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Autore: DaGio    11/10/2015    1 recensioni
"Molte sono le storie che narrano di leggendarie imprese, in mondi ed emisferi inesplorati, riguardanti città incantate e intere civiltà perdute. Nel continente di Beastarh, però, ce n'è una in particolare che sembra essere nota a tutti".
Questo fantasy non mira tanto all'utilizzo della magia, comparsa di creature o personaggi con abilità innate o doti soprannaturali. Si tratta invece di un libro contenente un storia in parte realistica in cui gli umani hanno un modo di pensare simile a quello delle persone che abitavano il mondo nel medioevo. E' un libro fantasy semplicemente perché la storia si svolge in un mondo inventato e le creature ed alcuni fatti narrati sono del tutto frutto dell'immaginazione. Una grande tematica è sicuramente quella riguardante la religione vista da punti di vista differenti ma ora sta al lettore comprendere appieno il significato che si cela all'interno del racconto.
Genere: Fantasy, Guerra, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 7 - La Verità Svelata -




Il vento sembrava essere l'unica voce di quel paesaggio. Le sue urla giungevano da ovest e coprivano tutte le praterie e i villaggi nel feudo centrale di Ennearel, la regione dei Tenbri. Come una mano invisibile, esso accarezzava l'erba in tutte le sue distese, mentre pochi altri rumori si facevano largo, più a sud del Lago dei Gyrri.
Gli stivali fradici e consumati di Derath strascicavano nel fango, fra le pozze dell'enorme campo che aveva inizio proprio da quel punto, dove finiva la fitta boscaglia.
Il cavaliere avanzava con lenti passi verso il gruppo malandato, dove si trovava anche il nobile capitano Rart.
"Eccoti! Ho temuto che fossi rimasto troppo indietro!" disse l'uomo, andando incontro al ragazzo dall'aria stravolta.
"Diamine, siamo arrivati finalmente. Non riesco quasi a crederci" ammise Rion guardandosi attorno.
Il problema purtroppo non era tanto la residua distanza da Foraz- Dor, quanto i Pemry alle loro spalle che li avrebbero raggiunti in meno di un quarto d'ora.
"Il tuo cavallo era qui, spaventato" disse Jirk, porgendo all'amico le redini dell'animale.
Senza aggiungere altro, i nove sopravvissuti galopparono lungo la via che li avrebbe condotti prima al Lago dei Gyrri e poi alla città fortezza, nella speranza di incontrare anche cavalieri o pattuglie alleate. Il lago era ancora un luogo troppo pericoloso dove rimanere e gli inseguitori non si sarebbero di certo fermati di fronte ad un paesino di contadini e pescatori, ormai spopolato di giovani. 
Le praterie erano esattamente come Rart le aveva lasciate: egli si ricordava di quel senso di desolazione, mentre folate di vento gelido rischiavano di piegare i loro corpi già scossi da fin troppi avvenimenti. 
Dopo una ventina di minuti, il capitano col seguito giunsero effettivamente al Lago dei Gyrri, dove erano state erette delle fortificazioni leggere e una piccola torre di legno e pietre, sulla cui sommità sventolava chiaramente la bandiera con la T affiancata dalle due mezze lune, in campo blu scuro. Il vessillo dei Tenbri fu una gioia per i loro occhi, così come i paesani si meravigliarono nel vedere già di ritorno il nobile nipote del Signore Fendaron.
Il capitano si addentrò frettolosamente nel villaggio, rammaricandosi di non aver portato con sé anche lo scudiero e cugino Eonas, che era originario di quel posto. Nel frattempo la gente bisbigliava e mormorava frasi colme di stupore, incuriosita per quel ritorno inaspettato e senza preavviso.
Due guardie ben armate ed equipaggiate corsero immediatamente verso il capitano che si accingeva a smontare da cavallo.
"Mio Signore, mio signore! Per gli dei della luna!" 
"Non mi aspettavo di vedere soldati qui. Cosa è successo?" domandò Rart.
