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Autore: edoardo811    12/10/2015    9 recensioni
Se ne avessi la possibilità, cosa faresti? Salveresti il mondo... o lo distruggeresti?
Empire City.
Un brutale attacco terroristico distrugge mezza città e costringe in miseria i cittadini dell'altra metà.
La popolazione è chiusa dentro i confini della metropoli, in quarantena, ed è obbligata a vivere insieme a bande di tagliagole e psicopatici, che dopo l'attacco, rinominato l'esplosione, hanno deciso di scatenare tumulti dopo tumulti.
Rachel sembra una ragazza come tante, ma non è così. Lei ha qualcosa in più, qualcosa che la distingue profondamente da tutte le altre persone.
Mentre il caos per le strade dilaga, si ritroverà più volte ad avere a che fare con la sua natura e le sue diversità. Dovrà imparare a conoscere meglio sé stessa, fare i conti con il suo passato e i suoi sentimenti.
Conoscerà persone, visiterà luoghi e combatterà fino allo stremo.
Ed infine sarà posta di fronte ad un'ardua scelta. E decidere non sarà affatto facile.
Genere: Angst, Azione, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Raven, Red X, Robin
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'InFAMOUS: The Series'
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ATTENZIONE: La Rachel o Corvina o Raven che dir si voglia, che viene presa in considerazione in questa storia è una versione leggermente più ingenua ed immatura di quella che siete abituati a conoscere, perciò se noterete presenza di OOC saprete il motivo.

Buona lettura!



I

Welcome to Empire City

 

Camera sua non era mai stata un granché. Era piccola, buia e spoglia. Non aveva mobili, eccezion fatta che per il letto. Non c’erano armadi, specchi, comodini, nulla che lasciasse intendere che quella era la stanza di una ragazza.

Qualche pigro raggio di luce filtrava nella stanza passando per le persiane chiuse. Era ancora pomeriggio.

Rachel sospirò e si mise a sedere sul bordo del letto. Un'altra giornata era trascorsa. Un'altra manciata di ore e anche quella sarebbe passata. Si era addormentata dopo mezzogiorno, all’incirca. Aveva riposato fino a quel momento, eppure si sentiva ancora uno straccio. La testa le faceva un male lancinante, era esausta e dolorante. Probabilmente si era ancora una volta agitata durante il sonno. Questo avrebbe anche spiegato le perle di sudore sulla sua fronte. La ragazza dai capelli corvini inspirò profondamente, esasperata da quella situazione. «D’accordo Rachel... puoi farcela... forza... puoi farcela... manca poco...»

Una fitta di dolore più forte la colpì alla testa. Gemette, serrò le palpebre e la mascella e strinse la presa sulle lenzuola, fino a farsi male alle mani. Il cuore accelerò all’improvviso i suoi battiti, il respiro si fece irregolare, cominciò ad andare in iperventilazione.

«No...» mormorò, tra una breve boccata d’aria l’altra. «No... non ora...»

Con il fiato sempre più corto e il cuore che sembrava in procinto di esploderle nel petto, la ragazza si premette le mani sulle tempie con estrema forza. «Ti prego, ti prego, non farlo, non farlo...»

Riaprì gli occhi, trattenne il respiro per qualche istante, poi lo rigettò fuori. «Puoi farcela Rachel, puoi controllarlo, devi solo calmarti, devi rilassarti Rachel, rilassati... devi... devi... agh!»

Allontanò di scatto le mani dalle tempie, emettendo un grido strozzato. I palmi avevano cominciato a bruciare terribilmente. Abbassò lo sguardo per controllare e vide entrambe le sue mani cominciare a tremare. Impallidì. «No, no, no, no...»

Di nuovo, trattenne il fiato e serrò gli occhi, contraendo la mascella. «Posso farcela, posso controllarlo, posso farcela, posso controllarlo...»

Ci mise tutta la sua forza di volontà. Sentì venire risucchiato via quel poco di energie che ancora poteva avere. Continuò a ripetere a sé stessa di potercela fare, di essere forte, di non lasciarsi sopraffare. Il cuore continuava a martellarle nel petto ed era ancora in iperventilazione. Dopo attimi interminabili, tuttavia, percepì il proprio battito cardiaco stabilizzarsi, e anche la respirazione tornò regolare, come se il suo corpo stesse davvero ascoltando le sue parole. Riuscì a trovare il coraggio di riaprire gli occhi. Vide i suoi palmi e con suo enorme sollievo non notò alcun tremore. Tutto era normale.

