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Autore: kissenlove    04/10/2015    5 recensioni
Dal capitolo #1
Era sempre una grande impresa riabituarsi a spazi nuovi, a compagni che ti guardano come se avessero davanti uno straniero, come se non avessero mai assistito a una cosa del genere.
Ciò mi portava inesorabilmente ad impegnarmi a ricercare tra una miriade di parole che mi ronzano nei pensieri qualcosa che potesse andare bene, qualcosa che desse un impatto positivo. Ero ferma, dinanzi alla figura del professore, che aveva appena concluso il suo consueto discorso agli studenti sul loro impegno nello studio, per poi accennare in modo vago il mio arrivo come nuova studente della Seiyo Accademy. Dopo di quello, un veloce chiacchierio di sottofondo si diffuse fra i miei nuovi compagni che si stavano chiedendo il motivo per cui non parlassi.
Era un problema presentarmi come si deve. Mostrarmi come ero in realtà, senza costruirmi una falsa me, ma anche questa volta riuscii a stravolgere tutto con un tono freddo che non mi apparteneva. Accennai un inchino, verso il basso, spingendomi in avanti, e poi alzando gli occhi color blu cobalto mi presentai.
-Piacere. Yumiko Hinamori. -
Il silenzio.
/STA A VOI SCOPRIRE COSA CENTRANO I PERSONAGGI CON AMU E IKUTO/
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Amu Hinamori, Ikuto Tsukiyomi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                Io, il lucchetto. Tu, la chiave.

                                                                        Incontro/scontro #3




—Bene ragazzi, direi che con questo possiamo concludere questa interessantissima lezione. Non dimenticatevi inoltre che lunedì io valuterò se avete studiato oppure no con una bella interrogazione frontale.– alla fine della parola “interrogazione” un borbottio disperato proveniente da alcuni miei compagni dietro di me si espanse a macchia d’olio finendo per coinvolgere quasi tutti. 
—Non voglio sentire no non voglio, o non ho studiato professore. Non ammetto certi comportamenti sia chiaro. Quindi mettete i vostri culi sulle sedie delle vostre stanze e imparate tutto ciò che abbiamo spiegato. – lo disse molto seccante, impugnando severamente la penna nera per scagliarcela addosso. —Uhm... Tsukiyomi!– appena sentii il suo acido richiamo, dovetti abbandonare la posizione da sdraiato e rizzarmi a sedere. —Preparati bene, perché sono sicuro che sceglierò te come sperimentazione. –
Ero sicuro che quel prof ce l’avesse a morte con me, non avevo dubbi, ma come dargli torto durante la sua pallosa spiegazione mi ero per un momento rilassato, appoggiando la testa sulle braccia come se fosse in cuscino, e mi ero perso a guardare Yumiko, la ragazza appena arrivata alla Seiyo, che mi aveva subito attirato a sé come una carta moschicida. Mi piaceva scrutarla in ogni suo gesto naturale, che andava dal semplice incassare il volto nelle scapole, fino al prendere qualche appunto detto dal prof. 
Quando metteva penna sul quaderno, la vedevo curvarsi in avanti, scriveva qualche riga, poi si fermava, si puntava la penna al mento, i suoi occhi blu ametista roteavano in alto, e poi tornavano immediatamente dopo sul foglio; anche le sue labbra, piccole, delicate, ben intagliate, simili alle mie, qualche volta restavano chiuse, poi si aprivano di poco per sbuffare. Le sue mani passavano ininterrottamente dal porta pastelli agli appunti e apparivano segnate dall’inchiostro. 
Di nuovo mi ero perso nei meandri dei miei pensieri, mentre il prof stava alzato, vicino alla cattedra. 
Risvegliatomi dalla trans mi sbrigai a ribattere. —Non è giusto prof, perché io!–
Lui si aggiustò meglio gli occhiali dalle lenti giganti e spesse. 
