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Autore: Lyter    11/10/2015    1 recensioni
Quando hai un gemello la tua vita è legata alla sua, inevitabilmente.
Ma cosa succederebbe se il destino decidesse di separare la vita di due gemelli, cosa succederebbe se le loro strade si separassero per poi incontrarsi quando ormai tutto è cambiato?
Questa è la storia di Diana e Oscar Anderson, due orfani costretti a vivere in una Londra molto crudele
Genere: Malinconico, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: L'Ottocento
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Settembre-1819


Orgogliosamente il petto di Oscar si gonfiava e si sgonfiava.
Era stato il primo. Fra tutti i bambini che avevano partecipato alla prova di coraggio in cortile, lui, era stato il primo. Aveva superato tutti gli ostacoli con un tempo record che avrebbe fatto invidia pure a Thomas, il ragazzo burlone che era più grande di tutti, e con gli occhi spiritati per la stanchezza si era gettato sopra il gelido tappeto di erba che contornava il cortile.
La luna era alta nel cielo e le stelle, dolcemente brillanti, le facevano da contorno conferendole un aspetto ancora più venereo. Sembrava che ognuna di loro tentasse di avvicinarsi sempre di più alla luna, in una prova di coraggio come quella che aveva sostenuto Oscar. Ma lui era stato il migliore, e lo sarebbe sempre stato.
Nella sua mente da bambino di sette anni vedeva il suo futuro come qualcosa di arduo ma pur sempre splendido e luccicante come un lago. Nel suo futuro c’era pure lei. Vivida, sorridente come l’aveva vista l’ultima volta. I rossi capelli sparpagliati al vento, gli occhi verdi che lo scrutavano riverenti. Quel pizzico di naturale dolcezza mista a violenta ribellione. Sì, lei c’era…
Lei c’era…
“Oscar” la voce da fanciullino di Derek lo raggiunse nel suo inferno chiamato Pensiero e lo fece tornare alla realtà “è tardissimo, sono tornati tutti a letto. Lo sai che succede se…?” in quel momento una luce dalla finestra del Signore si accese.
Lo scatto di Oscar fu fulmineo. Prese Derek da un braccio e lo trascinò dietro l’angolo più vicino, appiattendosi poi, con vero successo, contro la parete. Chiunque avrebbe detto che non c’era nessuno là dietro, vista la magrezza dei due. Sentiva Derek al suo fianco e si chiese perché avesse fatto quella prova di coraggio. Il bambino, infatti, non smetteva di tremare da capo a piedi, gli battevano i denti ma non si riusciva a capire se per il ‘freddo’ e per la paura. Lo capì quando sentì un odore sgradevole salire dal terreno.
Ma fece finta di niente.
Quando la luce si spense i due bambini corsero il più presto possibile verso il dormitorio. “Non facciamolo più” fece Derek una volta entrati e al sicuro sia dal Signore che dal Cane
Oscar lanciò uno sguardo ai suoi pantaloni bagnati “Ti consiglio di levarteli, altrimenti farai puzza per tutto il dormitorio” effettivamente l’odore che si respirava lì non era buono, la puzza d’urina se la voleva risparmiare.
“Sì, lo faccio” Derek, con il viso che era diventato del colore della porpora, si tuffò verso il suo letto e scomparì dietro il lenzuolo che fungeva da separé.
Settembre era appena iniziato e già l’umidità londinese aveva coperto tutta la città, soffocando l’aria malsana che proveniva dai corpi putrefatti lasciati per la città. Il Morbo, come solevano chiamarlo in quel piccolo posto, avanzava nella sua costante lotta con la vita, cercava ogni singolo uomo, lo stanava tranquillo nella sua casa, lo attaccava e, dopo qualche giorno, lo uccideva. Esso era là, incontrollabile e nelle sue forme più spietate non lasciava scampo a nessuno.
Sospirando, con la sua mente di bambino, Oscar si lasciò andare dolcemente all’immaginazione e, poi, al sonno ristoratore.
 
Le giornate passavano lente e disperate. L’una dopo l’altra si susseguivano in quel vortice infernale che risucchiava sempre di più il candore dell’anima fanciullesca di Diana. C’erano dei compiti, gli aveva detto il primo giorno la padrona di casa, e tutti dovevano rispettarli se non volevano essere sbattuti fuori casa. All’inizio, dopo aver capito che la fuga non sarebbe servita a niente, Diana tentò di rifiutare di assolvere ai suoi ‘compiti’, ma non ne aveva ricevuto in cambio la libertà.
Era rimasta ore, o forse giorni interi, non poteva saperlo con certezza, chiusa in quella stanza, senza un letto né una latrina. Doveva fare tutto in un unico angolo. Dopo qualche giorno, l’avevano ripescata da lì e le avevano detto che ormai quella era la sua vita e o l’accettava o moriva. Allora Diana aveva deciso di accettare.
“Sei una bambina, per ora” aveva detto la padrona di casa, Rosalynn, “quindi per ora non servi a niente. La mattina andrai al mercato a vendere delle stoffe, il pomeriggio e la sera assisterai le tue sorelle” e quando quella parola si era insediata nella mente di Diana, avrebbe voluto gridare che lei non aveva sorelle e che mai quelle ragazze lo sarebbero state. Ma Diana si atteneva alle istruzioni.
Andava a vendere le stoffe e quando poteva si faceva il giro del mercato per vedere se Oscar c’era, ma mai lo incontrò. Si chiese come fosse possibile che suo fratello non fosse più tornato a rubare. Eppure ogni giorno si alzava animata da quella speranza: che suo fratello fosse lì, pronto ad afferrare un stoffa.
E il pomeriggio le sue ‘sorelle’ le spiegavano come fosse il mestiere. Le spiegavano come muoversi, come cogliere gli uccelli in volo e, infine, come lasciarli andare dopo averli curati.
E Diana imparava.
 
Quello fu il giorno che gli cambiò la vita. O, almeno, fu il secondo giorno. Il primo era stato quando sua sorella Diana se n’era andata, il secondo in quel momento. Il signore dai baffi d’argento che gli aveva proposto il test lo stava fissando da capo a piedi con un sorriso malizioso “Verrai con me” gli disse
“Dove?”
“A casa mia. Io ti istruirò”
“E poi?” chiese Oscar. La paura cresceva dentro di lui.
“E poi diventerai grande”
   
 
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