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Autore: Adeia Di Elferas    12/10/2015    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Firenze era una piccola gemma illuminata dal sole, quella domenica di Pasqua e l'Arno, nel suo mezzo, brillava come argento vivo, rendendo l'intera città ancora più affascinante.
 Raffaele Sansoni Riario, abituato com'era allo sfarzo eccessivo e chiassoso della corte romana, rimase incantato da quella grazia e quella bellezza così fini eppure così lussuose.
 Quel giorno era stato convinto a chiamare a raccolta tutta la popolazione e i personaggi di maggior spicco in Duomo, per assistere alla messa che lui stesso avrebbe celebrato. In realtà non conosceva i dettagli del piano, ma sapeva quello che sarebbe accaduto e tanto bastava a renderlo un fascio di nervi.
 Il coraggio non era precisamente la sua dote migliore e l'essere coinvolto in un affare simile era per lui una fonte di stress non indifferente.
 Il cardinale diciottenne osservò con meraviglia e agitazione crescente i personaggi illustri che varcavano la soglia del Duomo. I rappresentati delle Arti Maggiori e Minori, uomini con calzabrach di due colori, dame agghindate come per un matrimonio e decine di confraternite religiose, tra cui dei flagellanti.
 Le autorità tardavano ad arrivare, ma il popolo ebbe di che chiacchierare nel vedere entrare in Duomo Sandro Botticelli con il suo giovane amico e collega, Filippo Lippi. I due stavano parlottando tutti ridenti di cose di poco conto e solo quando furono in chiesa Sandro chiese all'altro: “Chissà se il mio amico Giuliano verrà... Mi aveva detto di essere ancora indisposto...”
 In effetti, questa voce era giunta anche ai congiurati, che avevano agito d'anticipo. Francesco Pazzi e Bernardo Bandini, fingendosi molto preoccupati per Giuliano e per la sua reputazione agli occhi della città, erano andati personalmente a prelevarlo per trascinarlo in Duomo, convincendolo del fatto che il papa si sarebbe adirato immensamente, se non fosse stato presente alla messa ufficiata dal suo amato parente.
 Per tutta la strada da Palazzo Medici al Duomo, Francesco – e anche Bernardo, seppur con maggior discrezione – abbracciarono spesso Giuliano, fingendo di rallegrarsi per la sua guarigione e di essere contenti del suo ripensamento.
 In realtà a loro non premeva la salute di Giuliano, ma solo di accertarsi che non portasse pezzi di armatura o armi sotto la veste.
 Siccome Giuliano aveva ancora forti dolori alla gamba infetta, contro la quale sarebbe andata a sbattere la sua arma preferita – il coltello da guerra che lui stesso chiamava con affetto 'gentile' – non portava con sé nessuna difesa, nemmeno la cotta di maglia, che, indisposto com'era, l'avrebbe solo affaticato.
 Quando arrivarono in Duomo, Lorenzo era già al suo posto, vicino alla sagrestia vecchia. Non stava prestando troppa attenzione alla messa, che era già cominciata da qualche minuto. Stava conversando distrattamente con Gulielmo Pazzi, suo cognato, Francesco Nori e Angelo Poliziano.
 Quando vide arrivare il fratello Giuliano, gli fece un cenno con la mano, un po' sorpreso di vederlo lì, nonostante tutto, e poi tornò a concentrarsi sui commenti insulsi di Guglielmo.
 Giuliano si mise con Bernardo Bandini nel settore che dava verso via dei Servi. Era già stanco e non vedeva l'ora che la funzione finisse. Non gliene importava un accidenti di quel nuovo vescovo, o cardinale o quello che era, che arrivava da Roma...
 Due preti, aria dimessa e cappuccio in testa, stavano passando a passi lenti e pesanti a poca distanza da Lorenzo, che non li vide nemmeno.
 Bernardo Bandini mise una mano sotto al mantello, stringendo in pugno l'elsa.
 Era il momento solenne dell'elevazione, tutti si misero in ginocchio.
 “Ecco, traditore!” urlò improvvisamente Bernardo Bandini, sfoderando il pugnale e conficcandolo nel petto di Giuliano.
 Praticamente nessuno stava capendo quello che stava succedendo e non furono molte le teste che si voltarono verso il corpo di Giuliano che cade in terra, con Francesco Pazzi alle spalle che infieriva pugnalandolo più volte tra le scapole.
