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Autore: Ranyadel    18/10/2015    1 recensioni
Quando incrociò il mio sguardo, sembrò incassare leggermente la testa nelle spalle e sollevò un angolo della bocca in un minuscolo sorriso. Quanto poteva essere… cucciolo?!
Ecco, era un cucciolo. Avevo deciso.
***
“Oh, Coralie ha una capacità particolare. Sa leggere gli occhi come nessuno” disse Carol.
***
“So… so capire come sono fatte le persone solo guardandole negli occhi e osservando come si muovono” dissi a bassa voce. “Ti psicanalizza con uno sguardo” Fece Manuela ridacchiando. Luke mi guardò sorpreso. “Sarei curioso di provare.”
***
"Di solito le persone hanno paura."
"Di cosa?"
"Di sé stesse."
***
"Vieni con me."
"Eh?"
"Coco, vieni con me. Venite con me, tutte quante."
"Ma io non..."
"Ti ho promesso che ti sarei stato vicino, e ormai dovresti aver capito che mantengo sempre le mie promesse."
***
"È che ho troppi fantasmi alle mie spalle e mostri nella mia testa per poter essere davvero felice."
"Oh, ma li vedo."
***
Una ragazza particolare, che sa leggere gli occhi.
Coralie.
Un ragazzo speciale, con occhi che la catturano e la intrigano, così semplici da leggere e allo stesso tempo così complessi da capire.
Luke.
Un amore nato da sguardi e gesti.
***
trailer: https://www.youtube.com/watch?v=nPR1CdGLUV8
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Nuovo personaggio, Sorpresa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Armor.

“Coco?”

“Sì?”

“Ti capita mai di tenerti qualcosa dentro, qualcosa che vorresti gridare al mondo ma hai paura di sapere come potrebbe reagire?” mi chiese Luke. Io trasalii impercettibilmente, prima di annuire. “E cosa fai, quando non riesci più a tenerlo dentro?” mi chiese di nuovo. Io feci spallucce. “Diventa inchiostro su un foglio bianco” dissi io. “Quante pagine hai scritto, così?”

“Tante. Circa sette quaderni di sfoghi.”

“E dopo ti senti meglio?”

“Non del tutto… rimane sempre qualcosa, di cui non riesci a liberarti” risposi. Luke rimase in silenzio un attimo. “Che ne dici se adesso lo urliamo al mondo?” mi domandò poi. Io annuii e ci alzammo. Sapevo già cosa volevo urlare: quanto mi mancava mia sorella, quanto sentivo un pezzo di cuore sbriciolato da quando non mi aveva riconosciuta. Volevo gridare tutto questo, ma avevo bisogno di trovare le parole giuste. Alla fine, mi sporsi, presi fiato e urlai semplicemente: “Mi manchi, Emma!”

Luke mi guardò e mi strinse una mano. “Questo volevo dirlo da un po’. Ma non ne ho mai trovato il coraggio.” Si sporse, fece per prendere fiato… ma si bloccò. Sembrava paralizzato.

“Oh, al diavolo questa idea!” sbottò poi, avvicinandosi a me. “Devo dirti la verità, questa recita mi sta facendo impazzire.”

“Di cosa stai parlando?”

“Non significhi nulla per me, Coralie. Te l’ho fatto credere per non cacciarmi nei guai con le tue amiche, anzi, i mastini. La verità è che sono innamorato perso di una ragazza che non conosci. Si chiama Diana ed è bellissima, intelligente, simpatica, divertente… mille volte migliore di te. Vorrei dire che mi dispiace, ma non sarebbe vero. Sei stata solo un riempitivo, in attesa che lei arrivasse, e non è stato bello. Insomma, non sarai mai alla sua altezza, è stato un po’ come andare dalle stelle alle stalle con te. Più mi costringevo a stringere i denti e a resistere, più avevo un vuoto allo stomaco pensando quanto mi mancava Diana. E allora ti baciavo, cercavo di immaginare lei nella mia testa, ma tu… non sei lei. E non lo sarai mai. Mettiti l’anima in pace.”

***

Ormai avevo smesso di svegliarmi di soprassalto con quegli incubi. Loro arrivavano, io li vivevo e mi svegliavo piano, con le lacrime agli occhi e il desiderio di non alzarmi dal letto per tutto il giorno. Avevo smesso anche di cercare Luke di fianco a me, perché lui dormiva sul divano, da tre giorni ormai, ovvero da quando mi ero ammalata.

Era uno strazio stare tutto il giorno a letto, non avevo nulla da fare e se osavo mettere un piede a terra c’era sempre qualcuno pronto a spingermi di nuovo sul materasso. Ero pervasa da una sonnolenza malsana e annoiata, come se mi avessero svuotata di ogni energia. Non dormivo bene da tre giorni, sia per la febbre – che non accennava a scendere – sia per gli incubi.

Sette giorni. Mancavano sette giorni alla partenza dei ragazzi, ed io ero bloccata lì nel letto. Poteva andare peggio? Sì, Diana e Luke erano sempre insieme. Poteva andare ancora peggio? Già. Gargoyle non mi lasciava in pace. Mi ero resa conto di quanto non mi fosse mancata per niente e, a dire il vero, non sapevo nemmeno perché fosse sparita. Fatto sta che passava tutto il giorno sul bordo del mio letto, lontana da me come se avessi la lebbra, ma abbastanza vicina da farsi sentire mentre decantava tutte le doti fantastiche di Diana. Ancora un po’ e mi sarei impiccata con le lenzuola.

Ha ragione, però.

“Questo già lo so, grazie tante” pensavo ogni volta. Intanto, davanti a me si prospettava una settimana terribile.

***

“Coralie, o mangi o chiamo il lupo cattivo.”

“E cosa mi dovrebbe fare il lupo cattivo?”

“Ti divora senza pietà, sbranandoti voracemente, rosicchiandoti le ossa. Decidi, mangiare o essere mangiata.”

“Sai, vero, che traumatizzerai i tuoi figli facendo così, un giorno?”