I prodi, però, parvero diffidare di quegli uomini, ricordando cosa era accaduto quello stesso giorno nel bosco.
"Potete stare tranquilli, loro provengono da Foraz-Dor" li rassicurò Rion.
"Perché siete qui? L'ultima volta che vi ho visti eravate a Foraz-Dor nel corpo di guarda sulle mura" insistette Rart curioso.
"A tempo debito le spiegazioni, intanto seguiteci al tempietto! Siete davvero in terribili condizioni!" rispose uno dei due, notando lo stato pietoso in cui si trovavano i compagni alleati.
Una buona mezz'ora dopo, il piccolo contingente era stato pulito e rifocillato nei limiti del possibile, anche se per un cambio di abiti avrebbero dovuto aspettare di giungere alla capitale del feudo.
Il tempietto, altro non era, come poteva suggerire il nome, che un piccolo tempio in mattoni grigi, dedicato alle divinità della notte: Astorx e Mindael, i due protettori del paesino, insieme al martire Joah, un vecchio sacerdote che secondo una leggenda, evocò la divinità Mindael, dall'aspetto di un dragone verde, cavalcato dal possente Astorx, sotto le sembianze di un cavaliere. Leggenda vuole che il sacerdote si avvalse delle due divinità per contrastare e scacciare gli antichi popoli evoluti, da quelle terre. La storia si rifà ai racconti della nascita dell'intero continente, quando gli dei lasciarono che l'umanità progredisse ed alcune civiltà cominciarono a rifiutare le origini mistiche della loro esistenza, evolvendosi e massacrandosi a vicenda con potenti armi che sputavano fuoco. Nella regione di Ennearel si attribuiscono i discendenti di quelle civiltà agli abitanti della regione del sud, Sikowalth. Il tempietto, al suo interno, era piuttosto spoglio e poco illuminato ma nel piccolo cortile all'esterno erano situate delle vasche comuni per potersi lavare durante i periodi caldi. Nonostante la temperatura non fosse delle migliori e neanche un raggio solare  fosse riuscito a passare attraverso i folti nuvoloni di quelle buie giornate, i nove cavalieri avevano la necessità di togliersi quel prurito, quella puzza e quel fango che avevano accumulato incessantemente dalla sera in cui erano partiti dall'accampamento al confine, o da quando avevano lasciato il Vallo dei Prodi.
Rart aveva spiegato di fretta e furia cosa era accaduto lungo il fronte a sud, mentre le due guardie illuminarono il capitano riguardo alla situazione critica del territorio e delle risorse all'interno del feudo, illustrando al nobiluomo come suo zio avesse disposto le poche truppe disponibili, per presidiare i paesi ed i villaggi minori per via di possibili atti di brigantaggio. Dopo aver chiarito la situazione, ovviamente, risultò chiaro quanto non si trattasse di brigantaggio ma delle azioni di disturbo da parte dei Pemry. 
"Mio padre dove è stato inviato?" domandò Rart, preoccupato.
"Non lo sappiamo. Noi siamo partiti con un altro contingente poco prima di lui e comunque tutti i movimenti sono stati effettuati velocemente e silenziosamente" rispose uno dei soldati.
"Capisco" mormorò il capitano, "...ad ogni modo, avete detto di essere una cinquantina in tutto, giusto?" 
"Proprio così"
"Dunque se giocherete bene le vostre carte ed alzerete qualche stendardo in più, i nostri inseguitori non dovrebbero osare attaccarci in questa zona. Sono poco più numerosi di voi e un piccolo contingente è formato da soldati travestiti con indumenti di cavalieri del nostro feudo, quindi state allerta! Hanno armature e vessilli logori, per questo li riconoscerete nel caso dovessero apparire" li ammonì Rart, issando a cavallo.
"Ho capito!" rispose con fermezza una delle guardie.
Una volta chiariti anche quei dettagli, sapendo che il posto era fuori pericolo da assedi, almeno per il momento, il gruppo si mise al galoppo verso Foraz-Dor, ormai distante solo pochi chilometri.