 Nello stesso momento i due preti vicini a Lorenzo tirarono fuori dalle ampie maniche del saio due coltellacci, ma la confusione che si scatenò mise a rischio la loro missione.
 Tutti i presenti cominciarono a gridare, molti scapparono fuori dalla chiesa e ben pochi si resero conto di quello che stava accadendo davvero. Il caos era tale che il fracasso fece pensare a qualche calamità naturale, tanto che quasi tutti pensarono che stesse crollando la chiesa.
 “Crolla la cupola!” gridavano: “Crolla la cupola! Crolla la cupola!”
 Uno dei due preti riuscì ad agguantare la spalla di Lorenzo Medici, e sferrò il colpo, puntando alla gola. Lorenzo, però, agì d'istinto, scartando di lato e la lama andò quasi a vuoto, ferendolo appena sotto l'orecchio.
 Sempre seguendo l'intuizione del momento, Lorenzo agitò il mantello, intrappollando il braccio armato del prelato e impugnò il suo spadino, riuscendo a ripararsi da altri due attacchi.
 I suoi amici erano ancora sopraffatti dalla sorpresa e non riuscivano a reagire. Il primo a riprendersi fu Francesco Nori, che si buttò in avanti per prteggere Lorenzo dai colpi del secondo prete, facendogli da scudo umano.
 Una coltellata mortale raggiunse Nori quasi immediatamente e Lorenzo inorridì nel vedere l'amico accasciarsi in terra.
 Tutt'intorno era l'arnarchia: gente che ancora urlava (“Crolla la cupola!”), molti scappavano, alcuni venivano travolti dalla ressa, le armi cozzavano, bambini piangevano...
 Assicuratisi della morte di Giuliano, tutti i congiurati si concentrarono su Lorenzo. Una vera a propria rissa si stava accendendo nel Duomo di Firenze.
 Gli amici sopravvissuti di Lorenzo, riuscirono a distrarre gli assassini e lo fecero scappare oltre le robuste porte della sagrestia nuova.
 Ci volle qualche minuto, prima che i congiurati si rendessero conto che Lorenzo era fuggito.
 Pochi istanti, prima che Francesco Pazzi desse l'ordine: “Mettiamo la città a ferro e fuoco. Facciamo iniziare la rivolta!”
 E in una manciata di minuti, la guerriglia si sposto da dentro al Duomo a tutta Firenze.
 Solo due persone erano rimaste nella chiesa, incredule e terrorizzate per quello che era successo.
 Uno era Guglielmo Pazzi, accucciato vicino al muro, poco lontano dal punto in cui si era attentato alla vita di suo cognato Lorenzo.
 Piagnucolava: “O Gesummaria! O Gesummaria! Cos'hanno fatto! Cos'hanno fatto! Io non c'entro! Che disgrazia! O Gesummaria!”
 E l'altro era il cardinale Raffaele Sansoni Riario, rannicchiato dietro l'altare, in lacrime, preda delle più atroci paure, prima fra tutte, quella di venir incolpato di qualcosa e giustiziato prima dell'alba.
 Anche lui piagnucolava senza sosta: “Non ho fatto nulla! No sapevo nulla! Sono stati loro! Io sono innocente! Sono un cardinale! Io non sapevo nulla!”
 
 Per la città si era scatenata una vera guerra urbana. Da un lato c'erano i congiurati e i loro – pochi – sostenitori. Dall'altro tutti i fiorentini.
 “Palle! Palle!” gridavano i cittadini, riferendosi alle sei palle rosse in campo oro, stemma della famiglia Medici.
 Le campane di tutte le chiese, da quelle in città fino a quelle in aperta campagna, suonavano a martello, richiamando fuori casa anche quelli che si erano persi la notizia del giorno.
 La rivolta stava venendo sedata direttamente dal popolo, senza quasi bisogno di un aiuto da parte delle truppe medicee e non ci volle molto, prima che l'esercito in attesa alle porte di Firenze venisse a sapere che la rivolta era fallita ancor prima di cominciare.
 Fu ordinato il retro front e i Pazzi, con tutti i loro alleati, vennero lasciati in balia della furia di Lorenzo Medici che, ormai tutti lo sapevano, era sopravvissuto ed era in ottima salute, nonché pieno di rabbia e furore.
 Come a Milano, anche a Firenze il popolo non aveva assecondato il volere dei congiurati e ora gli assassini di Giuliano non potevano fare altro che cercare la salvezza.
