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Autore: Shannara_810    17/02/2009    11 recensioni
Quando due cavalieri di Camelot sono uniti da un legame più forte del semplice vincolo fra compagni d’armi, essi si promettono l’uno all’altro... Voglio promettermi a te, Merlino.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Legame
Rating: PG
Pairing: Arthur/Merlino
Spoilers: Excalibur 1x09, Il momento della verità 1x10 e La morte di Artù 1x13.
AN: come sempre Merlin appartiene alla BBC.  Fosse dipeso da me, avremmo avuto molti più momenti intimi Arthur/Merlin e personaggi come Uther o Gwen sarebbero stati rilegati nell’antro del grande Sparky mentre il nostro beneamato dragone dava a tutta Camelot lezioni sullo yaoi. L’idea originale era quella di fare una fic seria, drammatica, una sorta di valvola di sfogo per la mia depressione da San Valentino.  Ma oramai mi conoscete. Quando mai riesco a scrivere una storia come mi ero prefissata, senza situazioni imbarazzanti ed equivoche? Così vi tocca leggere questo obbrobrio, smielato pure in certi punti. Avrei voluto scrivere una lemon più accurata ma mia madre non faceva altro che ronzarmi attorno. Sorry!

Che altro dire. Dedico questa storia alla mia amica di sclero Suicidal_love. Tesoro, scusa se non ho aggiornato ieri come promesso e ti ringrazio per avermi ascoltato ed aver risposto alle mie innumerevoli domande. Spero che questa storia sia di tuo gradimento. Ed allora… buona lettura!
 
Legame
Quando due cavalieri di Camelot sono uniti da un legame più forte del semplice vincolo fra due compagni d’armi, quando la morte di uno si traduce nella fine dell’altro, allora essi decidono di affrontare i loro fratelli cavalieri.

La lunga scalinata era avvolta dall’ombra, rischiarata qua e là da sparse torce consumate.
Gradini infiniti, interminabili. Pronti a portarlo fin dentro il cuore della terra stessa.
Si strinse nel mantello sanguigno in un gesto rapido, nervoso ma piuttosto inutile. Faceva dannatamente freddo.
Un freddo che percepivi fin dentro le ossa e che niente avrebbe mai potuto riscaldare. Persino la folta pelle di un orso sarebbe stata inefficace.
Scese ancora, più giù, verso le viscere del castello.
Non un solo rumore, non un solo sibilo. Unica sua compagnia, il battito del proprio cuore che gli rimbombava nelle orecchie.
Più giù, più giù, sempre più giù.
Regnava il silenzio in quel luogo. Un silenzio totale, spettrale.
Il respiro della morte.
Avanzò lento e deciso mentre il rumore dei suoi passi veniva inghiottito dal buio di quelle secolari pareti di pietra.
Dava quasi l’impressione di essere una cosa viva, il buio. Sembrava nutrirsi della debole luce della sua torcia, ghermendola con artigli affilati che scivolavano felini sulle mura circostanti. Artigli pronti ad afferrarlo nella loro presa e strapparlo alla vita se avesse osato dar loro le spalle.
Una strana inquietudine lo turbava, lo opprimeva. Una malessere vago che era per lui un infausto presagio.
Scosse la testa tentando di scacciare quel pensiero. Non poteva di certo lasciarsi suggestionare come un bimbo in fasce. Non alla vigilia di uno scontro tanto importante. Doveva trovare Sir Pellinor.
Cercarlo nelle camere dei cavalieri sarebbe stato vano, ne aveva la certezza. C’era un unico luogo in cui Sir Pellinor poteva trovarsi in un momento come quello.
Il principe si diresse, quindi, nella piccola cripta che Uther aveva fatto costruire per i seguaci della Nuova Religione, dove il corpo di Sir Owain era stato deposto dopo il suo scontro fatale con il Cavaliere Nero.
Spalancò le pesanti porte di legno.
