S. Valentine – A Promising Future
I pallidi raggi di sole, che faticavano per superare la
tela delle tende, illuminavano pigramente il viso dalla pelle candida, le
palpebre socchiuse delicatamente.
Le iridi, così verdi da sembrare smeraldi puri, aspettavano,
sotto le palpebre, aspettavano di vedere il mondo così come lo avevano lasciato
la sera prima: lenzuola blu, pareti bianche ed un infinito calore provato in
ogni parte del corpo.
Tentò vanamente di riprendere sonno, ma era cosciente del
fatto che non ci sarebbe riuscita; oltre la luce del sole, l’innervosiva la
giustificata mancanza di quel calore che la sera prima – e durante la notte,
tutta – la riscaldava come l’era sempre piaciuto.
Aprì gli occhi, dunque, battendo ciglio vagamente
infastidita dalla forzata luminosità dei muri, alzò pigramente le sopracciglia
chiare e girò il proprio corpo, stendendolo sulla schiena.
Strinse i denti e deglutì, socchiudendo subito le labbra
per respirare regolarmente, mentre la parte di letto vuota accanto a lei la
metteva sempre più in ansia.
Era stupido pensare come, a distanza di anni, temesse
ancora in una sua fuga, in un abbandono, in una qualsiasi cosa che
avrebbe potuto ferirla.
O portarlo irrimediabilmente troppo lontano da lei.
Respirò, con calma, stendendo le labbra in una linea
dritta e assumendo un’espressione eterea. Rilassò i muscoli del viso, sentendo
quelli del ventre contrarsi, dolorosamente.
Si decise a muovere il busto in avanti, mordendosi un
labbro per sopprimere dei gemiti di dolore e poggiando una piede scalzo a
terra, rabbrividendo appena per il contatto freddo col pavimento. Rivelò la
gamba nuda da sotto le lenzuola scure, e fece pressione su questa per riuscire
ad alzarsi da quel comodo letto e mettersi in piedi.
Un momentaneo gelo l’avvolse, costringendola ad afferrare con bel poca delicatezza le coperte e buttarsele di tutta fretta addosso, coprendo il ventre scoperto e le spalle alzate.
Mosse qualche passo, soffocando uno sbadiglio dettato
dall’improvvisa sveglia e dalla voglia di ributtarsi a letto, superando così
l’ampio arco che separava la camera da letto ed il corridoio.
Si guardò intorno, perplessa; le tapparelle erano
completamente alzate e la sala brillava in ogni angolo grazie alla luce del
sole, ma di colui che stava cercando – e di cui aveva bisogno, in quel
momento – neanche l’ombra.
Con le sopracciglia aggrottate si spostò in cucina,
trovando i resti di una misera colazione sul tavolo e il lavandino pieno di
stoviglie sporche.
“Ma… dove cavolo…” si voltò, spaventata, mentre un
improvviso calore – l’ansia – s’impossessava di lei, facendola sentire
impotente, incapace di riflettere.
“Sakura.” La voce che tanto desiderava di sentire, sin da
quando aveva aperto gli occhi, le scaldò le orecchie, e la pesantezza avvertita
qualche secondo prima, svanì.
“Sasuke-kun. Mi hai fatto spaventare, sai? Evita di
sparire così, per favore.” Borbottò di tutta risposta, immusonita, mentre gli
occhi incontrarono quelli di un colore completamente diverso, se non opposto al
suo.
A molti il nero ricorda il buio, la morte, il niente.
Eppure a lei, quel nero, ricordava la luce, la vita, tutto
ciò che poteva avere o desiderare.
Il giovane inarcò un sopracciglio scuro, osservandola dall’alto in basso.
Sakura non si aspettava una sua vera e propria risposta;
era abituata ormai a non sentire rassicurazioni di alcun genere, per cui non se
ne preoccupò affatto.
Piuttosto, si avvicinò con passo lento al giovane Uchiha,
scrutandolo con malizia. Nonostante i capelli di onice fossero totalmente
spettinati, tanto da non avere un taglio preciso, la pelle fin troppo bianca e
gli occhi esageratamente marcati da profonde occhiaie scure, Sasuke l’attirava
come una calamita; come solo lui era sempre in grado di fare.
E sorrise, vagamente imbarazzata ed intimidita, nel
riscoprirsi così – e ancora, ancora, ancora – innamorata di lui, dopo tutti
quegli anni, dopo tutte quelle sofferenze, dopo tutti gli sbagli.
Alzò una mano, precedentemente seppellita sotto la coltre
di coperte nelle quali era avvolta, e l’appoggiò piano, con delicatezza, sulla
spalla nuda del compagno.
Lo sentì irrigidirsi per qualche istante prima di
rilassarsi sotto il suo tocco, e di rendersi conto che ormai era da tempo che
le cose andavano così.
“Abbassa un po’ le coperte. Solo un po’.” Sussurrò Sasuke
con voce roca, avvicinandosi maggiormente al corpo della ragazza, la quale
sorrise, spontanea, abbassando le lenzuola e scoprendo il ventre, fino a
qualche mese prima piatto.
Le faceva sempre un certo effetto vederlo così gonfio, con la pelle tesa in quel modo ma non poteva fare a meno di sentirsi in Paradiso, ogni qual volta le mani sfioravano la pancia in evidente sviluppo. E lì dentro – proprio dentro di lei – si stava creando ciò che aveva sempre sognato di avere con Sasuke, fin da quando era bambina, nei suoi sogni di un amore intenso e passionale, tramortiti poi dall’evidente riluttanza del ragazzo in questione.
