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Autore: Lodd Fantasy Factory    07/10/2015    1 recensioni
“La libertà non è un diritto, ma una capacità di espressione. Non tutti gli uomini la possiedono.”
Il pianeta si è ammalato, e con esso anche gli uomini che lo popolavano. Alcuni, però, conoscono un modo per vivere in eterno, ed abusano dei loro poteri per preservare i propri privilegi. Ma qualcuno conosce il loro segreto, ed è pronto a rivelarlo. La rivoluzione è inevitabile per ottenere la libertà!
Genere: Fantasy, Introspettivo, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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“La libertà non è un diritto,

ma una capacità di espressione.

Non tutti gli uomini la possiedono.”


 


Fallimento.
 

Un timido spicchio di luna si palesò fra le tossiche coltri d'ebano che, come gli anelli di una rugginosa catena, strozzavano il cielo, facendogli vomitare lacrime acide.

Appariva scarlatta, proprio come la sua iride sinistra.

Per la prima volta, da che era nato, James aveva la rara occasione di contemplarla. L'ironia della sorte voleva che ciò accadesse nello stesso istante in cui il ragazzo andava esalando i suoi ultimi, affannati respiri. Aveva gli occhi sbarrati verso una volta celeste avvelenata; eppure, così beatamente incantevole. Le costellazioni, che avvolgevano come un mantello argentato quello spicchio cremisi, esprimevano l'assoluta perfezione dell'infinito.

Si sentì talmente piccolo, insignificante. I suoi problemi, per un breve attimo, gli parvero talmente insulsi da farlo sentire uno sciocco. Cos'era il suo piccolo mondo, a confronto con l'universo, se non uno sputo nell'oceano, o forse ancora meno?

Quelle stelle erano l'elemento più naturale che James avesse mai scorto nella sua intera esistenza; il primo prezioso dono del creato che gli uomini non erano ancora stati in grado di stuprare con la loro tecnologia, con la loro scienza, chiusi nella loro stretta ed angusta isola di cemento sospesa sul mare, dove tutto ormai dipendeva dalle macchine. Dove niente era più reale, originale.

Le avevano raggiunte, le stelle, secoli addietro, ma era un glorioso traguardo che apparteneva unicamente al passato. Un ricordo sbiadito della grandezza che aveva innalzato il genere umano ad un gradino superiore della scala evolutiva, quando ancora l'orgoglio razziale prevaleva sulla lucida follia. Quando sentirsi esseri umani era ancora sufficiente, per essere felici.

Pensò che fosse un buon modo di morire, dopotutto. Andarsene al cospetto del giudizio universale, sotto una pioggia di astri che forse altri miliardi di uomini come lui avevano potuto ammirare nel corso della storia. Inermi davanti alla sconfinata immensità e perfezione del firmamento. Era un po' come sottomettersi alla volontà dell'esistenza, del fato, degli antichi o di un presunto Dio, che ormai non era più venerato.

Gli stessi uomini si erano ormai elevati a Dei.

 

Aveva fallito.

Si era macchiato del più arcano disonore, venendo meno alla promessa fatta a Samael. Eppure, era riuscito ad arrivare così vicino al tener fede alla parola data, tanto che ritrovarsi in quello stato, ora, incapace di muoversi, lo faceva sentire uno sciocco. Un inetto.

Era stato uno sprovveduto.

Cosa credeva mai di poter fare, ridotto in quelle condizioni? Era poco più che un ammasso d'inutile ferraglia, messa su alla bene e meglio, eppure aveva creduto di poter cambiare le sorti del mondo. Si chiese se bruciasse realmente in lui la volontà di mutare il proprio destino, e con esso quello di tutti gli abitanti di Arcadia; o se, invece, non si fosse semplicemente lasciato trascinare dagli eventi, ammaliato dalle parole di coloro che vedevano in lui una speranza, sino a ritrovarsi a vestire i panni più adatti al suo personaggio: quelli della vittima; oppure, del sacrificio.

Tutto sarebbe precipitato, a prescindere dal suo deplorevole fallimento. Aveva innescato un rapido susseguirsi di eventi che nessuno avrebbe mai potuto arrestare.

Tutto sarebbe cambiato, forse in peggio.

