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Autore: SagaFrirry    16/10/2015    1 recensioni
Seguito de "La città degli Dei", scritto nell'ormai lontano 2009. Il tempo è trascorso, i bambini sono cresciuti e molte cose sono cambiate. Una lettera misteriosa viene consegnata alle divinità. Momoia, Madre Divina, convoca a sé gli Dei. Per quale scopo? Un nuovo nemico, un nuovo Mondo e l'intreccio continua..
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'La città degli Dei'
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XXXIII

 

OLTRE LE STELLE

 

Berkana stava accoccolata all’interno dell’incavo di un albero. Accudiva la sua ultima cucciolata con amore. Era felice di essere una madre in questa nuova Era di pace. Cinque piccoli Alti le restavano accanto, emettendo strani versi. Lei ripose, con un altro verso, e sorrise. Krì stava su uno dei rami all’esterno e sorvegliava la sua famiglia, suonando il flauto, con la sua Messaggera che canticchiava. Lui e Berkana avevano avuto molti piccoli assieme. Alti, Celesti, Dèi, Angeli, Demoni, mortali… Entrambi piuttosto orgogliosi e felici, nei secoli successivi alla fine della guerra, avevano rigenerato molti creatori di varie specie.

Anche il fratello di Krì aveva seguito l’esempio e si era sposato con una giovane Dea, generando a sua volta Alti, Celesti ed altre creature.

Kavahel passò, fischiettando, con le mani in tasca e salterellando.

“Salve, Equilibrio!” lo salutò l’Alto.

“Ciao, Krì! Buon pomeriggio!”.

“Dove vai di bello?”.

“Vado a riprendere i bambini. Li ho lasciati dal nonno”.

“Vereheveil?”.

“Già…”.

“É bravo con i piccoli”.

“Sì, è vero. Tu, grande Alto…” si notava il lieve sarcasmo nella voce di Kavahel “…sai per caso dov’è la mia sorellona?”.

“Luciheday? Credo sia sull’Isola, a trovare suo padre”.

“Capisco…”.

L’Equilibrio aveva lasciato crescere i capelli, che ora erano mossi dalla lieve brezza.

Sorrise, facendo brillare gli occhi dorati.

“Oggi…è l’anniversario di quando è successo…” disse, guardando il cielo.

Krì annuì, serio: “Vero. È da quel giorno che Luciherus non lascia mai l’Isola”.

“Che vuoi farci…del resto Mihael ha preso il suo posto” commentò il Dio, continuando ad agitarsi sul posto, muovendo i piedi e le gambe.

 “Mihael è il Principe del regno dei Demoni. E Forza e Coraggio non servono in quest’Epoca di tranquillità e pace”.

“Sarà così, spero, ancora a lungo, Krì!”.

“Lo spero anch’io. Buona giornata, Kavahel”.

“Anche a te e famiglia!”.

I due si salutarono e si separarono. Kavahel aveva preso in moglie la sua corrispondente degli Universi dei Celesti, aveva avuto quattro figli, e progettava di espandere ulteriormente la famiglia.

Si allontanò con le mani in tasca, riprendendo a fischiettare quel motivetto che aveva interrotto precedentemente.

 

“Mamma!”.

Il piccolo demone corse in contro alla mamma, la Dea della Morte, chiamandola a braccia aperte.

Il Sole stava tramontando sulla spiaggia e la famigliola decise di rientrare. Marito e moglie, Vita e Morte, chiamarono a raccolta tutti i loro figli: erano davvero tanti. Luciheday ne teneva uno in braccio, dai simpatici riccioli neri, addormentato sulla sua spalla. Molti di loro presentavano tratti in comune con il nonno, Luciherus, o Kasday. Erano Angeli e Demoni, con alcuni Dèi.

“Ok! Adesso basta giocare. Bambini, venite qui!” chiamò il Dio della Vita.

“Rientriamo, prima che venga buio!” aggiunse la Dea della Morte.

Alcuni obbedirono, altri ignorarono i richiami dei genitori e continuarono a giocare. Intanto il Sole scendeva all’orizzonte, emanando una luce più forte del solito.

“Papà! Papà noi andiamo!” disse Luciheday, quando ebbe radunato la sua ciurma di eredi.

Che tramonto…si diceva Luciherus, seduto in riva al mare.

Non sentì le parole della figlia, perso nei suoi pensieri. L’acqua gli lambiva la punta dei piedi scalzi. La marea stava salendo e, nel giro di pochi minuti, si ritrovò seduto in un paio di centimetri d’acqua. Nonostante questo, il demone non si mosse.

Chissà perché continuo a stare qui…

Vereheveil, dopo la morte di Kasday, aveva capito che, in realtà, l’Alto non era morto ma lo si poteva ritrovare in ogni cosa. Nel vento, nei fiori, nel mare, in ogni essere, in ogni cosa.