Le guardie aprirono un cancello di legno e fecero passare i nove cavalieri che rappresentavano l'unica speranza per la sopravvivenza del feudo stesso. I soldati facevano avanti e indietro, preparandosi per rafforzare le difese e seguendo il suggerimento del capitano.
Il freddo non accennava a diminuire e per un breve periodo cominciò anche a nevischiare, mentre lungo le praterie l'erba corta era stata quasi completamente sommersa dalla neve. Rispetto all'andata, il tempo che sarebbe occorso al gruppo per spostarsi dal Lago dei Gyrri alla capitale dei Tenbri, non sarebbe risultato lo stesso, poiché l'esercito numeroso era composto da fanteria e macchine d'assedio che rallentavano il contingente, diversamente dai nove che erano tutti a cavallo.
La città fortezza era già ben visibile alle sei di sera, quando i cavalieri al seguito di Rart videro Foraz-Dor ergersi su di una collina di fronte a loro, silenziosa e ben illuminata come fosse un miraggio. 
Una vedetta, dall'alto delle mura, urlò alle guardie sottostanti di alzare la saracinesca e aprire il portone esterno, anche se l'uomo fu costretto a ripetere più volte l'ordine a causa del vento che ululava sovrastando qualsiasi altra voce.
Il suono degli zoccoli dei cavalli che passavano sopra le mattonelle del grande piazzale, riecheggiava attraverso le pareti blu scure delle mura e del bastione centrale. La piazza era decisamente poco trafficata e non era illuminata se non grazie alla luce lunare, mentre la parte più vicina all'uscita della città era proprio vuota, senza monumenti, animali o persone. 
Da pochi metri di distanza, in una zona sopraelevata per via di un paio di gradini in marmo, un giovane cavaliere assisteva all'entrata in città del piccolo gruppo di soldati.
"Non un'anima attraversava questa porta da giorni, ormai. Chi sono i nostri ospiti?" si disse il ragazzo, a bassa voce. 
Una decina di guardie si avvicinò a Rart e al suo seguito, circondandoli con atteggiamento guardingo.
"Sono il Capitano Rart. Ho bisogno di parlare urgentemente con Sire Fendaron mio zio" annunciò il capitano.
Le guardie si stupirono immediatamente non appena riuscirono a constatare con i loro occhi l'identità del nobile Tenbri e poco dopo riconobbero anche Rion, il quale era rimasto leggermente indietro per via del cavallo stanco.
Il giovane cavaliere che da subito li aveva visti entrare, si avvicinò a passo veloce per cercar di comprendere la situazione e chiedere di persona a Rart il motivo del suo ritorno. Il capitano lo scrutò da lontano. A vedersi, poteva sembrare una delle guardie giurate del castello ma gli abiti e l'armatura erano leggermente differenti. Pareva quasi che il ragazzo, probabilmente sui venticinque anni, fosse il responsabile del corpo di guardia delle mura esterne, inoltre indossava la fascia azzurra che lo distingueva dalle altre guardie e che lo designava come uno dei comandanti. 
Rart aveva anche una strana sensazione, come di nostalgia di quel posto che non vedeva da settimane. Faceva parecchio freddo e l'umidità sembrava aver avvolto ogni pietra del piazzale, dove echeggiavano i passi delle guardie e l'alito di persone e animali formava nubi di vapore acqueo che si dissolveva dopo corti istanti.
"Buona sera capitano! Io sono Febion, il nuovo comandante delle mura esterne. Vi accolgo nella speranza di non dover pensare ad una diserzione, perché so che siete un uomo d'onore" disse il cavaliere, rivolgendosi a Rart.
"E infatti non avete di che temere. Sono giunto fin qui per discutere con mio zio di questioni allarmanti" rispose il capitano chinando leggermente il capo.
