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Autore: inibizione    13/10/2015    0 recensioni
Che basti cambiare città e addormentarsi con gli occhi pieni dei tramonti rossi su Potsdamer Platz invece dell’abbassarsi ritmico del tuo petto e fare l’amore prima che cali la notte, la sensazione della tua pelle bianca sotto le dita e sentirti sussurrare il mio nome come se fosse l’unica cosa a cui puoi aggrapparti.
Genere: Angst, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Fotografie stracciate'
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Red

 

 

 

Alle distanze,

di qualsiasi colore siano.

 

 

 

Ho comprato un cappotto rosso da Camomilla - metà del mio ultimo stipendio - solo perché "il rosso fa risaltare la tua pelle" hai detto una volta, quando ho rubato una felpa di quel colore dal tuo armadio, dopo aver fatto la doccia, ‘che il tuo odore è sempre stato la migliore delle ninne nanne.

Mi specchio in una vetrina e un ragazzo in fila per i bratwurst mi fa l’occhiolino. Affondo il viso nella sciarpa grigia e continuo a camminare. La vista è un po' appannata, ho gli occhi lucidi per il freddo e le lenti a contatto, continuo a non sopportare gli occhiali. Continuo a fare i capricci, per abitudine.

Ho il mio bel cappotto rosso e mi sento un personaggio di una fiaba senza lupo (forse sono io?), ho il mio bel cappotto rosso e ho ancora freddo. Alla televisione hanno previsto neve questa settimana, io penso che si possa congelare anche senza, se l’inverno ce l’hai nel petto.

 

L'appartamento in Schönhauser Allee è incastrato al terzo piano di un palazzo di mattoni rossi, identico agli altri dieci su ambedue i lati della strada. Il numero 26 ha le finestre un po’ più piccole e storte, è un edificio post guerra ricostruito alla buona ed è quanto una neolaureata inglese di 23 anni si possa permettere.

I giardini sono fazzoletti di erba scura e dura, su cui riposano biciclette addormentante e gatti svegli, attenti. In estate qualche timida margherita gialla prova ad adornare gli scalini dei portoni. Sono piccole, ma determinate.

Tutto sommato mi piace questa casa cosi piccola e disordinata. Va bene anche se non ha uno stereo grande nel salone come la casa dei miei a Birmingham e se non ha un dondolo in giardino su cui prendere il sole.  Va bene perchè la mia pelle è troppo pallida e non si abbronza, prende quelle strane sfumature che mia madre scambiava per allergia i primi anni. Va bene anche se è fatta per una persona soltanto. Meglio cosi, credo, non devo stare a guardare spazi mai riempiti da qualcun altro. Va bene perchè è abbastanza in centro, a 2 chilometri dall’ufficio e 983 da te.

 

La logica è meno chiara di quanto sembri, bevo direttamente dal cartone del latte e ripenso alle tue guance rosse a gennaio, nascoste dal cappuccio della giacca. E’ la stessa tinta che prendono dopo la terza birra, prima che cominci a cantare le sigle dei cartoni animati confondendole. Hanno il colore dei baci, del sangue, dell’affetto che promette di non finire mai. Mi domando se sia corretto pensarti al presente, se poi ho le tasche piene di verbi coniugati al futuro che non c’è stato.

Forse è che il latte è rimasto fuori dal frigo tutto il pomeriggio o che ancora non ho digerito questa necessità della distanza ma il mio stomaco protesta e sono già le nove.

 

In fondo all’armadio c’è una valigia rossa che occupa troppo spazio, come i ricordi belli che non tornano, però. Da quando sono qui non l’ho ancora aperta. Ci avevo messo dentro i miei maglioni e un paio di stivali, qualche fotografia e la tua maglia delle partite di calcetto. Scusami, ma non so ancora se ce la faccio. Scusami, ma ancora mi manchi.

Traccio un’altra x sul calendario che oscilla, vorrei che bastasse e invece mi riempio le giornate di cose inutili e la sera, se rifaccio i conti, non mi sono mossa di un millimetro. Eppure sono andata via per vedere se davvero è più semplice far finta che non importi più. Che vada tutto bene, che questo appartamento basti a contenermi, che basti cambiare città e addormentarsi con gli occhi pieni dei tramonti rossi su Potsdamer Platz invece dell’abbassarsi ritmico del tuo petto e fare l’amore prima che cali la notte, la sensazione della tua pelle bianca sotto le dita e sentirti sussurrare il mio nome come se fosse l’unica cosa a cui puoi aggrapparti.

Mi sembrava un nome banale, da bambina, uno di quello che cerchi di camuffare con nomignoli e abbreviazioni. Tra i tuoi denti suonava come una poesia, col tuo accento irlandese e la voce bassa, il timbro del nord e le vocali strette. Dolce, estremamente dolce. Qui il mio nome è una pietra che buca lo stagno, un tonfo, un grattare sulla carta, giochi di gola, suoni duri. Il mio nome rimbomba in un soffio di r, l e a.

Pensavo bastasse e invece resta quell'amaro, quel "forse abbiamo bisogno di starcene un po' distanti" che mi fischia nelle orecchie come il vento che sbatte sulle ante, come la preghiera che il sole affoghi e finisca un altro giorno.

 

Ho smesso di guardarmi allo specchio. Era piacevole, nelle mattine grigie e piovose dell’Inghilterra che era casa mia, studiare questa struttura d’ossa e pelle che riuscivi a distruggere e rimodellare respirandoci dentro, con le tue mani esperte e le promesse sbronze e un po’ sbilenche. C’erano i graffi delle tue unghie tonde sulla schiena e sul collo, autostrade che facevano sempre gli stessi giri, opere d’arte. L’impronta dei denti, l’odore della tua bocca sui centimetri che avevi baciato, l’aroma delle Lucky Strike tra i capelli e le farfalle nello stomaco.

Evito il mio riflesso, ho mangiato le unghie fino alla pelle, le nocche violacee per il freddo, la cicatrice sul fianco di quella prova sul tuo motorino - che brutti scherzi a volte - che ha la forma dell’iniziale del tuo nome, una N capovolta che graffia la pelle pallida e morbida sulla vita.

 

Mi rannicchio nella vasca, tra le bottiglie di bagnoschiuma e il flacone di shampoo a metà. Cerco di afferrare l'aria e buttarla a forza nei polmoni, ho alzato il volume del riscaldamento e non riesco a fermare le mani che tremano. "É meglio cosi. Finiamola adesso".

Due strisce rosse sul bastoncino bianco che ho mano, due strisce rosse e sei cosi lontano che se ci penso mi sanguina il cuore.

 

 

 

 

 

 

   
 
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