Storie originali > Storico
Segui la storia  |       
Autore: Adeia Di Elferas    18/10/2015    2 recensioni
Caterina Sforza, nota come la Leonessa di Romagna, venne alla luce a Milano, nel 1463. Si distinse fin da bambina per la sua propensione al comando e alle armi, dando prova di grande prontezza di spirito e di indomito coraggio.
Bella, istruita, intelligente, abile politica e fiera guerriera, Caterina passò alla storia non solo come grande donna, ma anche come madre di Giovanni dalle Bande Nere.
La sua vita fu così mirabolante e piena di azione che ella stessa - a quanto pare - sul letto di morte confessò ad un frate: "Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo..."
[STORIA NON ANCORA REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Rinascimento
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~~ Caterina apprese della morte di Cicco Simonetta quasi per caso. Ne aveva sentito parlare due dignitari romani, in visita alla corte papale e così era rimasta in ascolto.
 Sempre dalle labbra dei due chiacchieroni, aveva appreso, non senza sorpresa, che sua madre Bona, così si diceva, aveva intrapreso una relazione più o meno clandestina con Antonio Tassino, dal quale poi era stata messa in guardia dal cognato.
 E poi la stessa Bona era stata imprigionata, affinché la reggenza venisse lasciata completamente nelle mani di Ludovico.
 Quelle notizie la fecero sentire più in colpa di quel che avrebbe creduto. In qualche modo era stata lei stessa a convincere sua madre Bona a fidarsi del cognato Ludovico e così facendo l'aveva condannata una volta per tutte.
 Aveva anche sentito dire che i suoi fratelli stavano bene, per il momento, ma Caterina era abbastanza sveglia da capire che il loro destino era appeso a un filo molto esile.
 Improvvisamente, Caterina smise di chiedere al marito e al papa il permesso di andare a Milano. I due uomini imputarono questa sua resa alla frustrazione di sentirsi sempre negare il permesso, mentre Caterina aveva smesso di chiedere perchè ora che sua madre era nelle mani di Ludovico, non si fidava a tornare a casa.
 Manteneva solo qualche contatto con Lucrezia, alla quale scriveva, però, sempre più di rado e di temi sempre più generici, dilungandosi un po' di più solo quando raccontava i progressi dei figli.
 
 Caterina era signora di Imola da più di tre anni e signora di Forlì da più di sei mesi, eppure dal suo arrivo nel maggio del '77 non si era più mossa da Roma.
 “Dobbiamo andare, non lo capisci?” disse a Girolamo, tenendo le braccia incrociate sul petto.
 “Non ho intenzione di andare a Forlì. Non ne vedo la necessità. E poi ci saranno di sicuro malcontenti e magari qualche pazzo che tenterà di uccidermi...” rifiutò Girolamo, agitando la mano come se stesse scacciando una mosca.
 “Non ti rendi conto che più aspettiamo più sarà difficile essere amati dal popolo?” lo riprese Caterina, mentre il marito la fissava con gli occhi smarriti: “Gli Ordelaffi non era amati, ma noi dobbiamo essere rapidi a prendere il loro posto e a fare riforme, o penseranno che i loro signori hanno cambiato nome, ma non sostanza!”
 Girolamo si passò una mano tra i bellissimi capelli ricci e fece un profondo sospiro: “La trovo una cosa azzardata. Soprattutto visto il tuo stato...!” esclamò, indicando il ventre della moglie.
 “Non usare la mia gravidanza come scusa!” si alterò Caterina.
 Per la terza volta era incinta e questa volta, secondo i suo calcoli, avrebbe dato alla luce un figlio in ottobre. Era solo primavera, dunque avevano tutto il tempo di fare il viaggio, in modo da fare nascere quel bambino nella loro città, coinvolgendo in un lieto evento tutta la popolazione.
 “Ma... Io...” farfugliò Girolamo, le dita affusolate che tormentavano il bordo del giustacuore di velluto.
 “Dobbiamo partire il prima possibile, dillo anche a tuo zio. Fai preparare tutto. Abbiamo già aspettato abbastanza.” concluse Caterina, categorica.
 Girolamo boccheggiò un paio di volte, poi si raddrizzò e annuì: “Vado a dire a Sua Santità che ho deciso di partire per Forlì.”
 Caterina non commentò il modo in cui il marito si era espresso e, appena fu sola, si mise seduta.
 Si accarezzò l'addome. Quasi non ricordava com'era, non essere incinta. Pareva che la sorte la volesse madre di un esercito di figli, anche se, come le altre volte, non tentava in alcun modo di riguardarsi durante la gestazione.
 Aveva tergiversato anche troppo, con la storia di Forlì. Imola era diversa. Sapeva per certo che ancora parlavano di lei e la popolazione si stava dimostrando abbastanza pacifica e incline a seguire le leggi e le regole, benché i loro signori fossero lontani.
 Forlì, invece, usciva da un periodo turbolento e il modo in cui il papa aveva sollevato gli Ordelaffi dal loro incarico aveva suscitato non poche domande.
 Se volevano avere una speranza, dovevano presentarsi il prima possibile in città e dimostrarsi aperti e privi di timori nei confronti dei loro nuovi sudditi.
 Caterina smise di accarezzarsi il ventre e recuperò uno dei libri di appunti che aveva scritto quando ancora era a Milano. Uno dei soldati le aveva parlato di un suo conoscente che era di Forlì... Doveva andare a leggere il nome e una volta in città doveva cercarlo. Avrebbe avuto subito un amico e quindi tutto sarebbe stato più facile...
 