"Permettetemi dunque di scortarvi fino al castello" concluse il ragazzo in tono pacato, quindi fece un lieve inchino e si avvicinò ad un bianco destriero condotto lì vicino da uno scudiero.
Fra le mura dell'antico castello, dentro la sala da dove la famiglia era solita pranzare e cenare in compagnia di amici nobili o lontani parenti, proveniva ed era ben percettibile anche all'esterno il suono di uno strumento a corde poco più piccolo di una chitarra, accompagnato da un'arpa. 
Quando Rart e Rion, scortati da Febion e un'altra guardia, si avvicinarono alla porta della sala, mentre attraversavano il lungo e stretto corridoio, una profonda voce cominciò ad intonare una vecchia canzone.



"Due mezze lune
un campo blu,
e la speranza brilla più.



Le tre spighe,
di oro il grano,
tra le righe un capitano.



Le tre spighe,
di oro il grano,
tra le righe un capitano.
 
Nella notte di un blu scuro,
solo un cuore è il più puro.
I suoi uomini ha guidato
e contro il forte ha marciato.



Non vi è più anima alcuna,
poiché ormai il fato ha deciso
che solo per la mezza luna,
in nostro emblema non sarà liso!



Non vi è più anima alcuna,
poiché ormai il fato ha deciso
che solo per la mezza luna,
il nostro emblema non verrà liso!"



La cena di corte si interruppe con la canzone, quando Rart fece irruzione bruscamente, aprendo la porta  fino a spingerla contro la parete, provocando un frastuono considerevole. 
Fendaron Tenbri, allegro e vivace fino a un attimo prima, divenne pallido come un lenzuolo non appena vide l'uomo, il quale aveva ormai una barba piuttosto folta e incurata, oltre all'aspetto malandato, così come Rion alle sue spalle.
"Lasciateci soli! Voglio che rimangano qui solo mio figlio e mio nipote!"



Più ad est rispetto a dove si stavano svolgendo quelle vicende, forse segno di un'ottimistica soluzione a tutta quella confusione che rischiava di avvolgere il mondo intero, un'altra importante casata si impegnava a schierare le proprie truppe ma sfortunatamente si trattava dei Lubers, i quali erano convinti di dover attaccare i Tenbri, accusati di aver assassinato il secondogenito del signore Darren.
Dave era in piedi, sopra alla torre più bassa del bastione, intento ad osservare e controllare che il trasporto di trabucchi e altre macchine d'assedio avvenisse senza disordini, anche perché l'uscita dal grande cancello principale proseguiva con un ponte di roccia largo solo cinque metri e più volte vi era volato di sotto un macchinario... o una persona.
La fortezza dei Lubers, conosciuta più comunemente come Roccia Aguzza, si ergeva proprio alle pendici dei Monti Folli, estendendosi anche sui lati dei colli e delle montagne più giovani che finivano con una punta ben acuminata, da cui si poteva intuire da cosa derivasse il nome della costruzione. La città o la parte più abitata in linea di massima, partiva da una collina in leggera pendenza e si allargava con i suoi casolari, le chiese e le torri lungo il dorso dei monti più bassi, formando con i tipici tetti appuntiti una sorta di criniera sopra parte della catena montuosa. Il tutto era circondato da mura non troppo spesse con merlatura a lingua biforcuta.
