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Autore: Mel_mel98    07/10/2015    4 recensioni
Spesso si arriva a chiedere a noi stessi se ci sia una sola cosa al mondo che possa definirsi sensata. Ha senso, il dolore? Ha senso il rancore, la paura? Ha senso voler dimenticare? Troppe domande forse, per una sola storia.
Dal testo...
“Quando sei triste tutto ti sembra più cupo e grigio. Persino le pareti della tua stessa casa, sinonimo di protezione ed accoglienza, adesso ti trasmettono solo un freddo spettrale, che si infila nelle tue ossa e nella tua mente. Attaccato alla parete, un pezzo di carta si prende gioco di te, con i suoi numeri e le sue lettere che rosse scintillano su uno sfondo bianco. Fuori dalla finestra, l'immenso giardino più o meno ordinato si stende davanti ai tuoi occhi, regalandoti ricordi adesso troppo scomodi per poter rimanere in bella vista. Tiri la tenda, getti sul tavolo quel tremendo foglio. Non ha senso continuare a soffrire.”
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Molly Weasley, Percy Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Non ha senso

 

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Quando sei triste tutto ti sembra più cupo e grigio.
Persino le pareti della tua stessa casa, sinonimo di protezione ed accoglienza, adesso ti trasmettono solo un freddo spettrale, che si infila nelle tue ossa e nella tua mente.
Attaccato alla parete, un pezzo di carta si prende gioco di te, con i suoi numeri e le sue lettere che rosse scintillano su uno sfondo bianco.
Fuori dalla finestra, l'immenso giardino più o meno ordinato si stende davanti ai tuoi occhi, regalandoti ricordi adesso troppo scomodi per poter rimanere in bella vista.
Tiri la tenda, getti sul tavolo quel tremendo foglio. Non ha senso continuare a soffrire.

 

Il volto sferzato da un vento impetuoso, il cuore pesante e gli occhi lucidi, camminava fissando i suoi stessi piedi, completamente solo.
Percorreva una stradina di campagna, che conduceva al giardino di un edificio ben conosciuto, scenario di avventure infantili a lui così malinconicamente distanti.

Un senso di vivace tristezza a tratti gli opprimeva i polmoni, impedendogli di respirare bene. Tuttavia le sue gambe, anche se stanche, non gli permettevano di fermarsi. Era come se non gli appartenessero più, come se non fossero più sotto il controllo della sua volontà, ma sotto quello di una forza esterna. E da una parte era decisamente meglio così. Perché lui, che cosa voleva fare, ancora non era ben riuscito a capirlo.

Lasciandosi guidare raggiunse l'entrata principale della casa, pronto a bussare, ma inspiegabilmente la forza misteriosa lo portò sul retro. Lì, la porticina di legno screpolato dal tempo era socchiusa.
La spinse, senza troppi indugi. Farsi domande a cui non sapeva rispondere certamente non lo avrebbe aiutato.
Si trovò in una cucina buia, piuttosto disordinata, in cui pervadeva un forte odore di alcool.

Chiuse la porta dietro di sé, vagamente insospettito dalla penombra che regnava nella casa, che nella sua mente era sempre rimasta illuminata dai raggi del sole estivo o dalle luci festose nel periodo di Natale.
“Mamma?”

La sua voce gli sembrò estranea, in quelle quattro mura. Lui stesso si sentiva un estraneo, là dentro. Si costrinse a pensare che fosse perché era entrato senza bussare da una porta già aperta. Ma la realtà, celata sotto quella bugia improvvisata, era un'altra.
Erano passati troppi anni dall'ultima volta che aveva messo piede in quel posto sentendosi a casa. Questa era la verità.

 

“Mamma?”- tentò nuovamente, accendendo la luce in cucina, ignorando il senso di disagio che provava nel muoversi in quella stanza.
Questa volta ebbe un mugolio in risposta, proveniente dal salotto.
Seguì lentamente quel rumore che, inizialmente non lo aveva capito, si rivelò essere un pianto sommesso.
Con sua grande sorpresa, Molly Weasley era malamente seduta sul divano al centro del soggiorno, con gli occhi gonfi e una bottiglia scura in una mano.