Avrebbe tirato un sospiro di sollievo, se solo ne avesse avuto le forze, per aver sfatato il ridicolo mito della vita che scorre davanti agli occhi, prima del soggiungere della morte. Invece, ormai privo della sua maschera, assimilava a stento una minima quantità di ossigeno dalla tossica aria che impregnava in una cappa l'immensa isola galleggiante.

Desiderava sognare l'ormai mitologico Vecchio Mondo, dove ancora lo splendore della natura prevaleva sulla fredda tecnologia. Quanto avrebbe voluto poter assaporare a pieni polmoni il profumo delle foreste in primavera, o ammirare le immense montagne indossare una candida barba di nuvole e neve in inverno; le foglie danzare sul dorso della fresca brezza autunnale, o godere del maestoso spettacolo del nascere del giorno sopra un orizzonte marino tinto d'oro in estate.

I libri, quei pochi che si erano salvati, narravano di una terra in continua evoluzione, in costante rinnovo. Gli uomini rappresentavano solo una millesimale parte della sua storia. Ora, invece, banchettavano sul cadavere del mondo che avevano annientato a causa del loro egoismo.

Sorrise amaramente.

Una calda lacrima abbandonò il suo occhio destro, l'unico ancora naturale, del colore della cenere. Era una tonalità estremamente rara ad Arcadia, dunque assai richiesta fra i ricchi. Facevano di quelle sofisticate e rischiose operazioni chirurgiche di sostituzione un vero e proprio svago, divenuto ormai becera routine. Era un business raccapricciante, perpetuato alla luce del sole.

Gareggiavano a raggiungere il limite della trasgressione, arrivando a spendere ingenti somme, pur di accaparrarsi le attenzioni e l'approvazione del resto della comunità. Quando si stancavano, sostituivano semplicemente il pezzo. Tutto ciò era la normalità ad Arcadia.

I civili non erano altro che semplici accessori per i potenti; li tenevano al sicuro dietro un muro, che gli impediva di vedere cosa si trovasse al di fuori. Per proteggerli, asserivano, dall'atrofizzazione del globo.

Niente di diverso, effettivamente, rispetto al comportamento che l'uomo aveva da sempre tenuto nei riguardi delle mode.

Eppure, in tutto quel folle e pubblico mercato di organi e vere e proprie esistenze, era stato smarrito il prezioso tassello che definiva e simboleggiava il senso di “umanità”, in una razza che si poteva oramai definire alla deriva. Del tutto aliena alla propria natura.

James aveva sofferto molto, quando si era visto strappare via l'ennesima parte di sé. Era uno di quei pochi che credevano ancora che gli occhi fossero l'unica breccia in grado d'indagare dentro l'anima di un individuo; nei suoi poteva scorgersi una determinazione unica, rinvigorita dall'ardente desiderio di vivere. Almeno, questo era prima che la sua iride sinistra gli venisse asportata.

Lo avevano ricompensato col vile denaro, ovviamente, ma non aveva avuto arbitrio alcuno in quella decisione, nessuna possibilità di obiezione. Arcadia prendeva, pagava, ma non accettava un no come risposta. La sua inutile opposizione avrebbe portato al non troppo misterioso decesso del ragazzo; il suo pregiato pezzo, come loro erano soliti definirli, gli sarebbe stato portato via comunque, insieme alla sua vita.

Ripensò ancora al mondo esterno, ed alla famosa seconda possibilità che a lui non sarebbe mai spettata; quella stessa preziosa occasione che James avrebbe voluto donare al resto dell'umanità, col suo ultimo gesto.

La rinascita.

Ma ora giaceva lì, agonizzante, sul ciglio di una spoglia scogliera artificiale, ad un tiro di schioppo da una cinta muraria elettrificata, sorvegliata da alte torrette. I fasci di luce dei fari di guardia ricercavano la sua esile figura fra le tenebre, come per scovare eventuali complici.

Coloro che lo braccavano sarebbero rimasti tremendamente delusi, se si aspettavano di poter stringere fra le proprie mani un prezioso membro della rivolta.

Ora vedeva tutto per ciò che era realmente: una prigione travestita da paradiso. In fin dei conti, gli uomini tendevano a farsi ingannare facilmente: forse, perché le bugie davano più speranza delle verità. Rendevano tutto più semplice.


 

Continua...

   
 
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