“Il mondo è un posto molto brutto.”

“Già. Comunque, non funzionano con me queste minacce. Ho smesso di credere ai lupi parlanti grandi e cattivi.”

“Stai bestemmiando davanti ad una fan di Teen Wolf, ti ricordo.”

“Sono io stessa fan, ma purtroppo mi pare difficile credere all’esistenza di quei gran pezzi di fighi al di fuori del mondo di Beacon Hills.”

“D’accordo. Devo usare le maniere forti. Non volevo arrivare a tanto, mi dispiace, mi ci hai costretta.”

“Vediamo.”

“Mangia, o chiamo Gargoyle.”

“Dammi subito quel piatto” feci terrorizzata, strappando il suddetto piatto dalle mani di Manuela, che scoppiò a ridere. “Non sia mai”, biascicai a bocca piena. “Te l’avevo detto che sarei passata alle maniere forti, ma tu no, non mi credi mai” mi canzonò lei, ancora divertita. Io feci fatica a deglutire – il boccone era troppo grande – ma quando ci riuscii, tirai un sospiro di sollievo. “Sai chi mangiava questa roba?” chiesi, indicando il pesce lessato. “Chi?”

“Tabitha, quando finivamo le scatolette.”

“Oh, non fare la melodrammatica. È solo pesce lessato.”

“Non sa di niente.”

“Perché sei malata. Ti assicuro che l’ho affogato nel limone e ci ho messo sopra tanto sale, come fai sempre tu.”

“Non sa di niente lo stesso.”

“Eh, che ci posso fare?” chiese lei storcendo la bocca. “Niente, credo” ammisi. Lei sospirò. “Ti ho già detto che quando sei malata non ti si può reggere?”

“Anch’io ti voglio bene.”

“Sentimento reciproco, anche se a volte ti ucciderei.” Ridacchiai nel vedere la sua faccia esasperata. Improvvisamente, però, lei si fece seria. “Ci hai parlato?” mi chiese, per l’ennesima volta. Io scossi la testa. “Come ti ho appena detto, a volte sei da uccidere brutalmente. Accidenti a te. Guarda che se parte senza che voi vi siate chiariti, ti faccio qualcosa che ora non mi viene in mente, ma non fare quella faccia, non osare ridere, perché ti assicuro che sarà molto brutto. Moltissimo!” Io non riuscii a trattenermi e scoppiai a ridere. Lei si sdraiò di fianco a me, nel posto che di solito occupava Luke, e guardò il soffitto. “Ma ci pensi, che fra sette giorni quegli stronzetti andranno a realizzare il loro sogno? Non posso crederci. Sono così felice per loro…” fece con un mezzo sorriso. “Però mi mancheranno tantissimo. Ormai mi ero abituata alla loro presenza. È bello averli in giro per casa, nonostante qualche volta lascino i boxer usati in giro, cosa piuttosto rivoltante.”

“Già.”

“Già che è una cosa rivoltante, o già che ti mancheranno?”

“Già che mi mancheranno.”

“Già.”

Ridacchiammo. “Sai una cosa?” fece lei poi. “Cosa?”

“So che è una cosa stupida da dire, infatti la sto dicendo solo a te, prima che gli altri mi ridano in faccia, però… era bello averli qui, davvero, anche perché in qualche modo sembrava che… ecco, che ci tenessimo insieme i pezzi a vicenda. Come se essere troppo stretti fisicamente si fosse trasformato in un essere troppo stretti metaforicamente. Capisci cosa intendo?” chiese, voltandosi verso di me. Io la guardai e sorrisi.

“Sai qual è stata la mia fortuna? Andarmene da casa mia, per vivere con i ragazzi, e poi venire a vivere qui con voi. Siamo in otto – ora in nove – e si sta stretti, accidenti, ma è proprio questa la nostra fortuna. Siamo tutti un po’ rotti, è normale; ma siamo così stretti, in questa casa, che ci teniamo uniti a vicenda. Senza di voi sarei caduto a pezzi da un po’. Sai al mattino, quando ci stringiamo attorno al tavolo per fare colazione, e siamo tutti con le spalle attaccate perché il tavolo è troppo piccolo, e a volte siamo in due su una sedia? Ecco, quei momenti sono i miei preferiti. Mi ricordano che senza di voi io non sarei come sono ora. Mi ricordano la fortuna che ho avuto. Mi ricordano che, se ho bisogno di qualcosa, posso prendere il primo che passa in questa casa e sfogarmi con lui, perché siamo una famiglia. Sgangherata, e un po’ fuori dalle linee, ma siamo una famiglia. Certo, ci saranno le preferenze: se mi è possibile, preferirei sfogarmi con Manuela che con Madison; però la mia certezza è che Maddy ci sarebbe comunque. È questo che mi fa sentire al mio posto.”

“Ho capito” dissi solo, tornando a guardare il soffitto. Sentii gli occhi di Manuela fissati su di me. “A che cosa pensi?” mi chiese poi. “Penso che tu e Michael siate proprio fatti l’uno per l’altra.”

“E questo cosa c’entra?”

“Niente, è solo una cosa che ho notato.”

“Va beh, non ti seguo” si arrese lei.

Rimanemmo in silenzio qualche secondo. “Tu cosa hai preso per Maddy?” chiesi poi. “Non ho ancora preso nulla, non ho proprio idea di cosa regalarle. Accidenti, per i diciotto servirebbe qualcosa di spettacolare, tipo un’auto o cose del genere, ma non ce la possiamo permettere” rifletté Manuela. Tre giorni dopo sarebbe stato il compleanno di Madison; fortuna che i ragazzi sarebbero partiti più tardi. “Dici che con una colletta ci arriviamo?”