L'unica fonte di luce della stanza proveniva da uno spiraglio lasciato dalle tende della finestra vicino al camino.
In breve tempo dentro di lui lo sconforto prese il posto della sorpresa.
Come impazzito, corse per scostare le tende e spalancare i vetri, per far entrare il forte vento che da quella mattina continuava a soffiare.
Respirò a pieni polmoni, come se l'aria fredda potesse aiutarlo a svegliarsi da quello che sembrava solo un brutto sogno.

 

“E tu... tu chi sei?”
Si voltò, incrociando gli occhi vacui di Molly.
“Io... io sono tuo figlio, mamma”- disse, non senza un attimo di incertezza.
“Mio figlio... mio figlio è morto”- rispose con un misto di forza e disperazione nella voce.

Si sentì attraversare da quelle parole, che furono come un ago premuto ingenuamente sulla superficie di un palloncino gonfio. Un dolore troppo a lungo represso e per troppo tempo ignorato scoppiò dentro di lui, riempiendo ogni angolo della sua mente con voci e immagini devastanti.
La donna continuava a fissarlo, con le lacrime che correvano veloci lungo le guance rosse per il caldo dato dall'alcool.
E lui, nonostante vedesse quelle gocce d'acqua bagnarle il volto, non riusciva a fare niente, preso com'era dal nascondere quei ricordi mai dimenticati.

 

Sapendo esattamente che le sue gambe non avrebbero resistito ancora a lungo si sedette sul divano, che lo accolse gentilmente nella sua imbottitura. Come se non se ne fosse mai andato.
“Sono tuo figlio, mamma, io non sono morto. Sono...”- deglutì, cercando la forza di continuare quella che sembrava una battaglia disperata- “... sono Percy”- e inevitabilmente le lacrime iniziarono a cadere anche lungo il suo viso.

Non gli era più possibile resistere, non quel giorno, non in quella casa.
Che senso avrebbe avuto fare il duro se poi dentro una voragine lo stava divorando?
“Percy”- Molly sembrò studiare quel nome per qualche attimo- “Ma certo, tu, tu non sei morto. Tu sei... sei mio figlio, certo”- ripeté, senza vera convinzione. Mosse un po' la bottiglia che stringeva in mano. Mormorando qualcosa di molto simile a “Al diavolo!” finì l'ultimo goccio di Whisky Incendiario rimasto, sotto lo sguardo attonito di Percy.

“Ti dirò una cosa, ragazzo”- disse la donna, come se si fosse accorta della presenza del giovane al suo fianco solo in quel momento- “Io ho tanti figli. Sei o sette, credo. Lo sapevi?”
Lui annuì, incapace di emettere alcun suono.
“Già... ma uno, uno di loro è morto. L'hanno ammazzato, sai? Un anno fa, con l'Anatema che Uccide.”
Sussultò, Percy, quando la sua mente fu attraversata dal lampo di luce verde che aveva messo fine alla vita di Fred.

“Lui non c'è più. Il mio bambino non c'è più. E anche se ne ho tanti di figli... ti dirò una cosa, ragazzo: nessuno è come era lui. Nessuno può prendere il suo posto. Perché i figli sono così, ogni volta una sorpresa. Caratteri diversi, fisicità diverse... persino i gemelli, sì ho avuto anche quelli, hanno qualcosa di non perfettamente identico tra di loro. Anche se io beh, Fred e George ogni tanto li scambiavo tra di loro. Fred...”- Molly si passò una mano sul volto stanco- “... Mi manca.”

