima di riprendere a disegnare, e i tratti si fanno più decisi, più puliti. Mentre aggiunge dettagli, tira lunghe linee verticali e delinea larghe forme circolari, cullato dal vento e dal rumore del fiume, Simon fa un profondo respiro e sorride: dev'essere questa, la libertà.
* * *
|Simon&Kamina| |Pittori!AU| |Francia, 1800| |One-shot|
* * *
Dedicato a Emma_Sirius_Potter: buon compleanno!
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kamina, Simon, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Go and catch a falling star

 

 

Spesso le persone fanno arte ma non se ne accorgono.

 

 

Simon si stiracchia piano, passandosi la pesante borsa di cuoio sull'altra spalla: finalmente fuori. Il cielo è terso e il sole è così luminoso da costringerlo a coprirsi il volto con una mano, mentre un sorriso quasi involontario gli si dipinge sul volto. Lui è lì, come sempre.

«Ehi, Simon! Hai fatto presto, oggi!» ride Kamina, salutandolo con una possente pacca sulla spalla. L'altro si limita ad annuire: non è mai stato un tipo molto espansivo, per quello Kamina basta e avanza. Inforcano le biciclette e si allontanano a tutta velocità attraverso i campi inondati di luce. Kamina pedala in piedi, facendo ridere Simon con le sue strane acrobazie. «Gira di qua!» grida ad un certo punto, prendendo una stradina seminascosta dalle lunghe spighe di grano dorato che riflettono il calore del sole.

«Dobbiamo tornare presto, o il direttore si arrabbierà...» tenta timidamente Simon, la bici già inclinata nella stessa direzione di quella di Kamina. Il direttore dell'orfanotrofio in cui vivono ha sempre avuto un occhio di riguardo per lui, ma con Kamina è tutta un'altra faccenda. Simon non vuole che venga punito per colpa sua.

Kamina ride forte, al vento. «Ci metteremo solo due minuti» assicura, e Simon sa che non è vero, ma sorride lo stesso e continua a pedalare.

Si addentrano nel frutteto che c'è ai piedi della collina per quasi un quarto d'ora, finché Kamina non frena bruscamente puntando i piedi a terra. «Eccoci» proclama, serio.

Simon appoggia la bici a terra in mezzo all'erba alta, facendo attenzione a non sporcarla con i frutti maturi spiaccicati al suolo, poi si siede con la schiena contro un albero.

«Com'è andata oggi a scuola, eh?» domanda Kamina, allegro. «Dai, sono curioso di sapere cosa fa il mio fratellino preferito tutti i giorni!» Non sono davvero fratelli: nell'orfanotrofio di Jhia le parentele non esistono. Kamina però non la vede in questo modo, lui è convinto che non sia il sangue a determinare i rapporti tra le persone. “Tu ed io siamo fratelli, Simon”, dice sempre, “non nel corpo, ma nell'anima!”. A Simon piace questo suo modo di fare così esagerato, profondo, spigliato. Kamina dice cose belle, cose importanti, cose vere, e non ha paura di farlo.

«Niente di che, le solite cose» borbotta Simon, un po' imbarazzato. Non gli piace parlare della scuola, non gli piace essere costretto ad andarci mentre Kamina ha già finito da un pezzo. In realtà, quando Kamina aveva la sua età lavorava già da due anni buoni. Simon continua a studiare perché “ha talento”, è “un ragazzo così intelligente”, e “sarebbe un peccato sprecare questi doni”. Lui sa che il direttore spera di vederlo intraprendere una carriera importante, magari da avvocato, o da medico. Ma il loro è un paese piccolissimo, e le borse di studio non le danno agli orfani che non hanno il becco di un quattrino. E poi, Simon non vuole fare quel genere di lavoro: sa già cosa vorrebbe diventare. Questo è un segreto che solo lui e Kamina condividono.

«Ho trovato un nuovo album» rivela Kamina aprendo la sua sacca di cuoio consunto. La tocca con dita gentili, delicate, perché è l'unica cosa che suo padre gli abbia lasciato. È arrivato all'orfanotrofio che aveva già quasi otto anni, quindi giura di ricordarsi tutto alla perfezione: suo padre, diceva sempre con orgoglio, era un vero artista. Dipingeva la realtà non come la si vedeva con gli occhi, ma col cuore, con la mente, con l'immaginazione. “Ora che hanno inventato la fotografia, a che serve saper ricopiare perfettamente un paesaggio o una donna?” dice sempre Kamina quando si parla di questo. “L'arte è progresso! L'arte è passione, rabbia, amore! Bisogna aprirsi alle nuove correnti, all'arte come sentimento!”.

In realtà, in questo sperduto paesino francese di campagna, quasi nessuno capisce un accidenti di arte. Solo il direttore possiede qualche vecchia crosta rinascimentale che si ostina a chiamare capolavoro, e non perde occasione per insultare Kamina ogni volta che questo tira in ballo l'argomento. Grida sempre ai più giovani di non starlo a sentire, di non credere a una parola di quello che dice. Ma Simon lo ha ascoltato lo stesso, quando parlava di pittura. Di nascosto, a luci spente, si intrufolava sempre nel dormitorio dei grandi e si faceva cullare dalla voce di Kamina che esaltava la forza delle pennellate sulla tela, l'emozione che scaturisce da due colori messi vicini, le mille sfumature dell'acqua, le infinite facce dell'umanità che vive e muore, che lotta, ama, piange, spera, ride, cresce, cade e si rialza infinite volte. Era questa l'umanità che Kamina voleva dipingere.

«Come l'hai avuto?» domanda Simon con un sorriso incredulo, facendo passare un dito esitante sulla carta liscia e pulita. Simon ama disegnare, l'ha sempre amato. Ancora quando i suoi genitori erano vivi, lui tratteggiava paesaggi, facce, case, cercando di fissare sulla carta ciò che più lo colpiva.

Nessuno prima di Kamina l'aveva capito davvero, nessuno prima di lui aveva espresso ad alta voce quello che Simon aveva sempre avuto nel cuore.

