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Autore: steffirah    14/10/2015    0 recensioni
Dal momento in cui ho visto
l'uomo che mi è più caro mentre riposavo,
ho cominciato a credere a quelle cose
che gli uomini chiamano “sogni”
Una giovane fanciulla, disperata, sola, colpevole. In una notte di luna piena le appare in sogno un nobile affascinante. I loro incontri si faranno sempre più intimi e segreti, ma riusciranno mai ad incontrarsi?
Genere: Poesia, Storico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki | Coppie: Hinata/Naruto
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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NdA: Sono tornataaaa! Con una storia totalmente diversa :’) Anche se non aggiornerò quotidianamente a causa dell’università T.T
Prima che cominciate a leggere dovete sapere che questa ff è ispirata ad un otogizoshi/emakimono (ossia un racconto giapponese, accompagnato da immagini) intitolato “A tale of fugitive dreams”. Studiando letteratura giapponese ne lessi la trama e mi dissi: «È perfetta!»
La lirica iniziale e la prima di Naruto appartengono alla storia originale. Le altre le ho inventate io e vogliate perdonarmi se sono pietose, ma tutto posso essere tranne che una poetessa ç.ç
Inoltre, molti termini li ho lasciati in giapponese. Vi spiegherò il significato alla fine del capitolo!
Avvertimento: dovrebbe essere ambientata in periodo Heian, ma mi sono divertita a mescolare un paio di cose. Spero possiate perdonarmi!
Detto ciò, spero che vi piaccia.
Buona lettura! ^_^



 
 
Dal momento in cui ho visto
l'uomo che mi è più caro mentre riposavo,
ho cominciato a credere a quelle cose
che gli uomini chiamano “sogni”