Luciherus si era reso conto che fare lo stesso ragionamento a lui non bastava. Aveva bisogno di altro, non solo di sogni e profumi. Non gli importava se, nei colori di una farfalla, poteva rivedere i suoi occhi. Lui era più materialista, più possessivo, e desiderava il corpo fisico della madre di sua figlia. Nonostante il tempo passato, lui ancora ci pensava. E non si muoveva dall’Isola.

Perché avrebbe dovuto? Per fare cosa?

Mihael era Principe, la sua unica figlia era sposata, i suoi nipoti a malapena lo conoscevano.

A nulla serviva. Nessuno lo cercava. Guardò in alto, sospirando. Il buio stava avanzando rapidamente e le stelle iniziavano ad accendersi, anche quelle che aveva fra i capelli.

Sentì qualcosa salirgli ed appoggiarsi sulle ginocchia. Abbassò lo sguardo e si sentì chiamare. L’acqua aveva preso forma e, lentamente, cambiava colore. Era una donna, con le mani sulle sue ginocchia, che lo guardava con grandi occhi azzurri. Si fissarono, con aria interrogativa.

“Lucy” disse, con entusiasmo, la donna.

“Shekinah? La tua voce…”.

“Anche”.

“Kasday!”.

“Non mi hai dimenticato”.

“Come potrei?”.

Lei gli aprì le gambe e lo abbracciò.

“Lucy…sento il tuo cuore…è un suono che avevo scordato” sussurrò.

“É un sogno…è tutto un sogno…” si disse Luciherus, riprendendo a guardare le stelle.

Aveva un’aria triste. Si ostinava a guardare in alto, pur non resistendo alla tentazione di stringere a sé la donna d’acqua. Le sue lacrime si fondevano con il corpo di lei.

“Chiudi gli occhi” mormorò l’apparizione.

Il demone non ascoltò. Sorrise, percependo le urla dei suoi nipoti che giocavano, nonostante i rimproveri ed i richiami dei genitori.

“Chiudi gli occhi!” ripeté la donna, con maggior convinzione.

Il Principe la fissò: “Sei l’allucinazione più testarda e ostinata che abbia mai visto! Non li chiudo gli occhi!”.

“Uffa” si lamentò lei “Non vuoi venire con me?”.

“Con te? Dove?”.

“Ha importanza? Saremo soli, io e te. Dove non so ma…che importa? Saremo insieme!”.

Luciherus notò che, sulla testa e lungo la schiena, la donna portava un lungo velo.

“Sembri proprio una giovane sposa” commentò, a bassa voce, lui.

“Saremo insieme…non vuoi?” domandò lei, di nuovo.

“Insieme, con Kasday, di nuovo? Ah! Se fosse possibile…”.

“Ma è possibile! Non sono un’allucinazione, sai?”.

A prova di questo, lei appoggiò le mani sul petto del demone e lo baciò sulle labbra, ad occhi chiusi. “Sei tu?! Sei tu per davvero?!” esclamò Luciherus.

“Sì!” ridacchiò Kasday “Sì, sono io, stupido! La madre di tua figlia e la donna che hai amato e che ami!”.

“Amo?”.

“Sì, e che palle con questa storia che i demoni non amano!”.

“Io sono un Dio, infatti”.

“Per me sarai sempre un Arcangelo”.

“Che cosa stupida…”.

Il demone si sentiva strano, affaticato e confuso.

“Sei stanco?” gli chiese lei.

“Un po’…” ammise Luciherus.

“Allora distenditi e rilassati. Chiudi gli occhi”.

Lo spinse, delicatamente, facendolo stendere. Lui rabbrividì, sentendo l’acqua del mare sulla schiena e sulle ali. Chiuse gli occhi, sorridendo. Li riaprì con uno scatto quando scorse una luce fortissima e mille colori.

“Vieni con me” parlò Kasday, librandosi a mezz’aria.

Si presero per mano e si alzarono in volo, senza usare le ali. Erano il vento e le onde del mare a tenerli su.

“Kasday! Non correre!” esclamò il demone, notando la velocità con cui si separavano dalla terra. “Non vuoi venire con me?”.

“Sì, certo! Ma vai piano! Ho una certa età…”.

Lei era adesso come l’aria, non  più come l’acqua. Lui sentiva molto caldo. Le stelle fra i suoi capelli brillavano, fortissime, e si libravano in cielo in modo indipendente.

“Vestirai della mia luce, Luciherus! Lasciati alle spalle il buio della tristezza e del dolore, abbandona le tenebre della paura e vestiti della mia luce!”.

Il demone la guardò, fermandosi: “La tua luce?” ripeté, ricordando le parole che, tanto tempo prima, gli erano state dette da una visione.

