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Autore: _sonder    06/10/2015    2 recensioni
Un'assenza, una separazione improvvisa e una voce che sempre sussurra.
| Ispirato al contest 21 prompt in cerca di autore, indetto da _ariscarmen_ sul forum di EFP. |
Genere: Drammatico, Introspettivo, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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• Nome sul forum: _Sonder
• Nome su efp: _sonder
• Prompt: 16, quadro The Lovers di Brent Heighton
• Titolo: L'altro
• Genere e rating: Thriller, Arancione
• Lunghezza storia: oneshot
[Note in fondo al testo]

Ispirato al contest 21 prompt in cerca di autore indetto da _ariscarmen_ sul forum di EFP.




 

L'altro 
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l'altro l'altro l'altro l'altro l'altro l'altro
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L'acqua scorre lungo la tettoia, gronda nel cortile, zampillando in pozze torbide; dai tombini si ode il rigurgito del fiumiciattolo che si ingrossa. Questo scorcio mi ha accompagnato durante l'infanzia: era oltre i vetri battuti dalle imposte, nel soggiorno della casa che dividevo con mia madre. La pioggia scrosciava, mentre le sue dita maneggiavano stralci di salice e vimini per le ceste.
Sogno mia madre da quando io e Claire abbiamo preso in affitto un piccolo appartamento in rue Dupont; le falangi rovinate dai lavori manuali mi sfiorano le guance e torno bambino, finché mia madre non chiede: — Dormi ancora?
Una semplice e insignificante domanda: eppure, mi mette i brividi e fingo ancora di aver sonno, per non guardare le piaghe sui suoi palmi.

Mi sveglio di soprassalto e sento il vento e i primi tuoni della nuova stagione, che invadono la camera padronale. Sono ancora io: indosso venti anni di più e nessuno siede sul bordo del materasso. Il vagito di un neonato ai piani superiori si alterna ai rombi del temporale. Premo le dita ai lati della fronte, ma il sangue pulsa, batte, chiede spazio per sé e scandisce i secondi, stiracchiandone la durata. Curvo, seduto sul letto, osservo la piazza vuota: lei non c'è. Tiro il lenzuolo per eliminare le grinze e rimango a guardare qualche residuo dei fili che ornano i cuscini: sembrano girandole di colore, aggrovigliate da un gatto.

