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Autore: Kurrin Bright    18/10/2015    2 recensioni
{Cloud/Aerith | Ambientata sette anni dopo FFVII senza tener conto degli spin-off}
Tanto tempo è trascorso da quando Cloud e i suoi amici hanno sconfitto Sephiroth e salvato il loro mondo e da quando Aerith si addormentò nella Terra Promessa.
Cosa sarebbe successo se, dopo la morte, la sua anima avesse tentato di raggiungere l'ex-SOLDIER?
Non riusciva ad andare oltre l’immagine di Cloud e delle sue iridi azzurre rivolte verso le sue; tutto ciò che seguiva quella confortevole memoria era il dolore: un’improvvisa piaga nel ventre, il sangue che colava lento, la voglia di gridare conscia del fatto che nessun suono sarebbe mai più fuoriuscito dalla sua gola, il suo ultimo respiro.
Buon Clerith Day a tutti. ♥
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aeris Gainsborough, Cloud Strife, Marlene Wallace
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: FFVII, Contesto generale/vago
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Un ciclo eterno di flussi verdognoli su uno sfondo ignoto, questa fu l’immagine che da un tempo indefinito la accompagnava nel suo sonno. Aveva sempre il desiderio di toccare quelle piccole luci e di sentire il loro calore, ma mai un paio di braccia era raggiunto da quella voglia, mai le sue gambe l’avrebbero portata via.
Dove dormiva, non esistevano tempo e spazio, così come non sembravano esistere il suo corpo e i suoi sensi; nonostante fosse stranamente in grado di osservare il quotidiano scenario di giochi luminosi, non poteva realizzare di possedere la vista.
Un giorno, tuttavia, quello che rimaneva della sua coscienza si sforzò nel tentativo di ricordare il motivo per il quale giacesse in quella giostra eterea.
Dopo una quantità incerta d’istanti, una serie di parole sottile come un filo di fumo emerse dal mare della sua anima.
 
«Io mi chiamo… Aerith Gainsborough…»
 
Realizzò che tutto quello appartenente a lei non era più un solo scenario monotono, aveva un nome, ed esso doveva essere accompagnato da una storia.
 
«Io vivevo a Midgar… una città enorme, spaventosa…»
 
La memoria del luogo dove passò la sua vita si rivelò straordinariamente chiara e nitida, ricordò il terrore che provava quando girava da sola per Midgar, la sporcizia, l’oscurità, il giorno e la notte che non esistevano.
Iniziarono a rivivere i ricordi, non solo i tetri legati alla città, riaffiorarono anche quelli più tranquillizzanti e soavi, i quali estinguevano la sua paura.
 
«Io… vendevo fiori per Midgar… che crescevano nella chiesa…»
 
L’unico luogo dove Aerith si rasserenava era la malconcia e rovinata chiesetta, dove delicati fiori sbocciavano. A quel punto, una nuova immagine tornò nella sua mente: la dolce luce del sole che filtrava dal tetto, il profumo dei fiori e i vivaci colori dei petali.
Così, pensava che la sua vita fosse stata un’altalena tra la cupa atmosfera dei bassifondi e la fresca fragranza dei fiori. Più ricordava, più la sua sete di incontrare nuovamente il suo passato aumentava e la sua anima, da una coscienza vagante in uno spazio al quale non sarebbe mai appartenuta, divenne uno spirito dalla natura sempre più viva.
 
«Avevo ventidue anni… mi allontanai da Midgar per viaggiare con delle persone…»
 
Un altro ricordo, da labile, venne messo a fuoco dalla sua mente: il suo viaggio per Gaya, i posti che aveva visitato e le persone con cui aveva girovagato, le quali emersero all’istante nel suo insieme di ricordi: una ragazza forte e dai lunghissimi capelli neri, un uomo alto dalla pelle scura e i muscoli spessi, un cane dal pelo fulvo e la saggezza che a molti umani mancava, un pilota anziano dal linguaggio scurrile, un gatto vivace sempre in groppa a un bizzarro robot; ma la persona che più era incisa nel suo cuore e nei suoi ricordi era un ragazzo dalla chioma bionda, gli occhi celesti, dal carattere laconico ma dall’animo coraggioso: Cloud, il tuttofare che la salvò, colui che rise insieme a lei dopo averlo fatto, colui che sconfisse la solitudine di Aerith in quanto ultima dei Cetra, colui con il quale assistette a bellissimi fuochi d’artificio, colui che le baciò delicatamente la mano la sera stessa, colui che era in quel momento il suo ultimo ricordo.
Aerith smise improvvisamente di viaggiare poiché, per quanto si sforzasse, non riusciva ad andare oltre l’immagine di Cloud e delle sue iridi azzurre rivolte verso le sue; tutto ciò che seguiva quella confortevole memoria era il dolore: un’improvvisa piaga nel ventre, il sangue che colava lento, la voglia di gridare conscia del fatto che nessun suono sarebbe mai più fuoriuscito dalla sua gola, il suo ultimo respiro.
 
«Io sono morta… Sephiroth mi uccise per completare il suo piano…
Ho salvato il Pianeta evocando Holy per aiutare Cloud e i nostri amici a sconfiggerlo… e ora sono nel flusso vitale.»
 