“Tesoro, viviamo sotto lo stesso tetto, il nostro negozio ha chiuso e dipendiamo dagli assegni di mantenimento che ci passa tua zia; a proposito, che sia benedetta, lei con i suoi milioni. Che fortuna avere in famiglia una donna così, e pensare che Carol è sua figlia. Insomma, la generosità se l’è tenuta tutta per lei, tua zia.” Ridacchiammo. “Dai, non dire così di Carol. Povera” la difesi all’ultimo. Lei fece spallucce e aggiunse: “Sai che le voglio bene e non parlerei mai male di lei, se non per scherzare.”

“Sì, lo so.”

“Comunque non cambiamo discorso, non sappiamo ancora cosa regalare a Maddy.”

“Chiederemo a Calum indicazioni più precise.”

“Ci sto.”

Ci fu ancora silenzio, poi il mio cellulare squillò, segnalando l’arrivo di un messaggio. “E chi è? Siamo tutti in casa” fece Manuela confusa. Io mi allungai per prendere il telefono sul comodino. “È Avril” feci perplessa. “Avril? Ma Avril Avril?”

“Avril Avril.”

“Avril Avril Avril?”

“Dobbiamo continuare ancora tanto?”

“Ok, la pianto. Cosa ti ha scritto?”

Io sbloccai il telefono e entrai nei messaggi, aprendo quello di Avril. Era strano che mi scrivesse: non si era fatta sentire per un po’, e io nemmeno.

Wow, stavo davvero pensando a una cantante di fama mondiale come se pensassi ad una persona normale?

“Non ce l’abbiate con loro per quello che stanno per dirvi; non è colpa loro.”

Manuela ed io ci scambiammo un’occhiata perplessa e anche un filino preoccupata.

“Che cosa intendi?” scrissi velocemente. Lei non si fece attendere. “Fra qualche minuto vi arriverà una mail. Non ce l’abbiate con i ragazzi, non sono loro che decidono.”

“Continuo a non capire” disse Manuela. Io decisi di tagliare la testa al toro e composi il suo numero. Uno, due squilli.

“Coralie, non posso parlare ora, scusami.”

“No, ti prego, non mettere giù. Cosa intendi? Perché hai scritto quel messaggio?”

“Ve l’ho detto, fra poco vi arriverà una mail con quella che probabilmente sarà presa come una cattiva notizia. Ma non prendetevela con i ragazzi.”

“Ma quali ragazzi?!”

“Gli One Direction, Coralie, gli One Direction!” sbottò lei, frettolosa e a bassa voce. “Che cosa…”

“Devo andare, scusa. Non avrei dovuto dirvi nemmeno questo. Se lo sa il mio manager mi ammazza, ma non potevo rischiare che ve la prendeste con loro. Non c’entrano niente.”

“Ma…”

“Ciao Coralie, mi spiace, ci sentiremo un’altra volta.” E così mise giù. Manuela ed io ci guardammo preoccupate. “Di cosa stava parlando, secondo te?” chiese. Io avevo un dubbio atroce, che mi stava facendo impaurire. “E se… avessero deciso di annullare tutto?” Manuela impallidì. “No, ti prego, non può essere così” disse terrorizzata. “Chiamiamo gli altri” dissi io, il che significava: “Ti prego, chiama gli altri, io non mi posso muovere da questo letto.” Lei capì e corse fuori dalla stanza. La sentii gridare i nomi dei nostri coinquilini e in poco erano tutti radunati nella mia stanza, tutti eccetto Gargoyle, che: “Sto facendo il mio riposino con maschera antirughe!” aveva esclamato indignata.

“Che succede, Coco?” chiese Diana. Luke, di fianco a lei, mi guardava col fiato sospeso. Io presi un gran respiro e dissi: “Mi ha chiamato Avril” iniziai. Michael m’interruppe subito: “Avril? Ma Avril Avril?”

“Avril Avril.”

“Avril Avril Avril?”

“Non ricominciamo, eh?” feci, mentre Manuela scoppiava a ridere, una risatina nervosa. Michael fece spallucce, mentre Calum m’incitava a continuare. “Mi ha detto che gli One Direction ci invieranno una mail che potrebbe farci restare male, e di non prendercela con loro, perché non ne hanno colpa.” Un silenzio teso calò sulla stanza: bene o male, tutti erano arrivati alla mia stessa conclusione. Il cellulare di Carol squillò e noi trasalimmo: dato che lei si era improvvisata manager, probabilmente quella era la mail. Ci radunammo tutti attorno a lei, compresa me: quando mi alzai, ebbi un giramento, ma Luke mi sorresse e mi avvicinò al gruppo, tenendomi un braccio attorno alla vita. Carol iniziò a leggere:

Gentili signori L. R. Hemmings, C. T. Hood, M. G. Clifford e A. F. Irwin, con la presente siete invitati a presentarvi domani alle 12:47 al volo per l’aereoporto Heatrow di Londra, partenza l’aereoporto di Linate, a Milano. A causa d’imprevisti, siamo stati costretti ad anticipare la data della vostra partenza per il tour della band One Direction. Sperando che ciò non vi causi problemi, vi auguriamo una buona continuazione di giornata. Arrivederci,

L. W. Tomlinson, N. J. Horan, L. J. Payne, H. E. Styles, Z. J. Malik.

“Decisamente, non l’hanno scritta loro” disse Carol sicura. Noi annuimmo. Un senso di sollievo si diffuse nella stanza: il tour non era stato annullato, e loro non erano stati nemmeno cacciati. Insomma, sarebbero solo dovuti partire il giorno dopo, no?

Un momento. Sarebbero dovuti partire il giorno dopo?

Proprio come c’eravamo sentiti rassicurati, cademmo nello sconforto più totale. “Come, domani?” chiese Manuela, con un’espressione così ferita e confusa che mi sembrò una bambina; la stessa espressione che trovai anche sui visi di Carol e Madison e che immaginai condividere. Diana era solo basita, mentre i ragazzi sembravano non capire cosa fosse successo. Io mi liberai dalla presa di Luke e tornai sul letto, avvolgendomi nelle coperte. “Preferivo non saperlo” mormorai, ricacciando indietro le lacrime. Mi ero ripromessa di parlare con Luke il giorno dopo, o due giorni dopo, ma non avremmo più potuto: saremmo stati tutti impegnanti con la partenza. Non volevo parlargli tramite un telefono.

