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Autore: uhstilinski    15/10/2015    2 recensioni
I numerosi alberi che circondavano la scuola di Beacon Hills erano mossi da un insolito vento autunnale, gli studenti si affrettavano ad entrare, visibilmente infastiditi dal suono insistente della campanella. Un rombo di motore attirò l’attenzione di Emma, un ragazzo in sella alla sua moto rossa fiammante aveva appena parcheggiato a qualche metro dalle gradinate di marmo, sfilandosi il casco per rivelare un paio d’occhi glaciali. Stretto nella sua giacca nera di pelle, sparì lentamente dalla sua vista, mimetizzandosi tra la folla.
«Quello è Jackson Whittemore» mormorò una ragazza dai capelli neri e gli occhi grigi, affiancando la giovane. «Il capitano della squadra di lacrosse e di nuoto, praticamente il tipo ideale di chiunque abbia un paio d’occhi funzionanti». Emma dovette sembrare parecchio confusa, data l’espressione divertita che nacque sul suo viso pallido. «E io sono Valerie Butler», le porse la mano con gentilezza perché la stringesse, sorridendo.
«Emma. Emma Walker».
«Lo so» annuì immediatamente la mora, allungando il passo. «È una cittadina molto piccola, le notizie arrivano prima di quanto immagini» concluse con espressione furba, rivolgendole un altro sorriso cordiale e divertito prima di correre in classe.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Derek Hale, Nuovo personaggio, Scott McCall, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Welcome to Beacon Hills!



I numerosi alberi che circondavano la scuola di Beacon Hills erano mossi da un insolito vento autunnale, gli studenti si affrettavano ad entrare, visibilmente infastiditi dal suono insistente della campanella, che aveva interrotto le loro futili chiacchiere sul clima o su quanto le vacanze fossero passate velocemente quell’anno. Un rombo di motore attirò l’attenzione di Emma, che se ne stava per conto proprio ad organizzarsi mentalmente il primo giorno di scuola. Un ragazzo in sella alla sua moto rossa fiammante aveva appena parcheggiato a qualche metro di distanza dalle gradinate di marmo, sfilandosi il casco per rivelare un paio d’occhi glaciali. Stretto nella sua giacca nera di pelle, sfilò spavaldo davanti agli occhi di tutti i presenti, facendo sospirare d’ammirazione le ragazze e d’invidia i ragazzi. Con un sorriso beffardo ad illuminargli il volto spigoloso, sparì lentamente dalla propria vista, mimetizzandosi tra la folla. 
«Quello è Jackson Whittemore» mormorò una ragazza dai capelli neri e gli occhi grigi, affiancando la giovane come se la conoscesse da anni. «Il capitano della squadra di lacrosse e di nuoto, praticamente il tipo ideale di chiunque abbia un paio d’occhi funzionanti». Emma dovette sembrarle parecchio confusa, data l’espressione divertita che nacque sul suo viso pallido. «E io sono Valerie Butler», le porse la mano con gentilezza perché la stringesse, sorridendo a trentadue denti. 
«Emma. Emma Walker», sorrise anche lei in risposta, domandandosi se fossero tutti così accoglienti a Beacon Hills. E a giudicare dall’ultimo scontro avuto col postino, realizzò di sapere già la risposta: No, aveva solamente avuto fortuna.
«Lo so» annuì immediatamente la mora, allungando il passo. «È una cittadina molto piccola, le notizie arrivano prima di quanto immagini» concluse con espressione furba, rivolgendole un altro sorriso cordiale e divertito prima di correre in classe per evitare di arrivare in ritardo il primo giorno.
«Wow» borbottò piano la bruna, stringendo tra le mani la borsa nera piena di quaderni nuovi di zecca e penne colme d’inchiostro. Il primo giorno di scuola non l’aveva mai preoccupata a Portland, ma dopo il trasferimento le cose erano cambiate. Aveva perso un po’ della sicurezza dovuta alla familiarità con l’ambiente, si sentiva come un pesce fuor d’acqua e sperava solo di riuscire ad integrarsi, magari anche con l’aiuto di quella nuova conoscente. Percorse metà corridoio, facendo letteralmente lo slalom tra le matricole dallo sguardo perso e confuso e i giocatori di lacrosse che borbottavano qualcosa a proposito del coach. Non poté fare a meno di notare che fossero tutti molto belli oltre ad essere, ovviamente, incredibilmente alti e muscolosi. Avanzò qualche passo in direzione della segreteria, imbattendosi in una donna di mezza età seduta dietro la scrivania in legno. Un forte odore di cannella e latte caldo le inebriò le narici. «Emma Walker?» 
