Il
cielo era rossastro e i raggi del Sole, che scompariva lentamente dietro l’orizzonte,
colpivano le lamine dorate della cupola della Moschea della Roccia che svettava
al di sopra dei tetti di Gerusalemme.
Era
il trentuno ottobre e il clima era buono: in quelle zone non faceva particolarmente
freddo, neppure in inverno, si poteva tranquillamente passeggiare per le
strade, coperti da una giacca o un giubbotto leggero.
Tranquillamente non era forse
il termine più adatto, dal momento che era trascorsa appena una settimana dalla
fine di una guerra durata circa venti giorni. Si vedevano ancora i segni degli
scontri per le strade: proiettili, muri diroccati, macerie ammassate in attesa
di essere portate chissà dove.
La
guerra del Kippur … uno dei tanti capitoli del conflitto arabo-israeliano, non
era stato il primo e non sarebbe stato l’ultimo.
Dopo
la diaspora e tante persecuzioni durate secoli in ogni angolo del mondo, gli
Ebrei avevano finalmente potuto rientrare nella loro Terra Promessa, avere un
loro Stato … eppure ciò non era sufficiente per farli vivere in pace, anche lì,
nella loro Gerusalemme, non erano al sicuro e venivano attaccati in
continuazione, combattuti, considerati invasori in patria.
A
questo stava pensando Erik, mentre passeggiava tra i vicoli della città, per
godersi la bellezza del panorama. Non sentiva mai il suo animo quieto, ogni ora
del giorno lo assillavano problemi e dubbi, la sua mente era sempre alla
ricerca di risposte e soluzioni e camminare al vespro era una delle poche cose
che lo rilassava.
Dieci
anni trascorsi in prigione gli parevano meno dolorosi e affannosi di quegli
ultimi mesi.
Incarcerato
si sentiva come un martire, sapeva di essere lì ingiustamente, incastrato, perché
aveva degli ideali e dei valori per i quali combatteva ed era disposto a tutto
per essi.
Prima
non aveva potuto agire perché rinchiuso, ora invece aveva la possibilità di
agire, eppure non sapeva cosa fare.
Beh,
non era proprio così. Erano trascorsi nove mesi da quando aveva fallito il suo
tentativo di uccidere Nixon, da quando gli era stato impedito di lanciare un
monito agli umani, da quando Mistyca gli aveva
voltato le spalle per tornare da Charles.
Non
era rimasto in attivo per tutto quel tempo: aveva incontrato altri mutanti che
condividevano il suo pensiero, era riuscito a prendersi alcune rivincite,
tuttavia questo non gli bastava. Sentiva di potere fare di più, di dovere fare
di più. Non sapeva però esattamente come muoversi. A volte pensava ad elaborare
grandi piani, altre si diceva fosse meglio prima trovare fratelli e sorelle
mutanti, formare con loro una società, essere uniti e proteggersi a vicenda;
altre ancora, quando aveva notizia del successo che stava riscuotendo la scuola
ideata da Charles, si sentiva frustrato e aveva voglia di mandare al diavolo
tutto e tutti ma poi si calmava.
Con
i mutanti che si rivolgevano a lui, Magneto si
mostrava calmo, sicuro, calcolatore: era indubbiamente un leader carismatico;
rimasto solo, invece, l’uomo si sentiva decisamente più insicuro e confuso,
soprattutto perché aveva la consapevolezza di essere ormai considerato un punto
di riferimento per la comunità dei mutanti e dunque ne sentiva la
responsabilità.
L’esistenza
dei mutanti era ormai nota al mondo e già si erano manifestati attriti,
discordie, qualche atto di violenza da ambo le parti, ma nulla di grave.
I
mutanti, quelli che avevano avuto il coraggio di uscire allo scoperto, si erano
raggruppati o attorno al Professor X, oppure a Magneto,
a seconda del loro animo.
