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Autore: Mini GD    04/10/2015    5 recensioni
Si era mostrata per quella che era: un bellissimo fiore che stava appassendo ma che non perdeva il suo fascino.
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia che vi sto per raccontare ha radici in un passato che ha perso la data, dove la magia si intrecciava con la normalità. Vede protagonista una ragazza alla ricerca di una parte di sé che aveva dato sempre per scontata.
 
Orsola era una giovane donna dai lunghi e fini capelli biondi, lucenti come il sole. I suoi occhi erano color nocciola, magnetici e riflessivi. Era solita passeggiare con un libro in una mano, con l'indice come segnaposto. Passava i pomeriggi a cercare un posto isolato nella quale poter leggere senza sentirsi circondata dalla presenza del fratello minore.
A guardarli non sembravano parenti, se non per il pallido incarnato e lo sguardo scuro e persuasivo. I capelli del più piccolo erano di un castano scuro, tale da avvicinarsi al nero.
I loro caratteri erano agli antipodi, si respingevano come i poli opposti di una calamita.
Orsola prediligeva il pensiero razionale, lo studio delle antiche arti e della filosofia e ponderava per molto tempo le sue scelte. Amava giocare a scacchi, calcolando ogni mossa come se fosse l'ultima della sua vita.
Ma non Fabrizio, che aveva tre anni di differenza da lei. Non tratteneva nulla per sé, anzi, agiva senza mai riflettere. Odiava leggere i libri per diletto, preferiva lanciarsi ogni volta in nuove emozioni. Quando qualcosa non andava come voleva, diventava quasi aggressivo, per poi sfumare la sua rabbia nell'immediato, ritornando allegro e sorridente.
Orsola, essendo molto riflessiva, di rado si lasciava scappare qualche frase o epiteto offensivo e, ancora più raramente, si calava in discussioni improduttive, che si allontanavano dalla letteratura. Mai aveva litigato con qualcuno, al massimo si limitava ad ammonire dolcemente, l'infantile comportamento del fratello.
 
Il palazzo che ospitava la sua famiglia era situato nel posto più in alto dell'intera cittadina. Era bellissimo e ampio, dallo stile barocco e dai colori dalle tinte chiare, che variavano dal verdino al giallo pallido.
Era immerso nella natura e, essendo in alto, dalle balconate si poteva ammirare la popolazione che viveva tranquilla, nella routine quotidiana. C'era il fornaio che passava le ore notturne a lavorare così che l'odore del pane fresco si diffondeva per le strade, come un dolce richiamo dai sogni.
Orsola adorava guardare quello che accadeva tra quelle vie, quelle intersezioni di vite.
Quando non leggeva, si travestiva per uscire da palazzo e permettersi di girovagare per la città sotto gli occhi di tutti, ma senza che nessuno sospettasse nulla.
Essendo padrona della virtù della Prudenza, non poteva lasciar intendere a nessuno che lei abitava nel palazzo che si trova sulla collina.
Nelle sue gite nella vita di tutti i giorni, solitamente dispensava utili consigli su come agire.
Si recava anche al parco, per giocare con gli anziani del posto. Loro apprezzavano la sua compagnia, perché prestava sempre ascolto ai loro racconti, tra una partita di carte e l’altra.

Ogni primo del mese, si recava nella stanza delle Virtù, accompagnata dalla madre Euridice. Tutte le donne della famiglia avevano il compito di proteggere e dispensare una delle attitudini ricevute dalla nascita.
La madre rappresentava la giustizia. Infatti, nella cittadina, svolgeva il ruolo di giudice imparziale e giusto, mediatore dei conflitti.
Anche la nonna di Orsola, scomparsa da poco, si univa a loro per rinnovare il dono della temperanza.
La stanza delle Virtù era celata agli occhi degli estranei alla famiglia. Non aveva una dimora fissa, ma risiedeva all’ultimo piano e, per essere riconoscibile a chi aveva lo sguardo attento, aveva sulla porta i simboli delle quattro virtù cardinali.
Sotto ad ogni emblema, con una calligrafia elegante compariva, a seconda della donna che toccava la maniglia, la virtù che rappresentava: se ad aprire la porta era Orsola, la figura che la rappresentava si animava e al di sotto compariva la scritta Prudenza.
Orsola trovava affascinanti i simboli delle virtù. Il suo era una giovane donna, come lei, che reggeva nella destra uno specchio e, avviluppato sul braccio sinistro, si ergeva un serpente, che indicava la saggezza e quindi la capacità di saper ponderare le proprie scelte.