 Gli stendardi dei Riario e quelli degli Sforza precedettero di quasi otto giorni Caterina e Girolamo.
 Assieme alle bandiere e agli araldi, entrarono in Forlì decine e decine di muli con cibo, bagagli, denaro e preziosi di ogni tipo.
 Il popolo cominciava a sobbollire e tutti si recavano famelici da Andrea Bernardi, detto Novacula, visto che col suo lavoro di barbiere portava sempre con sé il rasoio, nella speranza di saperne qualcosa di più.
 Il Novacula era un barbiere, sì, ma soprattutto lui si sentiva uno storico. Da anni ormai redigeva una sorta di diario della città, in cui annotava in modo minuzioso tutti gli avvenimenti degni di nota e, prima che i fatti diventassero storia cittadina, si impeganava a raccogliere tutti i pettegolezzi del caso.
 Anche quella volta, Bernardi lavorava in modo frenetico da giorni, pur senza troppo successo, visto che, a parte qualche notizia ufficiale, di questi nuovi signori si sapeva poco nulla.
 “Lui è nipote del papa e dicono sia proprio un bel giovane.” dicevano di Girolamo Riario.
 “Lei è bellissima, capelli d'oro e occhi di un verde meraviglioso! E a Milano tutti l'adoravano!” dicevano di Caterina Sforza.
 Ma più di queste frivolezze, nulla.
 Il Novacula smaniava dalla voglia di sapere qualcosa di più preciso, ma il corteo che precedeva i Riario era formato da uomini e donne poco inclini a parlare dei loro padroni e quindi nella bottega del barbiere-storico non si faceva altro che ripetere sempre e solo le stesse mezza frasi trite e ritrite.
 Dopo i muli e gli araldi, arrivarono in città i servitori, così tanti da far pensare ai Forlivesi che i nuovi signori si sarebbero fermati a lungo, o forse per sempre.
 Assieme ai servi, arrivarono le balie, che portavano con loro due meravigliosi bambini, due maschietti, di uno e due anni circa, biondissimi e sorridenti, raggianti davanti alla folla che li accolse con due sentimenti contrastanti in animo. Da un lato quei piccoli erano una gioia per gli occhi, affabili, solari e incredibilmente belli. Dall'altro in molti si fecero domande su Caterina Sforza.
 Quale madre avrebbe lasciato i due figli piccoli nelle mani delle nutrici in un viaggio così impegnativo e per così tanto tempo?
 Dopo i servi, le nutrici e i figli, arrivò anche una squadra di architetti e esperti muratori, inviati, si vociferava, da Caterina Sforza in persona, che voleva essere informata subito al suo arrivo circa lo stato della Rocca di Ravaldino.
 Appena arrivati, quei costruttori, cominciarono a innalzare palizzate e impalcature e uno di loro, necessitando un barbiere, si lasciò sfuggire, proprio nella bottega del Novacula, che era stata la signora a voler rinforzare la Rocca immediatamente, perchè lei di architettura e difesa militare ne sapeva mille volte più del marito e aveva capito, guardando solo le mappe, che quella rocchetta sarebbe stata perfetta in caso di assedio.
 “Una seconda roccaforte dentro alla prima.” spiegava il giorno successivo Bernardi, con tono saggio a tutti quelli che andavano a chiedere novità: “E vuole mettere dei nuovi rivellini. E una cittadella. Vuole che sia inespugnabile, cari miei! Inespugnabile!”
 “Oh che è? Vuole trascinarci in qualche guerra?” chiedeva allora il cliente di passaggio.
 “Ma che guerra e guerra!” esclamava Novacula, come se sapesse meglio di chiunque altro come andavano gli affari del mondo: “Lo fa solo per precauzione, perchè ha intelletto, non come voi!”
 “Mah...” diceva allora qualcun altro: “Dai miei conti quella ha diciotto anni, ed è una femmina. Che ne può sapere lei di rivellini e cittadelle...”
 “Ne sa, ne sa.” assicurava il Novacula, fidandosi ciecamente di quello che aveva sentito dire dagli architetti.
 
