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Autore: Melian    15/02/2009    15 recensioni
"E’ notte fonda e il buio regna sovrano ovunque, tranne che nella grotta, dove sprazzi di luce stellare si proiettano sul corpo perfetto di Endimione, creando incredibili giochi di chiaroscuro su di lui."
[Seconda classificata al contest "Lacrime" indetto da Syria e giudicato da juliet sul forum di EFP]
[Seconda classificata (pari merito) al contest "L'amore è uno stato d'animo" di Chloe R Pendragon]
[Prima classificata al contest "L'amore è un piatto che va servito freddo" di milla4[
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Selene ed Endimione

 

 

"Every night, every day, just to be there in your arms."
(Can't Get You Out Of My Head - Kylie Minogue)

*



“Di qualunque cosa le nostre anime siano fatte, la mia e la tua sono fatte della stessa cosa”
(Emily Brontë)




 

 


Avanza e nemmeno par toccare terra, cammina a passo di danza. I suoi piedi, quei candidi ed eleganti piedi, così piccoli e belli, non sfiorano il terreno bruno.
Passeggia immersa nel buio della notte e l’unica luce è proprio lei, abbigliata con bianche vesti di tessuto impalpabile, cucite d’argento e tempestate di perle. L’unica luce è davvero lei: chiara è la sua pelle, come latte, come la luce dell’astro che ella conduce su per la volta celeste.
Alle sue spalle, i bianchi cavalli alati fremono: i loro zoccoli sollevano nuvole argentee, mentre le Ninfe dei boschi, subito accorse, li tengono ben stretti per le redini.
È la prima volta che il cocchio celeste conosce il terreno mortale, è la prima volta che i destrieri tengono le ali chiuse contro i fianchi, senza librarsi nell’aria. La Luna questa sera non splende nel cielo, lasciato orfano della sua luce immacolata. Sol le stelle, riunite in costellazioni perfette, rallegrano la notte
E la sacra fanciulla passeggia, il capo coperto da un velo incapace di trattenere i suoi ricci scuri, che fuoriescono ribelli, ornati da file di perle purissime. Sulla sua fronte brilla una mezzaluna dell’oro più lucente. I suoi piedi paiono davvero non toccar per niente la terra.
Fiori sbocciano al suo passaggio, si svegliano le fonti, gorgogliano i ruscelli. Una grotta s’apre dinanzi lo sguardo di Selene.
Ella si ferma, scruta il bosco tutt’attorno, or osserva nuovamente la grotta e un bagliore proveniente dall’interno cattura la sua attenzione.
Sorride infine, Selene: ora è certa, ora sa. Avanza ancora, la Dea dalle braccia bianche, con movenze sicure, eleganti, feline, sensuali. Varca l’entrata senza alcun rumore e lì, dinanzi al fuoco scoppiettante, vede l’amata figura.
Siede, il cacciatore, per terra. Una clamide rossa è la sua unica veste. Al suo fianco destro, sulla roccia nuda, son posati arco e faretra; tra le sue mani ora c’è posto solo per una lira. Corrono le dita esperte sulle corde tese dello strumento, ne ricavano suoni dolci, profondi, gorgheggianti.
Selene resta immobile, tesa in ascolto.
La vista della lira le fa sovvenire agli occhi il volto di Apollo, i suoi lineamenti perfetti, i capelli color del miele, la bocca invitante. Selene sa quanto le labbra di Febo possano esser tentatrici, quanto sappiano bene incantare con la poesia e ingannare con dolci sussurri. Troppo spesso s’è lasciata soggiogare, scioccamente: una ragazzina alla sua prima esperienza d’amore.

