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Autore: Hypnotic Poison    20/10/2015    4 recensioni
«E più mi allontanavo e più sentivo di star bene»
Continuava a scappare dall’altra parte del mondo, eppure non riusciva mai a scappare veramente
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Ryo Shirogane/Ryan
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Far Away

 

 

 

 

Perché ti voglio bene veramente
e non esiste un luogo dove non mi torni in mente
Avrei voluto averti veramente
e non sentirmi dire che non posso farci niente
Avrei trovato molte più risposte
se avessi chiesto a te ma non fa niente
E non posso farlo ora che sei così lontana
 

 

 

 

 

Il fumo si alzava in lenti spiragli dalla tazza di caffè bollente, sospinto a disperdersi dal vento pungente. Aveva lo stesso colore plumbeo del cielo, carico di nuvole che si stagliavano all’orizzonte sopra al mare appena increspato.
Quasi poteva sentire il sapore di tutto quel grigiore, mischiato all’odore della salsedine. Eppure, aveva quasi un effetto calmante su di lui.
Si strinse di più nel pesante cappotto di lana, si appoggiò meglio alla ringhiera che separava quel largo marciapiede dalla spiaggia sottostante, inspirò forte.
Avrebbe voluto che nemmeno quel posto, così lontano, gli ricordasse così tanto. Ma era l’effetto del mare, si disse, che aveva lo stesso profumo ovunque si potesse andare, e l’olfatto era il senso che più scatenava ricordi… soprattutto se un DNA modificato ne ricaricava le potenzialità. 
Abbozzò un sorriso triste, abbassò la testa sul liquido nero che fece roteare nella tazza di carta.
Continuava a scappare dall’altra parte del mondo, eppure non riusciva mai a scappare veramente.
Il peso della busta nella tasca continuava a farlo ricordare, a tenerlo con i piedi per terra, ancorato a quella realtà che non gli era mai stata facile da accettare.
 
 
«Mi sta entrando tutta la sabbia nelle scarpe.»
«Spiegami di nuovo perché hai scelto di indossare delle sneakers al mare.»
«Perché stavano bene con i miei pantaloncini nuovi.»
«Dovresti passare meno tempo con Minto, ragazzina.»
 
 
Un gruppetto di gabbiani si levò in volo gracchiando, disturbati da un cane che correva libero sul bagnasciuga.
Si mise ad osservarlo, tutto pur di avere una minima distrazione.  Una coppia, imbacuccata quanto lui per proteggersi dal gelo, stava seguendo con calma l’animale, ridendo e stringendosi l’uno all’altra.
Lui sbuffò, si aggrappò soltanto al calore contro il palmo della mano. Pensava che un giorno o l’altro ci avrebbe fatto l’abitudine, invece non era mai successo. Si era semplicemente lasciato cullare da una vana ed ignobile speranza, che non aveva mai fatto chiudere del tutto la ferita.
O forse, l’abitudine era proprio quel pungere fastidioso all’altezza del petto, quel sapore amaro sulla punta della lingua tutte le volte che gli si ripresentavano scene quotidiane davanti agli occhi.
Evidentemente, nemmeno allontanarsi così tanto era la soluzione giusta.
Prese un sorso, lanciò un’occhiata all’orologio che portava al polso. Ormai erano giorni che non dava notizie di sé.
Non aveva voglia di parlare con nessuno – l’unica persona con cui avrebbe voluto davvero parlare era sicuramente impegnata, troppo presa per potergli davvero dedicare del tempo prezioso. E lui sarebbe stato troppo egoista a chiederglielo.
Come se non fosse stato già abbastanza egoista nel voler essere lui al posto di qualcun altro, in quel momento, in tutti quei momenti passati.
Si passò una mano sul viso, pungente contro la pelle per la barba di cui non si stava prendendo cura.
Non aveva nemmeno risposto. Né a lei, quando gli era arrivata quella busta, mesi prima, né a tutti i messaggi che gli erano arrivati da quando era partito. Avrebbe fatto molto meglio a spegnere il cellulare, ma gli sembrava esagerato. Gli sembrava come mostrare di essersi arreso davvero.
 