“Manca anche a me”- rispose istintivamente Percy.
Si era dimenticato del perché fosse tornato a casa, del perché in quel momento non fosse al lavoro al Ministero ma lì, davanti a sua madre, sconvolta come non l'aveva mai vista.
Dentro di lui, solo dispiacere e senso di colpa, verso quella famiglia che un tempo aveva voluto abbandonare e rinnegare, e che adesso si rendeva conto essere parte di lui fin dentro le ossa.
Si avvicinò a Molly e si strinse a lei, più forte di quanto avesse mai fatto.
La sua pelle, i suoi vestiti e persino i suoi capelli rossi erano impregnati dell'odore di Whisky, ma lui fece finta di niente, incapace di staccarsi, di porre fine a quel contatto che lui stesso aveva stabilito.

“Sei proprio un bravo ragazzo”- biascicò la donna, la testa ancora appoggiata sulla sua spalla- “Vorrei avere un figlio come te.”

 

Fu come una doccia ghiacciata in pieno gennaio.
Si sciolse dall'abbraccio tentando di articolare parole che le facessero capire che lui, Percy Weasley, era compreso in quelle sette persone che aveva sfamato, consolato, brontolato o, più semplicemente, amato come solo una mamma può fare.
Ma quando incontrò lo sguardo sognante e distante della signora Weasley si rese conto che sarebbe stato tutto inutile. Lei non lo avrebbe riconosciuto, in quelle condizioni.
Le sorrise mestamente, senza curarsi di asciugarsi gli occhi.

“Anche i tuoi figli sono brave persone, davvero. Sono sicuro... sono sicuro che tra di loro ce n'è uno proprio come me.”
“Davvero?”- disse Molly stupita da quelle parole- “Non so... non c'è nessuno di loro qui con me, oggi. Oggi, che dovrebbe essere un giorno così triste per tutti, nessuno è venuto a consolarmi. Mio marito ha insistito di voler andare a lavoro, ha detto che non ce l'avrebbe fatta a restare a casa con le mani in mano. E così, alla fine sono sola”- si fermò un attimo, respirando profondamente- “Ci sei solo tu.”

Sembrava stremata, come se non dormisse bene da giorni. Sembrava triste, come chi si riduce a bere per dimenticare.
Sembrava spenta, sciupata, più vecchia di quel che era in realtà, pensò Percy osservandola mentre poggiava la bottiglia a terra e tentava di alzarsi.
Ma, sotto tutto quello strato di tristezza e senso di abbandono, Molly dopotutto era sempre sé stessa.
Ma era Molly con un anno di più, e un figlio di meno.

 

La donna si alzò e si diresse in cucina, dove la luce era ancora accesa, con Percy che la seguiva apprensivo, con l'evidente timore che la madre potesse crollare a terra da un momento all'altro.
Dopo cinque minuti, la aiutò a sistemarsi su una delle sedie di legno raccolte attorno al tavolo.
Era estremamente preoccupato, sentiva la situazione sfuggirgli velocemente di mano.
Non si era mai ubriacato, lui, né aveva mai soccorso i suoi fratelli nel bel mezzo di una sbronza.
Non sapeva cosa fare, e non era mai stato bravo nell'improvvisare.

Avrebbe voluto semplicemente portare sua madre a letto e sperare che un buon sonno e un infuso potessero farla tornare alla normalità.
Ma lei sembrava in vena di chiacchiere come mai lo era stata prima in sua presenza.
“Sai che ti dico, ragazzo? A dir la verità io non volevo avere figli. Non ne volevo nemmeno uno, già.”
Rivolse uno sguardo divertito al suo interlocutore, fermandosi per giocherellare un attimo con l'orlo del vestito. Non sembrava affatto lucida, constatò Percy sentendo il panico montare dentro di lui.
Oltretutto, quella di non voler avere figli era una cosa che personalmente non le aveva mai sentito dire.

