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Autore: flyingangel    18/10/2015    1 recensioni
Quattro voci. Una coppia. Una ragazza. Un ragazzo. Nel mezzo della distruzione del mondo.
Genere: Drammatico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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PROLOGO

“Cassie!” una voce la raggiunse da una distanza che non seppe misurare. I suoi occhi roteavano, dalle pupille l’immagine del fuoco.

“Signora Denton, mi risponda!” la stessa voce questa volta parlò con rabbia e indignazione. Voleva semplicemente essere ascoltata.

Cassie deglutì e prese in mano il ricevitore, tremando. “S-sì. La ricevo, comandante Folk”.

Dall’altra parte arrivò un mormorio di assenso, ma la voce sembrava ancora arrabbiata. “Che sta facendo?”

Cassie non rispose nemmeno questa volta. Lasciò cadere la mano che teneva il ricevitore, lungo il fianco.

Per un attimo, le era sembrato di sentire suo marito chiamarla. Cassie, le diceva il giorno prima, tutto andrà bene, te lo prometto. Tutto andrà bene.

E invece Cassie era lì da sola, non riusciva a vedere nessun altro in quel polverone di cenere, fumo e fuoco. La terra era diventata nera: carbone e spazzatura ammucchiati assieme. Guardò i suoi passi, rimanere sulla superficie di quel massacro. Le impronte che lasciava. Il suo viso si rabbuiò, la sua constante speranza di trovare qualcuno in vita, ora stava solo svanendo.

“Signora Denton!” il comandante Folk continuava a chiamare il suo nome, aspettando che lei si decidesse a rispondergli.

“Sto bene” mormorò Cassie, poi disse ancora: “Sto bene comandante, passo e chiudo”.

Il comandante Folk guardò il suo ricevitore, confuso e preoccupato.

Cassie fece un altro passo tra le macerie. Allungò un braccio verso terra, toccando un mucchio di cenere. Ricordava l’odio che provava per il minimo accenno di polvere, sul pavimento di casa sua. Casa sua. Quel mondo che aveva costruito con tanta fatica, speranza. Esisteva ancora, da qualche parte?

Mosse il piede, pestando qualcosa di vivo. Arretrò immediatamente, con un balzo. Una smorfia le pitturò il viso; cercò di trattenere un conato di vomito, avanzando verso l’illusione del mondo in cui, fino a poco tempo fa, abitava.

Cartapesta, quello stesso rumore sbriciolato. Tenne gli occhi fissi a terra, quasi ossessivamente volesse far comparire qualcuno, persino un cadavere, a dimostrarle che non era impazzita del tutto. Cartapesta. Alzò il capo, il cuore martellante nel petto danzò a ritmo delle sue gambe gonfie. Corse, finchè il suo fiato non divenne incerto. Si fermò, tornando a respirare. Appoggiò le mani sulle ginocchia, e rilassò il collo, piegandolo contro di esse. Ancora un attimo. Avrebbe voluto urlare al comandante Folk che tutti erano vivi, tutti compresi suo marito e suo figlio. Che lei era viva, che era felice, perchè avrebbe riavuto tutto ciò per cui aveva lottato in quei trent’anni. Anni che sembravano una sciocchezza, passati a sognare ad occhi aperti, su un materialismo che ora era svanito. Ondeggiò, perdendo l’equilibrio. Il fetore di carne e sangue invase le sue vie respiratorie. Si ubriacò di quello, finchè non irruppe a terra. Si concentrò su qualcosa di bello, ma nulla veniva alla sua memoria. Si rialzò, appoggiando le mani su cumuli di maleodorante massa informe. Ancora carne e sangue. Le bastò uno sguardo, per illudersi di averlo visto. Robert!

Ma suonava più come una voce chiusa nella sua mente.

“Robert!” si decise ad urlare, con quanto fiato avesse in gola. Ripetè il suo nome ancora una volta, arrancando verso di lui. La forma del suo corpo atletico, le sue spalle forti, i suoi occhi color del mare e quella bocca che le mancava tanto, nonostante ci fosse stata lontana un paio d’ore.