—Non sono uno stupido, so benissimo che cosa hai combinato durante tutta l’ora.– a quelle parole il viso mi si colorò di rosso porpora, sembrava che a causa del troppo imbarazzo non potessi più respirare, fu orribile, e oltretutto sentire lo sghignazzo dei compagni non era di certo una cosa di cui essere fieri. Che avrebbe pensato di me Yumiko se il prof mi avesse smascherato? 
Devo impedire a quel vecchio stoccafisso di parlare! 

—Prof è vero mi scusi. Mi sacrificherò se è questo che vuole. – annunciai. 
Il tipo mi fissò sbalordito, ciò che doveva confessare alla classe morì nella bocca. 
—V-va bene... credo di aver detto tutto. – concluse. Recuperò molto in fretta il suo libro di testo, il suo giubbino nero e le chiavi della sua macchina, e slittò via dalla nostra aula con quella sua faccia da baccalà ammuffito. Appena si richiuse la porta alle spalle, la classe prima taciturna divenne un mercato, tutti i compagni si alzarono e iniziarono a parlare a voce alta, poi uno di quelli, Aru, il nostro rappresentante di classe prese parola. —Questo lunedì ci fa la festa.– 
Un altro mio compagno, dai capelli biondi, e il cognome Hotori, sì avete capito bene è il figlio di Tadase, il fratellastro minore di mio padre, tra di loro c’è sempre stata una certa antipatia, Tadase riteneva mio padre “un gatto nero che portava sfortuna” erano entrambi innamorati della stessa donna, nessuno dei due voleva e aveva intenzione di perdere contro l’altro, ma fortunatamente io e Aru non godiamo dello stesso rapporto astioso dei nostri padri. Siamo molto amici, ci aiutiamo spesso a vicenda, lui è bravo in italiano e in altre materie di teoria, io invece durante i compiti gli passo matematica; alla fine anche Tomoko tentò di dire qualcosa, anche se di natura aveva preso tutto dal padre, era timido e impacciato. —Credo che non dovremmo sfidare il professore.–
Yumiko ascoltava la discussione, astenendosi. 
—Sentite..– intervenni io, issandomi in piedi. —Chi deve essere interrogato sono io, quindi parerò i culi a tutti.–
—Tsukiyomi... il punto è altro, dobbiamo evitare l’interrogazione.– sottolineò. 
—E che cosa hai intenzione di fare. – tentò il mio amico. 
—Non sacrificherò il mio fine settimana in questo modo.–
—Aru non possiamo farlo! Già mi schifa il prof di italiano.– dissi. 
—Se volete farvi interrogare e andare al patibolo accomodatevi, non mi interessa. Opero principalmente per il bene nostro e della nostra media scolastica, Tsukiyomi. – mise in chiaro, facendosi accompagnare come guardie del corpo, nel bagno maschile, che era a circa poche porte prima della guardiola del bidello. Aru non era un tipo che digerivo facilmente, aveva voluto sempre la ragione dalla sua parte e il torto da quella del suo nemico, era il tipico ragazzetto viziato che aveva tutto e che ti giudicava senza sapere chi eri. 
Il mio primo giorno di scuola non fu uno dei migliori. Mi ero svegliato tardi, e mio padre era stata costretto a fare gli straordinari per accompagnarmi, con tutti gli impegni che occupavano la sua testa dopo essersi separato da mia madre, Misaki, e in passato, anche dalla donna della sua vita Amu. Appena ero entrato in classe dopo essermi presentato, Aru mi aveva bellamente riso in faccia. 
“Guarda... guarda... tu devi esseri Tsukiyomi, vero?” con classico tono da strafottente. 
Io risposi deciso di chiamarmi Daisuke, e avere quattordici anni che avevo compiuto un mese prima, ad agosto. 
“Toglimi una curiosità. Sei orfano? No... perché il signore che ti ha accompagnato sembrava più tuo fratello..” 