Eric
era consapevole che molti guardavano a lui come a una guida o un esempio e
quindi sentiva di non doverli deluderli, di dover trovare la strada giusta e
condurre gli altri verso la vittoria, una vita felice. Si era preso un impegno
e gli stava a cuore più di ogni altra cosa: non poteva fallire.
Era
contento di essere importante, il potere e la responsabilità lo appagavano ma,
allo stesso tempo, erano fonte di apprensione: anche solo il minimo errore
avrebbe potuto rovinarlo.
Si
era preso alcuni giorni di isolamento dai suoi nuovi collaboratori: aveva
bisogno di poter essere come si sentiva, senza dover indossare la maschera del
leader; ciò era evidente anche a livello visivo: i suoi abiti non erano in
perfetto ordine e aveva la barba di chi non si rade da alcuni giorni.
Eric
approfittava della quiete che riempiva le strade di Gerusalemme alla sera per
calmarsi: cercava di non pensare alle preoccupazioni che, comunque, si facevano
largo nella sua mente, ma in maniera più dolce.
“Mostro!
Mostro!”
Questa
cantilena scosse Magneto dai suoi pensieri. L’insulto
non era rivolto a lui, ma quell’unica parola bastò per catturare la sua
attenzione; si guardò attorno per capire che cosa stesse accadendo e poi notò
che nel vicolo accanto alcuni adolescenti avevano preso di mira un loro
compagno e, oltre ad offenderlo, lo spintonavano da una parte all’altra,
insultandolo. La vittima era palesemente un mutante: occhi a fessura e lingua
biforcuta come quelle di un serpente, canini pronunciati, presumibilmente
velenosi, e pelle che mutava in scaglie, quando veniva percossa.
Scorgendo
un proprio simile in pericolo, Erik decise di soccorrerlo, già stava per
scaraventare i bulli contro alle case, quando si udì una voce dall’altra parte
della via.
“Ehi,
fermi! Fermi!” intimava una ragazza, evidentemente forestiera “Che cosa state
facendo?”
“Sta
zitta e non t’immischiare.” replicò uno degli adolescenti, degnandola appena di
uno sguardo “Non vedi che stiamo dando una lezione a questo dannato mutante?”
“Perché?
Che cos’ha fatto?” insistette la giovane, avanzando di qualche passo con
decisione.
Magneto si era stupito
nel vedere qualcun altro esporsi per un mutante e quindi aveva deciso di
rimanere ad osservare, almeno per il momento.
“Non
hai sentito?” si stizzì uno dei bulli, che continuavano a colpire il coetaneo “È
un mutante!”
“Questo
non risponde alla domanda Che cosa ha
fatto?” ribatté la ragazza che, vedendo il malcapitato ancora picchiato,
ruotò leggermente una delle mani e un cerchio di fuoco, con fiamme alte fino al
ginocchio, si formò attorno alla vittima, in modo che i suoi persecutori non
potessero più avvicinarsi.
“Sei
una schifosa mutante anche tu!” si sorprese e arrabbiò un altro ancora del
gruppetto.
La
donna non si scompose e scandì con fierezza: “Essere mutanti non è una colpa.”
“È
un privilegio.” aggiunse Erik, facendosi avanti.
Si
sentiva un po’ fuori luogo in quella situazione: lui quasi quarantenne a
redarguire dei ragazzini, ma c’era di mezzo la questione mutanti e quindi non
poteva lasciar correre.
“È
una casualità genetica.” ribatté, invece, la straniera.
“È
una mostruosità!” tagliò corto uno dei bulli.
“Siete
degli scherzi della natura!” ringhiò un altro “Il vostro posto è il circo o il cimitero!”
Eric
scoppiò in una risata divertita e sprezzante e poi commentò: “Sono sicuro che
le scimmie abbiano pensato ciò, davanti agli ominidi. Noi siamo il futuro ed è
bene che voi, involuti, non ostacoliate il naturale progresso.”
La
donna lo guardò accigliata per qualche istante, poi scosse il capo e riprese: “Abbiamo
capacità straordinarie, è vero, ed è stupido insultarci e maltrattarci per
esse, visto che potremmo essere molto
utili alla società, se non aveste paura di noi.”