Essere la padrona del dono della prudenza la faceva sentire importante, ma si era sempre chiesta come sarebbe stata la sua vita in assenza di quella particolare grazia. E si sa, quando si desidera troppo qualcosa, questa finisce con l’avverarsi.

Era il primo di settembre e come da regola, le due donne si recavano verso la stanza delle Virtù. Euridice avvolta nella sua veste azzurra, dall’aspetto impalpabile e Orsola con delle rose bianche tra i capelli, colte il giorno precedente. Avanzavano alla stessa velocità, nella semi-oscurità dell’alba di quel giorno plumbeo. La porta si ergeva nella sua solennità, nella sua inviolabile presenza.
Al tocco della mano di Euridice sulla maniglia, l’uscio si spalanca, lasciando entrare le due donne nel buio fitto di quella stanza dalle finestre semichiuse. Ad ogni passo prende vita una lucina, che svanisce al successivo. Nella loro grazia e dinamismo, era uno spettacolo ammirare tante piccole lucciole bianche che prendevano vita nella stessa rapidità con la quale la perdevano.
Al centro della sala c’erano quattro colonne tagliate che fungevano da base per i piccoli scrigni delle quattro virtù. Il rito compiuto mensilmente garantiva gli equilibri della cittadina.
Orsola si lasciò scappare un gridolino soffocato dalle sue mani, non appena si rese conto che, sulla sua colonna, non c’era più nulla. Com’era possibile? Si sentì mancare e le gambe cedettero sotto il peso dei suoi dubbi. Non aveva mai letto o sentito raccontare di un evento simile.
Si voltò verso la madre per chiedere aiuto, ma la ritrovò intenta e completamente presa dalla cerimonia che stava compiendo.
Euridice aprì il suo scrigno color zaffiro e una luce la investì, senza accecarla. Infilò le mani nel cofanetto come se fosse più profondo di quanto potesse davvero sembrare alla vista e queste riemersero stringendo una piccola sfera brillante, che prese il volo sotto le sembianze di una colomba bellissima e splendente. L’uccello di luce si avvicinò al soffitto immenso venendo inglobato nella riproduzione della volta celeste, in una delle quattro stelle virtuose. La stanza venne rischiarata da quella stella appena rinata, suscitando l’invidia del Sole che stava cominciando la sua salita nei cieli di questo emisfero.
Solo allora la madre si rese conto che qualcosa non andava e posò lo sguardo sulla figlia che era seduta a terra, con una lacrima a bagnarle la faccia. Richiuse lo scrigno e raggiunse la colonna, vuota, della Prudenza.
Orsola si era sollevata e con la manica aveva rimosso i segni della debolezza che l’aveva colta e, senza proferir parola, uscì da quella stanza, per cercare le risposte che voleva lontano dal viso duro e giustamente sospettoso della madre.
L’unico posto che le poteva dare quelle risposte era la biblioteca, fonte della sua intelligenza. I sensi di colpa si stavano piano piano impossessando di lei, perché era nata per proteggere quel cofanetto e il potere contenuto ma lei, che doveva essere più capace degli altri uomini, aveva fallito.
Spalancò le porte della biblioteca senza ritegno, incurante del rumore che avrebbe svegliato gli altri abitanti del palazzo. Un’incrinatura nel legno nacque da quella furia, ma non era l’unica crepa creata da questa situazione incresciosa e inaspettata. Anche le sue certezze e la sicurezza in se stessa cominciarono a vacillare.
Sfogliava i libri con fare famelico, correndo tra le righe alla ricerca di una parola chiave, di una soluzione. Nella sua smaniosa ricerca, più di un libro riportò lesioni gravi, come pagine strappate o accartocciate o brutti voli dal tavolo che aveva riempito in fretta di tomi vecchissimi, più del palazzo che la ospitava.
Nessuno dei sui più cari amici le diede le risposte cercate. Rilesse il libro che descriveva il rituale, ma questo non la fece sentire meglio.
Quando sorgeva la prima notte del mese, nel cielo le due stelle virtuose avrebbero dovuto fare capolinea, dando modo ai cittadini di sapere che tutto era in armonia, come lo era sempre stato.
Scoppiò a piangere, pensando allo sguardo della gente una volta guardato la volta celeste e scoperto che il cielo era più buio del solito, perché la padrona della Prudenza era stata incapace di assolvere al suo potere. La cittadina che tanto amava l’avrebbe odiata e le avrebbe senz’altro chiesto spiegazioni.
Non sapeva neanche come era possibile che il cofanetto fosse scomparso, visto che solo lei e la madre avevano possibilità di accedere a quella stanza.
Quando si decise ad uscire fuori da quella sala, il sole che prima aveva salutato il nuovo giorno stava tramontando dietro le colline ad ovest del palazzo.
Pensò di ritornare nella sala, per accertarsi che fosse davvero scomparso quell’oggetto dall’enorme valore. Era un bellissimo portagioie lavorato a mano molti secoli prima ed impreziosito con smeraldi, abbinati ai fregi e gli ornamenti che erano messi in risalto dai fogli d’oro usati per dare colore a quei disegni particolareggianti. Era rettangolare e il suo lato più lungo non poteva superare le due spanne come misura e all’apparenza sembrava poco capiente, poiché la sua profondità era equiparabile ad un pollice; ma Orsola ricordava bene la strana sensazione che provò quando, a dodici anni, per la prima volta le fu permesso di aprirlo e compiere il suo dovere: una sensazione di freddo, come se toccasse l’acqua ghiacciata senza però bagnarsi. Riusciva ad andare oltre a quello che si poteva credere il fondo, ripescando in quella sorta di pioggerella nebulizzata una fonte di calore, che sentiva bruciare e fremere tra le sue mani. Una volta libera quella energia, mutava forma, diventando talvolta una bellissima aquila, altre un piccolo fringuello che sbatteva le ali per raggiungere il cielo che riplasmava la sua forma sino a far diventare quella luce una bellissima stella.
Quel pensiero masochista sciamò, perché preferì chiudersi nella sua stanza, per riflettere con lucidità.
Dei vestiti semplici erano adagiati sullo schienale di una sedia a dondolo che era solita utilizzare per leggere d’estate, quando il sole era nel massimo del suo splendore e un contatto prolungato con il suo caldo affetto avrebbe avuto effetti dannosi per la salute.
Strinse tra i polpastrelli il tessuto di quei vestiti, come se saggiasse la loro consistenza per la prima volta, ma non era così. Quando scendeva dal palazzo, per evitare di attirare eccessive attenzioni, si spogliava di Orsola per indossare i panni di Clodia, una viaggiatrice che ritornava spesso nella città per raccontare quello che vedeva.
Intrecciava i capelli lunghi e li nascondeva sotto una parrucca dai colori scuri, provvista di frangetta. Si stupiva di quanto poco bastasse per diventare un'altra. Era pur vero, d’altra parte, che in rare occasioni si aveva la possibilità di incontrare le quattro reggenti delle virtù. Eccezione fatta per la giustizia, che doveva svolgere il ruolo di giudice.
Dalla sua finestra ammirò la luna che piano piano occupava il suo posto nel cielo, con il suo profilo seducente e perlaceo.
“Dalla prudenza vegnono li buoni consigli, li quali conducono sé e altri a buono fine nelle umane cose e operazioni” ripeté Orsola una citazione di Dante, uno degli autori che leggeva con più fervore perché aveva superato quel confine, aveva visto la sua stella brillare nel cielo del Purgatorio nel viaggio nei tre regni.
Continuò a ripetere quella frase fino ad appisolarsi sulla sedia sotto la luce riflessa della luna.
 