Un ghigno serafico gli si dipinse il volto. I miei pugni iniziarono a fremere. 
“Ora capisco!” poi rise, il sangue mi oscurò la vista e mi impedì di ragionare con calma; alzai ferocemente il pugno stretto, indirizzandolo verso il suo viso, poi con poca lucidità, senza neanche pensare alla conseguenza che ne sarebbe derivata, affondai il colpo nella sua guancia che gli divenne olivastra. A quel forte impatto, lui cadde per terra. 
“Ma come osi, tu brutto...!” alla fine mandò uno dei suoi compagni ad informare il preside, e io per quel gesto di violenza fui sospeso per una settimana intera. Nonostante il periodo di pausa che ho avuto, la presa in giro si aggiungeva alle tante degli anni passati. 
Il avere solo un padre, e una madre che si era completamente dimenticata dalla mia esistenza comportava parecchi problemi, però una settimana dopo da quella nota incontrai Tomoko Hotori, il figlio di Tadase, e grazie a lui ho scoperto che cosa voleva dire avere qualche amico con cui parlare e sfogarsi. —Daisuke.– una voce flebile e dolce come il miele mi giunse all’orecchio, strappandomi dai miei pensieri riflessivi, e io voltai il capo verso sinistra, nel mio campo visivo si specchiò la figura gracile e posata di Yumiko. 
Chi era quello lì?– chiese, indicando la porta da cui poco prima l’aveva visto uscire. 
—Tieniti lontana Hinamori. Non è un tipo che tiene le mani a posto, sopratutto con una bella e dolce ragazza come te.– 
Avermi fatto scappare per sbaglio quel bella e dolce mi costò un nuovo rossore sulle guance. Allo stesso tempo anche Hinamori si fece rossa come un peperone, incassando ancora di più la testa nelle spalle, mentre i suoi capelli rosa confetto sprigionavano un tale aroma di fragola. —Non c’è bisogno che ti preoccupi per me Tsukiyomi, so badare a me stessa.–
—Volevo solo che stessi attenta.–  
—G-grazie molte per l’interessamento.– mi riservò un sorriso solare dei suoi; come era delicata quando sorrideva, sembrava somigliare a un fiore, anche se i suoi occhi erano blu cobalto come il mare, e misterioso come la notte. 
Mi immobilizzai a guardare solamente quelle sue fossette, restavo fermo per non perderle di vista, anche se fu inutile visto e considerato che improvvisamente sentii una vigorosa pacca sulla scapola, al che trasalii, vedendo spinto in avanti. 
—Ah... e che cavolo!– strillai furente di rabbia contro la persona che ci ha disturbato. 
Guarda caso non è una persona a me estranea, ma il mio amico Tomoko. 
—Daisuke, non mi presenti la tua amichetta?– si mise a dire, ammiccante. 
Io gli rivolgo uno sguardo di brace. 
—Non è una mia amiche..– non continuo, perché lui sta già puntando Yumiko. —Tu devi essere nuova giusto?–


Pov’ Yumiko


Stavo parlando con Daisuke, credo che mi stia abbastanza simpatico, è anche molto carino, e somiglia in modo sorprendente a mia madre.
Probabilmente sarà una coincidenza. Dopo la lezione del prof Daisuke si è scaldato molto con quel tipo, il nostro rappresentante di classe, per non parlare del tacito accordo fra lui e il prof, che si è zittito senza più dire nulla. 
Mi è sembrato che tra quel tipo e Daisuke non corresse buon sangue, visto il modo in cui si beffava delle sue idee, visto il modo in cui lo prendeva in giro, visto il modo meschino con cui lo osservava, di certo nessuno gli dava il diritto di giudicare gli altri, e probabilmente Daisuke ha ragione, devo tenermi lontana da lui, quando i ragazzini sono viziati e ricchi, mica vogliono, anzi pretendono tutto, senza avere pazienza, una cosa la pretendono subito, ora, all’istante, e io non ero il tipo da fornirgliela così. 