Ho l'impressione che qualcuno s'intrufoli nel mio mondo e ne stravolga l'aspetto: vedo ovunque mani che mettono a soqquadro gli oggetti, che tirano fuori carte dai cassetti. La notte chiudo gli occhi in uno stato di profonda ansia e resto a guardare le ombre deformi, col cuore in gola e il terrore che si tratti di un estraneo pronto a finire il lavoro.
Sopra la testiera del letto c'è un quadro: lo guardo col naso all'insù e vedo soltanto la striscia di una cornice instabile, che minaccia di cadere sul mio volto. Claire ha insistito per comprarlo da un artista di strada: è un ritratto di noi che camminiamo verso il teatro cittadino, come pulcini fradici. Il mondo, dentro quei quattro angoli di legno, sembra piegarsi alla nostra relazione ed esistere in funzione dell'appuntamento.
Guardo me e Claire intrappolati nella tela di un quadro da mercatino delle pulci. Sento l'odore dell'asfalto bagnato, l'aria intirizzita dalla pioggia e il profumo che Claire porta sulla pelle. Riesco ad avvertire i vestiti bagnati e incollati ai nostri corpi, lo scampanellio della porta del fioraio, il brusio dei passanti. L'ombrello ci fa da tetto sullo specchio d'acqua in cui è stato mutato l'asfalto. Carezzo le pennellate picchiettate sul dipinto e guardo l'uomo col giubbotto scuro che tiene l'ombrello. Immagino la risata chiara di Claire, che agita l'aria... e i ragazzi che si voltano a guardarle le gambe: osano seguirle, perché il trench beige che indossa non lascia vedere altro. Fisso i capelli di lei, gonfi e attaccati al viso. Dice spesso di sembrare un leoncino e cerca nei miei occhi altre parole per sembrare più bella. Io abbasso il capo e scuoto la testa. Non aggiungo altro ai suoi stratagemmi da donna... perché desidero che sia solo mia, che continui a cercare in me la sicurezza di cui ha bisogno.
La strada che frequentiamo abitualmente è ritratta con grande attenzione ai particolari. Lascia un'impressione uggiosa, colorata solo dal rosso vivace dei tendaggi e delle insegne. Il bianco illumina l'atmosfera bigia. Non c'è ordine: il paesaggio è livido e la pioggia crolla senza sosta, imbratta e lascia fango sulla città.
Il braccio che Claire mi passa accanto acuisce la sua assenza. Desidero guardare i suoi occhi scuri, le labbra imbellettate di rossetto e la voglia sulla guancia, che lei tenta di coprire con qualche ciuffo castano. Mi detesta quando le soffio sulla pelle per scoprirlo; le mie dita ne conoscono la forma e la cercano sempre...
Mi accorgo adesso di baciare il profilo di lei, immortalato con colori che sanno di muffa e di strumenti da poco. C'è un odore intenso che non le appartiene: ricorda la scia soffocante del fumo. Tossisco e guardo dal basso il ritratto della mia donna, gli occhi lucidi, come un povero fedele in cerca di conforto, in ginocchio di fronte a un'icona religiosa. Io... non la vedo da giorni e sento che questa mancanza sta scavando un solco dentro di me. Stringo le dita e piango, mentre la solita emicrania mi dilania i pensieri.
Raggiungo a stento il telefono e compongo il numero dell'ospedale. Alzo la voce e sbraito, ma quando chiedo di Claire, di vederla, di parlarle almeno... ricordo che per la legge non sono nessuno. Non avendola sposata, non posso ottenere alcuna informazione sulla sua diagnosi. Dall'altro capo del filo mi consigliano di contattare un parente stretto.
Riaggancio con le mani tremanti: le spingo entrambe sul ricevitore e maledico chi ci ha separati. La casa è sgombra e molti abiti mancano; altri scatoloni sono ammassati in un angolo, l'uno sopra l'altro.
Tutto grida di attenderla, come me... e nessuno ci dà una risposta.

Accendo la TV. Il notiziario fornisce dettagli agghiaccianti sull'aggressore delle coppiette. Lo chiamano Folletto, perché sguscia dalle siepi e prende di mira gli innamorati con qualche vizietto di troppo, che si attardano nei parchi o nei vicoli. Il volto si riga di lacrime: quel bastardo si è avvicinato quando ero lontano. L'occhio mi duole e la cicatrice, che mi apre una lunga virgola sulla guancia, si sveglia e comincia a sanguinare di nuovo.
Guardo con odio la giornalista nel suo bel completo da confettino e le sue manie da prima della classe: trasuda eccitazione e frenesia per lo scoop; le guance si accendono per ogni particolare pronunciato e io, io fisso la lieve curva sotto il suo mento, che si allarga a una nuova frase. Curvo le dita sulle gambe e stringo i jeans.
Nelle orecchie ho le urla di Claire, le mie e il silenzio della strada. La città diventa foresta dei lupi e i lupi sono uomini come noi, con il cartellino timbrato e il turno di servizio concluso; sono i calvi e gli stempiati che prendiamo per bravi zietti del quartiere...

Passo le dita fra i capelli, poi apro le braccia e cado sul letto che divido con Claire. Talvolta, nutro il timore che abbia un altro: ho paura di udire un nome rotolarle dalla lingua sulle labbra, un nome che non è il mio; ascolto le sue parole diventare civettuole per un altro... un altro che si insinua fra le nostre coperte ed è sempre più forte, più massiccio di me. Comincia a prendere spazio e a divenire reale, al punto che vorrei domandarle chi siano i suoi nuovi amici del club del libro. È pura follia... ma lo avverto, quando le dormo accanto: l'estraneo solleva le lenzuola e si adagia in mezzo a noi. Claire non sussurra più il mio nome; chiama l'altro, convinta che io dorma. Li vedo fare l'amore e ridere di me... e a me resta soltanto la cornice di un quadro da stringere, l'immagine del nostro amore.
Io e lei passeggiamo sulla strada di casa e la pioggia cade fitta per unirci. Spalla contro spalla, attaccati come per timore di perderci, di tradirci, ci affidiamo all'umidità per restare uniti in un attimo, in una prigione di colori. A guardare bene questo ritratto, mi convinco di individuare l'altro uomo, di non scorgere i miei fianchi larghi e i capelli in disordine.
Quell'uomo è una macchia di colore torbida e indefinita...