L’indomani non perse tempo e prese Clodia il posto di Orsola. La fretta di sapere cosa pensavano i suoi amati concittadini di lei le fece perdere l’equilibrio e cadde nella stradina di bosco che portava dal palazzo alle vie abitate. Nessuna delle ferite che aveva riportato qua e là sulle gambe andava oltre all’escoriazione superficiale, ma non le era mai capitato e prese la caduta come messaggio: non era stata prudente come lo era sempre stata.
Fu un altro duro colpo per la sua autostima e comprese che stava per diventare più Clodia, quindi più umana, che Orsola.
Qualcuno la osservava da lontano e con ogni probabilità, se non fosse stata distratta dai suoi pensieri negativi, avrebbe colto la presenza assillante che sghignazzava dei suoi dubbi, del suo vacillare e vagare nelle incertezze.
La virtù che tanto la rendeva particolare stava sparendo ogni giorno di più. Cadeva molto spesso, cosa che non succedeva in passato, e gran parte dei suoi consigli non avevano più l’effetto benefico di una volta. Nei panni di Clodia era riuscita a carpire le opinioni degli abitati per quanto riguardava la sua situazione. Molti credevano che la giovane virtù, nata diciassette primavere prima, fosse deceduta prematuramente e che da lì a poco ci sarebbe stata una nuova nascita, perché non è mai rimasta una virtù solitaria a splendere nel cielo e a vivere nel palazzo. Altri pettegolezzi, più negativi, incupirono l’animo della giovane. Dicevano che ormai aveva perso il suo potere, che non era più capace di guidare l’uomo sulla retta via e, peggio ancora, dichiaravano conclusa l’esistenza e l’importanza delle virtù.
Troppo distratta da queste voci ingigantite dal suo ego rimpicciolito, non riusciva a consigliare nel modo corretto.
 