Improvvisamente, però, tutti i miei pensieri si fecero da parte, lasciando spazio a un’altra cosa: non ero io quella che ci sarebbe stata peggio, forse. Mi misi a sedere di scatto e vidi Madison che cercava di ricacciare indietro le lacrime. Calum se n’era accorto e la stava abbracciando, stretta che lei non condivideva, paralizzata nel suo sforzo di non lasciarsi sfuggire nemmeno una lacrima. “Non è giusto” disse solo, prima di scoppiare a piangere sulla spalla del suo ragazzo e avvolgerlo in un abbraccio stretto. “Maddy, mi dispiace tanto” disse solo lui. “Questo è il regalo di compleanno più brutto che qualcuno potesse farmi” singhiozzò lei. “Oh, tesoro” fece Manuela, abbracciandola a sua volta. Io non esitai e mi unii, mentre anche gli altri mi imitavano. “E quando tornereste?” chiese Diana. “A Natale. È la prima data che ci hanno concesso, più una settimana per le emergenze.”

“Non può essere considerata un’emergenza, questa?”

“Deve c’entrare la salute di qualcuno.”

“Io sono gravemente malata, potrei non superare le prossime tre notti” dissi. “Non credo se la berrebbero, Coco” fece Ashton con un mezzo sorriso triste. “Avete una settimana a testa che potete trascorrere indipendentemente, o una settimana come band?”

“Come band. Non potremmo suonare senza uno di noi.”

“Quindi chiedervi di rimanere qui per il suo compleanno è…”

“Non possiamo. Non all’inizio. Rischieremmo di venir rimpiazzati” fece Ashton mesto. Madison tirò su col naso. “Fa niente, ragazzi. Sto bene. È solo il diciottesimo compleanno, in fondo, no? Non è niente di così grave” fece, tirando un sorriso che non le riuscì nemmeno un po’. Calum scosse la testa e le diede un bacio sulla fronte. “Amore, se solo ci fosse un modo sai che rimarremmo, ma non possiamo” lo sentii sussurrare. Madison annuì e si asciugò le lacrime. “Lo so, lo so. Non è colpa vostra. Non è neanche colpa loro. Non è colpa di nessuno” riuscì a dire. “Colpa per che cosa?” Fece una voce gracchiante alle nostre spalle. Ci voltammo e incontrammo, a malincuore, lo sguardo arcigno come sempre di Gargoyle. Mi resi conto con sgomento divertito che ci avevo messo qualche secondo a ricordare il suo vero nome, ormai troppo abituata a chiamarla così. “I ragazzi dovranno partire prima, e non ci saranno per il mio diciottesimo compleanno. Ci sono rimasta un po’ male” spiegò Madison. “Solo per questo?! Ragazzina, quanto sei sensibile. Quando ero bambina io si piangeva per molto di più. È solo un compleanno, insomma! Non fare la bimba capricciosa!” fece, oltraggiata, prima di andarsene via, come se le lacrime di Madison l’avessero offesa nel profondo. Rimanemmo a bocca aperta qualche istante. “Tua madre è proprio un bijou, vero?” fece Carol, rivolta a Diana, che annuì. Manuela sbuffò. “Quando era piccola lei, si piangeva per molto di più… peccato che quando lei era piccola era ancora nell’età della pietra, si piangeva solo se si era stati sbranati da una tigre dai denti a sciabola.”

“Wow, possiamo chiederle se ha incontrato un branco di animali bizzarro, secondo voi?” chiese Ashton. “Bizzarro in che senso?”

“Nel senso che è composto da tre mammuth, due opossum, due bradipi, due tigri e una talpa. Il branco originario era composto solo da un mammuth, una tigre e un bradipo. Notare che uno dei due bradipi del branco finale dovrebbe avere circa la sua età.”

“Solo tu puoi pensare all’Era Glaciale quando si parla di queste cose” fece Carol ridacchiando. “Veramente l’ho pensato anche io” aggiunsi timidamente. “Anche io.”

“Io pure.”

“Idem.”

“Mi associo.”

E così via, fino a che non rimase solo Carol, che si guardò intorno. “Rettifico: solo io posso non pensare all’Era Glaciale quando si parla di queste cose” fece ridacchiando. “Sarà anche la brutta imitazione di un avvoltoio, però ci ha offerto su un piatto d’argento delle battute che ci hanno tirato su il morale” fece Michael. Noi annuimmo. “E brava Gargoyle” disse solo Diana, lasciandoci a bocca aperta. “Davvero l’hai chiamata Gargoyle?” chiese Madison. Lei annuì. “Non potevo?”

“In realtà non aspettavamo altro” fece Ashton ridendo. “Una di noi! Una di noi!” scandì Calum imitando i cori degli stadi, coro a cui si unirono tutti, poco a poco. Solo io, in disparte, evitai di aggiungermi; con la coda dell’occhio, vidi che anche Manuela si limitava a sorridere, ma mi lanciò uno sguardo e ammiccò, come a dire: “Tranquilla, sono dalla tua parte. Sempre e comunque.”

***

Qualche ora dopo, io mi ero fatta piccola piccola sul letto, per lasciare spazio alla valigia che Luke stava preparando. Lui aveva insistito per lasciarla per terra, ma non c’era abbastanza spazio per tenerla aperta, così l’avevo obbligato a lasciarla sul letto. Lui, dal canto suo, mi aveva obbligato a rimanere sotto le coperte. “Piccola, già sei malata e non potrò salutarti come vorrei; almeno non peggiorare la situazione” aveva detto. Io avevo annuito e basta.

Volevo parlargli, ma non riuscivo a decidermi. Come avrei potuto iniziare? “Luke, so che mi tradisci con Diana perché ho sentito che lei diceva di amarti al telefono”? Era un discorso accettabile?

No.