Da quando ha preso coraggio e gli è andato a parlare, Kamina si è dimostrato il migliore amico che un ragazzino sperduto come lui avrebbe potuto desiderare: anzi, più che un amico. Sì, Kamina l'aveva preteso quasi fin da subito, questa cosa del fratello. Simon sa di non essere il primo, ma in cuor suo si compiace un pochino dell'idea di essere il preferito di Kamina, anche se davvero non ha idea del perché. Lui non è espansivo come Kamina, non è così brillante, non è capace di esprimere le sue opinioni con la forza del fratello, non si infervora come lui e non dipinge nemmeno così bene.

«L'ho guadagnato» ribatte Kamina, sorridendo enigmatico. Poi gli batte una pacca sulla spalla. «Dai, disegnami qualcosa.»

E Simon obbedisce. Afferra con delicatezza il plico di fogli -è talmente raro trovarne di puliti, di nuovi! Sono così bianchi che Simon ha quasi paura di rovinarli. Il primo tratto è incerto, un po' tremolante, ma la punta della matita è spessa e non si nota tanto. È la stessa matita che usa a scuola per scrivere, una tozza bacchetta scura con la mina rotta in mille punti diversi. Ma è l'unica che ha, e per lui è il suo tesoro più prezioso.

Kamina si sdraia e chiude gli occhi all'ombra del melo sotto cui stanno sdraiati, e un sottile filo di vento gli scompiglia impercettibilmente i capelli. Simon morde la punta della matita per un minuscolo istante prima di riprendere a disegnare, e i tratti si fanno più decisi, più puliti. Mentre aggiunge dettagli, tira lunghe linee verticali e delinea larghe forme circolari, cullato dal vento e dal rumore del fiume, Simon fa un profondo respiro e sorride: dev'essere questa, la libertà.

 

* * *

 

Se varrò qualcosa più in là, la valgo anche adesso, perché il grano è grano, anche se i cittadini all'inizio lo scambiavano per erba.

 

Kamina sogghigna piano, le braccia incrociate. «Che ti avevo detto?»

Il ragazzo biondo sembra trattenersi a fatica dal tirargli un cazzotto. «Brutto figlio di...»

«Fratello, dai, basta così!» esclama una voce di fianco a lui, tirandogli delicatamente il braccio.

Kamina sospira e alza gli occhi al cielo. «Simon ha ragione, saltiamo i convenevoli» stabilisce, un sorriso di vittoria sul volto. «È andata come avevo previsto, quindi devi mantenere la tua parola: ora fai ufficialmente parte del “Salon des Artistes Indipendentes”» proclama, facendo rotolare quelle parole sulle labbra con orgoglio, soddisfazione, affetto. Simon sa bene quante serate hanno passato scartando infiniti nomi, titoli, espressioni per definire quello che volevano fare. Alla fine Kamina ha scelto questo perché rappresenta quello che vogliono fare: “indipendenti, nel senso che siamo liberi” ha rivelato con un'espressione euforica per niente offuscata dalla stanchezza.

E Simon non riesce a smettere di sorridere, perché è vero: solo dipingendo con Kamina riesce a sentirsi davvero libero, questo l'ha capito già da tempo.

Il ragazzo biondo sbuffa, grattandosi la testa. «Tu non mi piaci per niente, ma devo ammettere che hai ragione: il grande Kittan non si rimangia la parola data!» esclama. «Credevo che la nostra causa fosse persa in partenza, che la gente non fosse dalla nostra parte» continua, serio. «Ma tu mi hai fatto ricredere. Mi hai convinto: tra i tuoi artisti ora puoi annoverare anche me!»

Simon ancora non riesce a crederci: Kittan è uno degli artisti emergenti più influenti della città, nell'ambito di questa “nuova arte” che va diffondendosi. I suoi schizzi su carboncino sono pieni di vita, raccontano le storie della gente con tratti rozzi ma efficaci, densi di malinconia e gioia, amarezza e ingenuità. È in grado di delineare gli occhi delle persone con tanto coinvolgimento che solo osservando una sua figura sembra di intravedere ogni suo segreto più profondo. Simon era rimasto affascinato dai suoi ritratti, a cominciare dagli sguardi languidi delle prostitute fino ai sorrisi stanchi dei vecchi al bar. Non vede l'ora di lavorare con lui!

È tutto merito di Kamina se sono riusciti ad averlo con loro: lo hanno incontrato il giorno prima, in un caffè di periferia. Era palesemente ubriaco, e stava gridando in piedi su un tavolo che i suoi lavori non valevano e non sarebbero mai valsi niente, assicurando che i “maestri dell'arte” non avrebbero mai accettato la gente come lui. Kamina gli si è avvicinato e ha sfoderato quel suo sorriso, sedendoglisi di fronte. “Vuoi scommettere?”

Poi, Simon ancora non ci crede, ha sganciato la bomba: “Prendiamo due quadri. Il primo sarà un ritratto di quelli che piacciono tanto ai tuoi critici, composto secondo tutte le barbose regole classiche che vuoi. Il secondo, invece, sarà un quadro del nostro Simon!” se n'è uscito, sbattendo le mani sul tavolo. “Domani li venderemo entrambi in piazza per cinque franchi. Vedremo quale sarà acquistato per primo!”

Era una follia, una di quelle splendide follie che solo Kamina riusciva a concepire. Simon ormai conosceva bene quella luce negli occhi del fratello, la vedeva sprizzare dalla sua figura ogni giorno, riusciva a disegnarla. Quando ritraeva il fratello non serviva che si focalizzasse troppo sui contorni del viso o sulla forma dei capelli, no: era tutto negli occhi, stava tutto lì. Tutti i colori dell'arcobaleno non bastavano a rappresentare degnamente la luce, l'energia che emanava. Kamina era come il sole, inesauribile e luminoso, caldo e infinito, come gli sterminati campi di grano in mezzo a cui giocavano da piccoli. È questo che ha disegnato quella notte, immerso tra tutte le variazioni di giallo che era riuscito a ricreare: un fascio di grano come quelli che vedeva tutti i giorni a Jhia. Simon non ne era completamente soddisfatto, ma sapeva che non avrebbe potuto fare di più. Era l'immagine che lui aveva della vita, dopotutto, e se c'era qualcosa che avrebbe potuto trasmettere, era questo.