Uno dei nomi che la gente usava per identificare quel luogo era "La Città Verde", perché tra i mattoni delle case e le pareti di torri, oltre che le mura stesse, cresceva spontaneo un muschio verde e viscido, che spesso si tramutava in muffa dall'odore sgradevole: questo succedeva quando i liquami provenienti dalle fognature si mescolavano al muschio, scaldandosi e imputridendosi, secernendo una sorta di gas nauseabondo. La città appariva spesso tetra ma la causa di ciò poteva essere trovata nelle mattonelle e dalle pietre nere con le quali venivano costruiti proprio tutti gli edifici. Il colore così scuro era dovuto soprattutto alla catena montuosa, dalla quale gli abitanti estraevano roccia, sabbia e terra di colore grigio scuro o nero, quasi quanto la pece. In fine si poteva dire che Roccia Aguzza e la Città Verde formavano un centro abitato tetro e difficile da raggiungere poiché le mura esterne concludevano con un profondo e oscuro baratro, del quale non si riusciva a vedere la fine se non durante le giornate estive, quando pochi raggi solari illuminavano l'intera zona che rimaneva comunque nascosta dall'ombra dei monti per la maggior parte del tempo. Il largo, profondo e buio fosso era attraversabile solo in un punto, se si voleva arrivare in città e lo si faceva grazie alla sporgenza prolungata ad arco che formava un ponte naturale, composto da semplice roccia e che si ricongiungeva, da un lato con la parte abitata, dall'altro con le Lande Desolate, le quali non erano altro che tali: lande desolate che terminavano con la foce sul mare ad est di Ennearel. Dalla parte opposta dei Monti Folli, invece, le montagne erano più antiche e ricurve e laggiù si trovava Foraz-Dor, situata proprio nella parte centrale della regione.
"I trabucchi son stati ben manovrati lungo il passaggio. Schierate l'esercito in posizione di marcia" disse Dave, rivolgendosi ad un ufficiale alle sue spalle, "...E date ordine al resto delle truppe di fanteria, di iniziare la scalata ad ovest".
La strategia di attacco, ben pianificata dal padre, Darren, consisteva in un attacco a sorpresa su tre fronti: a sud e ad est di Foraz-Dor. Per quanto assurdo potesse sembrare, il signore feudale Lubers aveva  deciso di mettere in campo tutte le sue unità, inclusa la fanteria volontaria di difesa ai confini. Un centinaio di soldati addestrati per scalare le pareti rocciose, avrebbero attaccato direttamente la città, piombando da sopra le montagne che la chiudevano. Questo sarebbe accaduto solo una volta messo in difficoltà il grosso delle truppe, composte prevalentemente da cavalleria a nord, e da fanteria affiancata da macchine da assedio, a sud. In quel momento, il grosso dell'esercito era ancora unito in un unico schieramento, lungo le Lande, fatta eccezione per gli scalatori che presto avrebbero cominciato il movimento. Di certo non sarebbe stato facile ma di sicuro il feudo Tenbri era a corto di umini e risorse, quindi assolutamente vulnerabile a qualsiasi attacco. Inoltre bisognava contare sul supporto dei Pemry, i quali avrebbero assestato il colpo di grazia a Fendaron Tenbri e tutta la sua famiglia, nonché all'odioso Vallo dei Prodi che da sempre resisteva sotto il controllo degli stessi Tenbri.
"Dave!" urlò una voce.
Il ragazzo si scosse dai pensieri che lo sorbivano totalmente.
"Dave, vieni qui" si sentì chiamare nuovamente.
Era il padre, assillato dagli altri ufficiali e comandanti, i quali sembravano ronzar come mosche attorno all'uomo, investendolo di domande e perplessità da chiarire.
"Cosa succede qui?" intervenne il ragazzo.
"Spiega un po' a questi caproni che non possiamo far partire le truppe adesso, perché dobbiamo aspettare che gli scalatori giungano almeno a metà percorso!"
farfugliò Darren alzandosi dalla sedia sulla quale sedeva, per dirigersi poi verso una feritoia.
"Capitano Dave, noi stavamo solo suggerendo di muovere subito tutte le truppe, poiché durante il tragitto si possono riscontrare problemi di ogni sorta e rallentare sarebbe ancor peggio..." si spiegò uno degli ufficiali.
Dave scosse la testa.
"No. Se rischiamo di arrivare prima del previsto, le sentinelle o eventuali vedette potrebbero avvisare Foraz-Dor con largo anticipo. Così facendo, daremo al nemico il tempo di organizzarsi e magari chiamare aiuto dal Vallo, rompendo l'effetto a sorpresa. Più saranno organizzati loro, più uomini perderemo noi! Mi sono ben spiegato, ora?" 
