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Autore: Dwin87    18/02/2009    9 recensioni
Ero indecisa sul come pubblicare questa shot, alla fine ho optato per un capitolo unico, in quanto a mio parere può benissimo concludersi alla fine di questo. E' la prima storia che pubblico (Non che scrivo, attenzione). Non credo ci siano parole per riassumerla in toto, diciamo che è un escursus sui pensieri dei tre personaggi maschili che ritengo più affascinanti nel manga. Grazie a tutti quelli che vorranno leggere questo piccolo lavoro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ranma Saotome, Ryoga Hibiki, Tofu Ono
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Maschere








Poche ore prima del tramonto, quando le immagini, attraverso una finestra stretta, sembrano solamente cumuli scuri di cenere, raggruppati in masse informi ai lati della strada. Il cielo pregno di stirate nuvole, frastagliate sui lembi, tanto da apparire come sottili fogli ruvidi, sì, proprio quelli sui quali si disegna. Le tonalità si addensano l'una sull'altra come veli di pasta di sale lucidi : dall'ocra al rosso scuro, e piano piano, mentre raggiungono l'apice dell'intensità, vicino al sole, muoiono inghiottiti dalle bocche molteplici dei raggi.

Piegato sugli avambracci, con la schiena supina; lui, capace di cogliere l'immensità lontana del cielo che s'appresta a dormire. Gli occhiali tondi, precisi sul naso, che servono solamente a conferirgli quell'aspetto bonario e semplice da dottorino di provincia. Niente di più, niente di meno.

Lui, che contrae i muscoli in quell'allenamento giornaliero che serve soltanto a farlo apparire ulteriormente degno di quel mestiere. Il mondo in cui vive è semplicemente questo, lo specchio dell'apparire.

Si ferma per contemplare di tanto in tanto quei colori che lentamente s'immergono in tonalità sempre più spente e crucce, proprio come i suoi occhiali, che col passare del tempo si rigano e s'appannano nella loro vecchiezza.

Accorgersi del passare del tempo non gli fa male, anzi, gli disegna uno dei suoi abituali sorrisi allegri sulle labbra, tanto che, più si sforza di stirarle, più quelle fastidiose rughette che lo rendono assai più maturo di un tempo, tendono ad affacciarsi libere ai lati della bocca .

Il vento prende a snodarsi leggero, passeggiandogli tra i capelli.

Chissà cosa starà facendo la mite cuoca dei suoi sogni in questo momento, sicuramente affaccendata nel preparare un modesto pranzetto a quella famiglia così allargata di colpo. Il corpo s'alza e s'abbassa ancora e così fanno le gambe, seguendo quella sincronia numerica imposta dalla mente.

Si regge sulla mano, poi su due dita ed infine sull'indice. Si sente ancora in forma come un tempo, anche se il suo corpo non gli permette sforzi maggiori di questo.

Non essere ancora sposato alla mia età. L'affezione continua e persistente a questo mio lavoro,

spesso e volentieri, me lo fa proprio dimenticare. Oh, sono proprio invecchiato, per queste dimenticanze!

Socchiude le palpebre, facendole aderire l'una all'altra, strette. Il suo volto sembra disegnato con una matita, forte e bonario dottore. Le sue labbra abbandonano, però, il sorriso nello stesso istante nel quale il sole, salutando il mondo, si rintana tremante dietro quel grattacielo lontano. Nel preciso istante in cui la volta prende ad annerirsi, anche il volto di lui si rabbuia. Un sospiro profondo, il congiungersi di mani e la preghiera a qualche avo in ascolto.

Vorrei trovare il coraggio per dirti quello che provo, ma la tua presenza basta a farmi dimenticare anche come si parla, cara Kasumi. Odio non poter essere me stesso al tuo fianco.

Non l'avrebbe immaginato neppure per un istante, di poter anche solo immaginare quella parola accostata alla sua figura. Odio e Kasumi nella stessa frase gli suonano così terribilmente stonati.

Con l'indice sistema la montatura dei goffi occhiali che gli sono appena scivolati sul naso. Avrebbe avuto così tante occasioni per farlo, per avvicinarsi al suo desiderio più nascosto ma allo stesso tempo così evidente.