Perfetto, opzione scartata. Intanto, Luke continuava a fare la valigia, all’oscuro di tutto.

“Piccola, posso farti sentire una canzone?” chiese lui a un certo punto. Io annuii e lui collegò il suo cellulare al mio stereo. In poco, nella stanza si diffusero le note di un pianoforte.

I’m not bulletproof when it comes to you

Don’t know what to say when you made me the enemy

After the war is won, there’s always the next one

I’m not bulletproof when it comes to you

Maybe I’ll crash into you

Maybe we would open up these wounds

 We’re only alive if we bruise

So I lay down this armor

I will surrender tonight

Before we both lose this fight

Take my defenses, all my defenses

I lay down this armor

“È bellissima” dissi, mentre un sorriso ammirato si apriva sul mio volto. “Ti piace? Io la adoro. La sto ascoltando senza tregua da due giorni quando sono da solo. Sai, un po’ mi fa pensare a te” disse sorridendomi. Io ricambiai debolmente, mentre lui tornava a canticchiare.

Non ti fidare.

Non ce l’avrei fatta comunque.

I lay down this armor for you.

“Luke, posso parlarti?” chiesi alla fine. Lui annuì. “Dimmi tutto” fece, tornando a impilare tutte le sue magliette nella valigia. “Ecco, riguarda…”

“Scusatemi, vi disturbo?” fece Diana, affacciandosi sulla soglia di camera mia. Non sembrava tranquilla. “No” dissi io di riflesso, prima di darmi della stupida; certo che disturbava, eccome. “Luke, ti posso parlare? In privato” fece lei, seria. Lui si raddrizzò. “È importante? Perché stavo per…”

“È molto importante.”

“D’accordo, arrivo” disse Luke, posando l’ultima maglietta. “Ma…” provai a protestare. “Scusa, Coco, torno subito” mi disse, prima di seguire Diana fuori dalla stanza. Io rimasi con la bocca socchiusa, un’espressione basita in faccia. “No, prego, fa’ pure” sussurrai contrariata.

Davvero credevi di poter essere la priorità di Luke?

Ci speravo.

***

Venti minuti dopo, Luke tornò in camera. “Scusa piccola, questione di massima importanza. Dicevi?” fece. “Non mi ricordo” feci con un sorrisetto imbarazzato.

Bugiarda.

La verità? Non avevo proprio intenzione di affrontare quel discorso, non dopo che lui mi aveva sbattuto in faccia come la pensava su chi delle due fosse più importante. Lui mi sorrise di rimando. “Beh, se ti viene in mente, io sono qui” disse, tornando a mettere a posto la valigia.

Certo, così la prossima volta che attacchi bottone tornerà Diana a rubartelo. Anzi, rubare è il termine sbagliato: non è mai stato tuo. Riprenderselo, ecco, questo è il termine esatto.

Mi portai la testa fra le mani, sperando che lui non lo notasse.

Come se potesse notare qualcosa che ti riguarda.

A volte faceva male sapere quanto quella voce avesse ragione.

Luke finì di preparare la valigia e la chiuse, togliendola dal letto; si sedette al suo solito posto e mi abbracciò. “Non voglio andarmene” sussurrò, stringendomi piano e accoccolandosi contro il mio fianco. Io non riuscii a fare a meno di appoggiare la tempia contro la sua spalla, come facevamo sempre. Una sensazione di calore, tanto familiare quanto dolorosa, mi pervase al ricordo di tutte le volte in cui c’eravamo sdraiati così.

Rimanemmo in silenzio per molto, e a me andava bene così. Luke sembrava perso nel suo mondo, con lo sguardo fisso su un punto indefinito della coperta; qualche volta, gli scappavano dei sospiri. Sembrava preoccupato, e non ero sicura del fatto che riguardasse solo la sua partenza. Io presi coraggio e gli chiesi: “Va tutto bene?” Ti prego, fa’ che dica di sì, pensai. Lui, però, scosse la testa. Ci fu un altro attimo di silenzio, poi lui si alzò e mi si sedette di fronte. “Coco, devo dirti una cosa importante” fece con sguardo grave e colpevole.

Pronta a tutta la verità?

Io trattenni il respiro. “Cosa?”

“Riguarda Diana, e il motivo per cui ultimamente sto sempre con lei.”

Fu quando sentii quelle parole che mi resi conto di quanto non fossi pronta a quel discorso. Mi alzai di scatto, facendolo sussultare. “Coco?”

“Po-possiamo parlarne fra un attimo? Devo andare in bagno” dissi nel panico. Lui mi guardò con la sua espressione da cucciolo smarrito che mi fece sentire ancora peggio. “Va… va bene” disse, mentre mi guardava sparire nel bagnetto. Cercando di non farmi notare, presi il cellulare dal comodino e mi chiusi a chiave. Aprii subito Whatsapp e cercai la chat che mi interessava.

“Manuela, ti prego, aiutami. Fai qualsiasi cosa, ma impedisci a me e Luke di rimanere da soli.”

La risposta non tardò ad arrivare, con la solita finezza di Manuela:

“Che minchia succede?”

“Vuole parlarmi di lui e Diana.”

“E…? Qual è il problema? Non è quello che aspettavi da quando l’hai scoperto?”

“Sì, ma…”

“Non sei pronta, vero?”

“Assolutamente.”

“Okay. Dove sei?”

“Chiusa in bagno.”

“D’accordo. Mettici un po’, faccio quello che posso.”

“Hai un’idea?”

“Sì, fidati di me.”

“Grazie.”

“Di nulla, tesoro.”

Feci un sospiro di sollievo, prima di sentire gli occhi bruciare per le lacrime. Mi sedetti contro la porta, aspettando un segno di vita di Manuela, nonostante sapessi che ci sarebbe voluto un po’.

Passarono diversi minuti, poi sentii un bussare leggero alla porta. “Coralie? Va tutto bene?” chiese Luke con voce flebile. “I-io… no” dissi. “Che succede?”