L'uomo fece un leggero inchino e indietreggiò fino alla porta, da dove si dileguò entro pochi istanti, avendo capito di essere in torto, mentre Darren era rimasto estremamente soddisfatto dalla risposta esauriente del figlio. 



Quella stessa notte, alla medesima ora, il fuoco scrosciante dell'ornato camino del salotto dei Tenbri riscaldava l'ambiente così teso, che sarebbe bastato spalancare una porta per far sussultare i presenti. 
"Allora è così... che stanno le cose" mormorò Fendaron, sorseggiando un calice di denso vino rosso liquoroso.
Rion annuì, senza dire una parola.
"Va bene, và pure a chiamare gli altri" disse il padre.
Fendaron aveva interrogato uno per uno tutti i superstiti giunti fin lì, in modo da avere la certezza che non si trattasse di disertori e che il figlio e il cugino affermassero la verità. Quello che i due affermavano, si trattava di qualcosa di grave e disastroso, quindi bisognava essere sicuri che corrispondesse all'assoluta verità.
Rion aprì la porta d'ingresso al salotto, dalla quale entrarono anche Il cugino; Norren e Jirk.
Derath era rimasto nel salone principale, insieme agli altri quattro prodi, sorvegliati solo dal comandante Febion e due guardie scelte.
Il capitano Rart entrò nello spazioso e accogliente vano dove un piacevole calore scaldava l'atmosfera circostante. L'uomo si sentiva veramente a casa ed un forte senso di nostalgia gli afferrò il cuore, portandolo a ricordare i tempi in cui si metteva a leggere e disegnare cose assurde, quando ancora era un ragazzino. Tempi che ora non avrebbe più nemmeno immaginato.
"Ebbene, hai in mente qualcosa, zio?" chiese con voce profonda.
Il signore feudale si sgranchì le braccia, fece un lungo sospiro per mettere in ordine i pensieri e infine si alzò dalla comoda sedia.
"A questo punto direi che non ci sono poi così tante alternative. Ciò che mi avete riferito è molto grave e siamo stati fortunati a sapere del tradimento" borbottò Fendaron massaggiandosi il mento, quando Rion prese la parola.
"Fortuna la chiameresti? Fortuna! Hai idea di quante persone siano già morte fino ad ora? E di tutte quelle che moriranno nel corso di questa assurda 'fortuna'?"
Il figlio si era rivelato impetuoso e sgarbato, come al solito, attirando l'attenzione di tutti i presenti e portando ad essi delle improvvise emicranie causate proprio dal tono di voce così alto. Fendaron scosse la testa e proseguì rispondendo alla domanda posta in precedenza da Rart.
"Ed è proprio per questo che bisogna agire con cautela! La situazione con i Pemry sembrava già fin troppo tesa ma ora sappiamo cosa ci aspetta. Bisogna avvertire gli uomini sui confini del pericolo e raggiungere i Lubers per dir loro la verità"
Rart si chiedeva che fine avesse fatto suo padre e sapeva che lo zio cercava di evitare l'argomento.
"Dov'è? Dove si trova ora mio padre?"
Gli occhi di Fendaron cercavano di evitare lo sguardo sempre più cupo del capitano e ben comprendeva il perché di quel volto tempestato da mille pensieri ed altrettanti problemi.
"Si trova al confine con i Pemry, con un centinaio di uomini".
Il silenzio colmò la stanza per diversi secondi che sembrarono fin troppi, per i presenti che erano rimasti piuttosto scossi dalla risposta.
Rart si alzò all'improvviso, dirigendosi verso la porta alle sue spalle, quindi lo zio fece lo stesso, allontanando bruscamente la pesante poltrona sulla quale sedeva, spostandola di almeno mezzo metro con una manata.
"Dove credi di andare? È troppo pericoloso e tu servi altrove!"
Il nipote si fermò poco prima di afferrare la maniglia della porta.
"A cercare mio padre".
