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Autore: Adeia Di Elferas    15/10/2015    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
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~~ Erano passate le settimane, ma Firenze restava intrappolata in un clima di repressione e terrore.
 Dopo la sepoltura di Giuliano in San Lorenzo, suo fratello non aveva trovato un momento di requie.
 Tutti coloro che erano o erano stati collegati in qualche modo alla famiglia dei Pazzi venivano trovati, presi e portati ai ceppi.
 Si trattava di una vendetta estremamente crudele, quasi insensata, che andò a colpire decine e decine di innocenti.
 Roma attendeva puntualmente notizie dalla patria dei Medici, sperando sempre di non venir mai coinvolta in nessun modo.
 Nel frattempo, a Milano, il dominio di Bona di Savoia sembrava indebolirsi a vista d'occhio. La donna non era più sicura come un tempo e spesso si lasciava influenzare da questa o quella voce di palazzo, prendendo decisioni improvvise e dalla logica opinabile.
 Quell'estate, quando arrivò la notizia dell'uccisione di Francesco Salviati, arcivescovo di Pisa e congiurato, Sisto IV non perse tempo. Lanciò immediatamente la scomunica a Lorenzo, che, però, non parve preoccuparsi troppo per quella dichiarazione di ostilità.
 Il papa, con quell'atto, voleva scoraggiare il signore di Firenze, cercare di placarlo, di fargli capire che stava passando il limite, che la damnatio memoriae per i Pazzi bastava e avanzava, che non era necessario cercare altri colpevoli.
 Invece Lorenzo lesse la cosa come una mezza dichiarazione di guerra e le tensioni tra il Vaticano e la cità di Firenze crebbero improvvisamente.
 Sisto IV era stremato da tutta quella tensione e non sapeva come schermirsi oltre coi fiorentini. Se avevano preso Salviati, avrebbero potuto benissimo risalire a lui e a Girolamo...
 L'unico legame che valeva la pena coltivare, a quel punto, era quello con Milano. Sisto IV comprendeva che il tempo di Bona di Savoia era finito e che Ludovico Sforza, benché ancora in esilio, sarebbe prima o poi diventato Duca. Anzi, con l'aiuto di Roma, lo sarebbe diventato prima del previsto.
 Il suo unico vero nemico era Cicco Simonetta. Una volta eliminato il solerte consigliere, Milano sarebbe stata in mano sua.
 Così, su consiglio di suo zio, Girolamo pregò Caterina di scrivere alcune lettere a Milano. Ella all'inizio si rifiutò, ma alla fine capì quello che il papa, tramite suo nipote, voleva dire.
 Non poteva che dargli ragione. Per quando ancora amasse sua madre Bona, era lampante che il suo dominio stava volgendo alla fine. Caterina poteva solo cercare di attutirle la caduta. In fondo, pensò, Ludovico era suo cognato, lo zio dei suoi figli... Magari, se Bona si fosse riappacificata con lui, avrebbe perso il ducato, ma non la vita.
 Caterina, quindi, mandò alcuni messaggi a Bona, sottolineando come Simonetta fosse un essere subdolo e di certo implicato nella congiura che uccise Galeazzo Maria. Non le fu difficile esprimersi in modo duro e severo nei confronti del consigliere. Anzi, aveva covato per lui tanto odio, nel corso degli anni, che era quasi un sollievo poterne parlar male.
 Cominciava a essere avvezza ai giochi di potere e si rendeva conto che anche Bona sarebbe stata solo una pedina, in quella partita, mentre lei, Caterina, poteva ancora guadagnarsi un posto tra quelli che dettavano le regole del gioco.
 Più il tempo passava, più il suo ruolo di portavoce del marito si faceva importante. Fingeva sempre di chiedere il parere di lui per qualunque cosa e gli faceva credere di non avere iniziative proprie.
 In realtà Girolamo sapeva benissimo quanto la moglie fosse autonoma nelle decisioni e quanto suo zio il papa la stimasse, perciò la lasciava fare, prendendosi i meriti dei suoi successi e sperando che il papa credesse che le idee migliori fossero sue e non di Caterina.
 
 Sisto IV era riuscito, con ogni probabilità, ad arginare la disfatta di Firenze. Infatti, a distanza di pochi mesi, lui e suo nipote Girolamo erano gli unici due congiurati ad avere ancora la testa attaccata al collo.
 La situazione sembrava ormai di stallo. A Milano Bona era sempre in bilico, a Firenze Lorenzo stava instaurando il suo nuovo ordine e a Roma il papa tirava i fili dell'Italia intera.
 Caterina aveva passato l'estate a pensare agli affari di stato, malsopportando il marito, e distraendosi, quando poteva, con l'alchimia e lo studio delle arti belliche e quando iniziò l'autunno, si rese conto di essere incinta.
 Non ebbe bisogno delle conferme che il papa volle dai medici di corte. Sapeva abbastanza, grazie ai suoi studi dall'alchimista, della natura umana per essere certa del suo stato.
 Non riusciva a decidersi, però. Doveva essere contenta di quel figlio che sarebbe arrivato o doveva odiarlo, perchè era sangue del sangue di Girolamo Riario?
 Mancavano troppi mesi alla nascita, per decidere. Così Caterina continuò a vivere come se non avesse un figlio nel ventre, senza sottrarsi – malgrado il parere del papa e dei suoi dottori – a nessuna cavalcata o battuta di caccia.
 Sisto IV sembrava più raggiante di Girolamo, all'idea che un erede stesse per nascere. Tanto che convinse Caterina a non indossare più la collana regalatale dal marito il giorno del suo arrivo a Roma, affinché ne potesse indossare una molto più ricca ed elegante scelta dal papa in persona.
 Si diedero banchetti, di cui uno, il più eccessivo, contò ventidue portate e un'infinità di invitati.
 Caterina non capiva gli eccessi del Vaticano, ma cercava di adeguarsi, perchè era quella, ormai, la sua realtà.
 Nella corte vaticana l'inverno passò abbastanza tranquillo. Caterina amava il clima mite che c'era in quella zona, anche se ricordava con nostalgia le mattine di nebbia e le nevicate che le avevano gelato le ossa nelle battute di caccia a cui partecipava con suo padre.
 Passava molte sere a rileggere i suoi appunti di alchimia, che chiamava, non senza un certo orgoglio, 'Rimedi a far bella'. In quelle pagine, infatti, non parlava solo degli effetti curativi o venefici delle piante, ma anche di come mantenere candida la pelle o lisce le mani e provava su se stessa ogni pozione e ogni intruglio, vantandosi poi dei propri successi mentre si rimirava allo specchio.
 Girolamo non riusciva a capire questa ambivalenza della moglie, che si mostrava così decisa e quasi rude quando parlava coi loro soldati o con i capitani di ventura di passaggio in Vaticano, e che poi era così vanitosa e frivola quando si trattava della cura del proprio corpo.
 Per lui, sua moglie restava un grandissimo mistero.
 