Quanti errori ha fatto Selene, una serie di sbagli iniziati con un bacio scambiato con Apollo, un semplice bacio al sorgere dell’Aurora dalle dita di rosa, e culminati in quegli incontri clandestini, in quegli amplessi travolgenti, in cui, tuttavia, lei non riusciva a trovar pace.
Selene restava scottata dal Sole e non se ne accorgeva. Da quegli incontri, aveva imparato solo ad appagare i fremiti della carne, mai però aveva provato l’ardore dell’Amore. Lei cercava Amore e in Apollo s’illudeva di trovarlo, e capì troppo tardi che ciò non era possibile.
Un giorno, Selene se ne stava seduta nella casa d’Afrodite, in compagnia di Eros.
Il giovane Dio alato le sorrideva, giocherellando con una delle sue lunghe frecce.
«Selene, mia dolce Selene dal chiaro viso, c’è qualcuno che vuoi che t’ami?».
La fanciulla guardò Eros con gli occhi grigi pieni di meraviglia. «Perché me lo chiedi?», la sua voce suonava timida.
«Perché io posso esaudire la tua richiesta: posso far sbocciare nel cuore di qualsiasi uomo, mortale o divino, l’amore.»
Selene si sollevò e afferrò il braccio di Eros, sporgendosi verso di lui. «Io... io vorrei che Apollo…» ribatté titubante e non concluse la frase. Sollevando nuovamente il capo, con tono supplice, aggiunse: «Usa le tue frecce su di lui, te ne prego!».
«Apollo non è per te, mia dolce Selene. Apollo ama solo se stesso, è arrogante ed egoista. È raro ch’egli doni il suo amore, molto raro. E, comunque, le mie frecce su di lui ho giurato di non usarle mai più: l’ultima volta l’ho fatto per dargli una lezione e una povera ninfa, Dafne, ne ha fatte le spese, trasformandosi in un albero d’alloro. Zeus m’ha dunque vietato di levare il mio arco su di lui ancora una volta. Lascia perdere quell’arrogante di Febo! Un giorno, son sicuro, troverai ciò che cerchi. Troverai chi ti mostrerà l’Amore vero.»
Selene s’intristì e, per questo, lo splendore della luna piena sembrava smorzarsi sempre più. Dividere il giaciglio con Apollo non le bastava, né le era di alcuna consolazione. Apollo aveva fame solo del suo corpo di giovane donna, mentre Selene aveva sete di sentimenti veri. E quando ne parlò col Dio delle Arti, Febo la derise, facendola sentire immensamente sola ed umiliata.
Poi, una notte, volando sulla sua argentea carrozza, Selene vide la terra di Caria, nell’Elide. Il paesaggio sotto il carro la affascinò immensamente: era un bosco d’alberi altissimi, ricco di radure, eppure roccioso, poiché il monte Latmo sorgeva proprio lì vicino. Scendendo di quota per ammirare da più vicino il monte, la fanciulla sentì una musica di cetra e poi un canto. La voce era quella d’un uomo, sicura e possente, che le carezzava le orecchie dolcemente, e aveva una nota tutta particolare: era la voce d’un uomo mortale che canta la vita, così breve e, proprio per questo, degna di essere vissuta.
Selene s’innamorò di quella voce e, ogni volta che sorvolava il monte Latmo, ella ascoltava il canto del musicista sconosciuto, ma mai, mai, era scesa dal cielo per cercarlo.

Ed ora, la Dea lunare è lì, a pochi passi dall’amato. Anche stasera il cacciatore sta cantando.
L’ombra di Selene si proietta sulla parete di fondo della caverna e l’uomo si alza di scatto, tenendo un pugnale stretto nella mano destra, mentre la lira è abbandonata lungo l’altro fianco. Il suo cipiglio indurito si spiana nel veder la figura della Dea dai capelli scuri, così bella e così eterea da parer un sogno.
Endimione abbassa l’arma, la getta a terra. I suoi occhi mortali paiono intravedere l’aura d’eterno tutt’attorno alla fanciulla, eppure restano fissi sul volto di lei, la Luna incarnata.
«Canta, ti prego, canta per me.»
Si sciolgono le membra del re dell’Elide, i muscoli si rilassano sol all’udir quella semplice richiesta, l’espressione si fa così serena e intensa, che il cuore balza nel petto di Selene.
Le dita pizzicano di nuovo le corde. La musica sale di nuovo d’intensità, ma ora è più dolce, più accorata: segue i palpiti del cuore di Endimione, che già ama quella ragazza.
Endimione canta per lei, adesso, solo per lei, e Selene lo sa.

È in questa notte che Selene conosce la dolcezza d’una carezza, il calore d’un abbraccio, l’emozione insita nella voce di un uomo che pronuncia il suo nome. Endimione le regala l’Amore vero, quello che scuote le membra, quello di cui parlava Eros tempo prima.
L’uno accanto all’altra, parlano e parlano, condividono i loro segreti nel silenzio totale e si amano, senza che le loro labbra si siano mai toccate. Si amano come si amano due anime che a lungo si sono cercate e, finalmente, stremate, si trovano per non lasciarsi più.
Tante e tante altre notti s’incontrano. Tante e tante notti si baciano, si accarezzano e fanno l’amore. Tante e tante notti Selene si accoccola come una bambina tra le braccia del suo uomo, lasciandosi accarezzare i capelli. Si fanno felici per molte sere, mentre il cielo resta orfano della luna.
Endimione sente la sua essenza vitale consumarsi più rapidamente accanto alla Dea immortale, ma non gl’importa. Trascura i suoi impegni di sovrano, non ha cura delle donne che pretendono di diventar sue spose: solo Selene è fatta per lui. Ogni sera si reca sul Latmo ad aspettarla e, quando lei non può scendere dal suo cocchio d’argento, s’addormenta alla luce bianca della luna.
Selene disdegna persino la vicinanza di Apollo ora, lo evita, e distoglie lo sguardo se lo incontra per caso. L’amore le fa anche dimenticare i suoi doveri di Dea.