Per un istante, da molte ore ormai, il silenzio che ivi regnava fu infranto. Le fiamme delle misere candele tremarono appena al suo arrivo, in un ultimo disperato tentativo di riprender vita. Tuttavia, non fu abbastanza.
Morte e buio e sofferenza regnavano in quel luogo. Niente avrebbe mai potuto spodestarli.
Un forte odore d’incenso lo raggiunse mentre il suo sguardo cadeva sulla figura ammantata, inginocchiata accanto alla salma di quello che fino a poche ore prima era stato uno dei suoi uomini.
Sir Pellinor sedeva su un vecchio banco di legno. La fronte poggiata sulle mani incrociate, raccolto in una muta preghiera. Le sue spalle erano tese, i muscoli contratti. Tutto il suo corpo pareva confondersi con l’immobilità stessa di quel luogo.
“Sir Pellinor”.
Il cavaliere s’alzò in piedi con fare lento e stanco, voltandosi  ad accogliere il suo capitano. “Principe Arthur”.
Bastò un solo sguardo in quegli occhi disperati per dire ad Arthur che nulla, nulla che avesse detto avrebbe mai potuto avere alcun valore per Sir Pellinor. Un “mi dispiace per la tua perdita” non sarebbe stato abbastanza. A quelle sterili frasi di circostanza, era di gran lungo preferibile il rispetto che il silenzio portava con sé.
“Mi aspetto di vederti vincere”. Gli disse allora.
Per un istante una furia inumana riuscì a sopprimere il dolore di Pellinor. “Lo vendicherò”. La sua voce era gelida nonostante il fuoco che gli divampava nello sguardo.
“Bene”. Arthur gli strinse una spalla in un muto gesto di coraggio, prima di voltarsi per lasciare solo il cavaliere col proprio dolore.
“Sire?” L’angoscia che permeava quella parola lo trattenne. “Vorreste per favore…?”
Il cavaliere teneva tra le mani un sottile laccio di cuoio, adornato da un piccolo disco di rame. Lo offrì al principe ed Arthur capì. Prese il braccialetto che sapeva essere appartenuto a Sir Owain e lo legò al polso di Pellinor, proprio al di sopra di un altro bracciale identico.
“Grazie”.
Arthur si limitò ad annuire, lasciando quel luogo spoglio e Pellinor ai propri pensieri.
 
Quando due cavalieri di Camelot sono uniti da un legame più forte del semplice vincolo fra compagni d’armi, i loro fratelli cavalieri li interrogano per saggiare la veridicità dei loro cuori. Perché solo un sentimento puro può forgiare il patto che si apprestano a sancire.

“Non abbiamo speranza”. Mormorò Gwen, voltandosi verso la sua padrona.
“Arthur non riesce a capirlo”. Le rispose Morgana. “È troppo cocciuto”.
Erano distese su un semplice giaciglio di paglia e pelli. Tutto ciò che la povera dimora di Hunith poteva offrire loro.
“Perché credete che sia venuto?”. Chiese ancora la serva, tentando di scacciare il terrore che stava lentamente prendendo il controllo della sua mente. Era una situazione critica la loro, non v’era dubbio, ma la paura della morte non sarebbe stata di alcun giovamento sul campo di battaglia.
“Per la nostra stessa ragione”. Fu la quieta replica di Morgana. “Merlino. Arthur può anche fingere che non gli importi, ma non sarebbe qui se fosse vero”.
Le due donne non si erano accorte che Arthur era ancora sveglio, gli occhi serrati ed il respiro lento nel vano tentativo di controllare la tempesta che gli si agitava dentro. Si sbagliavano pensando che lui ignorasse la gravità della situazione. I loro bisbigli lo irritavano, lo infuriavano. Come facevano a non capire che lui non poteva mostrare i suoi dubbi di fronte a quei poveri contadini? Che, spesso, la sicurezza mostrata dal comandante di un’armata valeva di gran lunga più dell’acciaio delle spade?
Però, non era solo questo a fomentare quel turbinio di sensazioni che gli sconquassava l’animo.