Daisuke invece era il giovane tranquillo, criptico, affascinante, con quel poco di gentilezza, unita a sano gusto di competizione. 
Quando, dopo la lezione, si è avvicinato al mio banco su mia richiesta l’ho visto diverso, insicuro, che non sapesse cosa fare, e quando ho messo su un sorriso di quelli miei, dopo il suo interessamento nei miei confronti, è arrossito, si è fatto più rosso del pomodoro, sembrava quasi a disagio, magari forse è un abitudine dei giapponesi che io non conosco, e non è essere razzisti. Alla fine non ci ho capito più niente, lui non parlava, non diceva nemmeno una sillaba, anzi restava pietrificato, a osservarmi.. osservare la mia faccia. Poi si è ridestato, con una potente pacca, e girandosi di sbotto ha incontrato la faccia di un bel biondino: carino, occhi violastri, capelli biondi. Non lo conoscevo, ma dal modo in cui si relazionava con Daisuke, lo avevo capito: erano grandi amici. 
Il tipo subito mi ha fatto un interrogatorio veloce. 
—Sì, è-è così.– dico, anzi balbetto perlopiù. 
—Ti do il benvenuto alla Seiyo Accademy.– cinguetta allegramente, abbracciando Daisuke, che cercò di dimenarsi. 
—Grazie molte. Siete tutti molto gentili qui in Giappone.– rispondo sinceramente, accennando un nuovo sorriso. 
Questa volta ad arrossire non solo Daisuke ma anche leggermente il suo amico. 
—Uhm... che sciocco non mi sono presentato!– strillò, mostrandomi una mano. —Piacere mio. Tomoko Hotori.– 
—Yumiko Hinamori.– profetizzo, stringendogliela. 
—Mi piace molto il tuo nome.– 
Io rido. —Merito di mia madre. –
—E tuo padre? Non ci hai parlato di lui, come si chiama?– domanda ancora Tomoko. 
Questo fu un quesito a tradimento. Da quando ero nata non avevo fatto altro che chiedermi dove fosse l’uomo che mi aveva creato, perché ero in Scotland se il mio paese di origine era un altro; da quando ero nata avevo cambiato la vita di mia mamma, ero stata per lei una gioia ma una grande responsabilità da tener conto, poi a sei anni ho iniziato a porre delle domande a mia madre, domande infantili “papà è partito per un viaggio?” a ogni domanda diversa mia mamma faceva di tutto per non scoppiare a piangere, si ordinava di non versare nessuna lacrima, nemmeno la più piccola, sapeva in cuor suo che sarebbe accaduto. 
Alle domande più specifiche, di una bambina di dieci quasi undici anni, lei rispose che non avevo ancora un età appropriata per venire a conoscenza della verità, che lei non poteva parlarmene ancora, perché aveva paura che la odiassi, non la capissi e la giudicassi senza tener conto di quanto avesse patito per portare avanti una gravidanza indesiderata. 
A tredici anni mia madre iniziò a mostrarmi alcuni aspetti di mio padre, e fui contenta di scoprire che avevo i suoi stessi occhi, quel blu cobalto che quando sono nata le pugnalò il cuore, doveva scordarlo, ma poi come avrebbe potuto fare se gli occhi di sua figlia erano i suoi? Mio padre aveva capelli blu notte, corti, e occhi ametista; era un pervertito - raccontò mamma - trovava ogni scusa per infilarsi nel suo letto e per stuzzicarla, lei si arrabbiava e imprecava contro di lui, aveva 17 anni, lei 12 cinque anni di differenza che non riuscivano a scalfire quell’amore intenso che si erano sempre professati. Alla fine lui se ne andò, e lei rimase sola, e incinta. 
Quindi di mio padre non sapevo che dire, sapevo solo che gli somigliavo, che avevo la sua stessa grinta, ma nulla di più. 