 
CAPITOLO 1
 
 
«Vi ripeto di no. Mia figlia non andrà mai a corte con loro. Non lascerò che la sfruttino, la contaminino con i loro sotterfugi e poi la abbandonino per dedicarsi alle loro concubine.»
«Padrone, cercate di essere ragionevole. Ormai non c'è più nessun uomo che dedica anima e corpo ad un’unica donna. Nondimeno a corte.»
«Allora non sposerà un nobile.»
«Ma volete che una fanciulla del rango di vostra figlia venga umiliata dai popolani? Volete abbandonarla per strada?!»
«Assolutamente no, ma non permetterò nemmeno che sia vittima della gelosia delle donne e degli intrighi di quei...»
La voce di mio padre divenne sempre più lontana, sempre più distante mentre lentamente aprivo gli occhi. Mi voltai verso la finestra, notando che un flebile raggio di sole si era appena fatto breccia al di là delle nubi mattutine. Che mio padre fosse tornato?
Mi appoggiai uno scialle sulle spalle e uscii nel giardino, avvicinandomi al laghetto pieno di carpe koi. Mi guardai attorno, sperando di vedere un'ombra, una sagoma familiare, di udire un fruscio, la sua voce divenuta ormai così estranea per me eppure tanto familiare... Ma niente. Silenzio, nient'altro che un silenzio assordante mi circondava, ricordandomi che lui non era ancora tornato. Quanto tempo era trascorso ormai dalla sua partenza? Proprio quella notte doveva essere calata la seconda luna, quindi due mesi... Due mesi di silenzi. Due mesi di non risposte, due mesi di negazione alla mia richiesta di corrispondenza. Ormai ci stavo perdendo ogni speranza.
Mi sedetti sulla sponda del laghetto, sospirando.
Mio padre era un ufficiale da ben trent’anni. Avrei dovuto essere abituata alle sue lunghe assenze, erano frequenti e raramente avevamo avuto opportunità di trascorrere del tempo insieme. In seguito alla nascita di mia sorella Hanabi e alla morte di nostra madre era diventato un po' più presente... Ma forse era soltanto un'illusione. Forse non era altro che il riflesso di un mio desiderio incondizionato. Non che lui mi odiasse, anzi sapevo che provava un amore profondo nei miei confronti. Le ultime parole che mi disse furono: «Ti voglio troppo bene, per questo ti proibisco di uscire durante la mia lontananza. Il mondo è cattivo e non sai mai cosa potrebbe succederti.»
Sapevo il significato nascosto dietro quelle parole: "Sei troppo ingenua, troppo buona e caritatevole, troppo debole. Potresti essere soggiogata, finire nei guai senza sapere come uscirne. Potresti perderti, non conosci neppure le strade della città. Sei una giovane dama, comportati come tale. Se ti trovassi in pericolo chi ti salverebbe? Se venissi rapita o stuprata cadrebbe un'onta sul nome della nostra famiglia. Noi siamo gli Hyuuga, da generazioni governiamo questa terra, e una sciocchina come te non può permettersi di rovinare tutto solo perché vuole esplorare il mondo."
Mio padre era frustrato perché non aveva avuto eredi maschi, e per questo lo capivo. Sperava di lasciare tutto al nostro parente più prossimo, Neji, ma pochi mesi fa perì nel corso di una battaglia contro un clan nemico.
Mio padre avrebbe potuto risposarsi - non sarebbe stato uno scandalo per nessuno, al contrario - e provare a concupire un nuovo erede. Avrebbe potuto farlo pregando le divinità. Ma no, non aveva tempo per dedicarsi alla religione o ad altre donne. Non lo avrebbe mai sopportato e la verità è che ha amato talmente tanto mia madre che nessuna donna avrebbe potuto sostituirla. In seguito alla sua morte per settimane intere smise di mangiare e di uscire di casa. Poi si riprese, e la sua occupazione principale divenne il lavoro. Nient'altro che il lavoro... E far maritare Hanabi. Non mi sentivo messa da parte, né mi sentivo trascurata. Ma non riuscivo a capire perché a mia sorella minore, che era soltanto una bambina, aveva soli 12 anni, non avesse impedito di sposare il principe Konoha no Maru, secondogenito dell'imperatore, e invece a me avesse persino proibito incontrare le persone a corte. Lei aveva appena raggiunto l'età per sposarsi - che comunque a me sembrava troppo bassa, ma le opinioni di una donna non contavano nulla in questa società -, mentre io l'avevo superata da ben cinque anni. Non potevo incontrare altre giovani della mia età, non potevo confrontarmi col mondo e capire se ci fosse qualcun altro che come me si sentiva un uccello in gabbia. Perché era quello che ero diventata, dalla morte di mia madre. Una bambola di porcellana da esporre ma non toccare, un bocciolo di ciliegio da preservare prima che tutti i suoi petali si aprano e volino via, seguendo il flusso del vento. Ma nonostante tutto non mi sentivo sola.
Sorrisi, stringendomi nello scialle, pensando che c'era Sakura con me. Inizialmente avrebbe dovuto essere una serva nel nostro casato, ma sotto mia richiesta sono riuscita a farla diventare una mia dama di compagnia. Tuttavia non vedevo nessuna differenza di grado tra noi, nessun bastione sociale. Anzi, ella era la mia più cara amica. Mi aiutava a prepararmi nelle occasioni importanti, mi istruiva su ciò che avveniva al di fuori delle mura della casata Hyuuga, a volte nascondeva degli oggetti che comprava per strada e me li regalava. Così avevo avuto l'opportunità di leggere molti più libri di quanti ne possedessimo a casa, avevo avuto modo di saggiare cibi del popolo - che non mi dispiacevano - e avevo iniziato una collezione di oggetti "strani", come li definivo io. A volte si trattava di un pettine d'osso dalla forma più allungata, altre volte di una borsetta a tinta unica di stoffa grezza... Erano accessori completamente diversi da quelli a cui ero abituata.
Sakura, d'altra parte, riceveva in cambio delle lezioni di cetra da parte mia. Da poco tempo le stavo insegnando a suonare il koto e poiché ci conoscevamo sin da quando eravamo bambine davamo vita a diverse gare di poesia o dipinti. In fondo, era il nostro unico modo di divertirci. Nel mio castello ricevevo poche visite, se non da compagni di mio padre che non facevano altro che intimorirmi tutto il tempo. Mio padre aveva ragione sul fatto che fossi timida, e schiva. Probabilmente aveva ragione su tutto. Ma non riuscivo ad evitare di arrossire ogni volta che un uomo mi guardava. Sakura diceva che mi mangiavano con gli occhi perché per loro ero "un fiore raro che sboccia soltanto nelle avversità". Col tempo avevo capito cosa intendesse dire e, crescendo, ero sempre più spaventata dai lupi che si celavano tra le montagne.
Fortunatamente non appena ebbi raggiunto l'età per prendere marito fu impedito mostrarmi in pubblico e gli estranei potevano parlarmi soltanto attraverso la cortina. Mi sentivo più protetta, nonostante c'era sempre qualche volpe che cercava di spiare dagli spiragli, ma per loro sfortuna anche io e Sakura eravamo abbastanza furbe da non farci vedere.
Eppure, quello fu il mio addio ufficiale ad ogni contatto con il mondo.
 
 
Terminologia:
koto= strumento musicale simile alla cetra, con 13 corde suonate tramite un plettro a forma di unghia.
  
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