Ricordò il figlio che non aveva avuto e che aveva visto. Vestiti della Sua luce…la luce di chi? Si era sempre chiesto. Lo aveva domandato, quella volta, senza ricevere risposta. Ora lo sapeva.

Guardò dietro di sé e si vide, disteso sulla spiaggia ad occhi chiusi, con le braccia lungo i fianchi e la marea che saliva.

“Papà!” lo stava chiamando sua figlia, Luciheday.

“Luciherus!” gridò Kasday, per riavere la sua attenzione.

“Che succede?” si allarmò lui.

“Vieni con me”.

“Che cosa succede?! Cosa sei tu? E cosa sono io? Il mio corpo è laggiù!” esclamò, indicando la spiaggia lontana, là in fondo.

“La tua essenza è la cosa importante. Il corpo è solo un involucro” spiegò lei.

“Sì ma…è il mio involucro!” piagnucolò Luciherus.

I suoi occhi erano sempre più grandi, così come sempre più forte era la sua luce.

“Vieni con me” disse Kasday, con sempre più insistenza.

“Dove?”.

“Oltre le stelle”.

“Oltre le stelle?”.

Sotto di lui vide sua figlia che, allarmata dalla mancata risposta del padre, stava andando a controllare.

“Cosa c’è oltre le stelle?” domandò il demone.

“Vieni con me a scoprirlo”.

“Io…una volta ho fatto un sogno. Avrei avuto un figlio, che avrebbe portato alla fine degli Universi, quando sarei stato in grado di andare oltre le stelle…”.

“Non ci pensare. Vieni con me”.

Lei gli andò di nuovo vicino, abbracciandolo.

“Non aprirò più gli occhi?” mormorò Luciherus, continuando a guardare in basso.

“No. In realtà tu non li hai mai aperti, se non pochi istanti fa. Ora li hai aperti”.

“Non il mio corpo…”.

“Ma la tua anima! La tua anima ha aperto gli occhi!”.

“Se io ora ti seguo…muoio?”.

“Muore il tuo corpo”.

Il demone annuì, confuso.

“Non posso obbligarti, Lucy. Se non è questo ciò che desideri…” parlò Kasday, allontanandosi “…non importa. Torna pure giù. Vivi ancora. Oppure…seguimi!”.

“Pur sapendo che, se ti seguissi, io e te avremmo un figlio che porterà alla distruzione degli Universi?! Lo vuoi veramente?!”.

“Me lo hai detto tu che sono egoista. Non mi interessa! E a te? Importa davvero?”.

Luciherus scosse il capo, sorridendo.

“Non credevo che le essenze potessero avere dei figli…”.

“Solitamente non è possibile…ma io e te possiamo fare tutto!”.

“Nostra figlia è la Dea della Morte…sono sicuro che, anche se tutto finisse, se la caverebbe assieme ai suoi figli. Del resto non mi importa niente!”.

Si ripresero per mano.

 

“Papà? Papà, và tutto bene?” domandò la Dea della Morte, avvicinandosi al padre.

“Tesoro!” chiamò il marito “Tesoro, non mi risponde!”.

“Si sente male?” si allarmò il Dio della Vita.

Ad un tratto la Dea capì: “No, papà! Papà, non seguire la luce! Non andare via! Papà!” urlò.

 

Ma Luciherus si stava allontanando velocemente, dimenticando tutto.

“Perché ci hai messo tanto per venirmi a prendere, Kasday?” chiese il demone.

“Speravo trovassi un motivo per cui vivere…” ammise lei, mentre avanzavano verso l’alto, mano nella mano.

“Da quel giorno, da quando ti ho visto morire, ho capito il tuo desiderio di porre fine alla tua vita. Non lo avrei mai creduto possibile”.

“Non pensarci più!”.

Ora entrambi splendevano molto più del solito. I loro capelli si allungarono a dismisura, mutando colore. Non erano più corvini o scuri, ma di pura luce. Risero, solleticati.

“Vestirò della tua luce, oltre le stelle!” esclamò Luciherus.

Si abbracciarono, baciandosi, fondendosi insieme in un unico corpo luminoso.

 

Kavahel e Vereheveil guardavano le stelle. Notarono subito la nuova, appena apparsa, e più luminosa delle altre. Entrambi sorrisero, percependo la gioia che emetteva.

 

FINE

 

Settembre 2009

 

 

Ebbene sì, questa seconda parte è terminata! Ci sarebbe anche la terza...qualcuno ha resistito ed è riuscito a leggere fin qui? :P qualcuno vuole la terza (ed ultima) parte? Ad ogni modo, vi ringrazio per aver seguito questa storia. Spero l’abbiate trovata interessante!

   
 
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