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Autore: alyeskaa    13/10/2015    4 recensioni
" Dicono che nel momento in cui ti svegli, hai una momentanea amnesia. Io non penso proprio.
Appena apro gli occhi, tutto mi cade, irrimediabilmente, addosso.
Mi chiamo Newt Sangster e la mia vita fa piuttosto schifo. "
Newtmas AU // Friendship NewtxTeresa // So angst.
Genere: Angst, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Newt, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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If today was your last day.

Dicono che nel momento in cui ti svegli, hai una momentanea amnesia. Io non penso proprio.
Appena apro gli occhi, tutto mi cade, irrimediabilmente, addosso.
Mi chiamo Newt Sangster e la mia vita fa piuttosto schifo. Quattro anni fa mi iscrissi alla facoltà di medicina, mollando tutto come un codardo appena mi sono accorto che non era la mia strada. Già, la medicina non è proprio per me.
Soffro di fibrosi cistica che, oltre che essere incurabile e rara, è pure ridicola da pronunciare. A volte invidio i malati di tumore, con le loro flebo e i sorrisi pieni di circostanza. Qualunque persona ti compatisce se le dici “ ho il cancro!”. Va a spiegare loro della fibrosi cistica.
Quello che è sicuro, è che ho davvero pochi anni da vivere. Generalmente, dovrei viaggiare e fare tutto ciò per cui non ho avuto tempo nei miei ventiquattro terribili anni di vita.
Quello che ho fatto io, è trovarmi un lavoro part-time in un autogrill su un’autostrada non frequentata.
Il mio capo si chiama Minho ed è la persona più insopportabile del mondo. Prima di aprire questo squallido posto, viveva in Giappone e ha ricordi fin troppo nitidi del luogo. Così, mentre preparo hamburger che so nessuna acquisterà, lui mi racconta della sua ragazza dagli occhi a mandorla, Catherine.
Ha indubbiamente fatto ricerche sulla mia malattia, chiedendomi perché non vada in giro producendo continuamente muco come un lama. Già, perché il mio gene non è nemmeno completamente modificato, quindi ho semplicemente infezioni polmonari e, per quanto mi sforzi di mangiare, sono comunque eccessivamente magro. Minho dice che è okay, perché posso permettermi tutti gli skinny che voglio.
Ogni mese devo andare in ospedale per controllare i miei polmoni e la mia malattia, come se questo potesse renderla curabile. Spesso salto il gentile controllo e Minho mi rimprovera con qualcosa che assomiglia ad un “ Zio, dovresti riguardarti. “. Ma poi sta zitto, perché sa di non avere idea di cosa si provi ad essere nella mia situazione.
Questi, in realtà, sono gli anni più felici della mia vita. Quando ero adolescente, la caspio di fibrosi cistica mi faceva solo tossire. I miei mi portavano in viaggi a destra e manca, in posti terribili. La nostra casa a Londra mi piaceva, era calda e accogliente, ogni lunedì invernale zio Jorge cucinava la pasta al forno.
Poi la casa a Londra è diventata piena di fantasmi. Brenda – che è la figlia dello zio Jorge – si è suicidata, e non è stata nemmeno così gentile da spiegarci il perché.  Così, lo zio ha smesso di lavorare ( faceva il cuoco ) ed è diventato un barbone. Già, proprio un barbone. I miei credevano non mi dispiacesse. Ci sono stato malissimo in realtà, soprattutto per Brenda, che è stata la sorella che non ho mai avuto, solo che non sono un tipo che piange. Così, appena festeggiati i miei diciotto anni in una squallida pizzeria che stava andando in banca rotta, mi hanno lasciato lì per costruirsi una nuova vita in Australia.
Mi sono trasferito in America perché non ci volevo vivere in una casa piena di echi, con i mobili impolverati. Minho dice che qui sono come “ un pesce fuor d’acqua. “. E’ perché amo il the e sono caratterizzato dalla solita flemma inglese.
Per i primi tre mesi, scambiavo lettere con i miei. Mi parlavano di questa surfista straordinaria, di nome Teresa, che era davvero un tesoro. L’ho incontrata un paio di volte nella mia vita, e noi in un altro universo siamo sposati. In un altro universo, perché beh, io sono gay.
In realtà, non c’ho mai pensato molto a cose come l’amore. Con la malattia che mi ritrovo, dubito di aver tempo per fare qualunque altra cosa che non sia deprimermi.
Io odio qualunque cosa puzzi di fritto, come le patatine che cucino ogni giorno. Sonya crede che troppo fritto faccia male ai miei polmoni. Sonya è l’unica cliente che abbia visto nel giro di quattro anni. Lavora molto lontano da casa e alle sei in punto viene a comprare qualcosa da portare per l’altra ora di viaggio mancante. La tratto un po’ come se fosse Brenda, perché le assomiglia tremendamente. Lei dice sempre che mi vuole bene e che se Teresa non esistesse mi avrebbe già adottato. Ce l’ha parecchio con la corvina, e sono piuttosto sicuro che nemmeno a Brenda sarebbe andata troppo a genio.
L’unico commento che Minho sa fare in merito è che “ la sua quarta gli va più che bene. “
Insomma, non credo di essere la persona più fortunata del mondo. Se vogliamo vederla da un’altra prospettiva, non mi è andata nemmeno tanto male. Per la malattia che ho, dovrei essere morto da tempo. Ed invece ho anche tre persone nel mondo che posso considerare amici, o meglio due, perché Minho è il mio capo e basta.