“Mi viene da vomitare.” Appena lo dissi – forse per autosuggestione, forse per la paura, forse per tutto quello che stava succedendo – sentii un conato. “Fammi entrare, piccola, ti prego” disse lui. “Non… non credo sia un buon momento per parlare” dissi, gattonando verso il water. “Lo so, lo so. Voglio solo aiutarti. Per favore, Coco… aprimi.”

Io rimasi immobile qualche istante, con gli occhi gonfi di lacrime. Il suo tono era implorante, sembrava che stesse per piangere a sua volta. Mi stava facendo scoppiare il cuore.

Mi alzai e girai la chiave nella toppa, prima di tornare al mio posto. Lui aprì la porta piano e mi raggiunse, inginocchiandosi di fianco a me. Mi mise una mano sulla fronte, sorreggendomi la testa. “È per la febbre?”

“Credo di sì.”

“Va bene.” Non aggiunse altro: continuò a sorreggere la mia fronte, mentre con l’altra mano mi accarezzava piano la schiena, come a confortarmi. Io singhiozzai e lui mi guardò confuso. “Coco?”

“Niente, è che… è da quando ero bambina che vomitare mi spaventa. Da piccola scoppiavo a piangere, credo che mi sia rimasta questa cosa.” Era la verità: un’altra delle mie stranezze.

Un’altra stranezza che rende Diana la scelta migliore.

“Oh, piccola” fece lui, scuotendo la testa. “Va tutto bene, tranquilla. Ci sono io qui” sussurrò.

È tutta una bugia.

***

Rimanemmo così qualche minuto. Vomitai, ma lui non si spostò. Mi chiese più volte come mi sentissi, senza impazienza, anzi: c’era una dolcezza cauta nella sua voce, come se stesse cercando di tranquillizzare una bambina.

Sentimmo il citofono suonare e Luke si voltò verso la porta. “Aspettavamo visite?” chiese incerto, sempre tenendomi la fronte. Io scossi piano la testa, quanto bastava perché lui capisse. “E allora chi è?” fece confuso. Sentimmo dei passi veloci su per le scale e la porta del bagno si spalancò, facendoci sussultare. Manuela era sulla soglia della porta, con tre cartoni fumanti di pizza in mano. “È arrivata la pizz… ah” disse, mentre il suo entusiasmo si sgonfiava come un palloncino bucato. “Che diavolo succede?” chiese, lasciando le pizze sul lavandino e inginocchiandosi accanto a noi. “Non si è sentita bene e ha vomitato” spiegò Luke. Manuela fece una faccia perplessa. “Quindi devo dedurre che chiamare la pizza non sia stata una buona idea?”

“No. La voglio mangiare, ho fame” dissi io tossicchiando. “Sei sicura?” chiesero in coro Manuela e Luke. Io annuii e mi alzai traballante, mentre i due scattavano in piedi. Manuela mi porse un bicchiere d’acqua, che aveva riempito nel giro di due secondi, ed io la ringraziai, sciacquandomi la bocca da quel sapore orribile. “Andiamo di sotto, gli altri ci stanno aspettando” disse poi la mia migliore amica. Noi annuimmo e Luke prese le pizze, andando avanti. “Va tutto bene?” mi sussurrò Manuela in un orecchio. Io annuii incerta e lei mi strinse una mano. “Venite, ragazze?” chiese Luke dal corridoio. Noi lo raggiungemmo e scendemmo le scale. Quando arrivai al piano di sotto, non potei evitare di sorridere debolmente: i divani erano stati spostati per far posto ai ragazzi, così come il tavolino. La televisione era accesa, con la schermata del menu principale di Aladdin che lampeggiava. I ragazzi erano seduti in cerchio sul tappeto, con i cartoni delle pizze in mezzo. Era esattamente come una delle prime sere… la stessa sera in cui Luke ed io ci eravamo baciati la prima volta. Mi guardai intorno e notai che era fin troppo uguale a quella scena avvenuta tanti mesi fa. “Dov’è Diana?” chiesi confusa. “Sua madre l’ha portata fuori a mangiare. Abbiamo cercato di farla rimanere, ma è stata inflessibile” spiegò Madison. Manuela mi strinse la mano piano e sussurrò nel mio orecchio: “Indovina chi ha messo la pulce nell’orecchio di Gargoyle” con tono scherzoso. Io mi voltai verso di lei e sorrisi, per la prima volta in tutta la sera. “Grazie” sussurrai, mentre Luke si sedeva e appoggiava le pizze in mezzo. Io e la mia migliore amica raggiungemmo gli altri, sedendoci nell’unico spazio libero: io ero di fianco a Luke e Manuela, e lei era di fianco a Michael, che le stampò un bacio sulla guancia appena lei si accovacciò accanto a lui. “Bella idea, quella delle pizze, piccola cupcake” lo sentii dire. Manuela ridacchiò e gli diede un piccolo bacio sulle labbra, prima di prendere un cartone di pizza e aprirlo. “Chi ha preso questa… cosa?!” chiese, tappandosi il naso davanti alla pizza con kebab, cipolle, aringhe, fagioli e altri ingredienti non meglio identificati. Michael scoppiò a ridere, prima di dire: “È mia, amore”. Manuela lo guardò atterrita. “Sai, vero, che stanotte dormi sul divano? E che la tua bocca dovrà stare ad almeno tre metri da me per tutta la sera?”

“Oh, amore, suvvia!”

“Suvvia ‘sta minchia! Mi vuoi ammazzare?! Santo cielo, esiste davvero una cosa del genere?”

“No, l’ho chiesta apposta io. Il tipo che ha preso le ordinazioni era abbastanza sconvolto.”

“E vorrei ben vedere! Dio, l’ultima sera dovrò davvero ricordarmela così?!”