Detto questo, il capitano aprì la porta ma la voce di Rion richiamò la sua attenzione prima che riuscisse ad oltrepassare la soglia.
"Fermati cugino. Capitano"
Rion Tenbri, da sempre suo rivale, indisciplinato e scontroso, si era appena rivolto a lui con rispetto. Forse valeva la pena ascoltare ciò che avesse da dire.
"Ascoltami, lo so che chi tratta di tuo padre ma ci sono ancora probabilità che sia sano e salvo. So cosa vuol dire perdere qualcuno che ti è caro. Mio fratello è disperso da molto tempo ormai, però sono convinto che sia vivo. Dopotutto si tratta del miglior spadaccino di Foraz-Dor e se non vado errato riuscì a batterti in tutti i duelli a cui partecipò. Ora ci servi qui! Perché tu sei il secondo miglior spadaccino dopo mio fratello! Sei il capitano e ci hai ricondotti a casa vivi. Non lasciarci proprio ora".
Rart sapeva bene che non si trattava di una semplice richiesta ma di una supplica, perché ogni singolo uomo sarebbe stato fondamentale per la sopravvivenza della famiglia.
"E va bene. Non andrò al confine con i Pemry..." fece il capitano sospirando, "ma ci recheremo al confine con gli Oscaret!"
"Cosa vuoi dire?!" domandò Fendaron sbigottito.
"Ci serviranno tutti gli uomini possibili per distruggere i traditori. Prendiamo le armate che difendono il confine dei Pemry a sud, le portiamo qui e difendiamo il nostro feudo, mentre la regione nemica Sikowalth riverserà tutta la sua furia dritta al cuore de nostri cari vicini traditori. Nel frattempo Jirk e Rion si saranno mossi verso i Lubers, dove li avvertiranno dell'inganno e Darren avrà suo figlio come prova che i Pemry li hanno solo usati. Inoltre sarebbe assolutamente necessario chiedere aiuto agli unici feudi rimasti indipendenti, ovvero Aspur e Villi".
Di fronte ad un simile piano, elaborato sbrigativamente e più che valido, lo zio e gli altri presenti avrebbero voluto fare un applauso. Era davvero incredibile: neanche un minuto di tempo per pensarci e già sapevano come muoversi a fronte della situazione critica che li tormentava. Nonostante tutto, sorgevano ancora molti dubbi che dettagli più accurati avrebbero potuto esaudire, così Fendaron Tenbri prese la parola.
"Questo vuol dire perdere la guerra con Sikowalth! Non possiamo lasciare la regione in mano di altri nemici!"
"Così abbiamo anche trovato il modo per concludere questa maledettissima guerra! È l'unico modo e gli uomini che difendono il confine sud sono quasi tutti Tenbri, Villi Lubers e Aspur. Se portiamo dalla nostra parte solo quelli che coprono la regione dei Pemry, otterremmo un esercito di almeno settemila unità, se non di più" replicò Rart con decisione.
"E come speri di convincere quei soldati? Cosa succederà una volta persa la guerra con gli infedeli? Adoreremo tutti delle divinità pagane?"sbottò lo zio.
"Non lo so cosa diamine accadrà ma di sicuro non possiamo lasciarci distruggere dai nostri vicini! È l'unica soluzione sensata, per il momento...".
Rart non riuscì a concludere del tutto la frase, quando fecero irruzione improvvisamente tre guardie della fortezza, dietro alle quali vi erano due soldati decisamente mal ridotti, sporchi e dal viso coperto di sangue e fango. Gli occhi esterrefatti dei presenti che fissavano irrequieti le vesti e le armature stracciate, bagnate fradice a causa di neve e ghiaccio che si erano accumulati in diverse parti degli indumenti, oltre a barba e capelli.
"Mio Signore!" esclamò il comandante Febion, sorreggendo uno degli uomini malconci.
"Parla" ordinò Fendaron spaventato.
"Questi soldati appartengono al contingente inviato al confine ovest. Sono gli unici scampati ad un attacco ma..."