Non sono una persona che si lamenta. Faccio quello che devo fare e generalmente evito di sprecare ossigeno per conversazioni futili. Alle cinque prendo la mia tazza di the verde e poi lascio il posto di lavoro. In realtà, odio le routine. Se dovessi nascere un’altra volta, vorrei essere un funambolo viaggiatore esorcizzato e con pesanti precedenti penali.
Oggi avrei la mia visita mensile ai polmoni. Minho sa già che non ci andrò, quindi è pronto a vedere la mia figura mingherlina aggirarsi per il locale. Sono le sei e mezza e io mi sento come se il mondo volesse vedere fino a che punto resisto.
- Ti trovo bene stamattina. – commenta, ironicamente, il caro orientale.
- Non ne hai idea. Un fiorellino.-
Ridacchia e:- Mettiti all’opera.- conclude.
Sonya arriva giusto mezz’ora dopo di me e mi da il tempo di abituarmi al fatto che il mio cuore stia battendo anche oggi.
-Buongiorno raggio di sole! Fammi indovinare, oggi saresti dovuto essere in ospedale..- sorseggia un McCafè preso lungo la strada, da brava traditrice qual è.
-Hai indovinato giusto. Cosa ti offro?- borbotto.
-Un doppio hamburger.- Sonya è un’investigatrice privata, e il suo lavoro fa quasi più schifo del mio. Certamente, non è Sherlock Holmes e credo non esista nessuno che non si rivolga alla polizia trovandosi di fronte ad un caso irrisolto.
-Allora, come va il nuovo caso?-
Storce le labbra in un’adorabile smorfia tutta da baciare. –Non vedo un nuovo caso da tre mesi. E l’ultimo si interessava del rapimento di un cane.-
-Andrà meglio.-
-Ah, Newt, se l’uomo potesse metterci lo zampino, se avessimo almeno un po’ di potere, tante cose andrebbero meglio.-
-Ne sono più che convinto.- E lo so davvero di cosa parlo. Convivo con questa malattia da quando avevo sedici mesi, se avessi potuto fare qualcosa l’avrei fatta senz’altro.
-Quante altre visite salterai?-
-Lo sai quanto me che non c’è cura. E’ inutile.-
-Potresti comunque migliorare la situazione generale. Sai che ogni anno di vita in più è importante.-
-Sonya, lavoro in questo squallido posto da quattro anni e lo farò finché i miei polmoni saranno in grado di rilasciare anidride carbonica. Un anno in più non mi cambia niente.-
So cosa sta pensando, sento la tensione in questo silenzio.
-Mi dispiace, Sonya, non per tutti la vita è meravigliosa.-
-Per nessuno la vita è meravigliosa. Gli altri la rendono meravigliosa. Ho un lavoro che mi da’ a stento dieci dollari al mese, vivo a spese della mia famiglia, ogni giorno viaggio due ore con un catorcio di automobile e non ho nemmeno idea di cosa sia l’amore. Eppure, io sorrido, io vivo, io respiro volentieri, io non mi compiango ogni giorno. Io la sento meravigliosa lo stesso, perché è mia.-
-Tieni il tuo doppio hamburger.-
-Newt, per favore, fai quella visita.- i suoi occhi sono pieni di lacrime e so di essere l’unico colpevole. C’è una strana sensazione che mi dilania il petto, ma non ho tempo di pensarci perché un attacco di tosse mi coglie impreparato.
Quando ho il tempo di riaprire gli occhi, lei se n’è già andata e ha portato con sé la sua borsa di pelle logora, lasciando solo l’hamburger.
Strano a dirsi, ma Sonya oggi  non è l’unico cliente della giornata. Forse a volte i miracoli accadono davvero. Perché è davvero una Ducati quella che si ferma davanti l’autogrill. A bordo, un casco nero che appartiene a due occhi dello stesso identico colore.
-Me la dai una birra?-
-Ah, ah.- rispondo, chinandomi a cercarla.
-E’ nuovo questo autogrill?-
Mi sorprende la calma con cui scandisce ogni parola.
-Io ci lavoro qui da quattro anni. Ti va bene al limone?-
-Che facevi prima?-
-Medicina.- è un sussurro tra i denti quello che mi esce, perché mi fa male, quanto il bruciore che provo nei polmoni, essere qui e non essere lì, fiero.
-Medicina?- ride sprezzante.- Non ti facevo molto dottor…-
-Sangster. E’ per questo che ho mollato. Medicina non è per i casi particolari.-
-Casi particolari, Sangster?-
-Questa è la tua birra, sono…-
Ma sul bancone luccica già una banconota da cinquanta dollari. Storco il naso. –Beh, di sicuro non sono cinquanta.-
- Qual è il tuo nome, biondino?-
-Newt.-
-Bene, Newt, ti propongono una cosa: ti andrebbe di fare il modello e lasciare questo squallido posto? Verresti pagato anche meglio.-
Silenzio. Tossisco, a tradimento.
-Non credo di essere nelle migliori condizioni.- rispondo, col fiatone.
-Faranno tutto i truccatori.-
-Intendevo che sono malato. Fibrosi cistica.-
-Non mi importa, sul serio. Sono un fotografo privato. Posso portarti sulle migliori passerelle.-
-Ti illustro la situazione: mi resta davvero poco tempo da vivere. Questa è la tua birra al limone.-
La afferra e sparisce, voltandosi dietro continuamente e sento, fin dentro i miei polmoni malati, che lo rivedrò tante, troppe altre volte.
Quando chiudo il locale, non ho in mente i suoi occhioni neri o il suo comportamento strafottente. Sto pensando a Sonya, e al casino che ho combinato con lei.
 