 
«Lo sai che non ci puoi fare niente. Smettila di tormentarti.»
La voce calma alle sue spalle non fu imprevista. «La fai facile, tu. Never had this problem, I guess.»
La sentì sospirare. «Devi lasciarla andare. Lei ha scelto.»
«Con tutto il tempo che ci ha messo, perché dovrei esserne sicuro?»
«Perché continuerai a farti solo del male.»
 
 
Diede le spalle alla spiaggia, infilò le mani in tasca. Le dita sfiorarono il bordo ormai consunto da quel movimento che aveva ripetuto meccanicamente. Ormai la conosceva a memoria – color crema, di elegante e raffinata carta riciclata, stampata con una fine scritta nera in corsivo che, sapeva, era stata ricalcata dalla grafia di Minto.
Avevano aiutato tutte con l’organizzazione, ovviamente. Lui, ovviamente, no.
Non aveva fatto altro che fare quello che gli riusciva meglio, a detta sua. Aveva preso le sue cose, ed era scappato; era andato via, per allontanarsi il più possibile, e fare finta di niente, anche se non ci riusciva davvero.
Probabilmente non l’avrebbe perdonato, questa volta. Meglio così – forse, sarebbe servito meglio a darci un taglio netto, a lasciarsi tutto alle spalle, e cadere solo nei ricordi.
Tutte le spiegazioni che avrebbe voluto avere avrebbero dovuto attendere un altro momento, forse un altro mondo. Ma gli andava bene così, in fondo. Era sempre stato bravo a prendersi le responsabilità delle sue azioni, e sopportarle.
Avrebbe sempre voluto lei, lo sapeva. Forse l’aveva avuta, per qualche misero, effimero istante. Era giusto così. Nella sua ingiustizia, lo accettava. E avrebbe continuato ad essere rincorso dalla sua memoria, forse avrebbe continuato a correre.
Guardò di nuovo l’orologio, e fece un rapido calcolo.
Ormai mancava davvero molto poco, non le aveva mandato nemmeno un augurio. Non poteva, era più forte di lui.
L’avrebbe capito. L’avrebbero capito tutti.
Alzò lo sguardo verso il cielo cinereo e prese una grande boccata d’aria, riempendosi i polmoni del freddo acuto. Sembrò che gli schiarisse un po’ la mente, mentre un brivido lo percorse.
Non poteva farci niente. Erano lontani, e non c’erano altre soluzioni. Andava bene così.
Il suo viaggio doveva continuare.
Raggiunse il cestino più vicino, infilandoci la tazza di carta. Tentennò un momento, rigirandosi la busta tra le dita, poi la ripose ancora in tasca.
Sfiorò lo schermo liscio del cellulare, lo prese in mano. L’ultimo messaggio recitava solamente “Dovresti esserci anche tu qui.”
Scosse la testa, ridendo amaramente, e riprese a camminare.








Okay, questa è una classica Hypnotic: non ha senso, e finisce male. ahahah Vi erano mancate, eeeeeeeeh? ahahah

Scherzo, in realtà non so se piaccia neppure a me, nemmeno io capisco cosa volessi scrivere... semplicemente, ho quella diavolo di canzone in testa da due giorni, io e la mia coinquilina la stiamo ascoltando a ripetizione da quando è uscita - molto stile pazzoidi, lo sappiamo - ma tocca molte corde (decisamente MOLTE) e dovevo scriverci qualcosa. Ovviamente, io non sono brava quanto il caro Marco Mengoni & co, quindi non sono riuscita a usarla come volevo... ma se conoscete la canzone, e io vi consiglio di ascoltarla, capirete di più la fic :3 Ne ho scelto solo un pezzetto emblematico all'inizio, ma davvero, è tutta. 

Abbiate pietà, dai, sono esaurita parecchio.

Un bacione, e buona settimana <3

 

   
 
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