La stupiva parecchio il fatto che tutti conoscessero il proprio nome e sapessero chi fosse, mentre lei a stento ricordava il volto della prima e unica ragazza che si era preoccupata di darle il benvenuto. 
«Sì, sono io» rispose lentamente, annuendo e avvicinandosi alla larga scrivania colma di fascicoli e libri che avevano l’aria di aver più di qualche anno. Si guardò attorno con fare un po’ spaesato, ammirando in silenzio i numerosi trofei d’oro vinti dalla squadra di lacrosse e le medaglie appartenenti alla squadra di nuoto. Pensò che il preside dovesse essere estremamente fiero del corpo studentesco, nella sua vecchia scuola era già tanto se la squadra di pallavolo riuscisse a classificarsi penultima nei tornei regionali. 
La donna dal sorriso rassicurante e affettuoso digitò qualcosa sul vecchio computer fisso, sbattendo le unghie laccate di un brillante rosso vivo contro i tasti bianchi e impolverati. 
«Sei ufficialmente nei registri. Questo è il tuo orario e qui c’è una piantina della scuola con le varie aule e laboratori. Questo è il tuo armadietto», cerchiò con una penna rossa l’armadietto numero 203, porgendole i numerosi fogli. Emma afferrò il tutto, studiando con lo sguardo la piantina e successivamente l’orario, domandandosi se sarebbe arrivata in tempo alla prima lezione di economia con il professor Finstock.
«La ringrazio, spero di riuscire ad orientarmi», la voce le uscì in un timido sussurro, per niente nel suo stile. Se la schiarì con un colpo di tosse, abbozzando un sorriso prima di indietreggiare in direzione dell’uscita. 
«Walker» la richiamò la segretaria dai capelli rossi, con urgenza. Fece capolino con la testa oltre il muro che le divideva, osservandola con aria interrogativa. 
«La combinazione del tuo armadietto la trovi sul retro della piantina».

«Stilinski!» 
La voce del signor Finstock echeggiò con prepotenza all’interno dell’aula, facendo sobbalzare metà dei presenti. Il fischietto che portava al collo le fece pensare che fosse lui il coach del quale tutti parlavano. «Sono passati appena dieci minuti e stai già dormendo?» 
«Scusi coach» borbottò il ragazzo dai capelli scuri e gli occhi color nocciola, stiracchiandosi in maniera buffa sulla sedia, ancora mezzo intontito a causa del brusco e inaspettato risveglio. Coach, bingo.
Nonostante la porta fosse aperta, Emma bussò, attendendo sulla soglia in assoluto silenzio. L’insegnante si voltò verso di lei e la sua espressione mutò da infastidita a raggiante. Scrutò la ragazza dai lunghi capelli color castagna e gli occhi caramello, assottigliando lo sguardo per un momento. Si alzò dalla sedia e si avvicinò, facendole cenno di entrare. Emma si ritrovò a pensare che somigliasse un po’ al lemure del film Madagascar e per poco non scoppiò a ridergli in faccia.
«Dunque, chi abbiamo qui.. Ah, Walker» esclamò, lanciando uno sguardo minaccioso agli studenti, «è un piacere averti nella mia classe», la sua espressione si ammorbidì di nuovo, confondendola. Sembrava possedere diverse personalità che uscivano fuori a seconda delle necessità. Nonostante questo, il suo volto le ispirava una strana simpatia. 
«Confido in voi animali per farla sentire a suo agio» continuò, serio. «E mi raccomando, tenete le vostre schifose mani nelle vostre schifose tasche. Intesi?»
Quell’avvertimento fece tremare le ginocchia di Emma, che abbozzò un sorriso tirato, tentando di non risultare troppo terrorizzata. Osservò il professore con espressione piatta, attendendo delle indicazioni.
«Puoi sederti in terza fila, dietro a Stilinski» le disse infine, indicandole l’unico banco libero, che si affrettò ad occupare. Si guardò attorno, incuriosita dalla diversità dei volti che la osservavano. E tra un bisbiglio e l’altro, tentò di isolarsi e prestare attenzione al lungo monologo del professore sulle norme scolastiche, mentre oltre i vetri appannati delle grandi finestre, un temporale si abbatteva violento su Beacon Hills. Le nubi grigiastre portarono con loro un’inaspettata oscurità a coprire interamente il cielo, dando spazio a qualche tuono di tanto in tanto, donando alla cittadina un non so che di mistico. 
