Per
Frederick era ancora insolito esser chiamato
“dottore”, ma ancor più strana la
cosa appariva ai suoi pazienti, che raramente avevano dato quel titolo
a un
ragazzo tanto giovane.
Era
l’estate del 1869 e Frederick aveva ventuno anni e mezzo ed
aveva appena
iniziato a esercitare la professione: non c’era in
realtà da stupirsi, perché
sin da bambino il ragazzo aveva mostrato interesse per la materia e si
era
messo in testa di aiutare suo padre, già affermato in quella
professione; tanta
era stata la forza di volontà, da permettere al giovane un
programma di studio
veloce e comunque efficace, consentendogli di iscriversi
all’università prima del
previsto. Oh, certo, c’era stato bisogno di pagare qualcuno
per chiudere
qualche occhio… ma per fortuna i soldi non erano un problema
e, inoltre,
Frederick era figlio unico.
Figlio
oggettivamente perfetto, solo su un punto il ragazzo aveva dovuto
deludere suo
padre: Frederick non chiedeva laute parcelle, preferendo, il
più delle volte,
non chiederle affatto. La medicina era stata una vocazione filantropica
e la
filantropia non esige ricompense. Dunque, il giovane se ne camminava
attraverso
le campagne, solo, verso casa. Anche quel giorno non era stato pagato,
ma aveva
aiutato una famiglia che altrimenti avrebbe perso due componenti in una
volta
sola a causa di parto. Chi l’avesse visto vagabondare in
quello stato, sporco
di sangue – perché non aveva avuto modo di
ripulirsi – e sudato, ne sarebbe
stato spaventato, anche perché quella fisionomia non era
delle più placide: l’uomo
era tanto alto da apparire minaccioso, troppo magro per sembrare sano
– eppure godeva
di ottima salute! – e dallo sguardo assai profondo: gli
occhi, di un azzurro
scialacquato, osservavano il mondo come se andassero a scavare oltre le
apparenze e il loro colore, chiaro come quello dei capelli e della
pelle,
rendevano la sua figura sbiadita.
Eppure,
era affascinante e molte ragazze l’avrebbero desiderato, se
solo avesse avuto
una qualche aspirazione sociale o economica. Lui, dal canto suo, alle
donne non
pensava: non aveva più una madre e le uniche a figurare
nella sua vita erano
quelle che curava e che lo pagavano con dolci, riconoscenti sorrisi.
Poi c’era
Lisa.
Lei
era la sua amica d’infanzia, le loro famiglie vivevano in due
ville separate, sì,
ma una dirimpetto all’altra e, poiché
quell’angolo di campagna inglese non era
molto popolata, per i bambini era stato naturale crescere insieme. Ad
unirli
era stata non solo la vicinanza, non solo l’amicizia dei
padri, ma anche una
radice comune: entrambi avevano madre italiana e parlavano
correttamente il
toscano. Frederick non aveva mai lasciato l’Inghilterra, ma
Lisa sì e proprio
quel giorno sarebbe tornata dal suo viaggio nella penisola italiana e
Frederick, finalmente, l’avrebbe rivista. Aveva sentito tanto
la sua mancanza, in
quei mesi.
Lisa
– Elizabeth, per la verità, ma tutti la chiamavano
Lisa – aveva diciannove anni
e tutto, nel suo aspetto, ne rivelava la vivacità: le gote
erano sempre
arrossate dalle camminate o dalle corse a cavallo, i boccoli scuri e le
sopracciglia
ben disegnate tradivano le origini straniere e gli occhi, secondo
Frederick,
erano nati per ridere. Segretamente, lui aveva sempre sognato di
sposarla,
ignorando che, segretamente, lei si augurava lo stesso. Non che ne
avessero mai
parlato: semplicemente, sembrava l’evoluzione più
naturale per un rapporto come
il loro.
Per
tutta la giornata, Frederick aveva avuto il cuore in gola; ora che
attraversava
la strada per recarsi da Lisa, i cui genitori l’avevano
invitato, gli sembrava
che l’organo volesse balzare fuori dal corpo. Non ci fu
bisogno di reprimere le
proprie emozioni, quando si videro: il loro legame era puro e nessuno
avrebbe
mai potuto fraintenderlo. Niente di strano, dunque, nel balzo col quale
Lisa si
gettò ad abbracciare il caro amico, né
nell’enfasi che portò questi a
sollevarla per guardarla bene negli occhi; in effetti, Lisa gli
arrivava a
stento al petto.
«Santo
cielo, Fred, perché sei così elegante?»
chiese ridendo, ancora a mezz’aria,
notando i capelli raccolti in una lunga coda. «Ti dai le
arie, adesso, perché
sei un medico?»