Grazie a Dio la cosa si è rivelata un successo; Yoko li avrebbe decisamente uccisi se avessero combinato un altro disastro. Andò a finire che tutti quelli che si fermavano davanti ai due quadri inizialmente osservavano il ritratto classico, lodandone il realismo e il tratto pulito, ma poi qualcosa li attirava inesorabilmente verso il quadro di Simon. “È più vero”, cercavano di spiegarsi gli osservatori. “Fa venir voglia di correre, di ridere” disse un bambino.

Kittan sbuffa, a metà tra lo sconfitto e l'allegro, e Kamina gli batte una mano sulla spalla. «Grandioso! Ora siamo abbastanza per la nostra prima mostra!»

La mostra, già. Ormai sono un bel gruppetto: c'è tutta la gente di Littner, tra cui Yoko, Leeron e Dayakka, più un ragazzetto di nome Rossiu che hanno incontrato a Parigi e che viaggia con i suoi fratellini Gimmy e Darry. Ora, con l'aggiunta di Kittan, avranno dalla loro parte anche i famigerati “Fratelli Neri”: lui e le sue tre sorelle.

Secondo Simon, i migliori del gruppo sono senza dubbio Kamina e Yoko. Nelle pitture del fratello c'è un'energia incredibile, colori accesi e abbinamenti impensabili che si fondono in un tripudio di emozioni tanto potenti da togliere il fiato. Yoko invece ha un tratto elegante e morbido, in cui unisce una grazia senza pari ad una forza misteriosa e affascinante. Simon potrebbe guardare i loro quadri ininterrottamente per giorni e giorni senza mai stancarsi.

«Ehi, Simon! L'avresti detto che saremmo arrivati a questo punto così in fretta?» ride Kamina, strozzandolo in un mezzo abbraccio frettoloso.

Simon annaspa prima di sorridere un po'. «Eh, già» mormora, distogliendo lo sguardo. La verità è che non avrebbe mai detto, mai, neanche in un milione di anni, che lui che sarebbe riuscito ad arrivare così lontano.

 

* * *

 

Che sarebbe la vita senza il coraggio di tentare qualcosa?

 

Hanno lasciato il villaggio di Jhia in un giorno di pioggia, nascosti in un vagone ferroviario pieno di spifferi. Stavano seguendo un gruppo di artisti autodidatti che provenivano dal villaggio vicino, Littner. Ormai sono ore che stanno rintanati in quello spazio così stretto, e Simon non fa che starnutire.

«Vedrai che tra poco arriviamo» lo rassicura Kamina. Anche lui è sicuramente scomodissimo, ma è molto più bravo a non farlo notare.

Simon tira su col naso. «Non c'è problema» dice per darsi un tono, ma la voce esce molto più fievole di quel che si aspettava. Ha con sé solo una borsa con qualche vestito, una ventina di franchi e un album con tutti i suoi disegni. Kamina ha più o meno le stesse cose.

Hanno deciso di partire all'improvviso, nel giro di poche ore, subito dopo aver incontrato quell'assurdo gruppo di personaggi. Il fatto è che erano artisti. Quasi tutti. E non semplici artisti, ma veri e propri maestri della “nuova arte”, quella che Kamina aveva sempre decantato da che Simon avesse memoria. E stavano andando a Parigi per mettere in gioco le loro abilità.

“Devo andare con loro, Simon”, aveva detto Kamina. “Devo.” Lo aveva squadrato con serietà, fissandolo negli occhi. “Vieni con me?”

E Simon ha provato a dirgli che era una pazzia, che a Parigi non avrebbero trovato nulla se non la fame, il freddo e l'indifferenza della gente. Che il suo ideale di pittura, per quanto bello, non poteva semplicemente esistere nel modo in cui lo intendeva lui, indipendentemente dal fatto che altre dieci o venti persone la pensassero al suo stesso modo. Ci ha provato davvero. Ma poi ha pensato ad una vita senza Kamina, lì in quel villaggio dorato e finto come un castello di sabbia, e aveva preso la sua decisione.

“Sì, vengo con te.”

C'è voluto poco a convincere il gruppo a prenderli con loro: Kamina ha mostrato alcuni dei suoi disegni e -con sommo orrore di Simon- anche qualcuno di quelli del fratellino. Contro ogni previsione, quelli si sono dimostrati subito favorevoli a prenderli con loro. Il capo del gruppo è un contadino dalla pelle bruciata dal sole, un certo Dayakka, ma la più dotata è senza dubbio la giovane che aveva parlato con Kamina. Yoko. Simon è rimasto letteralmente senza parole davanti ai suoi quadri, e forse è anche un pochino per questo che ha detto sì.

«Quando saremo a Parigi, troveremo un lavoretto che ci permetta di comprare gli attrezzi per dipingere. E allora, oh, allora il mondo vedrà quello che saremo capaci di fare!»

Simon si lascia cullare dalle parole di Kamina, e gli crede. Cambieranno il mondo, perché Kamina dice che possono farlo. Lo riempiranno di colori e ridaranno la speranza alla gente che l'ha persa, la libertà alla gente che l'ha dimenticata. Kamina ci tiene tantissimo a questi due concetti. E Simon pensa che sia semplicemente giusto così, perché la libertà ha il sapore di Kamina, il suo odore, e la speranza ha la sua voce, le sue mani calde che lo fanno sentire a casa.

Kamina continua a parlare e Simon ha un po' meno freddo, un po' meno paura.

Ha smesso di piovere.

 

* * *

 

Preferisco dipingere gli occhi degli uomini che le cattedrali, perché negli occhi degli uomini c'è qualcosa che non c'è nelle cattedrali.