 Già quel pomeriggio, sul far della sera, Francesco Pazzi, Francesco Salviati, e i due preti penzolavano fuori dalle finestre del palazzo della Signoria.
 Toccò a Sandro Boticelli ritrarli, affinché Firenze mai dimeticasse quello che accadeva ai dissidenti e ai rivoltosi.
 Lorenzo osservava da lontano Botticelli che disegnava e tra sé e sé pensava a come vendicarsi. Non bastava uccidere i congiurati principali. Tutti i Pazzi dovevano pagare, anche quelli che non c'entravano nulla. Tutta quella famiglia doveva essere sterminata...

 Papa Sisto IV era stato inquieto per tutta quella domenica pasquale, ma nessuno aveva avuto il coraggio di domandargli come mai fosse così teso.
 Per tutta la giornata il papa era stato con la mente a Firenze. Non si sentiva tranquillo. Sapeva che ormai, visto che era sera, le sorti erano decise o per l'una o per l'altra parte e quasi temeva l'arrivo del giorno seguente, perchè non era certo che le notizie sarebbero state buone.
 Anche Girolamo Riario era più teso del solito e Caterina lo aveva notato fin dal primissimo mattino. Il marito aveva disertato ogni tipo di impegno, fatta eccezione per la messa, a cui aveva partecipato in modo distaccato e distratto.
 Non aveva quasi toccato cibo e le parole che gli aveva sentito pronunciare erano state pochissime e spesso non inerenti al contesto, proprio come se non fosse presente a se stesso.
 Quella sera, per di più, Girolamo non pretese la compagnia della moglie, con sollievo di Caterina, e chiese di essere lasciato in pace fino al mattino seguente.
 Quando arrivò a Roma la notizia della morte di Giuliano Medici, della salvezza di Lorenzo Medici, della mancata rivolta del popolo e, soprattutto, della cattura e uccisione di settanta persone più o meno collegate ai congiurati, Girolamo parve impazzire.
 Caterina aveva appeso con apprensione di come Giuliano fosse stato accoltellato e di come poi i congiurati avessero infierito sulle sue spoglie ed era rimasta quasi sollevata nel sapere che il fratello, invece, era riuscito a salvarsi.
 Girolamo, invece, sembrava molto più turbato dalla fuga di Lorenzo che non dalla morte di Giuliano, così, quando era uscito dalle loro stanze come una furia, Caterina lo aveva seguito senza farsi notare ed era riuscita a piazzarsi fuori dalla porta dello studiolo papale per ascoltare quello che il papa e suo nipote si stavano dicendo.
 “Ci ammazzeranno tutti, zio!” guaì Girolamo, la voce distorta dal panico.
 “Non essere sciocco! Nessuno può più collegarci a questa cosa! Francesco Pazzi è morto e il nostro cardinale ha avuto la buona grazia di tacere. Abbiamo fatto bene a non coinvolgerlo troppo... Nessuno ci può più collegare ai Pazzi e alla loro idea sciagurata.” lo zittì il papa.
 “Ma se lo scoprissero...?” insistette Girolamo: “Se venissero a sapere che l'ordine l'hai dato tu?”
 “Cominciamo a fingere di non c'entrare nulla. Piantala di piangere. Vuoi che qualche ambasciatore o qualche nobile abbia dei dubbi? Volano in fretta i sospetti, lo sai?!” fece il papa, con fermezza.
 Seguì un lungo silezio e poi delle parole sussurrate.
 Caterina sentì dei passi e quindi fu costretta ad allontarsi, per non farsi scoprire.
 Ma che aveva fatto suo marito? Come aveva potuto mettersi contro i Medici?
 Con il cuore che correva all'impazzata, Caterina raggiunse le stalle e fece sellare il suo cavallo.
 “Vado a fare una piccola escursione, non ho bisogno di scorta.” disse in fretta, prima che lo stalliere potesse contraddirla.
 E mentre il vento le scompigliava i capelli, Caterina fissò il sole primaverile che le si stagliava davanti e nel racconto che aveva sentito della morte di Giuliano Medici, rivisse la morte di suo padre e non poté fare a meno di tifare per Lorenzo, quasi sperando che, prima o poi, la sua intelligenza lo portasse a sospettare del papa e con lui di Girolamo, e che alla fine fosse proprio lui a liberarla da suo marito...

   
 
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