Finalmente, tutte le tessere erano state ricomposte. Aerith si chiese come stesse continuando il mondo che aveva salvato, cosa ne fosse della sua vecchia casa, della sua premurosa madre adottiva, di Cloud e dei suoi amici.
Un paio di gambe non sarebbero bastate a portarla via e a raggiungere la superficie, come poteva incontrare gli altri senza aspettare che la raggiungessero nel flusso?
Tolto immediatamente dai suoi pensieri il timore che qualcuno lo fosse già, raccolse ogni singolo frammento della sua anima per raggiungere il mondo al quale non avrebbe mai pensato di ritornare.
Incrementò sempre di più la forza, un bianco accecante invase lo scenario, il flusso pareva risucchiato nel nulla.
 
Lentamente, realizzò di non essersi persa in un’altra dimensione eterea, riconobbe l’azzurro del cielo e la morbidezza delle nuvole, così come riconobbe l’ambiente da cui li osservava: le travi di legno e il tetto distrutto erano gli stessi della sua adorata chiesa; il suo cuore si colmò di gioia alla rivista dei fiori che ancora crescevano, nonostante avesse smesso di battere da molto tempo.
Una ragazzina dai lunghi capelli castani e un vestitino bianco entrò di corsa, spalancando il portone.
«Cloud! I fiori sono cresciuti ancora, raccogliamoli così possiamo venderli domani!» gridò, rivolta verso l’ingresso della chiesa, dal quale entrò un uomo alto e biondo, vestito con una camicia viola; quest’ultimo fu riconosciuto immediatamente da Aerith, che per la seconda volta avrebbe offerto qualsiasi cosa pur di scoppiare a piangere, ma si ricordò di non poter più sentire quei ruscelli caldi sul suo viso.
«Marlene, mi fa piacere sentirlo, lei sarebbe lieta di sapere che i suoi fiori non hanno smesso di nascere» sussurrò Cloud.
«Come possiamo dirlo a lei, secondo te?» chiese Marlene con tono civettuolo.
L’Ex-SOLDIER sospirò con malinconia.
«Dopo sette anni, non siamo ancora riusciti a capirlo e forse non lo capiremo mai; tutto quello che possiamo fare è vendere i fiori per decorare questo mondo che abbiamo salvato, così come avrebbe fatto lei»
«Pensi che… la incontreremo di nuovo?» domandò Marlene.
«Ne sono sicuro» rispose Cloud, abbozzando un minuscolo sorriso.
«Lo spero pure io e, ora che ci penso, è rimasto ancora un mazzetto che oggi non abbiamo venduto e penso lo regalerò a papà! Domani raccoglieremo i nuovi fiori!» esclamò la piccola, correndo per la strada che sboccava davanti all’edificio.

L’uomo la salutò scuotendo leggermente la mano, per poi dirigersi verso il prato fiorito e, quando sentì il frastuono della porta che si chiudeva a causa del vento, sospirò pesantemente.
«Aerith… sono trascorsi già sette anni» mormorò. La fioraia sentiva il suo discorso in silenzio, non riusciva a trattenere il desiderio di parlargli e di annunciare la sua presenza.
«Ci stiamo impegnando per ricostruire il mondo che hai salvato, per questo ora sono un fioraio.
» 
Aerith non potè che rimanere meravigliata da ciò: i suoi adorati fiori erano stati per tutto quel tempo accuditi dalla persona più affidabile che conosceva.
«Gli affari stanno andando molto bene e Marlene è sempre felice di aiutarmi, così come tutti gli altri, tuttavia…» il suo monologo si smorzò all’improvviso, Aerith non potette fare a meno di notare il volto arrossato di Cloud.
«Questi fiori, questa luminosità… niente potrà sostituirti...
»
I
mprovvisamente i suoi occhi divennero roridi, proprio come i petali dei suoi gigli di rugiada al mattino. 
«Per quanto io desideri incontrarti di nuovo, non posso lasciare tutto così, rischiando che il mondo torni come prima...»
Aerith, a quel punto, mise assieme un’altra volta i frammenti della sua essenza.
 
«Cloud! Cloud, sono qui!»
 
La faccia di Cloud cambiò totalmente espressione: i suoi occhi erano spalancati, i suoi piedi indietreggiavano e le sue braccia tremavano.
La sua voce roca gridò il nome della ragazza.
 
«Riesci a sentirmi? Dopo tanto tempo sono tornata qua… sono onorata di sapere che ti sei preso cura del Pianeta, non avrei mai immaginato che i fiori sarebbero così splendidi anche dopo sette anni! Stai facendo un bellissimo lavoro, sai?»
 
Dalle iridi celesti di Cloud sgorgavano grosse lacrime, le stesse dei bambini quando si emozionano per la prima volta.
Si inginocchiò bruscamente, con lo sguardo rivolto verso il cielo.
«Aerith... grazie...» ansimò.
«Ti prometto che mi prenderò cura di questo mondo!»
Per quanto la fioraia non avesse delle labbra da incurvare, riuscì comunque a comunicare la sua felicità.

«Grazie Cloud, ora posso dormire in pace… ti aspetterò nella Terra Promessa.»
   
 
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