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Autore: Elly J    15/10/2015    0 recensioni
"Se il mondo fosse stato ancora un luogo sicuro, probabilmente mi sarei fermata. Se il virus non avesse messo in ginocchio l’umanità, probabilmente avrei pianto alla vista di quell’animale ferito e agonizzante. Ma non adesso. Non così. Non sull’orlo del baratro."
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ellie
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Disclaimer: tutti i personaggi di The Last of Us presenti in questa fan fiction non appartengono all’autrice, ma appartengono alla Naughty Dog e a chi detiene i diritti sul videogioco. Questo racconto è stato scritto per puro divertimento personale e quindi non a scopo di lucro. Di conseguenza nessun copyright è stato violato.
La trama del racconto, ispirata agli avvenimenti di The Last of Us, è stata invece ideata dall’autrice (Elly J) che quindi ne detiene il copyright, vietandone così la riproduzione altrove.
La riproduzione altrove e qualsiasi citazione è ammessa solo se l’autrice ne ha dato il consenso.
 
 
 
 
Freddo. Sento solo freddo.
Il giaccone verde militare che ho addosso sembra non scaldarmi per nulla, oltre che pesarmi sulle spalle come un macigno. Mi strofino il naso contro una spalla per riscaldarmelo e al tocco sento il tessuto della giacca bagnato. Non mi ero nemmeno accorta, ma ora capisco perché mi sembra di sentirlo più pesante.
Non so da quanto tempo sono qui, accucciata dietro questo macigno, sperduto in mezzo al bosco. Di tanto in tanto sento qualche rumore, ma quando alzo la testa oltre la mia copertura vedo solo un bosco silenzioso e ricoperto di neve, neve che sembra quasi glassa. Ma quando le mie scarpe affondano in essa provo un freddo atroce e allora la realtà mi piomba addosso. Altro che glassa.
Da quanto Joel è stato ferito all’università mentre cercavamo le Luci, circa una settimana e mezzo fa, non faccio altro che andare a caccia nei boschi. Ho provato a esplorare qualche casa abbandonata ai margini della vegetazione, ma non ho trovato nulla, se non qualche cibo in scatola scaduto e acqua ghiacciata. Per non parlare dei cadaveri putrefatti (ovviamente ancora in piedi) e della decina di clicker che ho dovuto abbattere. L’unica opzione che avevo era quella di cercare qualcosa nei boschi, qualche animale selvatico… ed è proprio quello che sto facendo, appostata da ore dietro questo macigno.
Non sento più la mano sinistra, stretta a morsa attorno all’arco da caccia. Stacco le dita dall’impugnatura e appoggio l’arma sulla neve. Lascio andare anche la corda tesa e la freccia incoccata. Ho troppo freddo. Mi posiziono le mani a ciotola davanti alla bocca e inizio a soffiare leggermente sui palmi e poi li sfrego uno contro l’altro. Dopo un po’ di tentativi sembra andare meglio.
Sento un rumore, vicino. Molto vicino.
Raccolgo in fretta l’arco e la freccia da terra e incocco. Alzo piano la testa. I miei occhi cercano avidi nel candido bianco, quando lo vedo. Un grosso, enorme cervo maschio. Sta brucando dell’erba che sbuca dalla neve a pochi metri da me.
- Ok, la mia occasione… - sussurro. Ho la faccia completamente ghiacciata.
Mi alzo lentamente, apparentemente senza fare alcun rumore. Non appena sono in piedi però, il cervo alza lo sguardo e mi vede. Ci fissiamo immobili per un attimo e poi lui si gira e scappa via.
- No, cazzo! - esclamo. Non posso assolutamente lasciarlo andare via così.
Inizio a correre nella neve, sprofondando quasi fin sopra la caviglia. Sento la neve entrarmi nelle scarpe basse, facendosi strada anche nei calzini. So che di li a pochi minuti avrò i piedi ghiacciati, ma non mi importa. Voglio quel dannato cervo.
Seguo le tracce per alcuni minuti, fino a quando non lo vedo di nuovo, intento ancora a brucare. Questa volta non ci penso troppo, incocco la freccia e prendo la mira. Entro in apnea, anche se in realtà non dovrei, e scocco la freccia. Lo colpisco, su di un fianco. Il cervo fa un verso carico di dolore e ricomincia a correre, lasciando dietro di sé una scia di sangue.
- Non mi scappi.
Lo seguo, facendo affidamento alla scia di sangue, ma nonostante questo ci metto un bel po’ prima di ritrovarlo. Quel maledetto ha parecchia resistenza. Quando lo scorgo nuovamente tra i cespugli, scappa ancora. Non so se mi abbia percepita o meno, ma accidenti, scappa ancora.
Riprendo a correre e sento che il mio corpo si sta come risvegliando. Percepisco i muscoli caldi delle gambe sotto i jeans, le braccia come le mani non sono più intorpidite e il viso inizia a scongelarsi. Ho solo il respiro leggermente affannoso, ma nonostante questo ho una buona resistenza.
Finalmente trovo il cervo, ancora vivo e grondante di sangue, sotto un albero. Lui mi vede e fa un verso che mi fa accapponare la pelle. E’ sdraiato su un fianco, con la testa leggermente alzata e rivolta verso di me. Mi fissa con una luce negli occhi che non riesco a decifrare.
Se il mondo fosse stato ancora un luogo sicuro, probabilmente mi sarei fermata. Se il virus non avesse messo in ginocchio l’umanità, probabilmente avrei pianto alla vista di quell’animale ferito e agonizzante. Ma non adesso. Non così. Non sull’orlo del baratro.
Alzo l’arco, freccia già incoccata e prendo la mira. Alla vista del mio movimento, il cervo fa un altro verso straziante. Questa volta, non provo pietà. Non riesco. Penso solo a Joel, solo a lui, ferito gravemente nello scantinato di una casa abbandonata… e soprattutto affamato. Penso a me, che devo assolutamente arrivare dalle Luci, per permettergli di creare un vaccino. Penso al mondo che forse, grazie a questo vaccino, può avere una nuova speranza.
La freccia parte, sferzando l’aria con un sibilo fastidioso, e colpisce. E uccide. Mi avvicino alla ormai carcassa del cervo ed estraggo la freccia.
Questo gioco si chiama sopravvivenza e, questa volta, ho vinto io.
  
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