«Fa’ in modo che quei due non possano più vedersi, intesi? »
Hypnos annuisce, e si volta, la sua veste di colori cangianti ondeggia. «Farò come desideri, fratello. Ricordati che mi devi un favore.», e ride leggermente, avviandosi lungo il corridoio di marmo, fuori dalle aule degli Dei, lasciando Apollo da solo.

Endimione è seduto nella grotta nel Latmo e ravviva il fuoco con un bastone, aspettando l’arrivo della sua amata.
Un manto color porpora è steso sulla roccia, arco e frecce sono abbandonate sul fondo della caverna, sol una lancia è più vicino all’uomo, a portata di mano, poggiata alla parete della grotta.
Gli pare di scorgere la figura d’un uomo alto, dai capelli scuri e le vesti di mille colori. Il re dell’Elide batte le palpebre un paio di volte, come se fossero divenute d’un tratto pesanti, come se un potente sortilegio stesse calando inesorabilmente su di lui.
«Chi è là?», esclama e la sua voce rimbalza sulla nuda roccia.
Nessuna risposta.
Endimione afferra un tizzone per farsi luce e scruta bene l’entrata della caverna. «Chi è là?!», ripete di nuovo.
«Io sono figlio di Notte, fratello di Thanatos, colui che dona il dolce Sonno a Dei e mortali. Tu mi conosci bene, Endimione. Ora voglio che tu dorma di un sonno eterno.»
«Hypnos, contro il volere di un Dio m’hanno insegnato che gli uomini non possono nulla, eppure io non permetterò a nessuno, nemmeno a te, di impedirmi di incontrare la mia donna.» Endimione pare fin troppo deciso, afferra la lancia con uno scatto degno della sua fama di cacciatore e la punta verso il Dio.
Hypnos ride. «Sei ardito, re dell’Elide, eppure contro il mio potere nemmeno il tuo coraggio e il tuo amore potranno nulla.»; solleva la mano e la veste cambia colore ancora una volta: ora è di un blu scuro che digrada nell’azzurro chiarissimo. «Dormi!»
Endimione si blocca, come fosse divenuto una statua di pietra. Lentamente il suo corpo si rilassa e cade a terra, disteso sul suo stesso manto, la lancia ancora stretta in pugno, la torcia caduta ai suoi piedi e ora fumante. Si è addormentato, ormai. Hypnos lo osserva per bene: Endimione è un uomo molto bello, deve ammetterlo.
«Non avresti dovuto dar retta ad Apollo: è solo un pallone gonfiato che non ha accettato di aver perso contro un mortale. Non ha mai amato Selene, eppure non ha per niente gradito che lei lo rifiutasse più d’una volta.»
«Cosa ci fai qui, ragazzino? Tua madre ti lascia andare in giro di notte tutto solo?»
Eros avanza, palesandosi alla luce del fuoco. «Oh per Zeus! Non dirmi che quest’umorismo spicciolo lo hai imparato da Apollo!»
Hypnos si volta e fissa il Dio dell’Amore. «Cosa vuoi, insomma?!»
«Cambiare ciò che hai fatto non rientra nei miei poteri, né immagino tu voglia risvegliarlo…», Eros dà un’occhiata veloce all’altro, come se si aspettasse un’azione magnanima da parte sua, cosa che non avviene. «Come immaginavo!», sospira.
«Il massimo che posso fare è lasciarlo dormire con gli occhi aperti e consentirgli così di ammirare Selene ugualmente. E lo faccio solo per non averti tra i piedi, moccioso alato.»