Perché era lì? Per Merlino, ovviamente.
Gwen e Morgana non potevano essere più nel giusto. Per Merlino era lì, ma non per il suo servo, non per l’uomo con cui condivideva segretamente il letto dal giorno in cui avevano salvato insieme il giovane druido. 
Era lì per l’idiota che aveva bevuto da un calice avvelenato per lui, per quel sorriso che riusciva a sciogliergli il cuore, per quell’approvazione che aveva finito per contare per lui più di quella di suo padre.
 
Quando due cavalieri di Camelot sono uniti da un legame più forte del semplice vincolo fra compagni d’armi, dopo aver provato ai loro fratelli cavalieri la purezza del loro sentimento, essi si promettono l’uno all’altro.

Circa un mese dopo il quasi fatale incontro di Arthur con la Bestia Errante, Merlino s’intrufolò silenzioso nelle sue stanze come non faceva da molto tempo. Senza proferir parola, si rifugiò nel caldo abbraccio del biondo principe ancora desto, in attesa di quella sua venuta che per le lunghe notti precedenti gli era stata negata.
Da quando aveva fatto ritorno con Gaius dall’Isola dei Beati, Merlino aveva cercato di rimandare quell’incontro il più possibile, sebbene una parte del suo animo gli urlasse di correre da Arthur. Si sentiva dolorosamente spezzato in due.
Da un lato la sua magia, più potente e selvaggia che mai dalla morte di Nimueh, pronta a scatenarsi non appena avesse allentato il controllo anche solo per un istante; dall’altro il bisogno quasi viscerale di essere al fianco del giovane Pendragon. Un bisogno che dominava ogni ora, minuto, secondo della sua giornata. Un bisogno che gli stringeva lo stomaco e gli toglieva il respiro.
Stare lontano da Arthur era stata una tortura, una tortura che aveva scelto con la disperazione nel cuore. Era terrorizzato. Terrorizzato di perdere il controllo e ferire con il suo dono quel babbeo reale che era divenuto la luce della sua esistenza.
Aveva resistito fino a quel momento. Si era rifugiato nelle frasi di circostanza, nel lavoro. Sempre scappando: lontano da Arthur, dal suo cuore, dai suoi sentimenti. Purtroppo non era servito.
Arthur, Arthur, Arthur.
Un pensiero, un’ossessione.
Arthur.
Non riusciva a mangiare, a dormire. Gaius aveva perso la speranza di ottenere la sua attenzione. I disastri di cui era causa si susseguivano a non finire e, oramai, avevano perso tutto il loro divertimento.
Che Merlino non fosse in sé, se ne erano accorti tutti, Arthur per primo. Tuttavia il principe non lo aveva cercato, non lo aveva costretto a confessare cosa lo turbasse. Con la calma di un vero stratega, aveva preferito attendere che fosse Merlino a fare la prima mossa… mentre lui, intanto, sfogava la propria frustrazione sui suoi poveri cavalieri. Ogni giorno più ammaccati, confusi e spaventati dal comportamento del loro capitano.
Peccato che, alla fine, la prima mossa l’avesse fatta Morgana. Stanca di quel loro danzarsi intorno, lo aveva affrontato dandogli un ultimatum. Che la smettessero di fare gli idioti. Quel loro comportamento assurdo stava davvero stancando, ma quel che peggio, insospettendo Uther.
La principessa gli aveva praticamente ordinato di marciare nella stanza dell’asino reale, legarlo al letto, e seguire quello che gli suggeriva Madre Natura. Gli aveva anche detto di non farsi più rivedere a corte finché lui ed Arthur non avessero risolto le loro beghe. Preferibilmente a letto.
Era arrossito, aveva balbettato, se l’era data a gambe. Ma, alla fine, aveva dovuto darle ragione.
Al diavolo tutto. Doveva vederlo. Doveva sentirsi chiamare idiota da quella voce seccata e divertita. Doveva sentire quelle grandi mani callose sulla sua pelle, l’odore di sudore e forza, gli occhi di tempesta.  