Sospirò rumorosamente di sollievo, poi si accasciò sul materasso. Il rumore del suo respiro regolare giunse alle sue orecchie, mentre osservava il soffitto incrostato, rimuginando su quello che le era appena accaduto e sul disastro che aveva appena evitato per miracolo. C’era riuscita, di nuovo. Per almeno un altro giorno non avrebbe più dovuto combattere. Forse.

Non poteva andare avanti in quel modo. Erano giorni interi ormai che se ne stava segregata in camera sua, a lottare con sé stessa. A cercare di reprimere il suo stesso corpo, per timore di quello che avrebbe potuto fare. Si sarebbe consumata da sola, continuando di quel passo. Doveva fare qualcosa, doveva trovare il modo di tenere la mente occupata, di non restare ferma troppo a lungo. Restare in casa non funzionava, aveva smesso di farlo già due giorni prima.

D’altronde, la situazione in città si era calmata. Non aggiustata, ma quantomeno calmata. Il che era un gran passo avanti. Inoltre, l’atmosfera di camera sua aveva cominciato ad opprimerla. Quelle pareti scrostate e piene di aloni di muffa in quella camera microscopica, la irritavano.

L’odore stantio della stanza giunse all’improvviso nel suo naso, sgradevole come un visitatore indesiderato. Rachel fece una smorfia. Non aveva appena represso sé stessa per l’ennesima volta solamente per tornare a preoccuparsi di quello schifo di posto.

 Quello era troppo, perfino per lei. Doveva uscire.

Annuì a sé stessa. Afferrò la felpa nera con cappuccio che aveva lasciato al bordo del materasso e la indossò sulla canotta che aveva usato per dormire, poi si alzò dal letto e si diresse alla porta.

Il pavimento di legno cigolò sotto i suoi passi, così come la porta quando la aprì.

Uno spoglio corridoio la condusse in salotto. Qui Tara era stravaccata sul divano, intenta a guardare la televisione. Come facesse a passare il tempo guardando la spazzatura che veniva trasmessa, per Rachel era un mistero. Da quando c’era stata l’esplosione in tv non avevano trasmesso altro che notiziari, vecchi film prelevati da chissà quale discarica e spot contro il terrorismo. Inutile dire che non aveva mai guardato nessuna di quelle cose.

Ignorò la ragazza bionda e si diresse alla porta. Tara non sembrò fare caso a lei fino a quando non afferrò la maniglia. «Che stai facendo?» domandò spostando pigramente lo sguardo verso di lei, apatica. Non sembrava davvero interessata, probabilmente lo aveva chiesto solamente per scaramanzia.

«Esco» replicò Rachel aprendo la porta.

«E i Mietitori? Lo sai che è pericoloso uscire.»

Rachel sorrise, cercando di apparire sicura. Sollevò una mano. Il palmo le si illuminò di una fioca luce nera. «Loro non mi fanno paura.»

Tara la soppesò con lo sguardo ancora per un momento con i suoi occhi azzurri privi di qualsiasi emozione, poi scrollò le spalle e riportò la sua attenzione alla televisione. «Come ti pare.»

Il sorriso svanì dal volto di Rachel quando udì quella risposta. Abbassò la mano. Sospirò ed uscì, per poi richiudersi la porta alle spalle.

 

***

 

Fuori la situazione era anche peggio di come la ricordava.

Empire era una città situata sulla costa East che sorgeva su tre isole diverse, una per distretto. C’era il Neon, dove abitava lei, poi il Dedalo e il Centro Storico. Il Neon era sempre stato il più bello dei tre. Era più bello del Dedalo, che in ogni caso avrebbe fatto sembrare una discarica un resort a cinque stelle, ed era anche più bello del Centro Storico, dopo che quest’ultimo era stato mezzo distrutto dall’esplosione in particolar modo.

Ma in quel momento, sotto ai suoi occhi, anche il Neon sembrava il fantasma del vecchio sé stesso. Un luogo oramai costituito da edifici dismessi e mendicanti. Le insegne luminose che un tempo rendevano quelle strade uno sfavillante miscuglio di colori adesso erano spente. Cinema, bar, discoteche, locali che fornivano ogni genere di intrattenimento, ora erano chiusi, con le sbarre alle porte e alle finestre. La gente rovistava nei bidoni della spazzatura per cercare qualcosa da mangiare, cadaveri di automobili, e anche di persone, stavano sul ciglio della strada, questi ultimi in attesa che qualcuno andasse a rimuoverli prima che si decomponessero. Una cosa macabra, effettivamente, ma purtroppo era la triste realtà.

Alcune auto passavano per la strada, ma erano poche, e tutte quante ammaccate e con la carrozzeria arrugginita.