Sono le cinque del mattino e dovrei star avendo la mia breve totale amnesia. Che, indubbiamente, non arriva. Il mio corpo è ancora impregnato della cavolo di fibrosi cistica e la sveglia trilla incessantemente, ricordandomi che tra un’ora dovrò raggiungere il posto di lavoro.
 Minho ciarla tanto come al solito e c’è della posta abbandonata sul bancone. Sono sicuro sia di Teresa, ma voglio attendere Sonya prima di aprirla. Sonya non si presenta e, col senno di poi, comincio a rimpiangere tutte le visite saltate.
Sfoglio svogliatamente il foglio bianco e nero, su cui salta all’occhio una foto della sensazionale surfista.
Caro Newtie,
questa settimana non ho proprio visto i tuoi genitori. Escono raramente da casa. Sono stata in compagnia delle onde, ad osservarle e a sfidarle con lo sguardo. Mi sento piuttosto vuota, per surfare.
Ieri mi sono fermata in spiaggia per ammirare il tramonto. Ho pensato a quell’altro mondo in cui siamo sposati e mi sono chiesta se l’avessimo fatto sulla neve, io con un ridicolo abito azzurro- di quelli che odio- e tu vestito a pinguino, di tutto punto.
Mi è scappata una risata, perché quei noi sono esattamente l’opposto di noi. Mi è scappata una risata perché so che non potremmo mai amarci. Mi sto auto-friendzonando? Probabile.
Newtie, mi piacciono le onde, mi fanno pensare a te. Sono imprevedibili, indomabili. Mi manchi. Più di quanto riesca a credere o ad ammettere.  Dovremmo vederci qualche altra volta.
Ho una strana paura che mi prende alle viscere dello stomaco, e sono consapevole sia completamente idiota. So che se morissi, io sarei probabilmente l’ultima a saperlo. O l’unica a non saperlo proprio. E non ha senso.
Abbiamo entrambi ventiquattro anni e una lunga vita davanti. Ma sai cosa?
Ho paura che un giorno una di quelle onde azzurre tanto simili a te possa risucchiarti. E che io non potrò tirarti fuori dal tunnel.
L’Australia in persona, praticamente.
 