«McCall, vuoi renderci partecipi del tuo divertimento?» domandò il professore, che più volte aveva espresso il desiderio di essere chiamato semplicemente “coach”, nonostante non ricoprisse più quel ruolo a causa di un infortunio alla rotula che l’avrebbe tenuto fuori dal campo per un po’. Le folte sopracciglia aggrottate duramente nascondevano quasi del tutto gli occhi verdi e – per la maggior parte del tempo – vivaci. 
«Scusi coach», trattenne l’ennesima risata quello che doveva essere McCall, un giovane dai capelli bruni, gli occhi neri, i lineamenti tipicamente latini e la mascella parecchio pronunciata. La campanella lo salvò per un pelo da quella che sarebbe potuta essere una punizione coi fiocchi, a giudicare dall’espressione del coach, che sospirò sollevato nel sentirla suonare. «Sparite dalla mia vista» esclamò serio, rivolgendo loro un segno arrendevole col capo prima di sedersi pesantemente sulla sedia. Gli studenti sfrecciarono fuori dall’aula con velocità sovrumana, provocando un ovattato chiacchiericcio in corridoio. Emma fu una degli ultimi ad uscire, prendendosi il tempo necessario per riordinare i quaderni e ricontrollare l’orario. Chimica col professor Harris, nel laboratorio del secondo piano. 

«Hey, hai bisogno di aiuto?» una voce maschile risuonò alle spalle della giovane, la quale si voltò improvvisamente, piantando il proprio sguardo serio ma allo stesso tempo curioso, nelle iridi carbone del ragazzo. Era McCall della classe di economia e probabilmente aveva notato la goffaggine con la quale tentava di aprire l’armadietto ormai da cinque minuti, ottenendo scarsi risultati. La bruna gli rivolse un timido sorriso arrendevole, facendo un passo indietro per permettergli di aiutarla. «La combinazione è tredici, sette, venti» mormorò lei, senza staccare gli occhi dalle sue mani grandi e abili. In pochi secondi, si ritrovò l’armadietto aperto. 
«Mi chiamo Scott, comunque» la informò lui, poggiandosi con una spalla contro la muraglia di armadietti chiusi. Lei si limitò a sollevare gli angoli della bocca in un sorriso discreto, sistemando i propri libri. «Emma» rispose  tranquillamente. Si era sciolta parecchio rispetto a qualche ora prima, quando sembrava volesse presentarsi alle audizioni del remake del Titanic per il ruolo della controfigura dell’iceberg.
«Lo so» ridacchiò lui, incrociando le braccia al petto muscoloso e ampio. Perché tutti rispondevano in quel modo incredibilmente inquietante?
«Chissà perché me lo aspettavo» sospirò lei, scuotendo appena il capo dopo avergli rivolto un’occhiata di sfuggita. Sembrava un tipo a posto, nonostante tutto. 
«Beacon Hills è più piccola di quanto credi» si giustificò lui, stringendosi nelle larghe spalle fasciate dalla felpa grigia col cappuccio che indossava.
«E voi siete tutti molto curiosi» aggiunse, alzando un sopracciglio e arricciando il naso sottile e leggermente all’insù. Sperò di non risultare troppo diretta o addirittura arrogante, le piaceva Scott e non le sarebbe dispiaciuto farsi qualche amico frequentante i propri corsi.
«Emma» una voce abbastanza familiare catturò la propria attenzione. «Emma» ripeté Valerie, intromettendosi involontariamente nella conversazione. «Ciao!» Sorrise allegramente, dondolandosi sui talloni prima di lanciare un’occhiata incuriosita a Scott. 
«Scott.. Vi conoscete?» domandò subito, assumendo un’espressione confusa. Lui si limitò ad annuire, controllando l’orologio al polso sinistro.
«È nella mia classe di economia e aveva bisogno di una mano con l’armadietto» le disse sbrigativo, iniziando a guardarsi attorno, quasi come se stesse cercando qualcuno che sarebbe già dovuto essere arrivato.
«Ah, i vecchi armadietti. Giocano sempre qualche brutto scherzo ai nuovi arrivati. Basta solo prenderci un po’ la mano» Valerie aveva l’aria di essere una tipa sempre allegra e sorridente ed Emma era convinta che sarebbero andate molto d’accordo. Le piaceva circondarsi di persone solari ed altruiste. 
«Scott, Valerie.. Hey, ma lei è quella nuova, quella di cui tutti parlano» 
Ed ecco anche Stilinski, il bersaglio preferito del coach. Il giovane dagli occhi dolci, il naso alla francese e l’espressione buffa si avvicinò al gruppetto, osservando per qualche secondo Emma, prima di beccarsi una gomitata nel fianco da parte di Valerie. «Ahia! Che c'è?!» 