Ogni volta che usciva fuori l’argomento dei papà io inventavo delle scuse, dicevo che lavorava all’estero, o che era un astronauta che se ne stava nello spazio, ma queste erano tutte fasulle bugie, falsità, come era da sempre stato lui con la mamma. 
—Di mio padre... non so poi molto, lui abbandonò me e mia madre, anzi quando lei era incinta.–
Daisuke sgranò gli occhi. 
—Quale uomo farebbe mai una cosa del genere?– 
Io sospirai, abbassando la testa. 
—Un mostro... senza cuore.–
Tomoko mugugnò strani versi in risposta, mentre io avevo un po’ gli occhi lucidi, mi capitava ogni volta che parlavo di quella bestia. 
Non osavo piangere dinanzi a mia madre, aveva già parecchi problemi a mandare avanti la casa da sola, non potevo aggiungerne altri, quindi quando sapevo che tra poco una lacrima mi avrebbe rigato il volto, mi pizzicavo sotto, e la sollevavo in modo che essa se ne scendesse giù silenziosa, e fosse assorbita. Odiavo parlare di mio padre, odiavo ricordarlo, odiavo rimembrare il ricordo a mia madre per via delle mie iridi, e odiavo essere legata a un’amore mai concretizzato; mi chiedevo spesso il perché, perché aveva abbandonato mia madre, perché era solo stata un ripiego per lui, e io allora, perché non mi voleva, forse voleva che mamma abortisse, o semplicemente non gli andava di essere padre, ma sta di fatto che non ho mai avuto il suo cognome, né mi ha mai riconosciuto. Per lui non ero mai esistita, e questo mi metteva addosso una certa depressione. 
Dovevo essere davvero così brutta da piccola. 
Scossi il capo, e tornai serena a guardare i due. Notavo che anche Daisuke si stava trattenendo dal piangere. 
—Ah giusto, Daisuke perdonaci. Tuo padre si è separato da tua madre, forse è questo che ti fa stare male.– dichiarò Tomoko. 
Io ebbi l’impressione di aver fatto qualcosa di dannatamente sbagliato. Mi tappai la bocca per le stupidaggini che mi ero fatta scappare fuori, era la prima volta che dicevo qualcosa che somigliava in modo vago al reale. 
—Scusami, non lo sapevo!– mormorai, visibilmente dispiaciuta. 
Lui mosse un dito nella mia direzione. 
—É acqua passata... non ci penso più.- fa, anche se nelle sue parole c’è un misto di verità e menzogne. 
—No, non è vero. Se soffri, soffri sempre.– 
Daisuke allargò l’iride. 
—Preferirei dimenticare del tutto però.. il fatto che mia madre non si curi minimamente di me.– 
—Non puoi dimenticare, sarebbe impossibile.–  
—Già, non posso.– poi dopo che lui ha affermato di non poter dimenticare sua madre e il suo rifiuto verso lui, è rimasto silenzioso, entrambi lo siamo, entrambi abbiamo parecchie ferite che devono essere ricucite per smettere di versare sangue. 
Tomoko accortosi della situazione rompe il ghiaccio. 
—Cosa sono quelle facce... malinconiche?– 
All’unisono, io e Daisuke, dirigiamo la faccia al terzo, assottigliando le fessure degli occhi per carpire qualche informazione, nascosta in mezzo a quel sorrisetto appena spuntatogli sulle labbra rosee. Tomoko somigliava molto a una femminuccia, rispetto a Daisuke. 
Daisuke aveva mentalità e aspetto di un ragazzo di diciotto anni, anche se ne aveva solo quattordici. Erano amici perché si incastravano perfettamente, e si trovavano: Daisuke era misterioso e silenzioso, Tomoko era sì timido ma aveva anche idee strambe, a confronto di Tsukiyomi che pareva essere apatico in tutto. Erano diversi, ma in ogni caso, così simili. 
Sole e luna, per spiegarci meglio. 
—Tomoko cosa ti frulla per la testa?– gli domandò Daisuke. 