Rachel si strinse nelle spalle ed incassò la testa sotto al cappuccio della felpa, per celare il suo volto pallido da sguardi indiscreti. Si impose con la forza a proseguire tenendo gli occhi violetti bassi, ad ignorare quei poveracci che chiedevano l’elemosina e, soprattutto, a non guardare nessuno di quelli che camminavano accanto a lei.

Era uscita per respirare un po’ di aria nuova, pulita, e per cercare di distrarsi un po’, ma tutto quello che aveva respirato fino a quel momento era la desolazione di un luogo oramai morente. E le uniche distrazioni che aveva trovato erano stati i morti di fame accasciati sul marciapiede zeppo di crepe.

L’esplosione aveva apportato profondi cambiamenti a quella città.

La gente viveva ognuna nel suo mondo, c’era freddezza nell’aria. Nessuno parlava con nessuno, tutti quanti si comportavano esattamente come lei. Tutti avevano paura.

«Aiutatemi...» Una voce si sollevò in aria all’improvviso. Il tono era flebile, sembrava stesse per spegnersi da un momento all’altro. Fu seguita da tutta una serie di orribili lamenti, versi di dolore e colpi di tosse.

Un uomo era sdraiato sul marciapiede a poca distanza da lei, si stava contorcendo. «Mi... mi fa male dappertutto...»

Rachel pietrificò. Rimase ad osservarlo mentre sguazzava nel suo dolore, non sapendo minimamente come comportarsi. Quello era ferito su più punti del corpo, come se fosse appena stato picchiato crudelmente. Cosa che poteva benissimo essere successa per davvero. Poteva essere stato scippato da qualcuno, o anche peggio.

«Aiu... ta... temi...» rantolò ancora l’uomo, tendendo una mano verso i passanti, i quali facevano di tutto per non guardarlo.

La ragazza rimase immobile, ad osservarlo. Aveva bisogno di aiuto. Stava soffrendo e nessuno sembrava disposto a dargli importanza. Doveva fare qualcosa. Ma cosa? La sua mano uscì quasi in maniera autonoma dalla tasca. Abbassò lo sguardo e la osservò. Deglutì, poi si concentrò e il palmo si illuminò di nuovo di quella luce nera. Guardò la mano, poi l’uomo a terra, poi ancora la mano. Un pensiero le attraversò la mente.

Forse... forse posso...

«Resista!» un’altra voce, questa volta dal timbro più acuto, la fece trasalire e nascondere di nuovo la mano nella tasca.

Una donna si era appena chinata accanto all’uomo, e gli stava esaminando le ferite. Rachel riconobbe all’istante la sua camicia verde acqua e i suoi jeans azzurri. «Stia tranquillo, sono un medico.»

L’uomo rantolò qualche parola incomprensibile, poi si lasciò controllare dalla donna.

Rachel rimase ancora immobile, ad osservare la scena.

I medici. Probabilmente gli unici eroi che potessero ancora esistere in quella città dimenticata da Dio. Gli unici a cui ancora importava qualcosa delle altre persone, gli unici che avrebbero continuato a svolgere il loro lavoro, con il sole e con la pioggia. Gli unici individui altruisti rimasti, di cui ci si poteva fidare.

Una folla di persone si radunò attorno al medico e all’uomo all’improvviso, ognuno dicendo la propria sottovoce.

Rachel fece una smorfia. Ipocriti. Persone che prima se ne sarebbero infischiate di quel poveretto, ora fingevano interesse semplicemente perché c’era già qualcun altro ad occuparsi di lui. La ragazza scosse impercettibilmente la testa, poi proseguì per la sua strada, aggirando il gruppo.

Forse era un bene che fosse andata così. Non era molto sicura di ciò che avrebbe potuto fare con i suoi poteri in quel momento. Inoltre non voleva rischiare di farsi vedere da qualcuno mentre li usava. Già una volta l’avevano vista all’opera, e le cose non erano andate affatto bene. Rabbrividì a quel pensiero. Affrettò il passo. Voleva solo allontanarsi da là e al più presto.

Proseguì per la sua strada. Cominciò a pensare che forse l’essere uscita in quel modo non era stata una grande idea. Alla fine, non aveva fatto nulla di che, né visto, nulla di che. L’unica cosa che aveva ottenuto uscendo era stata la conferma dell’autodistruzione di quella città.

Incontrò altri feriti per strada. Altri mendicanti, altra gente che rovistava tra i rifiuti. Altri cadaveri.

Vittime. Vittime su vittime.

Tutte causate, chi direttamente, chi no, da un solo avvenimento, accaduto in un terribile giorno lontano ormai un mese. L’esplosione, così era stato chiamato. Ed era stata proprio un’ esplosione di proporzioni gigantesche nel cuore del Centro Storico ad aver sconvolto la città.

Migliaia di persone erano morte, quel giorno, e ancora in quel momento i suoi effetti si ripercuotevano sulle persone.