«Scusalo, Stiles spesso scorda di collegare la bocca al cervello» si scusò lei, rivolgendo al soggetto in questione un’occhiata prettamente sarcastica. 
«Intendevo dire che… Piacere, Stiles» biascicò correggendosi, grattandosi la nuca, imbarazzato. Emma liberò una risata sincera nell’aria, chiudendo l’armadietto con delicatezza prima di stringersi nelle spalle. «Non fa niente, Stiles. Io sono Emma» replicò lei, sistemandosi la borsa a tracolla sulla spalla destra.
«Vieni a pranzo con noi?» domandò Valerie, prendendola sottobraccio prima che potesse replicare. «Lo prendo come un sì» continuò, ridacchiando sotto i baffi. 
Gli ampi corridoi pullulavano di studenti, nonostante Emma si aspettasse di trovarli tutti in sala mensa, la maggior parte di loro preferiva passare la prima metà della pausa pranzo fuori a fumare o per i corridoi a chiacchierare, lontani da occhi indiscreti, o almeno così le aveva detto Scott durante quel breve tragitto. Valerie sembrava essere parecchio popolare e dopo averla presentata a qualche membro della squadra di lacrosse, prese posto affianco ad un giovane dai capelli castani e disordinati, un paio d’occhi azzurri grigiastri e un sorriso mozzafiato. Emma si accomodò con loro, seguita da Scott e Stiles che non la smettevano di bisbigliare tra loro e a giudicare dall’espressione di quest’ultimo, qualcosa doveva preoccuparli parecchio. 
«Isaac, lei è Emma Walker. Emma, lui è Isaac Lahey» li presentò Valerie, lanciando un’occhiata confusa a Stiles. Probabilmente aveva notato anche lei il comportamento particolarmente ambiguo dei due migliori amici. 
«E così sei tu la nuova. Da dove vieni?» le chiese con una smorfia simile ad un sorriso un po’ intimidito.
«Portland» rispose Emma, incrociando le braccia sul tavolo, scansando qualche centimetro più avanti il vassoio blu scuro.
«Quindi sei abituata al caos» constatò automaticamente lui, giocherellando col picciolo di una mela dal colore verde brillante. Il suo respiro regolare e la sua voce calda e profonda la mettevano a totalmente a proprio agio. 
«È un po’ difficile ambientarsi in una cittadina così piccola» ammise lei, che in un mese era uscita solo un paio di volte da casa. «Ma non impossibile» aggiunse, non volendo risultare troppo pessimista. 
Lui annuì, masticando lentamente e con disinteresse una foglia di insalata, limitandosi a rivolgerle qualche occhiata solo se necessario. Sembrava la stesse studiando per stabilire se gli piacesse o meno. Doveva essere un tipo molto chiuso e riservato, lo si vedeva dal modo in cui manteneva la testa bassa e lo sguardo altrove la maggior parte del tempo. 
«Dove vi siete trasferiti tu e la tua famiglia?» La voce di Valerie interruppe il breve silenzio di riflessione. 
«Oh» esclamò Emma, un po’ sorpresa. Abbozzò un sorriso disinvolto e afferrò la bottiglietta d’acqua, aprendola senza alcuno sforzo. «Vivo con mio padre a meno di un chilometro dal confine con il bosco» spiegò ai presenti, incuriositi. Aveva catturato anche l’attenzione di Scott e Stiles. 
«E tua madre dov’è?» chiese innocentemente Stiles, prontamente fulminato dallo sguardo di Scott. 
«È morta quando avevo sei anni» mormorò, abbassando le iridi scure sul vassoio per pochi istanti. 
«Stiles» lo riprese duramente Valerie, portandosi una mano sulla fronte prima di lasciarsi sfuggire un sospiro profondo. 
«Mi dispiace, io-» balbettò il castano, visibilmente mortificato. «Oh cielo».
«Stiles, va tutto bene. Avevo solo sei anni, mi ricordo poco e niente. Tutto quello che ho sono delle foto e qualche filmato. La ferita ha smesso di bruciare qualche tempo fa». Tentò di tranquillizzarlo, non poteva sapere, la sua curiosità non meritava di essere punita in alcun modo. Le bastava specchiarsi nei suoi grandi occhi nocciola per capire che fosse totalmente in buona fede e non intendesse risultare un ficcanaso. 