A volte mi sento un po’ codardo per non aver parlato a Teresa della cavolo di fibrosi cistica. Ma non voglio che la malattia rovini anche l’ultima cosa bella della mia vita. “ E l’unica”, mi costringo a ricordare.
-Che leggi?- alzo gli occhi, sorpreso, nel riconoscere la voce, che non è quella di Minho.
-Lettera.- borbotto. –Ti serve un’altra birra?-
-Volevo solo vederti.-
-Mmh? Fai pure.-
-Sei sicuro di non volere accettare?-
Mi passo le mani sul viso, esasperato.
-Sei tornato qui solo per questo, vero?-
-In realtà no, volevo davvero vederti. Ma dato che mi trovo..-
-Confermo il mio no.-
-Non avrai clienti per il resto della giornata, giusto?-
Borbotto qualcosa di molto vicino ad un “ si vede “, mentre lo osservo andare via. E portare con sé un pezzo dei miei polmoni malandati, che mi servono a respirare.
 
Sono Newt Sangster e la mia vita fa piuttosto schifo. Anche alle sei di mattina, appena giunto nello squallido autogrill, con Minho che mi chiede che fine abbia fatto Sonya. E’ una settimana che non si presenta.
Penso a Brenda e al suo cavolo di suicidio. Non posso fare a meno di rabbrividire, capendo che la mia vita si sta riempiendo di nuovo di fantasmi.
-Non ho idea di cosa frulli nella testa dei nostri clienti.-
Penso di dover rispondere a Teresa, prima che anche lei diventi un eco tra teiere impolverate.
-Non fare il finto tonto con me, zio. La conoscevi come quelle tue schifose tasche.-
-Non mi importa più.-
-Che è?-
-Minho, lascio il lavoro.-
-Oggi?-, poi fa due più due. –E’ per quel tipo, quel motociclista che si presenta sempre qui da quando Sonya non lo fa più?-
-No, è per la cavolo di fibrosi cistica. Non ce la faccio.-
E sento quella presenza ciarlatana farsi sempre più lontana, secondo dopo secondo, diventare grigia.
-Riguardati, amico.-
Poi mi lascia lì, le mani nel giaccone e un altro fantasma da aggiungere alla lunga lista. Il vento mi passa tra i capelli e penso alla brezza londinese. Poi penso a quella marina, e alla cara corvina che sta surfando in qualche angolo remoto vicino i miei genitori.
-Salti su?- mi domanda.
-Possiamo prima, mmh.. Passare in ospedale? Devo recuperare giusto qualche visita medica.-
-Ma certo, principessa. Questa Ducati può raggiungere anche le Hawaii.-
 
Mi mordicchio il pollice, in ansia, e Thomas è qui accanto a me a squadrarmi con quei suoi sguardi seriosi, come ha fatto nell’ultima settimana. Ora le due pozze nere hanno un nome e una storia.
Thomas.
Il primo che ha davvero resistito.
Per quanto non ne capisco molto, so che mi stanno ricoverando d’urgenza. Vedo le dottoresse preoccupate e ho sentito questa parola nell’aria. Urgenza.
Chiudo gli occhio e sospiro, mentre sballottano il mio lettino in cerca di una stanza libera. Ho sognato troppe volte questo momento, eppure non è mai stato più concreto di così. Urgenza.
Ho un urgente bisogno di fare troppe cose che mi son dimenticato. Riabbracciare i miei genitori. Incontrare Teresa solo un’ultima volta. Chiedere scusa a Sonya, o per lo meno salutarla decentemente. Ricordare a Minho che di Catherine non mi frega proprio nulla.
Scoprire questo ragazzo che mi stringe la mano, che non è quello che sembra.
-Sono qui, okay?- sussurra.
Annuisco e so che non c’è via di scampo. Intraprendente ed audace.
La stanza la trovano, ma a me non dice nulla. Potrebbe essere bianca, colorata, piena o vuota. Non mi trasmette la tristezza degli occhi morti di Brenda. La delusione di quelli dei miei genitori. La preoccupazione di quelli di Sonya. La bontà di quelli di Teresa. Nemmeno l’ironia di quelli di Minho.
Soprattutto, non l’amore di quelli di Thomas accanto a me. Che mi squadrano, urgenti.
 