 

Yoko cammina avanti e indietro, i movimenti impediti dal costoso abito a balze che è stata costretta ad indossare per l'esposizione. «Kamina!» esclama quando lo vede spuntare da dietro la porta.

Il ragazzo si acciglia. «Che succede? Credevo foste già tornati a casa.» Se si può chiamare casa quell'accozzaglia di minuscoli appartamenti che si sono potuti permettere di affittare.

Lei si morde il labbro. «Ti volevo parlare» mormora, esitante. Sa che non sarà facile. «Riguarda Simon.»

Lo sguardo di Kamina si fa più scuro. «Se intendi che non dovrei lasciargli dipingere quel quadro...»

E quel suo tono così accondiscendente a farla arrabbiare più di tutto il resto, come se lui sapesse qualcosa di ovvio che lei semplicemente non riusciva a vedere. «Parliamo del quadro più importante della mostra! Come può farcela? A parte un paio di lavori, lui non ha mai… voglio dire, ha a malapena quindici anni!» sbuffa, esasperata.

Si sono divisi i compiti, per questa mostra, hanno riesumato vecchie opere e ne hanno chieste in giro tante altre. Sarà la prima mostra a cui assisteranno uomini del popolo, cittadini comuni. Un'arte aperta a tutti, accessibile a tutti, perché parla nel linguaggio comune a tutti gli esseri umani: quello dei sentimenti. Alla fine della mostra, l'ultima sala è stata tenuta da parte per un quadro in particolare, il più rappresentativo del nuovo movimento. Tutti pensavano che se ne sarebbe occupato Kamina, ma all'ultimo lui ha rifiutato. “Se ne occuperà Simon” ha affermato con noncuranza.

«Voi non capite, Simon ha mille volte più talento di tutti noi messi insieme» spiega Kamina, concitato. «È solo che non gli piace mostrarlo! Ma io lo so. È successo un sacco di tempo fa, avrà avuto al massimo dodici anni. Era un giorno di giugno e c'era un sacco di sole. Sono andato a prenderlo a scuola, siamo andati con le bici fin sotto un albero e lui si è messo a disegnare mentre io schiacciavo un pisolino. Passano due ore o giù di lì, e quando mi sveglio lo vedo che sta dando gli ultimi ritocchi al disegno. Ovviamente cerco di guardarlo, e lui prima cerca di non farmelo vedere, poi alla fine cede. Aspetta, ce l'ho ancora, guarda.» Ficca una mano in quella sua borsa consunta che si porta sempre appresso ed estrae una cartella di pelle nera. La apre con la massima cautela e ne tira fuori un foglio spiegazzato, leggermente ingiallito dal tempo. Yoko tende la mano, scettica, ma appena i suoi occhi si posano sull'immagine rimane senza fiato.

Al centro del foglio si staglia una figura di spalle, in equilibrio su una bicicletta in movimento. Ha le braccia spalancate e la schiena scoperta, con strani tatuaggi fiammeggianti sopra. La testa è inclinata verso l'alto, e tutto intorno si estendono campi di grano senza fine, e cielo, senza nuvole. È un disegno che quasi stordisce per il senso di libertà, per la potenza che emana. Il ragazzo sulla bicicletta è senz'altro Kamina, Yoko sa dirlo anche senza vederlo in faccia. E quella dev'essere la prospettiva da cui lo vedeva sempre Simon: da dietro, che gli indica la via, che gli spalanca davanti tutto un mondo. E davvero, Yoko non si accorge di piangere finché non sente le lacrime bruciare agli angoli degli occhi. È struggente, oltre che bellissimo. C'è tutto, in quello schizzo a matita: malinconia, affetto, immensità, libertà.

E Libertà è il titolo del disegno, scritto nell'angolino in basso a destra in una calligrafia ordinata e precisa. Libertà.

«Vedi, Simon è capace di questo. Io non sarei mai riuscito ad esprimere tanta potenza in una sola immagine, tanta determinazione. Lui sa trasformare le parole in tratti sulla carta, le emozioni in immagini. Voglio che sia lui a dipingere l'ultimo quadro, perché lui è l'unico in grado di imprimerci tutte le emozioni che intendo trasmettere al pubblico. E anche se non ha ancora iniziato nulla... beh, alla mostra manca ancora un mese intero, giusto? Non ti preoccupare» conclude, sorridendo per tranquillizzarla.

Yoko non è ancora del tutto convinta. «Ma e se...»

«Ehi» la riprende Kamina, afferrandole delicatamente il volto e costringendola a guardarlo negli occhi. Sono sempre stati così tranquilli, così sicuri, così caldi, che Yoko quasi ci annega dentro. «Sono sicuro che ce la farà. È sempre stato lui l'ispirazione per i miei quadri. So il motivo per cui ha fatto quel disegno, so che si affida sempre a me e pensa di non valere quanto me, ma si sbaglia. E voglio che lo capisca.»

Detto questo, rimette con cura il disegno nella cartella e si allontana. Yoko gli fissa le spalle dondolanti mentre cammina, spalle che riflettono un'andatura tranquilla, libera, forte. Si chiede come le veda Simon, quelle spalle. Cosa simboleggino per lui. Cos'abbia visto in loro per trasportarle su carta in un disegno come quello che ha visto prima.

Sospira: se c'è una cosa che ha imparato su Kamina, è che è più testardo di un mulo. Incredibile, sì, un pittore strepitoso e un oratore meraviglioso, certo, ma se si mette in testa qualcosa non c'è verso di fargli cambiare idea. Un leggero sorriso gli affiora alle labbra mentre si volta per mettere a posto le sue cose e andare a casa: forse, sotto sotto, anche lei è curiosa di vedere come sarà il quadro di Simon.

 

* * *

 

Ma in questa morte nulla di triste, tutto succede in piena luce con un sole che inonda tutto di una luce d'oro fino.

 

Fa caldo. Kamina pensa solo a questo mentre passeggia per i sentieri bruciati dal sole tra i campi di grano. Quel posto è così simile al suo paese d'origine da dargli i brividi; anche Simon se n'è accorto, ma tenta in tutti i modi di nasconderlo.