Magneto usò il proprio
potere per sollevare per aria di un metro i ragazzini, dicendo: “Utili, sì, ma
anche pericolosi: un mutante vale minimo cento umani, per cui dovreste ben
temere la sua ira. Alcuni di noi sono accecati dal buonismo e non reagiscono
alle vostre fanfaronate, ma se un giorno si stuferanno di subire … per voi sarà
la fine.” li lasciò ricadere violentemente
per terra.
La
giovane, spazientita da quei metodi, rivolse all’uomo, dicendo: “Mi scusi, ma i
tempi dell’oderint dum metuant
sono finiti da un pezzo. Sono almeno quei centocinquant’anni
circa che si cerca di far valere l’universalità dei diritti umani.”
“Che
sono solo una favoletta che viene rispolverata quando
ai potenti di una nazione fa comodo interferire per una qualche ragione negli
affari di un’altra.” ribatté Magneto “A nessuno
importa di far valere i diritti umani, se non come pretesto per condurre guerre
di sopraffazione che hanno ben altro scopo.”
“Tanto
voi non siete umani!” urlò uno dei bulli, piuttosto innervosito.
Eric
annuì e dichiarò: “Siamo di più: siamo homo
superior.”
“Siamo
esseri umani.” affermò, invece, la donna “Le nostre capacità non ci snaturano. Qualcuno
di voi è mancino?”
Ci
fu perplessità tra i bulli, poi uno di loro alzò la mano.
“Bene:
tu e quello rosso di capelli, fino a cent’anni fa, ma anche meno e in certe
zone tutt’oggi, sareste considerati incarnazioni di demoni. C’è qualcuno che si
intende di erboristeria? No? Per fortuna, altrimenti qualche secolo fa sarebbe
stato bruciato sul rogo. Via, salga allora sulla pira chi ha un gatto nero. Tutti
voi credete che sia la Terra a girare attorno al Sole e non viceversa? Molto bene,
quattrocento anni fa sareste stati tutti mandati a morte. Tranne tu, che sei
gracilino, che probabilmente ti avrebbero gettato da una rupe o abbandonato in
fasce. Avete bisogno di altri esempi? Le opinioni della massa sono mutevoli e
basta nascere qualche anno troppo presto o troppo tardi per essere considerati
dei mostri per via di qualche elemento di voi che in un’altra epoca o semplicemente
luogo sarebbe perfettamente accettato.” il tono finora aspro si addolcì: “Tornatevene
a casa e domandate ai vostri genitori com’è essere perseguitati unicamente in
virtù della propria nascita: fatevi raccontare e, se capirete, probabilmente
non vi arrogherete più il diritto di umiliare e picchiare qualcuno solo perché
leggermente diverso da voi. Le nostre similitudini superano sempre le nostre
differenze. Andate.”
I
bulli non se lo fecero ripetere due volte e corsero via. La ragazza guardò le
fiamme che si spensero, poi si avvicinò al giovane mutante e gli chiese come
stesse, lo rassicurò e poi lo esortò ad andare a casa. Il ragazzino ringraziò e
si avviò. Magneto, allora, gli fece un cenno e gli
disse: “La prossima volta, mordili oppure dà loro un saggio delle tue capacità:
non farti mettere i piedi in testa. Gli uomini capiscono solo la forza: finché
non mostrerai a loro che puoi essere pericoloso, continueranno a trattarti male
e tu non lo meriti. Nessuno mutante lo merita.”
Il
ragazzino annuì e si allontanò, sembrava avesse un’aria contenta.
“Nessuno
in generale lo merita!” gridò la giovane, per farsi sentire, nonostante la
distanza.
Eric
fece una smorfia e, con tono ironico e stizzito, chiese: “Ti ha catetizzata il Professor X?”
“No.
Ne ho sentito parlare, ma non l’ho mai conosciuto.” rispose lei, avvicinandosi “Questo
è il mio normale e spontaneo modus
operandi.”