“Mi sono spostata presto, troppo presto stando a quanto diceva mia madre. Ma non mi è mai importato di ciò che sosteneva lei, né degli sguardi di rimprovero che mi rivolgeva ogni volta che io e Arthur andavamo a trovarla.
Non mi è mai importato niente perché ero innamorata. Amavo Arthur come non avevo mai amato nessuno prima, né credevo di poter amare dopo. E lo amo ancora allo stesso modo, con la stessa intensità del giorno in cui facemmo le valige ed insieme scappammo dalle nostre rispettive case.
Stavo bene, sola insieme a lui in quello che per me era un piccolo angolo di paradiso. Una casa piccola e accogliente, un giardino ordinato con un bell'orticello.
Anche se fuori la guerra si faceva sempre più vicina, io lì mi sentivo comunque felice, protetta e al sicuro.
Poi... rimasi incinta. E sentii come se qualcosa si stesse irrimediabilmente crepando. Come se quella felicità intoccabile diventasse pian piano sempre più tangibile. E quando una cosa la puoi toccare, allora la puoi anche rompere, non ti pare? Non lo volevo, quel bambino. Pensai di sbarazzarmene dal primo momento in cui ne scoprii l'esistenza.”

Molly piangeva di nuovo, mentre Percy si rifiutava di credere a ciò che le sue orecchie sentivano.
Era solo un delirio senza senso, un brutto sogno ad occhi aperti di sua madre che lei adesso gli stava raccontando.
Eppure... Eppure quelle lacrime, quel tremito quasi impercettibile delle mani... Facevano sembrare tutto estremamente più vero.

“Era un rischio tremendo che non volevo correre, capisci?! Mettere al mondo una nuova vita per poi vedermela portare via da... da... Tu-S...”
“Voldemort, possiamo dirlo adesso, non c'è più pericolo ormai”- mormorò Percy, gli occhi fissi sulla madre, pronti a studiarne ogni piccolo movimento.
“Sì, hai ragione... Mettere al mondo una nuova vita per poi vedermela portare via da Voldemort mi sembrava un rischio troppo grande da poter correre. Ci eravamo dichiarati favorevoli all'integrazione dei Nati Babbani nel Mondo magico pur essendo sia io che Arthur Purosangue! Praticamente eravamo dei traditori, potevamo essere uccisi da un momento all'altro, e con noi anche tutti i nostri cari! Capisci?! Come potevo non cercare di fermare quella cosa dentro di me prima che diventasse a tutti gli effetti una vita? Una vita in più da perdere, una sofferenza in più da sopportare.”

Molly gridava fuori di sé dal dolore, mentre il suo furioso racconto si faceva sempre più triste.
E in quel momento, mentre lei agitava le mani per aiutarsi a farsi capire, in quel momento Percy seppe che neppure una singola sfumatura di quella storia era frutto dell'immaginazione di sua madre.
Era tutto vero, se lo sentiva dentro mentre la guardava negli occhi.
Aveva davvero pensato di non far nascere Bill. Ma, ovviamente, non lo aveva mai detto a nessuno.

“Poi... poi però hai cambiato idea, no? Hai deciso di allargare la tua famiglia.”
Percy sapeva che era un po' come un suicidio, farla continuare e dover stare ad assistere inerme di fronte al suo tormento interiore.
Ma aveva assolutamente bisogno di sapere come era passata dal non volere nemmeno un bambino a fare parte di una famiglia di nove persone.
“Non ricordo bene come è successo. Voldemort stava diventando sempre più potente, aveva già reclutato i suoi fedeli ed era evidente che fosse pronto ad istituire il proprio dominio sul Mondo Magico.
Ero da sola in casa, Arthur era a lavoro e non so come, ma all'improvviso ho realizzato che due persone non bastano, ci vuole un appoggio. Se si è soltanto in due e uno perde la testa, rimane da solo. Due non è un buon numero, se fuori c'è aria di guerra.
Sì, forse neppure avere il pancione o un neonato da sfamare mentre i Mangiamorte fanno sparire gli oppositori è una prospettiva rassicurante ma… ma in quel momento mi è parsa più rassicurante dello stare da sola”- Molly si fermò a riprendere fiato, lasciando ondeggiare un po' la testa di lato- “Io non volevo figli, non li volevo per paura di perderli. Ma mi accorsi che ci vuole un po' di coraggio, per poter affrontare la vita. Che se quel coraggio non ce lo avevo per conto mio dovevo trovarlo in Arthur. E se neppure quello di Arthur fosse stato sufficiente avrei dovuto affidarmi a qualcun altro.