«Ma è mai possibile che al mondo serva così tanto grano?» borbotta Kamina, cercando di non inciampare nell'unico, scomodo paio di scarpe che si è potuto permettere. «Cioè, chi è che lo mangia?»

«Tutti gli abitanti di Parigi, per fare un esempio» sbuffa Yoko, a metà tra il divertito e l'esasperato.

Stanno andando in un paese lì vicino perché hanno sentito di un nuovo artista emergente che vive da quelle parti, e lo vogliono a tutti i costi nel loro “Salon des Artistes Indipendentes”. La stazione però è un po' più distante da lì, quindi hanno dovuto camminare. Ora però persino quel sentierino quasi invisibile termina, e davanti a loro c'è solo grano in tutte le direzioni. Arriva quasi alla vita.

«Mi sa che dovremo separarci» dice Kamina alla fine, grattandosi la testa.

«Ma fratello, sei sicuro che sia una buona idea?» domanda Simon, incerto.

«Ma certo! È importante arrivare là in giornata, ed è già quasi ora di pranzo. Il primo che arriva inizia a chiedere informazioni, così prima di sera andiamo tutti a casa sua e lo convinciamo a seguirci!»

Nemmeno Yoko sembra troppo convinta, ma Kamina insiste ancora un po' e alla fine i tre si separano, camminando un po' a tentoni nel grano.

Kamina sospira, pregando che il vento cancelli un po' dell'afa che sta provando. Non gli è mai piaciuta la sensazione delle spighe sotto i piedi, non ha mai sopportato quell'orizzonte dorato come una gabbia per uccelli che lo teneva lontano dalla gente, dalla vita. Invece sa che Simon, sotto sotto, amava quel panorama, e lo ama ancora. Ma è difficile trovare qualcosa che Simon detesti: Kamina ricorda ancora due dei primissimi lavori che aveva visto fare dal suo fratellino. Il primo raffigurava dei bambini che giocavano a campana, e il secondo una folla in lutto ad un funerale. Kamina era stato colpito sia dalla gioia che scaturiva dal primo disegno, sia dalla disperazione intrisa nel secondo. “M-ma dopotutto è sempre vita”, si era giustificato Simon, imbarazzatissimo per averglieli mostrati. “Quindi in un certo senso è sempre bella, no?”. Ecco. È stato allora che Kamina ha deciso che Simon sarebbe stato suo fratello, in quel momento ha visto chiaramente cosa avrebbe potuto fare quel ragazzino. Perché Simon è diverso, diverso da tutti gli altri.

Passano pochi minuti prima che Kamina perda di vista gli altri due, e dopo qualche altro passo vede comparire all'orizzonte un paesino. “Finalmente! Non ne potevo più!” pensa soddisfatto, accelerando il passo. Prima di uscire dal campo di grano si volta indietro per cercare di identificare gli altri due, e crede di aver intravisto la figura di Simon quando un rumore dietro di lui gli fa gelare il sangue nelle vene: si volta piano, e davanti a lui vede un uomo con una pistola puntata verso di lui.

«Chi sei, per importunare il grande Kamina?» domanda, spavaldo.

L'uomo sogghigna, per niente impressionato. «Sì, mi avevano detto che sei uno dal carattere difficile. Mi spiace informarti che avete fatto un viaggio a vuoto: ho appena parlato col vostro amico, e dovrei averlo convinto a non rivolgervi mai la parola» ridacchia, giocherellando con il grilletto della pistola. Kamina sostiene il suo sguardo, serio e impassibile. «Ma come, non te la fai sotto? Allora ti dico il mio nome: io sono Timylph l'Impetuoso, uno dei quattro principali pittori dell'Accademia, nonché pluripremiato critico d'arte» si pavoneggia. «La vera arte, non quella che tu e la tua cricca di straccioni spacciate come tale» aggiunge, assottigliando lo sguardo. «Vi siete dati un po' troppo da fare, in questi ultimi tempi, e i miei superiori non ne sono affatto contenti.»

Kamina pensa in fretta. Non riesce proprio a vedere un modo per scamparla, questa volta. È già successo un paio di volte che qualche fanatico lo abbia aggredito a causa delle sue idee, ma un po' per fortuna, un po' grazie a Simon e agli altri è sempre riuscito a scamparla. Simon...

Con la coda dell'occhio riesce a vederlo venire verso di loro, ma è ancora troppo lontano per vedere la pistola. Kamina sbuffa e sul suo viso appare un sorriso. Non se la caverà, non stavolta. Ma deve tenere duro finché Simon non sarà lì, perché c'è ancora una cosa che deve fare.

«E quindi credi che uccidendomi cambierà qualcosa?» domanda, scuotendo la testa con esagerata commiserazione. «Ormai è iniziata, non c'è niente che né tu né il tuo capo possiate fare per arrestare la marea.» Solleva le braccia verso l'alto, un sorriso ampio e appassionato sul volto. Simon ormai è poco lontano da loro, sta affrettando il passo, lo sente. «Aspetta e vedrai, è solo questione di tempo: dobbiamo prendere al volo la nostra stella!»

È un botto, un colpo secco che fa sollevare in volo decine di corvi spaventati: sente il loro gracchiare, poi il caldo viscido del sangue e le spighe appuntite sotto la schiena. È il sorriso soddisfatto dell'uomo che rinfodera la pistola e sparisce, coperto dall'urlo straziante di Simon. È il sole caldo sulla pelle, e la luce, la luce.

Ora Kamina capisce perché Simon amava tanto quei campi di grano, e quel cielo. Sì, erano una prigione, una gabbia. Ma era casa. Sente le mani tiepide di Simon sulla fronte, le lacrime bagnate che gli scivolano tra i capelli. Sente tutto.

E sorride appena, mentre un filo di vento più forte degli altri si prende il suo ultimo respiro. Non ha rimpianti, ha fatto il suo dovere: Simon ce la farà, la loro mostra sarà un successo, basta avere fede. E non c'è davvero niente di triste, in questa morte, mentre la luce dorata filtra ancora attraverso le sue palpebre chiuse. Kamina vola oltre i campi, nel cielo azzurro, verso la luce, ed è libero.