Si sarebbe strappato il cuore con le proprie mani prima di poter mettere in pericolo Arthur.
Doveva rivederlo ancora una volta. E se questo avesse causato la sua morte, le sarebbe andato incontro con il sorriso in volto e l’immagine del suo Arthur nel cuore. 
Eppure tutto questo non accadde.   
Nel momento stesso in cui i loro due sguardi disperati s’incrociarono, tutte le ragioni che li avevano tenuti separati persero d’importanza.
C’erano solo loro.
Loro.
Labbra che si cercavano senza sosta.
Mani che si stringevano con forza e cieca passione.                                                
I loro baci affamati ben presto furono pervasi da una tenerezza nuova, una dolcezza che non avevano mai provato prima.
Come evocata da quelle stesse carezze, la magia di Merlino prese a danzare su mute note. Era uno strumento. Tutto il suo corpo era solo un ligneo strumento ed Arthur il virtuoso musicista che ne conosceva tutti i segreti. Quali corde toccare, sfiorare, portare all’estasi.
Poteva sentire la magia sussurrare nelle sue vene, Merlino. Bisbigliare dolci parole d’amore per quell’uomo le cui labbra lo stavano lentamente conducendo verso la vetta del piacere.
Ed infine, quando Arthur penetrò il suo amante, con spinte lente e profonde, calde lacrime presero a bagnare il suo viso. Era bellissimo.
In quell’abbraccio, poteva vedere tutta la bellezza dell’universo. Carpirne i segreti ed afferrarne ogni più piccolo significato.
In quell’unione oltre il tempo, Merlino aveva finalmente trovato la risposta alle mille domande che lo avevano fino a quel momento assillato. Mille quesiti sulla sua origine, sul suo dono, sul suo destino. Ogni cosa perdeva d’importanza di fronte a quell’abbraccio.
Arthur era tutto ciò di cui aveva bisogno. Nient’altro.
Ed il pensiero di aver rischiato di perderlo gli straziava l’animo, facendolo sanguinare. 
Alla vista di quelle stille salate, Arthur le sfiorò appena, con la punta delle dita. Si chinò a tastarle, congiungendo le loro labbra in una muta promessa.
“Shh, sono qui, Merlino… sono qui”.
Più tardi quella notte, convinto che il suo principe non potesse udire ciò che stava per rivelargli, Merlino riuscì finalmente a mormorare le parole che da tempo si portava dentro. “Io ti amo, Arthur Pendragon, mio reale babbeo. Ti prego, non lasciarmi mai”.
‘Ti amo anch’io’. Fu la risposta silenziosa. Perché Arthur era desto e per quanto bramasse di rivelare ciò che il suo cuore serbava, quel momento apparteneva a Merlino e lui non aveva il diritto di portarglielo via.
Lasciò che Merlino gli scostasse i capelli umidi dalla fronte, baciando quasi con riverenza la sua pelle di miele. Percepì dita sottili sfiorargli gli occhi chiusi, le guance arrossate, le labbra gonfie di baci. Avvertì un lieve peso posarsi sul suo petto segnato da una nuova cicatrice mentre un braccio ossuto gli cingeva la vita ed un corpo caldo si distendeva nuovamente al suo fianco.
Fu in quel momento che nacque in lui quella decisione. Ora sapeva cosa fare.
 
E come pegno di questo legame, si scambiano un bracciale di cuoio, simbolo più saldo di un qualsiasi voto nuziale.

Ad Arthur occorse una settimana intera per scegliere il modo migliore per rivelare a Merlino i suoi sentimenti ed  ancora un’altra per raccogliere il coraggio necessario a seguire il suo proposito.
Quel pomeriggio, Merlino se ne stava seduto su uno scomodo sgabello, innanzi al fuoco. Era impegnato a lucidare la pesante armatura da guerra quando Arthur rientrò nelle sue stanze, chiudendo dietro di sé la porta a chiave. Il giovane sollevò lo sguardo dal freddo acciaio, sorridendogli solare.