È già mattina quando mi reco in ospedale. Ho un omaggio floreale da portare a una paziente, penso, col mazzo di fiori e il cappellino rubato al ragazzo delle consegne. Lo ripeto finché non tiro fuori di bocca la stessa menzogna alla receptionist. Mi chiede se sono nuovo e dove diavolo sia finito l'arabo del fioraio Pierre. Alzo le spalle e borbotto tre parole: permesso di soggiorno. La donna sbuffa, tira i ricci sino a lisciarli, con le dita piene di anelli e la gomma da masticare alla fragola, che scoppietta. Dice che ci è passata anche lei e le rispondo che per i migranti è dura, che per i miei nonni è stato così. Annuisce, mi consiglia di farmi dare un'occhiata alla ferita sul volto, che secondo lei è infetta. La ringrazio e salgo trionfante in ascensore.
Penso a Claire aggrappata al mio braccio e chiedo, imploro, pioggia, perché possa stringerla, annusare i suoi capelli e toccarli con le labbra con la scusa del maltempo. I miei passi si allungano nel corridoio e arrivo alla sua stanza: fremo d'anticipazione al pensiero di baciarla. Apro di scatto la porta: non riesco più a trattenermi.
Mi avvicino alla sua branda e lascio aderire le dita sul viso stanco di lei. È dimagrita e scorrendo i polpastrelli posso sentire nitidamente le ossa severe dei suoi tratti.

Lei sbatte le ciglia e mormora in un fiato: — Armand... — poi singhiozza e avvicina le labbra alle mie. Claire esita, mentre le accompagno la nuca e la attiro a me.
— Assassino! Aiuto!
La osservo e una voce subdola mi chiede se io dorma ancora: annuisco in risposta e scosto i capelli di Claire dietro l'orecchio. Le mie unghie incrostate di acrilici la sfiorano. Diventa livida e piena di una disperazione così viva, da indurmi a desiderarla.
Sono assuefatto da lei e uno strattone mi separa dalle sue braccia e perdo l'equilibrio.
Sento qualcuno piombarmi sulle spalle, con l'alito di mentine vecchie e il lezzo di cuoio sintetico. Un altro uomo mi supera e abbassa le mani, puntandomi una pistola con la sicura sbloccata alla tempia. Intravedo i suoi nei gonfi, pronti a esplodere sul grugno da pitbull.
Sposto gli occhi su Claire, seduta sul letto. Un lieve sciabordio riempie la stanza e una chiazza si allarga sul lenzuolo. Le sue guance perdono colore, ma tenta di nascondere la vergogna, tra un sussurro e un'imprecazione. Con gli occhi fuori dalle orbite mi fissa e il labbro le trema, la voce farfuglia parole cariche di dolore.
— È lui... lui ha ucciso Armand!
Pronuncia il nome dell'altro: inclino la testa, curioso, e una nuova consapevolezza mi scuote dentro. Sorrido, estasiato dalle urla, dal modo in cui piange e chiede al cane con l'arma d'ordinanza di sparare, di fermarmi; sento la mia voce ridere, gravida di scherno. Mimo il coltello che affonda nel petto di Armand e il poliziotto mi schiaccia la testa al suolo; sbavo e dalle tasche cadono le chiavi della topaia dei piccioncini. E rido, perché sono un altro e sono me stesso e posso essere chiunque in questa fetta di mondo, uccidere e impersonare una nuova vittima. Sento la mamma che alza la voce e ancora domanda: — Dormi ancora?
No, mamma. Sono sveglio. Sono un folletto che racconta frottole e vende ritratti da poco. Sono un folletto che ruba la vita.

 

 
 



• Eventuali note: Ricordi falsati e plot twist all'interno del testo.Formattazione dei dialoghi secondo il metodo Einaudi.In alcuni frangenti è utilizzato, per scelta stilistica, un linguaggio colloquiale, per il cambio di personalità del protagonista.
  
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