“Tesoro, credevo fossi morto!” esclamò, stringendolo a sé. Affondò il naso tra i suoi vestiti sporchi e fradici e strappati. Solo allora guardò la sua espressione vuota, persa.

“Robert?” quella che ora sembrava una domanda, era tutto ciò rimasto della loro relazione. Era suo marito, dannazione! Perchè la guardava come se non sapesse chi diavolo fosse?

“Cassie!” urlò la voce del comandante Folk dal ricevitore. Lo sentì forte e chiaro, ma non rispose. Un suono metallico indicò che la comunicazione si stava perdendo di nuovo. Ciò che le premeva, era riavere l’uomo che aveva conosciuto dieci anni fa. Quell’uomo rigido, che a volte sapeva essere dolce come lo zucchero.

“Cassie?” mormorò Robert, muovendo appena le mani che tenevano Cassie stretta a lui. Quest’ultima si ricompose.

Si fermò sul suo volto irrigidito. Tutto diventò uniforme. Lui, Robert, la guardava esattamente come se non sapesse chi fosse. Quei dieci anni buttati, quell’amore avvolto in una nuvola che ora era diventata una coltre di fumo. Tossì, si era dimenticata che stava respirando quel fetore. Si portò una mano a coprirsi la bocca, e nonostante questo, mormorò quelle parole: “Ti amo, Robert”.

Lui non capì, cucendo gli occhi in un espressione distorta. Aveva una bella ferita alla fronte, il sangue penzolava sulla mandibola. “Sei ferito…” mormorò Cassie, toccandogli la pelle.

Lui rabbrividì in un frammento d’istante. “Io… non capisco” fu tutto ciò che disse.

Cassie sentì un rumore di passi. Si voltò a coglierne la distanza, non erano molto lontani. Tenne la mano di Robert per quello che sembrava un momento d’eternità, poi la lasciò e incontrò un gruppo di ufficiali dell’esercito.

“Robert ha perso la memoria!” urlò, arrabbiata, triste, con quelle stupide lacrime che non la abbandonavano, ora che sapeva che tutto era perduto, per sempre.

Un ufficiale le lanciò un’occhiata, dall’alto in basso. “Signora, si calmi, per favore”.

“Come può dirmi una cosa simile?” Cassie sbraitava, lo stesso tono che usavano i suoi cani, quando li lasciava e chiudeva il cancello di casa.

Poi il cuore di Cassie si fermò, e lo vide. Il suo piccolo dono di otto anni, con il viso disilluso, estremamente provato. Cassie si morse le labbra, finchè non sanguinarono e allungò una mano tremante per toccargli la sua testa bionda, innocente.

“Colin” sussurrò, quel tipo di amore che va solo sussurrato, troppo segreto per conservarlo in un altro modo, troppo profondo per essere aperto ai più.

Ma suo figlio dopo averle sorriso, non rispose allo stesso modo. Occhi negli occhi, quegli stessi che nelle sere più gelide le domandavano un abbraccio quasi come se fosse ossigeno da cui traspirare la vita; Colin non corse verso di lei. Si chinò, a raccogliere qualcosa che per l’espressione che aveva, doveva essere di fondamentale importanza.

Cassie sorrise, il suo bambino era vivo. Così come lo era lei. Doveva considerarlo un segno del destino? La sua famiglia era riunita. Avrebbe solo dovuto capire cos’era successo alla memoria di Robert, e forse era tutto risolvibile nel giro di poco tempo. Molte persone soffrivano di black-out mentali, o dopo incidenti quasi mortali. Però poi, alcuni di loro riacquistavano la memoria gradualmente.

Sarebbe stato lo stesso per Robert. Forse non era tutto perduto, come aveva immaginato.“Colin, stai bene?” gli chiese, allungando una mano a cercare la sua.

Poi Colin si rialzò, gli stessi occhi di prima che la fissavano, imbracciando un fucile.

  
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