Il tipo rispose. —Non sono a una veglia funebre ma.. – improvvisamente il suono concitato della campanella che avvisa il periodo di spuntino lo interrompe, e lui sorridente, guardò l’orologio nero al suo polso. —Tempismo perfetto!–
—Sai che mi è difficile capirti?– lo canzona Daisuke. 
—Lo so... vediamo ragazzino che hai per merenda?–
A quanto pare Tomoko non amava portarsi la merenda da casa, infatti sua madre - come mi bofonchiò Daisuke pochi istanti prima di dargli una risposta, ovvero urlargli bellamente in faccia il suo disappunto - non gliela preparava mai, diceva che si appesantiva la borsa e lui non voleva finire come un secchione ricurvo e rachitico. 
—Non ci provare!— strillò Daisuke. —Ti taglio le mani!–
Tomoko rise. 
—Correrò il rischio. Allora, Yumiko vuoi unirti a noi?–
Non me lo sarei perso per nulla al mondo, finalmente avevo nuovi amici che mi facevano compagnia, non ero più sola. 
La vita iniziava a sorridermi. Con enorme eleganza, feci un inchino, e risposi. —Con molto piacere!– poi unimmo i banchi, e iniziammo a consumare il nostro gustoso pranzetto tra risate e scherzi. 


Pov’s Amu

Dopo aver accompagnato Yumiko a scuola mi ero recata al colloquio di lavoro. 
Come sapete dopo essermi separata da Ikuto sono stata costretta dagli eventi a cambiare città e vita, anche per provvedere al benessere della mia piccola, nata da una relazione dannatamente sbagliata. Ora mi prodigo quanto posso per mandare avanti la casa, e ci sto riuscendo rispettando i canoni della mia forza, visto e considerato la completa assenza di una figura maschile. 
Dopo le mie esperienze posso dichiarare apertamente che mi piace essere libera, anche con una figlia. Non fu facile ricostruire tutto da zero, in una città dove la lingua era araba, non c’erano i miei, e nemmeno gli amici guardiani; la gravidanza non fu rose e fiori come tutte ci aspettiamo, ebbi molti problemi, per mantenermi lavoravo duro e fino a tardi, e non avevo tempo per me stessa.
Non facevo la stagista, il lavoro di oggi che mi ha portato molti profitti, ero una cameriera in un bar inglese. 
Dovevo correre avanti e indietro per i tavoli, ciò che richiedeva profonda energia, ma che io non avevo. 
Ero al quinto mese, il mio capo non mi voleva prendere, diceva che dovevo stare forzatamente a casa, ma io non volevo, desideravo ardentemente un futuro migliore per il bambino che sarebbe nato, e con tutta la testardaggine che avevo riuscii a convincerla. 
Mi avrebbe dato la maternità alla fine del nono mese, qualche settimana prima per intenderci, ma io fui costretta a smettere prima. 
Me lo impose il dottore. Lavorando molte ore, non nutrendomi bene, avevo avuto parecchie perdite di sangue. 
Rischiavo di perdere il bambino, di avere qualche emorragia nel caso in cui il feto fosse potuto morire, ma fortunatamente l’incidente non impedì a Yumiko di venire al mondo, al settimo mese, sì è settimina, ma poi è cresciuta forte e sana. 
Il mio orgoglio, dopo che Ikuto mi ha abbandonato non ho fatto altro che chiedermi dove avessi sbagliato, se forse per lui ero ancora infantile, avevo partorito a diciotto anni, senza nessuno; quando Yumiko è nata, all’1:30 la ebbi tra le braccia per pochi secondi. 
Era piccola, gracile, e morbida come una piuma, ma al tempo stesso forte, come una roccia. 