Sono le nove di mattina e per quanto la mia vita faccia schifo, per una volta riesco a svegliarmi tardi. La tosse è forte e mi fa piegare in due. Nessuna sveglia e nessuno squallido posto in cui friggere patatine.
Solo troppi camici bianchi, flebo e occhi neri. Ho urgenza di conoscerli.
-Quando avevo otto anni sognavo di fare l’astronauta. Mi piaceva fotografare la luna, quando era piena e luminosa nel cielo. Ciotta, dicevo io. – ridacchia, scuotendo la testa. –Però, mi piaceva anche fotografare gli occhi belli delle mie amiche. E ho capito che non era la luna. Era il gesto di premere il pulsante e fare quella cacchio di foto.-
Annuisco, starnutendo.
-Stai peggiorando.-
-Anche tu. Sono solo tre giorni che siamo qui e ti sei già stancato di vedermi moribondo.-
-Non mi stanco di te finché non mi dici quel si.-
-E allora dovrai aspettare ancora molto tempo.-
-Perché non dormi un po’, mmh?-
-Perché tra un po’ devono comunicarmi i risultati dell’esame.-
-Te li dico io.-
-Sei un cavolo di bugiardo. Non c’ho la bellezza per fare il modello. E nemmeno l’altezza.-
-Per me ce le hai.-
-L’altezza è obiettiva.-
-La bellezza no.-
-Mmh, sono sicuro che consideri la Ducati meglio di me.-
-Quello sì. Ma tu sei subito dopo.-
Ridacchio e senza volerlo mi assopisco. Se Thomas non mi da’ i veri risultati, lo strozzo prima che le braccia diventino troppo deboli per farlo.
 
Sono Newt Sangster e niente, totale, amnesia. Ho dormito per due giorni di seguito e Thomas per due giorni è rimasto ad aspettare un dannato “si” che non gli dirò mai.
-Buonasera bella addormentata.-
-Sera?-
-Sono le sette e ho mangiato la tua cena.-
-Ma che bel guardiano, mmh.-
-Non l’avresti mangiata lo stesso.-
-Il fatto che un miliardario non usi i suoi soldi non autorizza i delinquenti a rubarli.-
-Hai fatto la metafora peggiore che potesse uscirti.-
-Giusto.- tossisco. –La vuoi ancora quella risposta affermativa?-
-Dovrei non volerla?-
Tossisco di nuovo e sento i polmoni piegarsi a metà sotto il volere della malattia.
-Dovresti.-
-E allora la voglio.- mi da un bacio sulla fronte e il contatto è caldo e pieno, non come tutto ciò che il gene mi ha fatto passare.
-Il test?-
-Mmh?-
-Li hanno detti i risultati?-
-Niente, si saranno dimenticati.-
-Non ti credo.-
-Non mi credi.-
-I medici sono persone responsabili, non come te.-
-Non come me?-
Poi fa una pausa e vedo i suoi occhi diventare lucidi, come se improvvisamente gli fosse salita la febbre.
-Quattro anni fa ti sei iscritto a medicina.-
-Che presa per il culo, la vita. Ora sono su questo lettino, nell’ospedale in cui avrei dovuto lavorare per il motivo opposto.-
Tossisco.
-Io ti ci vedo malissimo, qui dentro.- ridacchia lui, ma sono ancora abbastanza sveglio per notare una lacrima scendere sulla sua guancia. Vedere una persona piangere per la prima volta è terribile.
Urgenza.
 