Michael continuava a ridere, come se fosse la cosa più divertente del mondo, mentre Manuela sembrava alquanto demoralizzata. Luke mi sussurrò all’orecchio: “Stai tranquilla, piccola, la mia è innocua.” Ridacchiai al pensiero, mentre Carol premeva il tasto play del DVD. In pochi secondi, iniziò la canzone che apriva il film. Senza che nemmeno ci fossimo messi d’accordo, ci mettemmo tutti a cantare: “La mia terra di fiabe e magie, credi a me, ha i cammelli che van su e giù. E ti trovi in galera anche senza un perché… Che barbarie, ma è la mia tribù!” ci guardammo, ridendo della nostra sincronizzazione, per poi continuare: “Brilla il sole da sud, soffia il vento da nord, c'è un'intensa complicità. Sul tappeto ora va, dove andare lo sa, nelle notti d'oriente andrà!”

Michael balzò in piedi e, a braccia spalancate e a occhi chiusi, iniziò a urlare: “Le notti d'Orieeeeeente, fra le spezie e i bazaaaaaaaar, son calde lo sai, più calde che mai, ti potranno incantaaaaaaar! Le notti d'Orieeeeeeente, con la luna nel bluuuuuuu… Non farti abbagliar, potresti bruciar di passione anche tuuuuuu…”

Quando finì, ci mettemmo ad applaudire divertiti. “Grazie, grazie” fece lui inchinandosi con aria di sussiego. “Questo è il ragazzo che aprirà il concerto degli One Direction, ragazzi!” lo prese in giro Manuela, ridendo. “Mi avresti preferito se fossi stato un piccolo snob che disprezza la Disney?”

“In realtà ti avrei ripudiato da qualche mese, se tu avessi odiato quella che è stata la mia infanzia e che ora è la mia adolescenza.”

“E allora sono il tuo principe azzurro!”

“Sposiamoci domani!” fece Manuela con il tono sognante di una principessa dei cartoni animati. “Certo, amore mio!” rispose lui con lo stesso tono. La prese in braccio e iniziò a saltellare per la sala, facendoci ridere. “Ragazzi, abbiamo fame, venite qui!”

“No! Noi dobbiamo sposarci e vivere per sempre felici e contenti nel nostro castello incantato!” protestò Manuela. “Immaginate quanto sarà perfetta la nostra vita! Iniziare a cantare canzoni mai sentite prima, inventate sul momento, e come per magia sapremo entrambi il testo, e ci innamoreremo sempre di più, in mezzo agli animali del bosco che cantano con noi e parlano e ci portano ghirlande di fiori! La forza del nostro amore sconfiggerà qualsiasi male!” rincarò la dose Michael. “Se non venite qua a sedervi giuro che mi trasformo in un drago e vi stacco la testa a morsi. O venite a mangiare, o sarete mangiati!” disse Carol, mentre il suo stomaco brontolava. Michael fece un verso oltraggiato, portandosi la mano sul petto e lasciando cadere Manuela a terra, che urlò un paio d’insulti decisamente poco fiabeschi. Michael però non ci fece caso e urlò: “Amore, abbiamo trovato Malefica!”

"Io non sono Malefica!" protestò Carol. "Hai appena detto che ti trasformeresti in un drago! Chi sei, se non lei?"

"Se io sono Malefica, tu cosa saresti?!"

Michael sembrò pensarci su qualche istante; poi, all'improvviso, si gettò in ginocchio e camminò goffamente verso Carol, con un sorriso enorme sul viso e gli occhi sgranati. "Ciao! Mi chiamo Olaf e amo i caldi abbracci!" scoppiammo tutti a ridere. "Manuela, tu chi sei?"

"Oh, io ho già le idee molto chiare" fece Manuela, prima di alzarsi e saltare sul divano. Si schiarì la voce e iniziò a esclamare: "Disonore! Disonore! Disonore su di te, disonore sulla tua famiglia, disonore sulla tua mucca!"

"Mushu!" esclamò Calum ridendo. "Mi piace questo gioco!" fece Luke ridendo. "Okay, okay, ora tocca a me!" disse Calum di nuovo. Si guardò intorno e prese i cartoni di pizza, impilandoli e tenendoli fermi col mento. iniziò a girare per la stanza così, barcollando vistosamente. "Gas-gas!" feci io. "Sì!" rispose Calum, battendo con me il cinque. "Tocca a me. Manuela, vieni qui, devi ricordare questo cartone" dissi poi, alzandomi e allontanandomi dal gruppo con lei. Le sussurrai qualche parola nell'orecchio e lei s’illuminò. “Scherzi? Certo che lo ricordo, è il mio cartone preferito!” Mi disse entusiasta. Io sorrisi e tornammo in mezzo alla sala. Mi schiarii la voce e iniziai a cantare con la mia bellissima e melodiosissima voce: “Che strazio stare insieme a lei d'estate...” Lei intervenne: “Non sa cacciare, né tirar di boxe! È vanitoso...”

“Quanto non mi piace!”

Insieme, continuammo: “Se ci sto insieme il morbillo avrò!”

Toccò di nuovo a me: “Fremevo ad aspettar!”

“Felice d'esser qui!”

Ancora insieme: “Ma vorrei scappar!”

Lei mi voltò le spalle e, con sguardo sdegnoso, fece: “Con lui non potrò...”

“Con lei io non potrò...”

Insieme, per ultima cosa, incrociammo le braccia, esclamando: “Giocar!”

Dopo la nostra bellissima interpretazione, ci voltammo verso gli altri, che ci guardavano in panico. “La conosco, ve lo giuro, ma non ricordo di che film sia!” esclamò Madison, con le mani sulle tempie. Michael lanciò un urlo frustrato. “Perché non me lo ricordo?!” esclamò poi. “Continuate!” ci incitò invece Ashton. Manuela ed io ridacchiammo e lei si schiarì la voce con fare teatrale, prima di lanciarsi nell'imitazione di una voce semi-lirica. “Van già d'accordo, amico mio, che affare!” Io le presi la mano entusiasta e con voce profondissima, fino a essere ridicola, risposi: “I regni uniremo noi così!”

“È proprio a questo che dobbiamo puntare!”

“Anche genitori...”