 “Ma vi rendete conto?” chiese Girolamo, gli occhi fuori dalle orbite e le mani strette attorno alle redini del cavallo: “Un incendio! Al palazzo comunale! E solo perchè hanno annunciato il mio arrivo!”
 Caterina avrebbe evitato di far sapere quel dettaglio al marito, se solo il messaggero fosse andato prima da lei, invece di correre subito da Girolamo.
 “Non possiamo tirarci indietro adesso che siamo a poche ore da Forlì.” disse lei, lapidaria: “E poi si è trattato di un caso, non siate superstizioso.”
 Come sempre, quando avevano testimoni, cercava di limitare l'ostilità della sua voce e dava al marito del 'voi', cosa che in privato non aveva più fatto da quando l'aveva minacciato col pugnale, perchè lui aveva cercato di picchiarla.
 “Non è un caso.” si ostinò Girolamo, la fronte bagnata di sudore e il pomo d'Adamo che saliva e scendeva come un galleggiante: “Io me ne torno a Roma, non voglio stare là nemmeno un minuto. L'avevo detto che era una pessima idea.”
 La scorta aspettava un ordine definitivo, mentre il sole cocente dell'estate bolliva le teste di tutti loro. Indossavano gli abiti più ricchi e sfarzosi che possedevano, ma il velluto e i mantelli larghi non erano il massimo, con quelle temperature.
 Caterina era l'unica ad aver indossato un vestito un po' leggero, eppure anche lei era esasperata dal caldo. Tutti i suoi piani di affrontare il viaggio con temperature miti erano sfumati per colpa dei continui rinvii di suo marito.
 “Vorranno ucciderci, lo so, e quando arriveremo ci saranno deisordini e attenteranno alla mia vita...” continuava a lamentarsi Girolamo, piagnucolando come un bambino.
 “Quindi dobbiamo essere ancor più veloci. Se ci saranno rivolte, dovremo essere lì per sedarle.” lo contraddisse Caterina, sempre più spazientita.
 “Voi siete pazza...! Non lo capite che potrebbero ucciderci?!” fece Girolamo, isterico.
 “I nostri figli sono già in città.” gli ricordò Caterina, che aveva mandato avanti i figli proprio per avere un'arma di ricatto: “Se noi non ci faremo vedere, di certo se la prenderanno con loro.”
 Girolamo deglutì rumorosamente e fissò a lungo la moglie. Tutti i presenti erano in silenzio, aspettando che il loro signore si risolvesse a dare un ordine preciso.
 “In più – proseguì Caterina – ho sentito gli astrologi e dicono che non c'è nessun cattivo presagio nell'incendio, anzi.”
 A quel punto Girolamo chiese: “Davvero...?” e in quel momento le parve un bambino spaventato che chiedeva con ansia se era vero che i mostri non esistevano.
 Caterina aveva previsto una simile reazione, e così, appena aveva saputo dell'incendio, mentre suo marito ancora parlava con il messaggero, aveva chiamato a sé gli astrologi e, sotto minaccia di morte, li aveva convinti a mentire di fronte a Girolamo, in caso di necessità.
 “Ma un incendio è un presagio nefasto, mia signora! Uno dei peggiori!” si era lamentato uno degli astrologi.
 “E voi invece direte che è il più positivo dei segnali, se volete avere ancora la testa attaccata al collo questa sera!” aveva ribattuto lei, assicurandosi così anche l'appoggio incondizionato degli astri.
 “Chiamate il capo degli astrologi.” ordinò Caterina, desiderosa di chiudere in fretta l'incidente.
 Il capo degli astrologi pareva teso, ma recitò la sua parte alla parfezione, così Girolamo si rincuorò e acconsentì a riprendere la marcia.
 Caterina era ancora molto nervosa. Avevano affrontato il viaggio durante una delle estati più calde che ricordava. Il suo ventre, gravido di quasi sette mesi era ingombrante e rendeva sempre più difficile stare a cavallo. Suo marito non faceva altro che ostacolarla e anche i segni del destino parevano tutti contro di lei.
 Attendeva con trepidazione l'entrata in città, perchè sapeva che dall'accoglienza avrebbe capito che tipo di popolazione era quella di Forlì.
 Sarebbe stata come quella di Imola? Accogliente e disposta a conoscere prima di criticare?
 Oppure rigida e diffidente come quella di Milano, incline ad apprezzare solo dopo una profonda conoscenza?
 Dagli informatori, sapeva che a Forlì c'erano grandi aspettative nei confronti suoi e di suo marito e lei ricambiava quel sentimento.
 Mentre il suo cavallo si scrollava di dosso qualche mosca, Caterina intravide per la prima volta, in lontananza, la città di Forlì. Sentì il cuore riempirsi di aspettativa e attesa e cercò di tenere a mente tutto quello che aveva imparato negli anni, perchè lì, finalmente, avrebbe potuto cominciare da zero.
 
 
 

 
 

 

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Storico / Vai alla pagina dell'autore: Adeia Di Elferas