L'ingenuità negli occhi di lei è un richiamo così forte ...

Quegli stessi occhi dei quali s'era innamorato tempo prima, pieni di compassione, mitezza, sensibilità. Quale uomo, sulla terra, oserebbe guardarla dritto in quelle pozze limpide senza sentirsi perdere nel vuoto? Lui stesso arriva al punto di perdere il senno in sua presenza. Il motivo? Ne potrebbe elencare mille e non sarebbero sufficienti per spiegare quella reazione così distante dal suo mondo. Lui, abituato al rigore scientifico e marziale. Lui, così dedito a quella piccola clinica di periferia. Lui, che entra in confusione senza poter capire il come ed il perché. Oh! Kasumi, fragile e piccola che se potesse, rinchiuderebbe in una campana di vetro sottile, per paura di infrangerla.

Sensazioni che non possono essere spiegate dalla scienza questa volta. Un uomo capace di trovare cure impossibili, schiavizzato da sentimenti che non riesce a confessare.

Si risolleva, ora, ripulendo i pantaloni dalle secche foglie autunnali. L'ultimo raggio di sole si staglia attraverso una nube, posandosi sull'imposta di una delle finestre ancora aperte dello studio. Solleva dunque l'avambraccio, asciugandosi la fronte dal sudore e sorride ancora, riallaccia la sua maschera di contentezza al volto, perché quella per ora è la sua vita.

Una maschera di cera non è adatta per celare i sentimenti dottore, presto o tardi arriverà anche per lei il momento di dover dire addio alla timidezza.

Un tavolo. Una busta. Un pennello ancora intriso d'inchiostro poggiato sulla carta. C'è qualcun'altro, preda dell'insicurezza, in quella baracca abbandonata da Dio. La luce tremolante di una lampada ad olio non troppo distante, che illumina parte di quel volto che si volge a destra e a sinistra intermittente. Indeciso, qual è la tua maschera? Una maledizione forse?

Giocherella con la carta tra le dita. Quella busta, che ancora non ha il coraggio di chiudere. La riapre, srotola il contenuto rileggendo la sua lettera che contiene sempre le stesse parole, sa che non avrà il coraggio di spedirla nemmeno questa volta.

Delle sue lunghe liste di viaggio, questa è la più corta che contiene solamente due parole. Quelle che rimarranno su quel pezzo di carta ed infondo al suo cuore in eterno, che resteranno scolpite nel marmo duro della sua paura.

Le iridi profonde, di quel verde bottiglia acerbo che paiono quasi finte per la loro consistenza, vibrano e si accendono di desiderio. Una fiamma che ti arde spesso negli occhi, piccolo porcellino nero.

Forte e determinato Ryoga, che dietro quella facciata schiva che mostra talvolta, cela solamente troppa timidezza. Si alza, compie mezzo giro all'interno di queste quattro mura senza perdere d'occhio quel foglietto che racchiude tutto se stesso. Vorrebbe dirglielo, gridarlo al mondo quanto ama la sua Akane. Non lo farà, semplicemente non prima d'aver abbandonato quella sua maschera che lo avvicina e lo allontana così tanto da lei.

Akane-san, sarò pronto un giorno e non serviranno lettere per dirtelo” solleva le braccia e il collo, ma per quanta convinzione possa esserci nel tuo sguardo, dovrai imparare che oltre alla maschera, dovrai scansare molto di più per riuscire nel tuo intento. Lui e le sue fantasie da quattro soldi. Già s'immagina, sistemato in qualche casetta a badare alla prole numerosa col suo angelo ad accoglierlo sulla soglia di casa, la sera tardi. Ed il sole scompare definitivamente, lasciando di sé solo una piccola ombra lontana.

Un paletto conficcato sul terreno. Il rumore dell'aria che sferza. Una falena che muore bruciata all'interno d'un lampione.

La gamba che si alza veloce, trafiggendo una piccola porzione di spazio. Un salto e una piroetta ed eccolo che ricade diritto di fronte al feticcio di legno.