“Siam politici. Felice son per voi!”

“D'accordo siamo noi!”

“Derek sposerà!”

“Dico che potrà...”

“Sì che lei potrà!”

Insieme: “Cederà!” Lei ridacchiò e: “Oh, divertente!” Ci voltammo di nuovo verso il nostro pubblico, trovandolo più confuso di prima. “Dai, ragazzi, siete delle vergogne!” si lamentò Manuela. Io mi guardai intorno, ridendo, prima di vedere Luke: era a terra, con lo sguardo fisso nel vuoto, gli occhi sgranati; la sua testa ondeggiava a tempo, mentre lui canticchiava. A un certo punto, schioccò le dita più volte, vicino alla soluzione, prima di esclamare: “L'Incantesimo del Lago!”

“Grande!” fece Manuela, mentre gli altri si abbandonavano a esclamazioni di sconfitta molto simili al gracchiare di uno stormo di cornacchie. “Tocca a me, tocca a me!” fece Luke, radioso come un bambino, alzandosi per sedersi al nostro posto. Manuela ed io tornammo a sederci, mentre Luke si schiariva la gola. “Messere Michael, la mia persona necessiterebbe delle tue gargantuesche capacità vocali. Accetti la mia proposta?”

“Oh, santo cielo, parla in termini che io possa capire” disse Michael ridendo, alzandosi e affiancando l’altro, che ridacchiava in quel suo modo adorabile. “Allora, cosa dobbiamo fare?” chiese Michael, strofinandosi le mani. Luke gli sussurrò qualcosa nell’orecchio e dall’espressione entusiasta di Michael capimmo che aveva compreso bene il cartone da imitare. S’inginocchiò e si affiancò a Luke, prima di guardarlo in cagnesco, sguardo che Luke ricambiò. “Io potrei fare un sacco di cose!” esclamò Michael, mentre Luke lo guardava scettico. “Sarei un re se mi staccassi da te!” continuò il più grande, spingendo Luke lontano, che per caso si voltò verso di noi e mi vide saltellare sul posto: avevo già capito di quale cartone si trattasse. Lui però mi fece segno di non dirlo, ridacchiando, prima di voltarsi verso Michael, che andò avanti: “Sarei stato un gran solista, ma anche un bel rockista, draghizzando con un gesto la mia vita… Cornelius, proprio me! Dei draghi il vero grande re! Con il mondo intero fra le dita… ma con me ci sei tu!” così dicendo, puntò un dito contro Luke, che fece una faccia oltraggiata. “E che succederebbe se invece non ci fossi tu, mhm?!” fece, con voce acuta e la r moscia. S’interruppero un attimo e videro me, Manuela e Carol impazienti di rispondere. “Dai, Coco lo sapeva per prima” disse Luke, rivolgendomi un piccolo sorriso. “La spada magica!” esclamai trepidante. I due annuirono e tornarono a sedersi, mentre io mi alzavo di nuovo. “Ash, vieni?”

“Finalmente, credevo non mi avrebbe mai scelto nessuno!” fece lui, schizzando in piedi al mio fianco. Io usai una mano per appoggiarmi a lui e mi tolsi un calzino. “Dobby” disse lui immediatamente. Io lo guardai torva. “No. Dammi il tempo di fare quello che devo.” La verità? Dobby era esattamente quello che volevo fare, e lui mi aveva tolto il divertimento. Dovevo inventare in fretta qualcosa che implicasse un calzino… ma certo!

Feci voltare Ashton e gli misi la calza sulla spalla. Poi feci un sussulto di paura e orrore, urlando: “Ventitré-diciannove! Abbiamo un ventitré-diciannove!”

“Monsters & Co.!” urlò Madison, mentre tutti scoppiavano a ridere.

Continuammo così tutta la sera, fermandoci di tanto in tanto a dare un morso alle pizze – che in poco diventarono fredde – mentre Aladdin, in sottofondo, veniva ignorato. Le ore passarono in un attimo, così, quando il citofono squillò, rimanemmo tutti basiti. “Sono già tornate? Ma sono appena… le undici?!” Manuela, guardando l’orologio, rimase esterrefatta. “Wow” fece solo Carol, mentre Madison rispondeva al citofono.

 

***

 

Verso mezzanotte, Luke ed io tornammo in camera nostra. Lui si chiuse in bagno, mentre io mi cambiavo e mi mettevo il pigiama, ovvero una maglietta di Luke e un paio di pantaloni della tuta estremamente grandi. Quando lui uscì dal bagno, io presi il suo posto; nel giro di cinque minuti, mi infilai sotto le coperte, al suo fianco. Gli davo le spalle, ma lui non ci fece caso: mi abbracciò e mi attirò a sé, ignorando la resistenza – troppo lieve per essere notata, troppo presente per dire che non ce ne fosse – che stavo opponendo. “Dio, non voglio pensare a quanto mi mancherai” sussurrò.

Forse perché non gli mancherai nemmeno un po’.

Io serrai la mascella. Fino a che eravamo rimasti con gli altri, quel senso d’impotenza e tristezza che ormai mi contraddistingueva se n’era andato, ma ora che eravamo da soli era tornato in tutta la sua magnificenza, e mi stava schiacciando. “Coco?”

“Sì?”

“Io… io ti mancherò, vero?” mi chiese con voce incerta. Io sentii una stretta al cuore. “Sì, Luke, mi mancherai. Tantissimo.”

È triste il fatto che sia ancora la verità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Angolo autrice

Chiedo. Umilmente. Perdono. Non avete idea di quanto questo capitolo sia stato un parto. Non so nemmeno cosa dire per scusarmi, perché non ci sono scusanti.

Alloora… sorpresa! I ragazzi se ne vanno via! E Coco e Luke – ormai si è capito – non parleranno. Triste, no? Ad ogni modo, cosa ne pensate?

Vi lascio con il titolo della prossima canzone, quindi del prossimo capitolo: These four walls.

Ciauuuu

Ranya

 

 

  
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