Così rischiai, rischiai mettendo in ballo tutta la felicità che avevo racimolato fino ad allora. E in qualche modo, vinsi il doppio di ciò che avevo scommesso.
Tante volte mi sono trovata davanti a quello stesso bivio, ogni volta con il solito dubbio. Ogni volta che sono rimasta incinta mi sono chiesta se non avessi già avuto abbastanza, se non osassi sperare troppo. Se, con un altro figlio, non attirassi ancora di più la rabbia di Voldemort. Una parte di me voleva essere mamma più di ogni altra cosa al mondo. Voleva sentire quella parola inondare la casa, voleva rincorrere bambini birbanti che non vogliono fare il bagnetto, voleva affrontare litigi con adolescenti alla ricerca di avventure sfrenate. Quella parte di me voleva tornare a King's Cross ad accompagnare un bimbo di undici anni al suo primo viaggio sull'Hogwarts Express.
Ma l'altra, la parte razionale, continuava a dirmi che era una follia, uno spregio per me, per Arthur e per quella povera creatura che stavo per mettere al mondo.”

 

Per un attimo, a Percy Weasley sembrò di vedere sua madre per la prima volta: una donna impaurita, fragile, ferita. Ed incredibilmente umana. Non era più solo la donna che lo aveva lodato per essere diventato Prefetto e Caposcuola, che lo aveva baciato sulla guancia ogni primo settembre al binario 9 e ¾ prima di partire per Hogwarts, non era più solo la casalinga, cuoca, sarta e madre di famiglia che i suoi occhi di ragazzo gli avevano sempre mostrato.

Sotto tutti quegli epiteti c'erano dubbi, paure e sofferenze che Molly aveva sempre nascosto a tutti loro, prezzi da pagare per la famiglia che era riuscita a costruire, per la felicità che aveva vissuto.
Improvvisamente si sentì sporco e indegno di starle di fronte, di chiamarla mamma, anche solo di guardarla.
Perché lui se n'era andato. E adesso sapeva quanto male le aveva fatto.
L'espressione della madre durante il suo scontro con il padre a Grimmauld Place gli riempì la mente, lo portò ad odiarsi da solo.
Poi il momento in cui era corso alla scuola di magia per aiutare la sua famiglia nella battaglia contro Voldemort era riaffiorato tra tanti altri, e con quello anche l'ultimo, breve istante di vita di suo fratello Fred, che se n'era andato col sorriso, ridendo di una sua stupidissima battuta.

E si sentì terribilmente in colpa perché forse avrebbe potuto salvarlo, avrebbe potuto rendere sua madre veramente fiera di lui per qualcosa che contasse davvero. Avrebbe potuto evitare a quella donna a cui doveva così tanto un dolore troppo grande da sopportare.
Si sentì mancare al pensiero di non essere il bravo ragazzo che la mamma desiderava. Che la mamma meritava.

 

Tormentato dalle sue riflessioni a tal punto di non essere più in grado di ascoltare altre rivelazioni del genere, decise di portare Molly nella sua stanza al piano di sopra e l'aiutò a stendersi sul letto. Non sapeva davvero cos'altro fare se non lasciarla dormire e portarle un bicchiere d'acqua e uno di infuso per il mal di testa.
“Mi raccomando, se vedi i miei figli non raccontargli quello che ti ho detto. Non voglio che pensino di essere sbagliati, o di essere degli errori. Voglio molto bene a... a tutti loro. A chi c'è sempre stato e a chi... a chi non c'è più. Non sono una persona cattiva. Avevo solo paura”- disse Molly mentre le lacrime cominciavano a riaffiorare.
“Non ti preoccupare. Adesso... non c'è niente di cui aver paura”- rispose Percy esitante, sorridendole mestamente.