«Endimione, amor mio!», chiama Selene, correndo come una cerbiatta per i prati. Stringe al petto il suo manto color del latte, al cui interno pare imprigionata una sostanza cristallina e luminosa. «T’ho portato un piccolo dono, so per certo che ti piacerà!», esclama felice.
È divenuta più bella, Selene, piena di vita, di passione, d’amore. Ama Endimione e ama la terra su cui egli è sovrano, ama pure il Latmo, culla del loro amore tenero e fresco.
Raggiunge la grotta, v’entra solo per trovare il fuoco quasi spento, trasformato in tremule fiammelle che a malapena consentono di distinguere le sagome degli oggetti e dell’uomo disteso sulla roccia.
Selene sorride e si avvicina ad Endimione, si inginocchia accanto a lui e china il viso, per guardarlo da vicino. Con una mano sfiora la guancia e poi i capelli del suo amato, dolcemente, come fa un pittore che dipinge su una tela.
«Endimione, guarda qui!». Selene schiude il manto e una luce bianca si sprigiona dalla stella che ella tiene stretta al seno. «Viene dalla costellazione d’Orione, il Cacciatore. L’ho portata perché ti protegga.», spiega la giovane premurosamente, attendendo una risposta, un cenno da parte dell’uomo.
Ma tutto ciò non arriva: Endimione è immobile, gli occhi scuri sono aperti, a fissar il volto di lei, ma dalla sua bocca non esce alcun suono, né i suoi muscoli disegnano il più piccolo movimento. Dorme e, mentre dorme, nel sogno ode la voce remota di Selene e osserva rapito il suo volto dolce.
Quando Selene comprende ciò che è accaduto, le braccia le crollano lungo i fianchi, la stella della cintura d’Orione cade in terra e sparge la sua polvere per tutta la grotta. Grosse e copiose lacrime rigano il volto della Dea, che stringe a sé un Endimione dormiente con quanta forza possiede. Lo chiama, prima a gran voce, poi sempre più sommessamente, infine la sua voce diventa un sussurro all’orecchio dell’uomo.
Stremata dal pianto, Selene s’addormenta tenendo tra le braccia Endimione e, nel sogno, pian piano riesce a sentire una voce che la chiama. Endimione le va incontro in quel mondo privo di contorni che sta tra realtà e fantasia, tra mortale e divino, e le sfiora una guancia, asciugandole una lacrima. Quella notte Endimione farà compagnia alla sua amata nel sogno, e così sarà per le notti a venire.

Endimione ora dorme ancora dentro il monte Latmo dolcemente, la lancia stretta in pugno, una mano mollemente posata sulla fronte, gli occhi schiusi a guardare il cielo, lassù, rivolti alla Luna.
I due si incontrano ancora nei sentieri dei sogni: Endimione ora può camminare nel cielo, tra le costellazioni, può accompagnare Selene lungo tutta la volta celeste e può ancora amarla.
Di tanto in tanto, la Dea ferma il suo cocchio nell’Elide e passeggia ancora nel bosco di Caria, raggiunge ancora il monte Latmo, si inginocchia di nuovo accanto al corpo assopito di Endimione e lo osserva estasiata, lo accarezza con amore, bacia la sua fronte e passa una mano tra i suoi capelli. La scintilla di vita è racchiusa ancora negli occhi scuri del re dell’Elide e il suo cuore batte ancora e ancora. Quella di Hypnos non è più una maledizione, come Selene credeva all’inizio: il Sonno ha concesso l’eternità ad Endimione, che per sempre resterà giovane e bello, al fianco della sua amata.

Sono passati veloci gli anni, fuggiti come un cervo per i boschi. Sono passati innumerevoli secoli, da quando la Dea della Luna donò il suo cuore ad un mortale.
Adesso come allora, sorge la Luna piena nel cielo. Selene sferza i candidi e veloci destrieri che battono le ali nel vento spaziale, la polvere d’argento si spande nell’aria, i raggi lattei rischiarano la terra.
Adesso come allora, Selene sorvola la Grecia e non vede più solo terre brulle, ma città illuminate e ode mille e mille voci di uomini, e tante lingue diverse mescolarsi. Eppure una cosa è rimasta come tempo addietro: il Latmo è ancora lì, come protetto da un incanto.
La Dea si ferma e, lentamente, atterra. Le Ninfe dei boschi la accolgono nuovamente, tengono a freno i cavalli, mentre ella cammina a passo di danza verso la familiare caverna.
È notte fonda e il buio regna sovrano ovunque, tranne che nella grotta, dove sprazzi di luce stellare si proiettano sul corpo perfetto di Endimione, creando incredibili giochi di chiaroscuro su di lui.
Il re dell’Elide dorme ancora profondamente e i suoi occhi sono ancora aperti, mentre la sua anima si solleva dal corpo e raggiunge Selene, avvolgendola in un tenero abbraccio.
Selene ride di una risata cristallina, carezza il suo amato. Poi, per magia, nell’aria si ode una dolce musica e Selene prende a danzare.
Balla suadente, balla divina, balla infondendo nelle sue movenze grazia e passione. La danza di Selene è una danza millenaria.
Allora come adesso, Selene balla per Endimione, che la guarda con gli stessi occhi meravigliati della prima volta che si sono incontrati.

 

 

 

 

 

Note pucciose dell’autrice:
Questa storia ha partecipato al concorso Temporal-mente. Il prompt a cui è ispirata è lo stralcio di canzone che potete leggere sotto il titolo. Nessuna violazione di copyright viene, pertanto, intesa. Parimenti il frammento: “scuote le membra”, è ripreso da una celebre poesia della poetessa Saffo, che adoro.

La storia si ispira al mito stesso di Selene ed Endimione e vuole essere una mia personale visione dei fatti.

 

Melian

   
 
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