“Arthur, non è ancora sera…”. Ma la voce gli morì in gola, notando l’espressione seria sul volto del biondo cavaliere. “È successo qualcosa?”. Chiese subito mentre il suo cuore aveva preso a martellare furioso.
“No, nulla. Ho solo bisogno di parlarti”. Cercò di rassicurarlo il principe, ma la preoccupazione negli occhi di Merlino non scomparve, anzi. Il giovane mago serrò con forza la sua presa sull’armatura, in un movimento inconscio. Le nocche delle sue mani divennero bianche per lo sforzo.
“Merlino, io… c’è qualcosa che avrei dovuto dirti già da molto tempo”. Il blu del mare si perse nell’azzurro terso del cielo. “Cielo, Merlino! Smettila di guardarmi così. Non ho intenzione di licenziarti!”. Cristo! Non aveva nemmeno cominciato e già quello stupido di un servo si lasciava prendere da mille paranoie. Non era di certo rassicurante!
Stupido Merlino! Stupido, testardo, meraviglioso ed infuriante Merlino.
Il mago si lasciò sfuggire un profondo sospiro di sollievo. “Buono a sapersi. Questo impiego iniziava quasi a piacermi: biancheria da rammendare, armature da pulire, topi da catturare”. Se stava cercando di sdrammatizzare non stava facendo un gran bel lavoro.
“Merlino, per favore, lasciami finire”. Arthur lo stava pregando, non riusciva a crederci. Mr_ Arroganza_in_persona Arthur Pendragon lo stava implorando davvero. Doveva aver battuto la testa e stare allucinando. Non poteva essere vero.
Tutti i commenti sarcastici, le mille frecciatine che la sua mente aveva partorito in quel breve lasso di tempo, scomparvero quando si accorse quanto Arthur fosse nervoso. In quel momento annuì e lo lasciò fare. Non era da quell’asino reale lasciarsi prendere dal panico. Doveva essere accaduto qualcosa di serio, anche se il principe affermava il contrario.
Arthur prese un profondo respiro, inginocchiandosi davanti al suo servo e sfiorandogli una guancia arrossata…
“Ti amo, Merlino.” 
SDENG
Si sarebbe aspettato tutto… tutto meno quello.
Merlino lasciò cadere l’armatura al suolo con un pesante clangore, troppo sorpreso per reagire. Avrebbe voluto controbattere qualcosa, anche solo ricordarsi di respirare, ma la sua mente si era totalmente spenta.
Doveva avere un’espressione ridicola: gli occhi sbarrati, la bocca spalancata. Forse sarebbe riuscito anche ad importargli, se non fosse stato vittima dello shock più grande della sua giovane vita. Non aveva mai dubitato dei sentimenti di Arthur. Aveva imparato ad interpretare i suoi piccoli gesti come segni dell’affetto che il principe nutriva per lui, però mai… mai aveva anche solo sperato di poter udire un “ti amo” sfiorare quelle labbra che lo facevano impazzire con una sola carezza.
Arthur era l’erede al trono, lui un semplice servo. Un mago per giunta. La loro era una storia proibita.
Per la prima volta nella sua vita, Arthur si accorse di provare paura. Una paura diversa da quella che di solito lo coglieva poco prima di uno scontro, quella paura infiammata dall’adrenalina che ti entrava in circolo. No, questa era diversa. Più potente, più devastante.
Era la paura di donare il proprio cuore ad un’altra persona e vederlo poi calpestato.
Ritrasse la mano, chinando il capo per un istante.
Dannazione, dannazione, dannazione!
Scattò in piedi, iniziando a fare su e giù per la stanza come una fiera in gabbia.
Era stato un idiota, uno stupido, un babbeo! Doveva averlo confuso, intimorito.
Che cosa diavolo si aspettava! Sapeva di doverci andare cauto e pensava di averlo fatto. Ma ora Merlino non gli rispondeva, se ne stava con lo sguardo fisso e perso nel vuoto.
“Arthur”.