Tornò in salotto, con il cuore gonfio di emozioni molto di più di quando era entrato in quella casa.
Stanco, si abbandonò ai suoi pensieri che avevano il retrogusto amaro degli errori passati e la piacevole dolcezza della vita futura.
Adesso si ricordava del perché avesse deciso di tornare, del perché nonostante fosse uno stacanovista avesse abbandonato il suo ufficio per arrivare fin lì. Si ricordava di aver fermato suo padre mettendogli una mano sulla spalla dicendo “Vado io, va bene?” e che lui lo aveva guardato con un misto di sorpresa e gioia negli occhi.

Improvvisamente un frullio d'ali lo riportò al presente: un gufo era appena entrato dalla finestra rimasta aperta e portava con sé un piccolo messaggio scritto su pergamena nuova di zecca.
Victoire, c'era scritto al centro del biglietto.
E Percy sorrise, pensando che dopo tutto quello che i Weasley avevano passato, ciò che era accaduto quel giorno poteva considerarsi una grande vittoria.

 

 

Qualche ora più tardi, quando Molly Weasley scese al piano di sotto dopo aver bevuto l'infuso per il mal di testa, convinta di esserselo preparata lei stessa, non poté trattenere un grido di stupore che la vista del suo terzogenito seduto nel suo salotto le provocò.
“Percy!”- esclamò, e lui ricambiò con un mezzo sorriso.
“Ciao mamma”- disse semplicemente, ma la voce gli tremò sensibilmente alla parola mamma.

La donna, visibilmente confusa, analizzò la situazione quanto mai straordinaria. Esaminò ogni angolo della stanza, alla ricerca di qualcosa che rendesse la visita di Percy meno insolita.
E vide la bottiglia vuota di Whisky Incendiario ai piedi del divano, il buffo calendario da parete babbano di Arthur abbandonato sul tavolino davanti al camino vuoto.
Era il 2 maggio. E questo le fece ricordare, anche se non troppo bene, diverse cose.

Insieme alla consapevolezza di aver bevuto da sola un'intera bottiglia di liquore piangendo il figlio scomparso, arrivò anche il ragionevole dubbio che non fosse arrivata a letto da sola.
Si sentì avvampare all'idea che Percy l'avesse vista delirare per via dell'alcool in un giorno come quello.

 

“Oddio, ma cosa ho fatto...!”
“Mamma”- Percy si alzò e si avvicinò a lei, ancora ferma in mezzo alla rampa di scale- “Non ti preoccupare. Va... va tutto bene, davvero”- disse, cercando di nascondere quel lieve disagio che provava nel pensare a quello che era successo quella mattina.
“Oh tesoro, scusami tanto per essermi fatta trovare in condizioni così...”
“No, scusami tu mamma. È passato un anno da quando è morto Fred. E questa è solo la prima volta che vengo a trovarti. Ho sbagliato, mi dispiace.”

Incapace di guardarla negli occhi, fissava intensamente la nuvola rossa di capelli che sua madre non si era ancora sistemata. Per questo non si accorse subito che la donna era scesa di qualche scalino e lo stava abbracciando forte.
“Mi manca così tanto, Percy”- sussurrò- “È come se avessi perso qualcosa. Un pezzo di me. Che non potrò mai recuperare.”
E lui, reduce dalle rivelazioni delle ore precedenti, capiva, anche se solo vagamente, quanto dovesse far male. La sua più grande paura si era avverata e Percy adesso non poteva fare altro che stringerla per farle capire che c'era ancora un po' di felicità nella sua famiglia.