 

 

* * *

 

Nulla so con certezza, ma la vista delle stelle mi fa sognare.

 

«Cosa leggi?» chiede Kamina, sputando una spiga di grano e voltandosi verso Simon.

Quello alza lo sguardo, abbozzando un sorriso imbarazzato. «Poesia» dice, quasi vergognandosi. «Poesia inglese. L'ho trovato in biblioteca, e alcune non sono male» si precipita a spiegare, le guance colorate di rosso.

Sta tramontando il sole, tra poco non ci sarà più luce. Hanno di nuovo fatto tardi, e il direttore li ammazzerà per non essere tornati in tempo, ma per una volta a Simon non importa. «E dimmi, come si chiama quella che stai leggendo adesso?» chiede ancora Kamina, puntellandosi sui gomiti.

Simon strizza gli occhi per leggere meglio. «È “Go and catch a falling star”. Vuol dire tipo “prendi al volo una stella cadente”...» E mentre lo dice riesce a vedere gli occhi di Kamina illuminarsi.

«Simon, è stupendo! È esattamente quello che dovresti fare tu» esclama il ragazzo, andandosi a sedere di fianco a lui.

Simon sgrana gli occhi. «c-che cosa?» balbetta, incredulo.

«Ma sì. Prendi al volo la tua stella cadente. Va' a mostrare a tutti cosa sei in grado di disegnare, fa' in modo che tutti possano provare le stesse sensazioni che provi tu quando dipingi. Sai cosa facciamo stasera?» aggiunse poi, ghignando piano. «Rimaniamo qua a vedere le stelle.»

Simon inizia a balbettare che non è proprio questo il senso della poesia, che non c'entra niente, ma Kamina non vuole sentire ragioni. «Ho detto che guarderemo le stelle» proclama, e Simon non è mai stato bravo a dirgli di no.

Il prato è fresco e morbido sotto i capelli, come un tappeto magico. Ma il vero tappeto magico è in cielo, Simon ne è sicuro: infiniti frammenti di luna condensati in qualche punto fra il vento e i sogni, impossibili da afferrare, impossibili da dimenticare. «Vedi, Simon? È a questo che puntiamo. I pittori come si intendono adesso non sarebbero mai in grado di trasmettere sensazioni del genere.»

E Simon sa che è qui che si fonda tutto: lui vuole con tutte le sue forze che la gente sappia, vuole che il mondo intero provi quello che prova lui guardando i disegni di Kamina, disegni che parlano di amore, rabbia, gioia, paura. «Hai ragione» mormora piano, spostando un po' la testa in modo da essere esattamente di fianco a Kamina.

«Senti, quella poesia che dicevi prima. Quella della stella cadente» attacca Kamina, passandosi le mani dietro la testa a mo' di cuscino.

«Ah, “Go and catch a falling star”? Ma non era un granché. In pratica chiede al lettore di fare una serie di cose impossibili, come, non so, fare un figlio con una mandragola o ascoltare il canto di una sirena senza impazzire. Poi alla fine gli dice: “e se ci riesci, trovami una donna che sia fedele, poi vieni a dirmelo. Ah, già, non ce la farai mai: nel tempo in cui verrai a dirmelo sicuramente avrà già smesso di essere onesta”. Vedi, è un po' triste, in effetti» spiega, imbarazzato. Di norma non avrebbe mai intrapreso un discorso così lungo a parlare di poesia. Ma con Kamina, con lui Simon non ha mai avuto l'impressione di annoiarlo, o di essere di troppo.

Kamina ascolta in silenzio, ci pensa su e poi esprime la sua opinione. «Gli uomini che pensano troppo rovinano sempre tutto, eh?» ridacchia. «Non preoccuparti, e non stare a fossilizzarti sul senso. Le donne fedeli esistono, lo vedrai da te! Dopotutto, noi non avremmo problemi a prendere al volo una stella cadente.» Lo dice così, senza distogliere lo sguardo dalle stelle sopra di loro.

«Tu credi, fratello?» domanda Simon, facendo rotolare sulla lingua quella parola tanto preziosa.

Kamina ridacchia piano. «Ma certo! Dimmi un po', cosa fai quando vedi una stella cadente?»

«Beh, esprimo un desiderio... » risponde Simon, dubbioso.

«Esatto! Ma ora, immagina di non limitarti ad esprimerlo. Immagina di lottare perché diventi realtà, di dare tutto te stesso per far sì che si avveri» dice, prima a bassa voce, poi sempre più forte. «Allora, se ci avrai creduto davvero, avrai veramente preso al volo la tua stella cadente!» grida alla fine, scompigliandogli con forza i capelli.

Simon chiude gli occhi a quel tocco, ma non importa: le stelle, tanto, le vede lo stesso.

 

* * *

 

L'uomo è uno straniero sulla Terra e la sua vita è un viaggio scosso dalle tempeste.

 

Anche Parigi piange la scomparsa di Kamina, con le strade fangose in cui scorrono rivoli neri d'acqua piovana. La galleria che avevano prenotato è ancora mezza vuota, al punto in cui l'avevano lasciata prima di quel giorno.

L'hanno sepolto in un cimitero cittadino, niente di troppo costoso, vicino a un albero. Simon è rimasto in fondo per tutto il tempo: non riusciva ad avvicinarsi al corpo, ma non riusciva nemmeno ad andarsene. Alla fine di tutto, poi, è rimasto seduto sotto l'albero, la testa tra le ginocchia. Ha passato la notte lì, poi la mattina dopo è tornato a casa e si è messo a disegnare. Usa un carboncino che ha trovato per terra nella stanza che condivideva col fratello, e un blocco di fogli che Kamina teneva nascosto sotto il materasso per le emergenze. Disegna il fratello, solo lui: di fronte, di lato, sorridente o curvo su una tela in procinto di essere dipinta. Yoko ha provato a parlargli, la voce roca e i capelli spettinati, ma lui non ha ascoltato. Rossiu ha cercato di farlo ragionare, la voce seria e giudiziosa di chi non conosceva davvero il fratello, di chi non ha sempre vissuto con lui, di chi non può capire.