Trattenne una risata, pensando che bene o male, i suoi
sogni si erano realizzati e Sasuke, che gli andasse bene o male, era comunque fregato.
Le mani del ragazzo – ormai uomo, a dire il vero –
sfiorarono la sua pelle tesa, morbida, fino a poggiarsi su di essa, carpendone
il calore.
Sasuke abbandonò lo sguardo di Sakura, abbassando la testa
e concentrandosi su quella parte di corpo nella quale maturava suo figlio,
un altro Uchiha. Si morse il labbro, sentendo il malaugurato bisogno di
appoggiare la fronte che, stranamente, bruciava, sulla spalla scoperta di
Sakura. Lo fece, trattenendo un sospiro, e sentendo il profumo di lei inebriargli
la mente.
La kunoichi socchiuse le labbra, come se volesse dire
qualcosa, ma infine le richiuse: non avrebbe voluto interrompere quel momento
che sembrava quasi surreale, non quando era lui ad interessarsi di quel che
stava accadendo.
Poggiò anche l’altra mano sulla spalla libera dell’Uchiha,
avvicinandosi, sentendo il bisogno di toccarlo, di sentirlo il più vicino
possibile, di saperlo presente.
La pancia sfiorò il ventre del giovane, e questi non si
mosse se non per accostarsi meglio al corpo della ragazza e chiudere gli occhi.
I capelli d’ossidiana scivolarono lungo le guance,
ricadendo in avanti a causa della posizione piegata della testa, e le
solleticarono con dolcezza la pelle sensibile del seno.
“Non manca molto.” Sibilò Sakura a bassa voce, che nessuno
avrebbe potuto udire se non Sasuke, così vicino a lei. Lui fece scorrere le
mani sul ventre rigonfio, accarezzandone il profilo, toccandone ogni parte,
come se non si volesse perdere nulla.
“Lo so.” Disse infine, sospirando e riaprendo gli occhi,
alzando la testa ed incontrando nuovamente lo sguardo di Sakura. Si osservarono
per non più di una frazione di secondo, fino a quando desiderosa di ricalcare
le sue necessità di donna col pancione, Sakura non si sporse verso il viso
dell’Uchiha, rubandogli l’aria e sfiorandogli le labbra, in quello che doveva
essere un’ombra di bacio. Sasuke non l’allontanò, piuttosto si limitò a stare
fermo, socchiudendo un poco le palpebre non appena la bocca della ragazza fu
sufficientemente vicina alla sua.
“Torna a letto, io devo andare adesso.” Tolse le mani dal
ventre di Sakura, alzandole in un gesto istintivo la coperta per coprirle le
spalle ed allontanandosi in fretta da lei, pronto a cercare la tenuta da jonin
dispersa chissà dove.
Sakura ridacchiò, avventurandosi in cucina per cercare qualcosa da mettere sotto i denti; la voglia di cibo era inesprimibile a parole, fin da quando Sasuke aveva avuto la brillante idea di metterla incinta. Lo stesso Uchiha, a volte, rimaneva basito di fronte alla quantità di viveri consumate dalla ragazza al giorno.
“Beh, divertiti!” esclamò solo, nascondendo un sorriso dietro ai ciuffi di capelli che le adombravano il volto. Fu felice che Sasuke non vide quel sorriso; il mugolio che le aveva dato in risposta non era poi così promettente e confortante.
Raddolcendo il sorriso sulle labbra, in uno più maturo e
che sapeva più di donna, osservò il suo uomo guardarla con un cipiglio
seccato, alzare una mano in segno di saluto e lanciarle un’occhiata che per
altre persone non avrebbe significato nulla; ma che per lei era carica di
sottintesi. Sasuke uscì, lasciandola sola in quelle quattro mura, e lei
sorrise, serena.
Sebbene Sasuke fosse dovuto uscire chissà quanto tempo prima,
aveva aspettato che si svegliasse e l’aveva coccolata a modo suo – decisamente,
a modo suo.
Sakura non gli avrebbe mai detto che quello, era il giorno
in cui si festeggiava “l’amore”, altrimenti si sarebbe ben guardato dal solo
toccarla.
(E Sasuke, mentre usciva di casa, sorrideva).
Ed infine era una quotidianità che le piaceva; molto meglio infatti, di qualsiasi altra cosa si sarebbe mai potuta aspettare (anche in un giorno come quello).
A dire il vero la fic per S. Valentino era un’altra.
Ma purtroppo non ho avuto tempo né di pensarla, né di scriverla. Mi dispiace di averla postata con un giorno di ritardo (soprattutto nel giorno dei “Singles” xD) ma che ci potete fare, sono una donna impegnata, io u.u”.
Questa fic è stata richiesta da Miyu92, che mi ha chiesto di descrivere un momento di quotidianità fra Sasuke e Sakura prendendo ispirazione dalla bellissima fanart di Nami86 (che linko qui: http://i301.photobucket.com/albums/nn72/wallflower_ninja/naruto/couples/sasusaku/A_Promising_Future_by_Nami86_by_Sar.jpg) – certe fanart si sognano, si sognano. E invece sono vere =ç= –.
Dedicata alla mia Necchan/Sacchan Lully/Lulls/Sakurina a dir si voglia. E anche ad Hipatya, LA donna filosoficamente SasuSakurosa XD. (e ne approfitto per pubblicizzare le sue bellissime frasi raccolte nella fic: La canzone che scrivo per te, è assolutamente splendida, soprattutto se avete voglia di qualcosa che sia fiQuo u.u).
Grazie per l’attenzione.
Rory.