I capelli erano fili sottilissimi color rosa confetto, le sue guance piene e rosse, le sue manine strette al suo petto; quando la strinsi, fui sbalordita al constatare che qualcosa del padre era riuscita ad ereditare: i suoi occhi, i suoi profondi occhi ametista erano di... del ragazzo che ho amato più nella mia vita, e che a distanza di tanti anni, continuo ad amare. Quel blu cobalto, scuro, che mi mostravano i vispi occhietti della mia piccola Yumiko erano i suoi, e ben presto mi resi conto che il colore non cambiò più di molto nei successivi nove mesi, ma rimasero quel blu notte che amavo, odiavo, e che volevo distruggere, allo stesso tempo. 
Adesso Yumiko è grande, e io ho aperto un nuovo capitolo della mia storia complicata: sono stagista, e sto per affrontare un primo colloquio che mi rende particolarmente nervosa in macchina, mentre studio le parole da dire, e faccio una lista mentale di ciò che ho riposto nel bagagliaio dietro. —Oh.. non posso aver dimenticato niente!– strillo, la mia casa è troppo distante, avrei fatto tardi. 
Ero già giunta all’indirizzo dettatomi dal segretario del capo; mi trovavo al centro di Osaka, e il palazzo dove probabilmente avrei lavorato come stagista si trovava proprio dinanzi a me, era molto alto, di sedici piani, si elevava al cielo, finendo con una lunga asta, probabilmente l’antenna della radio, visto che ospitava ben 2.000 uffici. Il capo doveva essere davvero ricco e sfondato. 
Deglutii il groppo in gola, e scesi dalla vettura, aprii con un clic il portabagagli, e recuperato l’occorrente mi avviai verso l’entrata. 
—Forza!– esclamai a me stessa, ghiacciandomi vicino alle porte, che rimasero aperte. 
Spalancai la bocca. L’interno pareva la stanza di un albergo di cinque stelle, poco più in là sedie e poltrone sotto a un tappeto blu. 
Di qualche metro più dinanzi una grossa scalinata che portava ai piani, che ne erano sedici, ma dalla parte destra c’era l’ascensore. 
Dinanzi, dritto, vi era la reception, dove un signore pelato, con un uniforme nera, stava sistemando qualche catalogo; ne approfittai per avvicinarmi e chiedere qualche spiegazione. —Scusi!– il tipo alzò lo sguardo dal laptop (sì, i pc si chiamano così, non chiedetemi perché si chiamano laptop) 
—Desidera?– 
—Mi chiamo Amu Hinamori. Ho un colloquio di lavoro con il capo, per favore mi dica se è disponibile.– 
Il tipo annuì, e smanettò sul pc, poi mi rivolse nuovamente i suoi occhi nocciola. 
—Mi dispiace, ma il capo non è ancora arrivato. Può ripassare può tardi, signorina?–
—Signora.– lo corressi. Andarmene a casa non se ne parlava, sarei rimasta lì ad attendere quello sfacciato. —Ho tempo sufficiente, e altrettanta pazienza per attenderlo seduta, con un giornale in mano, su quella poltrona.– e ne indicai una. 
—Allora si accomodi, non tarderà. - 
—Sarà meglio!– digrignai, andando verso la poltrona, ma poi visto che non mi andava di stare zitta, tornai alla reception. 
—Signorina, cosa succede ancora? Vi ho già detto.. - 
—Non me ne importa, la prego di chiamarmi signora. Ho qualche parolina che voi riferiate al capo. –
Il tipo annuì. 
—BENE DITEGLI CHE É DA IDIOTI NON PRESENTARSI, QUANDO UNA PERSONA HA UN COLLOQUIO CON TE, CHE NE VA DELLA SUA INTERA ESISTENZA. 
DITEGLI CHE NON HO TEMPO DA PERDERE, CHE HO COSE PIÙ IMPORTANTI CHE ASPETTARE UN PERDITEMPO COME QUEL SIGNORE ANZIANO, PELATO, RINCITRULLITO CHE NON SI FA NEMMENO TROVARE! - 
Il tipo cercò di schiarirsi la voce, perché qualcuno mi era comparso alle spalle. 