Fred
rise ammettendo che, in effetti, da quando aveva iniziato a esercitare
preferiva legarli, per ragioni igieniche più che eleganti;
poi, fu costretto a
tacere. Lisa aveva troppo da raccontare, passava da un argomento
all’altro con
una velocità impressionante e riusciva a narrare con enfasi
anche le vicende
più banali che, in Italia, le erano capitate. Il clima era
caldo, aveva detto,
l’aria piacevole: per lei, che di salute era sempre stata
cagionevole, il clima
era ottimo, o almeno così avevano detto dei medici del luogo
(«ma non mi fido
di loro», aveva aggiunto, facendo arrossire l’amico
specificando: «il mio
medico d’ora in poi sarai tu!»
Per
tutta la notte, Fred ebbe le palpitazioni: quell’affetto Lisa
lo viveva con
spontaneità e grazia, ma lui si sarebbe ammalato di mal
d’amore, ne era certo.
Santo cielo, Lisa era ancora più bella di quanto non
ricordasse. L’aria
italiana le aveva fatto bene davvero! Cosa avrebbe dato per condurre
quella giovane
all’altare e condividere con lei tutti i giorni della sua
vita… se solo fosse
riuscito a farsi coraggio e parlarle, non sarebbe servito altro: la
famiglia
avrebbe accordato di certo, come anche lei. Mancava giusto quel momento
essenziale della dichiarazione…
Ogni
giorno i due trascorrevano assieme alcune ore, perché se il
lavoro toglieva del
tempo a Fred, Fred non era disposto a rinunciare a Lisa. Ogni giorno i
momenti
condivisi riscaldavano il cuore di entrambi e i ragazzi si
avvicinavano, sempre
più. Ogni giorno Lisa sperava che Fred si dichiarasse, ma
lui taceva, limitando
i loro contatti ad amabili strette di mano, casti baci sulla fronte e
cordiali
abbracci. “Domani” si ripeteva, ogni sera, tornando
a casa. “Le parlerò domani”.
Un
mese trascorse e lui ancora taceva; quando finalmente si decise a
parlare, poi,
trovò Lisa turbata e, nascondendosi dietro questa scusa,
pensò di rimandare
ulteriormente il discorso alla fine della visita. Lisa, da parte sua,
quando
capì che il momento di separarsi era giunto,
abbassò gli occhi. Neanche quella
volta aveva parlato. A questo punto, tanto valeva dirglielo.
«Sai,
Fred, ho ricevuto una lettera. Un uomo… non credo di averti
parlato di lui, non
lo ritenevo importante… un amico di mia zia… sai,
quest’uomo ha scritto che
verrà a trovarmi. Cioè, verrà a
trovare mia zia… che vive con noi e quindi…
quindi verrà a trovare anche me.
«Si
tratta di un conte, il suo nome è Lorenzo, l’ho
incontrato quando siamo andate
nel Sud della penisola… vive su una montagna, non molto
distante da Napoli.
Tutto bene, Fred?»
Il
ragazzo sembrava pietrificato; aveva capito solo che c’era un
uomo, che era un
conte e che sarebbe andato a trovare Lisa. Questo non lo aiutava di
certo. Non
si viene in Inghilterra dall’Italia per fare una visita di
cortesia; gli interessi
dovevano essere altri. Fred sbatté le palpebre e si
ricompose.
«Ma
certo» la assicurò, sorridendo. «Solo
che non capisco… perché mi dici questo. Vuoi
che non venga a farti visita, quando c’è
lui?»
«Cosa
dici, Fred? Non è così, io pretendo che tu venga!
L’ho detto solo perché…
pensavo che tu… oh, Fred, non importa.»
Amareggiata,
Lisa si era allontanata. Fred, nei giorni successivi, limitò
le visite,
passando in compenso molto tempo a spiare il giardino di lei dalla
finestra,
ignorando che, nascosta dietro i vetri della casa dirimpetto alla sua,
la
ragazza facesse esattamente lo stesso; quando si vedevano, comunque,
Fred si
comportava come se nulla fosse. Solo quando, agli inizi di Settembre,
Lisa lo
informò casualmente
dell’imminente
arrivo del conte, l’argomento fu menzionato di nuovo.
Angolo
dell’autrice.
Questo
capitolo è molto breve poiché ritenevo pesante
iniziare con un sovraccarico di
informazioni. Spero comunque di esser riuscita ad attirare la vostra
curiosità
e a dire "il giusto".
Gli
eventi narrati in questa storia riprenderanno alcuni luoghi e
personaggi di un’altra
mia fanfiction, Virginea; tuttavia non esistono legami tra le trame,
dato che
Virginea si svolge in un periodo posteriore.
.