Lui, che di maschere ne ha più di tutti. Apre gli occhi, concentrando lo sguardo su quell'avversario immaginario che gli si para dinanzi. Colpi mirati, mosse fluide e giochi veloci per catturare un pugno d'aria tra le mani. Le sopracciglia sono inarcate e la fronte spaziosa, corrugata in un'espressione cruccia. Cosa passa per la tua testa milite mai stanco dell'arte marziale? Trafitto da mille dubbi e allo stesso tempo lucido ed attendo sul bersaglio.

Lui dei tre, è quello che non appartiene alla sponda dei sentimenti. Così dice. L'ultimo giunto, la novità, quello detestabile e sarcastico. Lui che le parole le usa solamente per infangare e beffarsi.

Mira un altro colpo, senza mancare il bersaglio, unico maestro di quell'arte che molti chiamano violenta.

Qual è la tua maschera Ranma? Domanda che rimane enigmatica. L'ombra in quegli occhi, tanto rassomigliante a una scheggia avvizzita dal tempo. Uno sguardo, nel quale trova spazio solamente la luce penetrante della sua follia, quell'insana pazzia che chiami da sempre desiderio di farcela. Lui, il numero uno. Lui che non perde mai una sfida, che cade e che si rialza anche a un passo dalla morte.

Sei tu, tutto questo? O solamente un'altro dei tuoi trucchi per ingannare chi ti osserva? I movimenti circoscritti si bloccano a mezz'aria, mentre un altro rivolo di sudore ti scende dalla fronte. Non ti fermi nemmeno dinanzi alla fatica. Non tu, che della determinazione ne fai un'arma.

Coriaceo, intoccabile, con la scorza più dura dell'acciaio stesso. Eppure di sera, favorito dalla solitudine, anche lui diviene umano.

E forse, più di tutti, trascini e celi le tue ferite meglio di chiunque altro. Si ferma finalmente, distinguendo ciò che giace poco più in la del paletto di legno.

Rimane qualche istante a fissare la consistenza dell'acqua come ad un qualcosa di disgustoso. Quell'acqua che serena scivola sulla superficie del laghetto di casa Tendo, la stessa nella quale la carpa spicca due o tre salti prima di salutare un altro faticoso giorno.

E più rimane fisso lo sguardo nella pozza, più quel pezzetto d'umanità nel petto ringhia e scalpita feroce, cercando una via d'uscita. La sente sua, ogni giorno di più, quella tremenda agonia che lo lega ad un corpo totalmente estraneo.

Quel corpo che rinnega e getterebbe in pasto ai demoni pur di non tenerlo per sé. Più s'avvicina lo sguardo a quell'acqua e più s'abbassano le palpebre, disegnando, dietro le iridi impenetrabili, un sottile strato di amarezza.

Stringe il pugno, così forte da imbiancare le nocche, e dentro la bocca, serra le mascelle, strette. Si avvicina dopo qualche passo, immergendo gli occhi completamente nella sua stessa immagine.

Ti vedi e ti senti bene per un momento soltanto, perché chi vedi è la parte che di te ami. D'un tratto, però, a quell'immagine se ne sovrappone un'altra, coi capelli rossi e il sorriso di scherno che ti sputa in faccia che non sei completo. Ti ricorda, beffandosi di te, che sei uomo solo per metà.

Tutto questo brucia terribilmente e lo sente sulla pelle, mentre i muscoli s'intirizziscono e le vene prendono a pulsare evidenti. Quella rabbia che gli cresce dentro in un climax ascendente sempre nuovo, come un fiume in piena. La stessa ira che riserva ai suoi rigidi allenamenti, al suo parlare a sproposito.

Questa è dunque la tua maschera Ranma?

Vorrebbe urlare ma non ci riesce, vorrebbe spaccare il mondo ma non può. Ed è come un cavallo selvatico prigioniero dalle briglie e dalla sella.

Tornerò come prima, lo giuro.

Mentre silenziosamente sigilli quella promessa in fondo all'animo, dall'alto qualcuno ti osserva.

Non puoi saperlo, perché lei, silenziosa, lo fa ogni notte col favore delle tenebre. Solamente nel suo sguardo, se tu lo volessi, potresti scorgere che, in fondo, vai bene anche così, fatto solo a metà.



  
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