—Ehm... signorina..–
—ANCORA! SONO CINQUANTA VOLTE CHE LO RIPETO: S-I-G-N-O-R-A! LE VA BENE LO SPELLING? BE’ NON IMPORTA DICA AL SUO CAPO CHE NON RISPETTA GLI ORARI, DI AGGIUSTARSI NON SOLO LA TESTA MA ANCHE LA BUSSOLA, PERCHÉ MI SNERVANO LE PERSONE CHE NON RISPETTANO I PROPRI IMPEGNI, E CHE OLTRETUTTO SI DANNO TANTE ARIE PERCHÉ SONO RICCHI SFONDATI, MA ANDIAMO!  - 
—Ehm.. signora... aspetti io.-
—NON MI DICA NULLA, HO GIÀ CAPITO TUTTO, PER QUESTO ME NE VADO, E NON TORNO. ARRIVEDERCI, LO DICA AL SUO CAPO! - 
Mi voltai di scatto con un diavolo per capello, e finii per inciampare addosso a un ragazzo, poco più alto di me, che mi agguantò le mani vicino ai miei polsi. I suoi occhi blu ametista mi annullarono totalmente, erano ancora più magnifici visti da quella prospettiva, lo smoking nero che indossava gli stava benissimo, e creava un bell’effetto anche grazie alla sua chioma, dello stesso colore delle sue iridi. Il giovane mi rise addosso, mentre mi specchiavo nei suoi occhi, e lui nei miei. Ma la cosa che mi fece perdere del tutto la testa fu il constatare che chi mi aveva afferrato con così tanto zelo non era un ragazzo qualunque.
—Quindi sarei uno che non rispetta gli impegni, eh.. - 
Io mi misi a fissarlo sbalordita, lui ancor più sbalordito di me; era passato tanto, forse, troppo tempo. 
Entrambi eravamo diversi, ma i nostri cuori non avevano smesso di rotearci in petto da quando ci eravamo scontrati. 
Io lo osservai dalla testa ai piedi, mormorando. -S-sei veramente tu... - 
Lui accennò un sorriso. Potevo riconoscerlo tra tanti ragazzi che avevo davanti, era lui. 
-Ikuto. - 










*** Angolo della Love***

Uhm, uhm bam! 
Ikuto e Amu il ricontrarsi dopo tanto tempo, e il fatto che lui fosse ancora strafottente ai suoi occhi mi fa venire i cuoricini agli occhi.
Sono stupendi anche così. Amu, per chiarimento, ha trentadue anni, si è trasferita a Scotland per non dare dispiaceri alla sua famiglia, e come sapete ha partorito a diciotto anni. Ora fa la stagista, un lavoro che consiste - in realtà di moda - è tirocinante per scrivere e stampare articoli di giornali presso un’azienda facoltosa. Per i suoi sentimenti su Ikuto non dico nulla, poi scoprirete; per quanto riguarda lui, ha trentacinque anni, si è sposato con Misaki, quando è andato a Parigi a suonare col suo violino, e ha avuto da lei Daisuke e la bambina che la moglie ha portato via da lui [nome da decidere] ora è divorziato, ed è il proprietario dell’azienda. 
Bene, se vi ho chiarito le idee ne sono contenta :) ma se non capite siete liberi di contattarmi. 
Inoltre vi avviso che è possibile seguire gli aggiornamenti anche attraverso il sito facebook →
https://www.facebook.com/Kissenlove_EFP-Fanfiction-1695358057342331/timeline/?ref=bookmarks  
Per qualsiasi informazione, il sito sta sopra! Seguitelo per scoprire i prossimi aggiornamenti dell’autore, e fatemi sapere se vi è piaciuto o no l’incontro/scontro fra Amu e Ikuto, o lo volevate più dettagliato e diverso. 
Baci #Love



 
   
 
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