“Stucchevole
e zuccheroso.”
“No,
affatto. Non sono ottimista, tutt’altro. So bene che se le mie parole
scuoteranno anche soltanto uno di quei ragazzini, lo si potrà considerare un
gran successo.”
“Perché
seguire un metodo che ritiene fallimentare? Non sarebbe meglio tentare un’altra
strada?”
“Sono
una disillusa, vedo fallimento ovunque. Credo che piccoli e singoli esempi e
insegnamenti possano spesso servire meglio che tentare grandi rivoluzioni. Le rivoluzioni
non sono mai rapide spontanee, ma sono sempre il risultato di tanti piccoli
passi fatti nell’arco di molto tempo.”
“Può
essere, ma in questo modo ci sono troppe vittime innocenti. I neri hanno di
recente acquisito lo status di umani e cittadini a tutti gli effetti in America
ed è un notevole passo in avanti, considerando che fino a un secolo fa erano
schiavi … ma nel frattempo quanti di loro sono stati sfruttati, considerati
bestie, strumenti di lavoro? Quanti non hanno potuto vivere una vita degna di
tale nome? Quanti sono stati uccisi e massacrati? E anche una volta abolita la
schiavitù, quanti di loro hanno continuato a patire perché non avevano pari
diritti e dignità? Certo, ora c’è una legge che li equipara agli altri
cittadini, ma credi che possa davvero bastare solo questo per spegnere il cieco
e stupido odio degli uomini? E anche se fosse, che colpa avevano gli schiavi? Chi
renderà loro giustizia? Nessuno. Questa è la stessa sorte che potrebbe toccare
ai mutanti, se non combatteremo fin dall’inizio per avere ciò che ci spetta.”
“La
giustizia è relativa, è una categoria della mente umana, è relativa e di certo
la storia non la segue. Il mondo ha le sue leggi e raramente coincidono con la
nostra idea di giusto e di bene.”
“Quest’affermazione
va a mio favore.” fece notare Magneto, abbozzando un
sorriso “Se non possiamo aspettarci giustizia dal mondo, dobbiamo farcela da
soli.”
Eric
e la ragazza rimasero ad osservarsi per qualche istante.
L’uomo
scrutava l’interlocutrice alla ricerca di qualche indizio che potesse fornirgli
informazioni su di lei: era corpulenta, ma proporzionata e si poteva notare il
gran seno che aveva, nonostante fosse avvolta in una mantella a scacchi rossi e
blu, indossava poi una lunga gonna scura; aveva la carnagione piuttosto
pallida, capelli scuri, molto lunghi e mossi, occhi oliva; aveva tutto l’aspetto
di chi ha viaggiato per diverso tempo, senza troppe comodità.
Infine,
lei propose: “Perché invece di esporre le nostre teorie in mezzo alla strada
non lo facciamo in un locale, bevendo e mangiando qualcosa? Ho voglia di vino e
liquore, ma in queste parti del mondo non vedono di buon occhio una donna che
si accosta agli alcolici: se li ordinate voi, potrei bere senza difficoltà.”
Eric
rimase perplesso qualche rapido istante, ma poi si sentì piuttosto divertito e
acconsentì: “Sia. Credo che la conversazione sarà piuttosto interessante. Sono curioso
d’ascoltarti.”
“Vi
dispiace se andiamo nel pub accanto all’ostello dove alloggio?”
“Fa
strada e dammi pure del tu: siamo mutanti, tra di noi non c’è bisogno di
formalità. Io sono Erik Lehnsherr, detto Magneto.”
“Lo
so bene, vi ho riconosciuto. Dopo che avete attentato al presidente Nixon in
diretta tv, tutti conoscono il vostro volto. Per quanto riguarda il tu, spero
che man mano mi venga naturale, ma sono piuttosto abituata a dare del lei e del
voi. Ad ogni modo, io sono Virgigna Balletti e se
proprio devo avere un soprannome sia Fosca.”
Concluse
le presentazioni, i due mutanti si incamminarono.