Lo amava, giusto? Merlino aveva detto di amarlo quindi la sua reazione era dovuta solo alla sorpresa.
“Arthur”.
Oppure, forse lui non intendeva quel genere di amore. Magari lo amava solo come un fratello, un amico prezioso.
“Arthur”.
Facevano l’amore quasi ogni notte. Era amore, non sesso, conosceva la differenza. La conosceva bene… e se Merlino gli si fosse concesso solo per lealtà? Perché lo considerava un obbligo?
No, no, no!!! Ma che andava a pensare! Lui era stato il primo. Il primo ad esplorare quel corpo esile come un giunco e Merlino non gli avrebbe mai offerto qualcosa di così prezioso se non fosse stato certo dei suoi sentimenti.
Ma se si fosse trattato solo di piacere?
“ARTHUR!”.
“COSA?!”. Finalmente si riscosse da quegli oscuri pensieri, pronto a dar sfogo alla sua lingua tagliente quando d’improvviso tutta la sua rabbia, la sua incertezza, scemò come neve al sole.
Il sorriso di Merlino, quel sorriso più radioso di mille soli, gli rivelò tutto ciò che aveva bisogno di sapere. Non c’era nulla da temere.
Senza accorgersene, sorrise a sua volta, ripetendo quelle parole che per giorni aveva continuato a ripetersi senza sosta nella mente. “Ti amo”.
In un battito di ciglia, un corpo esile dai brillanti capelli corvini gli si fiondò addosso, nascondendo il viso nella stoffa ruvida della sua giacca da caccia. Merlino lo baciò e fu un bacio dolce e passionale e tutto ciò che Arthur aveva sperato.
“Ti amo anch’io, Arthur. Ti amo anch’io”. Merlino non riusciva a smettere di sorridere. Abbracciò il suo principe con trasporto crescente e lo tenne stretto a sé. Non era pronto a lasciarlo andare.
“Aspetta”. Arthur si scostò appena, estraendo dalla tasca il dono che aveva preparato con cura giorni addietro.
“Merlino, voglio che tu abbia questo”. Teneva tra le mani un sottile bracciale di cuoio con un piccolo disco di rame in attesa che il suo amante lo accettasse.
Merlino prese tremante quel bracciale tra le dita, studiandone il pendente dove era stato inciso un  drago. Gli occhi gli si spalancarono per la sorpresa.
“Ma Arthur! Questo bracciale è… io non sono un cavaliere! Sono sicuro che il codice non lo permetterebbe mai…”.
Arthur annuì. “Lo so. Per questo nessuno dovrà mai vederli, però voglio che tu lo abbia ugualmente come pegno dei miei sentimenti. Non posso offrirti delle nozze. Non posso offrirti nemmeno la promessa di poter vivere la nostra relazione alla luce del sole. Ma posso giurarti questo: la tua morte segnerà anche la mia fine. Capisco se non vuoi accettarlo, se per te è troppo. Ciononostante ho bisogno di sapere. Di sapere che tu comprendi ciò che realmente significhi per me. Per questo voglio promettermi a te, Merlino”.
“Si”. Fu l’unica risposta che poteva mai dare. Nuove lacrime gli segnarono il viso. “Si, Arthur. Accetto”. Restituì il bracciale al suo principe offrendogli il polso sinistro affinché Arthur potesse legarlo per lui.
Il pendente sul braccialetto di Arthur mostrava un falco smeriglio, un merlino, ad ali spiegate notò il giovane mago quando lo annodò al polso del suo principe.
Si baciarono a lungo. Ben presto, tuttavia, quei baci e quelle carezze non furono abbastanza. Così le vesti caddero al suolo senza far rumore, con la luna come unica testimone della sacralità di quell’unione.
Due corpi nudi, stretti sotto delle pesanti coperte, che si fusero finché divenne impossibile distinguere dove iniziasse l’uno e finisse l’altro.
Due corpi nudi e due pendagli di rame che s’intrecciavano tra loro.
Fine
  
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