 

“Perché sei venuto qua, Percy?”- nella domanda di Molly non c'era alcun risentimento, solo pura curiosità.
“È nata la figlia di Bill. È... una femmina, sì. Si chiama Victoire. Ero venuto a prenderti per andare insieme al San Mungo.”
Una luce accese il volto della donna, una luce calda e chiara, che fece risplendere ogni centimetro del suo viso stanco, che la riscosse dal suo torpore bruciandole muscoli e ossa.
Si sciolse dall'abbraccio per guardare suo figlio negli occhi.
“Forse in un giorno come questo ti sembrerà una magra consolazione, mamma... Ma è tutto quello che possiamo offrirti.”
“È una cosa bellissima”- disse sorridendo come non aveva ancora mai fatto, quel giorno.
“Lo so. Ma volevo dirtelo da... da sobria, insomma”- rispose un po' imbarazzato.
“Grazie di essere qui, Percy”- disse Molly appoggiando la testa sul petto del giovane- “Grazie davvero.”

 

Quando sei felice, il mondo torna ad avere tutti i suoi colori brillanti, ricomincia ad essere la tela di un pittore un po' matto.
Le tende della finestra, gialle per portare in casa il sole anche quando fuori non c'è, ti trasmettono di nuovo la loro solita, calda allegria.
Riappendi il calendario alla parete al suo solito posto, cercando di farlo stare dritto.
Fuori, l'immenso giardino si muove al ritmo scandito dal vento, in attesa di essere calpestato da nuovi piedini.
Spalanchi la porta, stringi la mano ancora giovane di tuo figlio.
E sorridi, camminando mossa da una nuova energia. Non ha senso continuare ad aspettare.
Lui non tornerà più. E chi poteva tornare ormai l'ha già fatto.

 

 

 

Nome Autore (forum e sito se diversi): Mel_mel98

Titolo: Non ha senso

Pacchetto scelto: -All'improvviso ho realizzato che due persone non bastano, ci vuole un appoggio. Se si è soltanto in due e uno perde la testa, rimane da solo. Due non è un buon numero... (About a boy)-

-Fix you (Coldplay)-

-X è ubriaco e confessa a Y un segreto-

Rating: giallo

Generi: Introspettivo, malinconico, sentimentale

Pairing: nessuno

Avvertimenti: nessuno

Introduzione: Spesso si arriva a chiedere a noi stessi se ci sia una sola cosa al mondo che possa definirsi sensata. Ha senso, il dolore? Ha senso il rancore, la paura? Ha senso voler dimenticare? Troppe domande forse, per una sola storia.
Dal testo...
“Quando sei triste tutto ti sembra più cupo e grigio. Persino le pareti della tua stessa casa, sinonimo di protezione ed accoglienza, adesso ti trasmettono solo un freddo spettrale, che si infila nelle tue ossa e nella tua mente. Attaccato alla parete, un pezzo di carta si prende gioco di te, con i suoi numeri e le sue lettere che rosse scintillano su uno sfondo bianco. Fuori dalla finestra, l'immenso giardino più o meno ordinato si stende davanti ai tuoi occhi, regalandoti ricordi adesso troppo scomodi per poter rimanere in bella vista. Tiri la tenda, getti sul tavolo quel tremendo foglio. Non ha senso continuare a soffrire.”

NdA: Ho adorato la canzone dal primo momento in cui l'ho ascoltata (lo ammetto, non la conoscevo prima del giorno i cui ho aperto i pacchetti del contest), me ne sono innamorata e ha suscitato così tante immagini nella mia testa che per me Fix You è la ormai la colonna sonora di questo testo. Ma non sono ancora diventata abile nell'inserire riferimenti di canzoni nei miei brani, come già in passato mi è stato fatto notare. Spero davvero di essere stata in grado questa volta di incorporare al mio racconto quei particolari che nel testo dei Coldplay mi hanno tanto affascinata. Quelle lacrime che scorrono lungo il volto, quelle cose perse che non si possono rimpiazzare, quella luce così forte da entrarti nelle ossa e riportarti a casa, dopo un viaggio nella malinconia e nel dolore che si credeva senza ritorno.

Grazie per aver letto questa storia,
Mel

   
 
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