Passò settembre e delle foglie giallastre riempivano i lati delle vie e coloravano le colline con nuove tinte autunnali. Il sorriso di Orsola era caduto come una delle foglie deboli che si staccano dal ramo a causa di un vento forte. La vitalità che l’aveva sempre contraddistinta si stava via via indebolendosi. Il suo incarnato era ancora più pallido del solito e gli occhi non avevano quel luccichio e quel magnetismo di sempre.
Suo fratello non poté più sopportate quella situazione e i sensi di colpa che lo attanagliavano soprattutto nella solitudine della notte. Confessò di aver aiutato un gruppo di ragazzi che non avevano più intenzione di essere buoni, che non volevano più avere delle reggenti virtuose al controllo della città.
Le spiegò nei dettagli come era riuscito nel suo intento: era il primo d’Agosto e lei aveva dimenticato la porta aperta, dopo essere uscita. Questo fornì a lui l’occasione di prendere il cofanetto della Prudenza, consegnandolo nelle mani del manipolatore a capo del gruppo di anarchici.
Le chiese più volte di perdonarlo, ma Orsola non aveva intenzione di perdere altro tempo, doveva riavere il suo potere.
Assieme al fratello si recò nel covo di quella banda, chiedendo udienza con il loro capo. Non aveva indossato i vestiti di Clodia, si era mostrata per quella che era: un bellissimo fiore che stava appassendo ma che non perdeva il suo fascino.
Alcuni di loro la sbeffeggiavano, altri la guardavano con profondo rispetto, nonostante si fossero nascosti dietro le spalle larghe di chi si vantava di essere migliore di lei.
Fu accolta in uno spazio spoglio, con solo due sedie separate da un tavolo. Impose al fratello di restare fuori, per avere un confronto diretto con le sue paure.
Quella figura che la osservava da lontano adesso era visibile, grazie alla luce che proveniva dalla finestra sulla destra. Sembrava giovane, ma la sua anima era talmente corrosa da non avere più un età definita, era una massa nera. Lei riusciva a vederlo dai suoi occhi. Se le labbra si piegavano in un sorriso malefico, il suo sguardo era spento, come una montagna quando viene bruciata e resta solo un manto nero e cenere. Fissarlo le portò tanta malinconia, senza che però ne comprendesse il motivo.
Lui, che resterà senza nome, le diceva che se tanto aveva bisogno dello scrigno, non era nulla di più di una persona normale. Che non serviva lei per esercitare la virtù, bastava aprire quella dannata scatoletta decorata. Posò quest’ultima sul tavolo che li divideva, cercando di aprirla.
Orsola non proferì parola, stava elaborando dentro di sé una spiegazione, alla quale sarebbe dovuta giungere tempo prima. Vedere quell’individuo fare di tutto per aprire il cofanetto, senza risultati, e compreso il significato sprezzante delle sue parole, trovò la soluzione al suo problema.
Aveva perso la sua virtù perché l’aveva relegata all’interno di quel portagioie, l’aveva rinchiusa in quelle sfere di luce. Ma era solo suggestione, non era importante quel rito o quelle stelle nel cielo. L’importante era lei, che possedeva dentro di sé la virtù e nessuno poteva sottrargliela.
Quando quell’uomo si accorse che lei stava lasciando la stanza senza reclamare quello che era suo, si arrese. Come un bimbo quando fa i capricci e viene accontentato con troppa velocità: ci perde gusto.
Lei riebbe il suo adorato portagioie, ma adesso lo guardava con aria diversa. Quella scintilla nei suoi occhi ritornò, più affascinante di prima.
Quando rientrò nella Stanza delle Virtù con la madre, buttò a terra quello scrigno, rompendolo e liberando per sempre tutte le sfere di luce contenute. Si trasformarono in uno stormo di rondini che volarono nel firmamento illuminando tutta la volta celeste. Da quel giorno nacquero miliardi di stelle che rischiaravano il cammino dei naviganti e dei giovani amori che nascevano dagli sguardi curiosi verso il cielo.
Orsola non ebbe mai più paura di perdere le sue capacità e ritornó ad essere la dolce e ottima consigliera di un tempo. 


-Questa storia, che a mio parere assomiglia molto ad una favoletta -infatti non mi piace neanche un po'- è nata dall'idea fantasiosa del gruppo 
EFP famiglia:  recensioni,consigli e discussioni per una sfida interessante. A me è toccato parlare della virtù cardinale della Prudenza e spero si sia capito. Nulla più da dire, ringrazio chi ha letto e spero sia piaciuta♥
 
  
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