 Il palazzo che gli Orsini avevano dato a Girolamo Riario in segno di fedeltà e riconoscenza era pieno di vita e frenesia, quel giorno.
 Era Aprile, ma l'aria era fredda e pioveva a dirotto come fosse stato autunno inoltrato. Caterina era circondata da molte persone, ma riconosceva solo una delle dame di compagnia e la levatrice, chiamata in fretta e furia da Girolamo, che in quel momento si aggirava per i corridoi del palazzo come un fantasma.
 Da quasi un giorno Caterina avvertiva dolori al ventre e sapeva che il suo tempo era arrivato, tuttavia si era rifiutata di vedere un medico o una levatrice fino a che non le si erano rotte le acque e dunque era stato necessario chiamare aiuto.
 Girolamo indossava una camicia fradicia di sudore, in parte dentro e in parte fuori dalle brache. I capelli, di solito perfettamente pettinati, erano tutti arruffati e le mani erano così strettamente allacciate dietro la schiena da farlo assomigliare a un carcerato in penitenza.
 La levatrice era molto ottimista. Con una madre sedicenne era sicura di non avere problemi. Era giovane, ma non troppo, e anche se si trattava del primo parto, la buona salute di Caterina le faceva ben sperare anche per il bambino.
 Il parto, in effetti, fu abbastanza facile, tanto che la levatrice si complimentò con Caterina, quando ebbe finalmente tra le mani il figlio: “Un bel maschio, sano come un pesce!” commentò la donna, con una risata soddisfatta.
 Caterina fissò il viso contratto e rosso del neonato e ne intravide subito una spiacevole somiglianza con Girolamo. Però, dovette ammettere, anche un che degli Sforza. Chissà, forse con gli anni avrebbero preso il sopravvento le fattezze della parte giusta della famiglia...
 La lavatrice si riprese il piccolo, per lavarlo e sistemarlo al meglio, in modo da presentarlo al padre come si doveva.
 Caterina venne lasciata sola con una delle dame di compagnia e, finalmente, potè rilassarsi.
 Si assopì quasi subito, mentre la dama di compagnia cercava di dare una sistemata anche a lei, pulendo laddove riusciva e cercando in ogni modo di nascondere il sangue che aveva imbrattato tutte le lenzuola e i teli usati dalla levatrice.
 Nel dormiveglia, Caterina ebbe un lontano ricordo di una notte di anni prima, quando accanto a lei non c'era una dama di compagnia, ma un'infermiera della Ca' Granda, che di nome faceva... Faceva... Ah, sì, Petra...
 
 “Avete visto che meraviglioso bambino?” esordì Girolamo, entrando nella camera in cui riposava Caterina.
 Il calore e l'odore di sangue quasi fecero venire un mancamento all'uomo che, però, era talmente su di giri da non rendersi neppure conto delle gambe che si facevano molli.
 Teneva stretto a sé il neonato e si andò a sedere sul letto accanto alla moglie, svegliandola una volta per tutte.
 “Lo chiameremo Ottaviano!” esclamò Girolamo, entusiasta, rimirando il visetto ancora accigliato e sconvolto del piccolo.
 “Chiamalo come ti pare...” bisbigliò Caterina, l'odio per il marito di nuovo vivo e presente. Il dolore che ora provava al ventre e la stanchezza la stavano sopraffacendo e l'unica cosa che voleva era restare da sola.
 Inoltre quel nome, per lei, era un affronto aperto. Era una scelta priva di tatto e di lungimiranza. Una scelta tipica di Girolamo.
 Non avrebbe voluto essere tanto arrabbiata, il giorno in cui dava alla luce il suo primo figlio, ma non riusciva a zittire la furia cieca che la stava riportando nel luogo oscuro in cui era stata per anni dopo il suo matrimonio. Per un momento capì suo padre e i suoi eccessi d'ira, i suoi 'momenti bui' in cui era capace di qualunque cosa...
 “E Ottaviano sia!” esclamò Girolamo, forse non volendo notare il tono distaccato e stanco di Caterina.
 “Ora lo porto dalla balia. Lo vestirà e comincerà ad accudirlo...” disse Girolamo, quasi tra sé.
 Appena fu fuori dalla stanza, la dama di compagnia passò una pezza umida sulla fronte di Caterina, per darle un po' di conforto: “Lo trovo un nome bellissimo...” provò a dire.
 “Lo stesso nome di mio zio, morto nel tentativo di andare a uccidere mia madre.” riuscì solo a dire Caterina, prima di cadere in un sonno profondo e privo di sogni.
   
 
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