Quando la gente si era resa conto che nessuno di loro avrebbe ottenuto aiuti dal governo dopo la distruzione di un intero distretto, erano arrivati i tumulti. Furti, rapine, stupri. Nessuno aveva fatto nulla per fermare tutto ciò. I poliziotti, gli unici che avrebbero ancora potuto fare qualcosa, non avevano mosso un dito. Erano tutti morti, o troppo spaventati per combattere.

Come se non fosse bastato, in giro aveva cominciato a correre la voce che un’epidemia si fosse abbattuta sulla città. Che fosse vero o no, Rachel non lo sapeva, dopotutto era impossibile capire chi fosse davvero malato e chi no. In ogni caso, quello era stato il pretesto che il governo aveva usato per sigillare la città, ovvero l’impedire che l’epidemia si diffondesse in tutto lo stato. Avevano tagliato ogni contatto tra Empire e l’esterno, istituendo posti di blocco pattugliati da centinaia di federali su ogni strada o ponte che conducesse verso il confine con le altre metropoli. I mari invece erano controllati da decine di cacciatorpedinieri e le contraeree abbattevano qualsiasi aereo o elicottero non autorizzati. Non c’era nessun modo per andarsene. Erano in quarantena.

Gli abitanti del luogo erano stati letteralmente chiusi in gabbia, assieme a tutti quegli psicopatici che avevano approfittato della situazione già disagiata per poter commettere ogni qualsivoglia di crimini.

L’unica cosa che veniva fatta per loro, forse per misera pietà, era lo sganciare delle casse di provviste, cibi e medicinali, a periodi discontinui. Potevano arrivare dieci casse a settimana, come due casse ogni tre mesi. E quando ciò accadeva, non sempre si assisteva ad una spartizione equa di questi beni tra le persone.

E per finire c’era lei. Non voleva nemmeno pensare a ciò che le era successo.

«Attenzione, cittadini del Neon District di Empire City.» Quella voce esplose all’improvviso dalle decine di altoparlanti sparpagliati per la città. Rachel alzò lo sguardo, verso il grande schermo retto da un alto traliccio. Questo era acceso, il che significava solo una cosa. Un annuncio importante stava per essere trasmesso. E in genere accadeva per un motivo solo. Un uomo con il volto oscurato apparve sullo schermo. Cominciò a parlare, mentre l’immagine sfarfallava di tanto in tanto. «Ci hanno appena riferito che i federali hanno appena sganciato una scorta di viveri ad Archer Square. I bugiardi al potere hanno anche detto che ognuno avrà la sua parte e che arriverà altro cibo. Facile parlare, quando non sei tu a dover vivere in questo inferno! La verità e che ci hanno abbandonati! Nessuno verrà a salvarci, quindi andate ad Archer Square e prendete quelle provviste prima che arrivino i Mietitori!»

Rachel osservò ed ascoltò sbigottita il tutto. Lo schermo si spense di nuovo. «Wow...» commentò, meravigliata dalle parole di quell’uomo. Lo sapeva che erano spacciati, lo sapeva che erano stati abbandonati e che nessuno li avrebbe mai salvati, ma non lo aveva mai detto apertamente. Né lei, né tutti quelli che proprio come lei lo sapevano. Quelle erano cose che non si dicevano, per non gettare nel panico chi ancora era abbastanza folle da sperare in qualche aiuto dal cielo. Nemmeno al governo faceva piacere sapere che c’era qualcuno che lo diffamava, giustamente tra l’altro. A quanto pare, qualcuno che invece non aveva paura di dire le cose come stavano c’era ancora.

Non avrà vita lunga..., pensò con amarezza guardando quello schermo ormai nero.

Ma non poté pensare a quell’agitatore più di tanto, perché l’argomento viveri fece il giro per tutta la strada. La gente che dapprima rovistava nei rifiuti, ora si era messa a correre, insieme a tutti gli altri, ognuno con una meta comune: Archer Square.

«Spostati ragazzino!» esclamò un uomo che per poco la urtò al proprio passaggio.

«Non sono...» provò a rispondere lei, ma quello era già distante anni luce. Rachel grugnì di rabbia, poi sospirò rassegnata.

La gente continuava a correre accanto a lei. Pensò a quei viveri. Un po’ di cibo non le avrebbe certo fatto schifo, a dire il vero. Inoltre, se ne avesse portato un po’ anche a Tara, magari le cose tra loro si sarebbero aggiustate.

Magari.

Archer Square. Non era molto lontano. Rachel annuì a sé stessa. Poteva farcela. Sistemò meglio il cappuccio sui capelli neri, poi cominciò a correre.

   
 
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