Kittan ha provato a spiegargli che devono darsi da fare per la mostra, ma a Simon non interessa: come fanno a non capire che era Kamina che reggeva tutto? Senza di lui questa mostra sarà un fallimento, senza i suoi discorsi nessuno crederà più al futuro di questa nuova arte, senza i suoi quadri quelle emozioni diventeranno soltanto un ricordo sbiadito. Anche adesso, Simon non ricorda più com'era vivere felice, puntando a una stella. La sua stella è caduta, alla fine, ma lui non l'ha presa. Non c'è riuscito. E adesso giace sotto terra, la pelle fredda e il petto immobile, e non brilla più.

È strano, a pensarci bene, come cambi la vita. Un istante sei felice, e un secondo dopo sei inghiottito dalla tempesta, e non c'è via d'uscita. La vita di Simon non è stata una traversata facile, ma c'è stato quasi sempre il sole, e anche se la barca non era delle migliori c'era sempre un soffio di vento che gonfiava le vele. Ora però il mare si è ingrossato e le nuvole hanno preso il sopravvento: ad ogni oscillazione la barca rischia di distruggersi, di colare a picco. Le vele sono stracciate, falle da ogni parte, non resta che arrendersi. Il sole si è spento e lui va alla deriva.

Succede in un giorno un po' meno scuro degli altri: Yoko aveva preteso che uscisse un po' all'aria aperta, per, come diceva lei, “fargli tornare l'ispirazione”. Era andato in un parco qualsiasi e si era messo a disegnare come faceva a casa, quando è arrivata lei.

Simon ancora non lo sa, ma quella buffa ragazzina tutta bianca dall'ombrellino di merletto azzurro riuscirà a rivoluzionargli la vita, donandogli la calma di rimettere in sesto la sua sgangherata imbarcazione e di rimettersi in viaggio: in viaggio verso la sua stella.

 

* * *

L'amore è eterno: può cambiare l'aspetto, ma non l'essenza.

 

 

«Ma è bellissimo! Davvero li hai fatti tu?» domanda Nia, zampettando a destra e a sinistra per l'appartamento.

Simon si gratta la testa, imbarazzato: se l'avesse saputo, avrebbe almeno cercato di mettere in ordine. Eppure, Nia ormai si è intrufolata nelle loro vite come un piccolo raggio di sole, dolce e leggera come solo lei sapeva essere. «Beh, sì...» balbetta Simon, nascondendo un leggero rossore.

Anche Nia disegna. I suoi quadri sono come quelli di una bambina: pieni di colori, sfumati, eterei. Se Simon dovesse descriverli in una frase, direbbe che sembrano sempre ambientati su una nuvola. Non ci sono troppe forme delineate, nelle sue tele fatte con gli acquerelli: è tutto un insieme di sbuffi e colori pallidi, luminosi, piacevoli. Guardandoli, Simon prova uno strano senso di pace.

«Ehi, Simon!» chiama Nia, la voce curiosa. «Cosa c'è qui?»

Il ragazzo le si avvicina, e poi congela: la borsa del fratello. Simon sa benissimo quanto quella borsa significasse per lui, e non l'ha più toccata da quando Kamina non c'è più. Anche solo guardarla gli provoca un groppo alla gola. «N-niente, metti giù» mormora, cercando in tutti i modi di non far tremare la voce.

Ma Nia non lo ascolta, ficca una mano nella borsa ed estrae una cartella consunta. «Anche questi li hai fatti tu?»

Simon non ce la fa più e le si avventa addosso, cercando di strappargliela di mano. Nella collisione, però, la cartella cade a terra e si spalanca. «Oh...» mormora Nia, dispiaciuta.

Simon rimane a bocca aperta: quei disegni li ha fatti lui. Kamina aveva conservato i disegni che aveva fatto lui. Erano tutti a matita, tutti risalenti al periodo in cui vivevano ancora a Jhia. C'erano i campi di grano, e i loro compaesani. E quello... quel disegno, quello di Kamina di spalle in bicicletta. È così realistico che gli sembra di risentire il sapore di quella giornata, il vento sulla pelle, il calore del sole che gli scottava le orecchie. In un angolino in basso, Libertà, scritto in corsivo. Con le mani che tremano, Simon inizia a raccogliere tutti i fogli sparsi.

«Li hai fatti tu, vero?» domanda piano Nia. «Questi no, però.» Simon solleva lo sguardo, sconcertato: Nia sta indicando un mazzetto di fogli ancora nella borsa, disegni con un tratto più deciso, forme più elastiche. Li ha fatti il fratello.

Simon lo afferra e sente subito le lacrime pizzicargli gli occhi: quello è lui. Non aveva idea che anche Kamina lo avesse ritratto mentre non guardava: c'era lui che disegnava, lui che dormiva, lui che andava in bicicletta. Ma c'è un disegno che gli strappa un gemito di meraviglia, subito soffocato: quello è lui, di spalle, che tende una mano verso il cielo. Lassù, in alto, sono raffigurate centinaia di stelle, larghe pozzanghere di luce liquida davanti ai suoi occhi. E in mezzo a tutte, una lunga scia luminosa catalizza lo sguardo. Il Simon del disegno sta puntando proprio a quella: è in punta di piedi, si sta sforzando per prenderla al volo. Tende tutto verso quella stella cadente, è proteso in avanti come se la sua vita dipendesse da quello. In basso, nell'erba, una scritta: “Go end cach a folling star”. Simon fa uno strano singulto che somiglia quasi ad una risata quando si accorge degli errori, perché è così da Kamina che quasi non riesce a respirare.

A ripensarci, è davvero l'ultima cosa che Kamina gli ha detto, prima di morire. Simon sa che l'ha urlato per lui. E allora cosa fai ancora qui? Gli sembra quasi di sentire la voce di Kamina prenderlo giocosamente in giro.