Sono le dieci di sera e io ho dormito per tre giorni. Vorrei ancora provare sulla pelle quell’amnesia.
-Ho sognato Sonya.-
-Si, ti trovo bene anche io, sempre un piacere vederti.-
Sbuffo e:- Ho sognato Sonya.- ripeto, tossicchiando.
-Chi cavolo è Sonya?-
-L’unica cliente del mio autogrill. Cioè, di quello di Minho. Eravamo abbastanza amici. Era bionda come me e assomigliava terribilmente alla sorella che non ho mai avuto.- non citai Brenda.
-Che fine ha fatto?-
-Non facevo mai le visite. E lei si preoccupava sempre. Un giorno la ignorai, questa sua ansia. Fu il giorno che ti sei presentato per la prima volta. Non l’ho vista più.-
Prendo fiato e concludo:-Pensare dove sono ora, e per colpa tua.-
-E che hai sognato, di questa Sonya?-
-I suoi capelli al vento. Mi diceva di resistere e poi spariva con  la sua logora borsa di pelle, come quel giorno in  autogrill.-
-E tu stai resistendo?-
-Mai fatto.-
-Lo faresti per lei?-
-Io…-
-Lo faresti per me?-
 
La mia vita fa piuttosto schifo. Mi sono svegliato solo perché mi è sorto un dubbio, non mi piace svegliarmi.
-Thomas, come guadagni ora, se stai tutto il giorno qui?- tossisco, troppo forte per la mia gola, la sento prendere fuoco. –Se non vendi, non fai foto?-
-Non mi serve guadagnare, mi basti tu.-
E cado addormentato di nuovo.
 
Sono Newt Sangster, ho ventiquattro anni e la mia vita è piena di fantasmi. Sono chiuso in ospedale da un mese e mi sono svegliato solo perché ho scordato una cosa, urgente. Odio svegliarmi, perché a me l’amnesia non coglie.
-Tommy, la scrivi una risposta a Teresa?-
Sono debolissimo. Devo esserlo. E non lo vedo dalle due ossa che mi ritrovo come braccia, o dalla voce flebile. Lo vedo nei suoi occhi.
-E che le dico?- è in lacrime.
-Non so. Non questo.-
Annuisce e poi:-Ripetilo.-
-Tommy.-
Qualcosa squarcia l’aria e non è un mio colpo di tosse. –Ehi, ehi.. non piangere. Sarei morto lo stesso. Ventiquattro anni sono tanti.-
-Pochi. Per un potenziale modello.-
-Lo vuoi ancora quel cacchio di si?-
Annuisce.
-Allora non te lo dico.-
-Vuoi sposarmi, Newt?- nessuna richiesta buffa, improbabile, esagerata. Nessun anello. Non è nemmeno in ginocchio.
-Qui lo vuoi un cacchio di si?-
-No. Non voglio sposarmi con un fantasma.- piange ancora.
-Ti sposerei, Tommy, sul serio.- sospiro.
E’ un attimo fugace.
-Ho vissuto ventiquattro anni con degli echi.-
-Potevo salvarti?-
-Nessuno poteva salvarmi, Tommy. Guardami e smettila di piangere. Sarei morto lo stesso.- scandisco bene l’ultima frase.
Lui mi guarda ma non smette di piangere. E sono troppo debole per ricordarglielo.
-Tommy.-
-Mmh?-
-Non sono un codardo. Non è facile morire.-
Sospiro. Lo vedo chinarsi sul mio letto mentre abbasso le palpebre.
 
Amnesia totale. L’unica cosa che abbia sempre desiderato.

 
 
 
 
Ilaria’s.
Macciao! Cosa è? Cosa sia non lo so. Spero vi piaccia. E’ la prima volta che scrivo con questo stile, non mi si addice per nulla e soprattutto non si addice a questo tema così delicato. E poi, odio la prima persona.
Spero di aver reso giustizia a tutti i malati di questa terribile e rara malattia di cui si parla anche troppo poco. Non sono certa di alcuni sintomi, scusatemi la parziale ignoranza. La mia fonte era Wikipedia, volevo esser sincera.
Un grazie mille alle Culopesche che mi supportano sempre ( mi hanno anche consigliato il titolo, cuties. ).  E alla mia Boudiboudini, la Silvy, noi in un altro mondo siamo sposate. In questo, solo migliori amiche.
Un bacino.
-ilaria. 
   
 
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