«Allora, quali erano i tuoi hobby a Portland?» s’intromise Scott, masticando un paio di rigatoni al sugo ormai incollati tra loro. 
«Per anni ho frequentato un corso di ginnastica artistica» spiegò gesticolando, specchiandosi negli occhi scuri del ragazzo. «Mi piace anche disegnare. E tu invece?»
Stiles tossicchiò, avvicinandosi col busto al tavolo. «Scott va a caccia di cervi nel bosco» mormorò come se fosse un segreto compromettente, sollevando un sopracciglio prima di accennare un sorrisetto malvagio. Emma corrugò la fronte, guardando entrambi negli occhi con fare un po’ titubante. «Davvero?»
«Certo che no» replicò frettolosamente Scott, fulminando l’amico con lo sguardo. «A Stiles piace scherzare» affermò con un ghigno un po’ tirato. Quest’ultimo, in tutta risposta, gli lanciò un bacio in maniera forzatamente effeminata, lanciandoglielo persino con la mano. 
«Oh, falla finita» lo ammonì il moro con una risata. 
«A me piacciono la recitazione e la musica» s’infilò nel discorso Valerie, mordicchiando il tappo della penna con la quale aveva iniziato a scribacchiare delle cose sul proprio diario personale. 
«A chi non piace la musica?» ribatté la bruna, stringendosi nelle spalle nell’osservare con disgusto la poltiglia di pasta presente nel proprio piatto. Le cuoche probabilmente erano peggiori persino di quelle della vecchia scuola, il che non la rincuorava affatto. 
«A me» ammise Isaac, sollevando una mano con estrema lentezza, attirando gli occhi dei presenti tutti su di sé. «Che c’è?»
«Fai sul serio?» chiese Valerie, sollevando finalmente lo sguardo da quelle pagine piene d’inchiostro. Rimase con la penna sospesa a mezz’aria, l’espressione interdetta e lo sguardo disorientato. 
«Che c’è di strano?» replicò sulla difensiva, accennando un’espressione disinteressata nel guardarsi intorno. «Sai a quanti di loro non piacerà la musica?» continuò, osservando scrupolosamente ogni individuo che fosse seduto al tavolo dietro il loro.
«A nessuno, idiota. Fanno tutti quanti parte del coro» esclamò Stiles scuotendo il capo con divertimento. 
«Fa lo stesso, a me non piace» borbottò frettolosamente, sbuffando. Il cipiglio formatosi sul suo volto pallido fece ridacchiare Emma, che era rimasta in silenzio ad ascoltare. Erano stati in grado di farla sentire a proprio agio senza neanche rendersene conto. 
«Sei strano» commentò Valerie, arricciando le labbra rossastre dopo aver richiuso il diario e averlo scansato per poter mangiare il proprio pranzo. Stiles allungò curiosamente una mano verso l’agenda della mora, prendendola tra le mani prima di sfogliare con innocenza mancata la prima pagina. 
«Che stai facendo?!» gracchiò lei, strappandogli l’oggetto dalle mani. «Non lo sai che i diari sono privati?»
Lui le rivolse un’occhiata disorientata e prima che potesse replicare, Scott lo precedette. 
«Ho saputo che ci sarà un nuovo coach» masticò le parole assieme alla pasta al sugo ancora presente nel piatto. «Secondo voi quanto dura Finstock fuori dal campo?» 
«Due ore?» rispose retorica Valerie, bevendo un sorso d’acqua dalla bottiglietta di Stiles. 
«Hey, quella era mia» la sgridò lui, puntandole contro l’indice. 
«Adesso è mia» esclamò con un sorriso appagato lei, sollevando le spalle prima di dedicarsi alla porzione d’insalata.
«Scommettiamo sull’identità del supplente del coach?» propose entusiasta Scott, guardandosi attorno per verificare chi fosse d’accordo. Nessuno rispose. Le sue ultime speranze andarono tutte su Stiles. «Non guardare me, non ho un soldo» replicò lui, sollevando entrambe le braccia come a non volersi immischiare nei suoi affari. 




Hello there!
Eccomi qui alle prese con la mia prima fanfiction dedicata ad uno degli show che più adoro in assoluto. Questo primo capitolo fa da introduzione, una breve presentazione dei personaggi principali, che si troveranno ad affrontare difficoltà e a condividere momenti importanti e toccanti. Spero di ricevere qualche parere da parte vostra, i consigli sono sempre ben accetti!
Senza dilungarmi troppo, vi auguro una buona giornata. Al prossimo capitolo! 
–    uhstilinski.
   
 
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