"È opera dei Pemry..."
"Così sembra. Per quale motivo? Perché mai dovrebbero attaccarci?"
Il Signore feudale rimase in silenzio per almeno un minuto, facendo avanti e indietro per la stanza e lanciando sguardi torvi ai due superstiti. Così Rart si decise ad aprir bocca.
"Il vostro comandante?"
Uno dei due soldati si mise in ginocchio ed attaccò a singhiozzare, ponendo le mani sopra la testa e premendo poi contro le tempie, cercando di trattenere quelle urla strazianti che avrebbe voluto liberare il prima possibile e che non poteva trattenere ancora per molto. L'altro, invece, decise di rispondere con chiarezza.
"Tuo padre, Anvol... ha difeso fino all'ultimo respiro quella locanda. L'ha difesa uccidendo decine di nemici e poi è caduto".
Il Capitano rimase a bocca aperta, troppo confuso e inorridito; decisamente troppo afflitto e incredulo, per proferir parola. In quel momento una moltitudine di lacrime gli accarezzarono il viso, finendo poi a terra, infrangendosi contro il pavimento e disperdendosi in una moltitudine di scintillii, così come il suo animo si sentiva affranto e perso, così come il cuore aveva perso un pezzo abbondante che non sarebbe mai più tornato. A volte non si riesce a comprendere come diverse persone siano parti di esso ed ogni volta che un nostro caro, animale, uomo o donna, un essere a cui vogliamo bene, scompare, allo stesso tempo se ne va anche una parte del cuore. Perché volevamo bene a quella persona e nonostante non riuscissimo ad esprimere il nostro affetto per essa, non vuol dire che non vi fosse nulla: l'amore. E Rart sentiva proprio tutto questo, in fondo al suo animo. Avvertiva una mancanza, un vuoto.
Non era l'unico però, infatti lo zio aveva perso non solo un ottimo comandante ma, soprattutto, un fratello. Non vi erano più dubbi sul da farsi e probabilmente a destare e scuotere rabbia in Fendaron era stata proprio la scioccante notizia.
"L'ho mandato a morire" sospirò. Lo sguardo perso nel vuoto, poi alzò le pupille.
"Jirk, recati immediatamente in patria e porta un messaggio a tuo padre! I Pemry manipolatori e traditori devono morire!" ordinò al ragazzo di fronte a lui, poi si girò verso il secondogenito: "Figlio mio, accompagnerai il giovane Lubers, insieme ad una scorta di sei uomini. Una volta stabilita la pace con quel feudo, farai ritorno a Foraz-Dor".
Poi volse lo sguardo al nipote, si avvicinò lentamente e lo strinse forte a sé, quindi fece un cenno di assenso.
"Va bene, fai ciò che devi. Mio figlio Kitran verrà con te".
A quel punto, un'altra via si era aperta davanti a quell'uomo così stremato dalla miriade di avvenimenti che avevano cominciato a tormentarlo dalla mattina della cerimonia d'investitura a capitano di Ennearel. Questa volta, però, il destino pareva muoversi a suo favore: con i Lubers al loro fianco e l'esercito dell'intera regione al comando, sarebbe stato possibile porre fine ad una strage di milioni di innocenti. La sua vita era passata dal giovane spadaccino e idealista, al più calmo, quieto notaio, fino a giungere al ruolo attuale. 
Furono stabilite così le prime disposizioni per dare inizio alla controffensiva e la possibile salvezza del continente intero, poiché forse cominciavano ad avanzare anche le premesse per un accordo, un armistizio con Sikowalth, la regione dominata dai pagani. 
Il comandante delle mura esterne di Foraz-Dor, diede ordine ad una ventina di cavalieri, affinché scortassero Kitran, figlio primogenito del signore feudale, insieme al capitano ed il manipolo di Prodi che avrebbero fatto volentieri ritorno al Vallo.
Non rimaneva che rimettersi in marcia!
 
   
 
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