Tira di scatto su la testa e sorride a Nia, le lacrime come piccole gocce di felicità intorno agli occhi. «Vieni» esclama, prendendola per un braccio. «Dobbiamo preparare una mostra!»

 

* * *

 

A volte penso che la notte sia più viva e più ricca di colori del giorno.

 

Ed è un successo. Un successo strepitoso. Sono venute centinaia e centinaia di persone, tutte affascinate dalla ventata di novità che questi quadri portano con sé. Ci sono un sacco di quadri di Kamina, ovviamente, che emozionano tutti con la loro forza e la loro positività. Sono i colori che trasmettono entusiasmo, voglia di vivere. Simon pensa che sia bellissimo, che sia esattamente quello che Kamina avrebbe voluto. E va bene così.

Tutti quelli di Littner hanno avuto il loro spazio, in particolar modo Yoko: è stata lodata dalla folla per i suoi quadri un po' provocanti ma veri, soavi, puliti. Simon sa quello che lei provava per Kamina, ed è felice che, come lui, sia riuscita ad andare avanti. Con Kittan sembra che stia anche nascendo qualcosa, ma solo il tempo lo potrà dire veramente.

I quadri di Kittan, poi, sono spettacolari. È impossibile restare indifferenti davanti ai suoi lavori, impossibile non ammirare i suoi carboncini così realistici, tanto belli da scombussolare una persona dalla testa ai piedi. Anche le sue sorelle hanno avuto un ruolo importante nella mostra.

I dipinti di Rossiu sono squadrati, regolari, ma belli nella loro razionalità: Simon lo ammira davvero tanto, perché su Rossiu si può sempre contare, sempre.

Anche Nia ha esposto qualche quadro: i suoi sono tra i più ammirati dalla folla. Simon si è congratulato con lei tra un rossore e l'altro, e per tutta risposta Nia l'ha abbracciato e gli ha stampato un bacio sulla guancia. “Grazie” gli ha sussurrato, e il cuore di Simon minacciava di esplodere.

Ma l'ultimo quadro, l'ultimo di tutta la mostra, l'ha fatto Simon. Ci ha messo tutta l'anima nel farlo, sapendo che il fratello non si aspettava di meno da lui. Ci ha lavorato giorno e notte, incapace di staccarsi anche solo per dormire o mangiare, e alla fine il risultato lo ha lasciato pienamente soddisfatto. Quando lo ha mostrato agli altri, leggermente esitante, sono tutti rimasti senza parole: Yoko si è quasi messa a piangere, mentre Kittan ha spalancato la bocca e sembrava non ricordarsi più come chiuderla. “Ho cercato di fare quello che mi ha detto Kamina” ha spiegato poi Simon a Yoko, quella sera. Se c'era qualcuno che avrebbe potuto capire, era lei. “Lui diceva sempre di prendere la mia stella cadente, e... beh, all'inizio pensavo che senza di lui non ce l'avrei mai potuta fare, perché quando le stelle cadono non c'è niente da fare, no? Sono andate via. Eppure, in qualche modo, lasciano una scia. Una scia che rimane sempre, negli occhi, sotto la pelle. E la scia di Kamina io ce l'ho davanti agli occhi ogni giorno, quando dipingo, quando cammino, quando respiro: non posso farne a meno, capisci? Per questo so che non se n'è andato, e ho dipinto questo quadro. Lo vedi? L'albero è quello sotto cui stavamo sempre, quello là in fondo è il nostro paese. Le colline sono le nostre, poi c'è la luna. E, beh... tutte le stelle hanno una scia.”

“Come l'hai intitolato?”, ha chiesto Yoko con un sorriso umido a colorargli il viso.

Notte stellata” ha sorriso Simon. E da qualche parte, sopra di lui, sopra il tetto e sopra le stelle, Kamina sorrideva con lui.

 

* * *

Sogno di dipingere e poi dipingo il mio sogno.

 

Sono passati anni, e Simon ha continuato a disegnare. La “vecchia arte”, come ora la chiamano, perde sempre più terreno rispetto ai mille nuovi artisti emergenti che si stanno facendo strada in Francia e fuori. La loro compagnia si è ingrandita a dismisura, e Simon è stato additato da tutti come il grande genio artistico di un'epoca, la figura centrale della rivoluzione pittorica.

Ma lui sa che non è così: nonostante gli anni, non ha mai dimenticato la risata del fratello e i suoi occhi luminosi quando parlava di arte, e soprattutto, non ha mai smesso di vedere la sua scia.

È Kamina che ha dato inizio a tutto, era suo il sogno di una pittura libera dai condizionamenti, dalle rigidità del classicismo, dai dogmi delle immagini. Se quando era più piccolo per lui la libertà significava solo disegnare con Kamina, ora Simon sa che la sua libertà è seguire la scia che Kamina ha lasciato, afferrare la sua stella cadente e tenerla stretta, per assorbirne la luce, e per continuare a sognare, e dipingere, e sognare.

Questa, questa è la libertà.

 

 

 

 

 




Angolo autrice:
Due parole davvero di corsa perché devo schizzare via. Auguri, Emma! ^^
Questa storia è ispirata a un manga splendido che si chiama Sayonara, Sorcerer (o in italiano "Addio Stregone"), incentrato sulla vita di Van Gogh. Tutte le frasi tra un paragrafo e l'altro sono tra le mie citazioni preferite di Van Gogh! Cioè, almeno, sono attribuite a lui, perché poi non so se siano davvero sue. Ho ambientato questa storia all'epoca in cui andava sviluppandosi una nuova arte perché questo discorso mi ha sempre affascinata, e perché so che Emma dipinge e volevo farle un regalo almeno un po' gradito ^^
Il quadro che Simon disegna alla fine è ovviamente "Notte Stellata" di Van Gogh.
Grazie a tutti per aver letto fin qua, e Emma, spero davvero che ti piaccia!
Un abbraccio
Emma <3

 

  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Tengen Toppa Gurren Lagann / Vai alla pagina dell'autore: EmmaStarr