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Autore: r_clarisse    21/10/2015    1 recensioni
Africa, 148.000 aC.
Due ragazzi innamorati, David e Steven, contemplano la bellezza del loro nuovo mondo dopo quattro anni di esodo nella Flotta Coloniale.
Il loro viaggio è terminato e ricominceranno da capo, a partire da quel momento, insieme.
David racconta in prima persona la loro storia, la loro vita insieme nelle Dodici Colonie e la corsa disperata per la sopravvivenza dopo la loro distruzione per mano dei Cyloni.
Non ha la pretesa di essere un grande racconto, ne un'opera di fantascienza, ma spero possa far trasparire in qualche modo quella che è la semplicità dell'amore che può unire due persone, attraverso lo spazio e il tempo.
"Eravamo finalmente a casa, la nostra nuova casa, e non dovevamo più scappare.
Certo, avremmo dovuto ricominciare da zero in un nuovo mondo, ma questo non mi spaventava; non mi spaventava la mancanza di cibo, il doverci arrangiare, il costruire tutto da capo.
Dopo quello che avevamo passato sarebbe stato sciocco preoccuparsi per il futuro.
Sapevo che ce l’avremmo fatta."
Genere: Drammatico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Quasi Tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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 Introduzione - Sull’erba

                                                                                                         
 1
Un raggio di luce filtrava tra le foglie e mi arrivava dritto negli occhi ma a dire il vero non mi dava molto fastidio, mi piaceva anzi; era passato davvero tanto tempo da quando avevo sentito quel calore sulla pelle, come a casa.
Questo sole era così caldo, così rassicurante, così vivo.
Non aveva nulla a che vedere con i raggi sintetici a bordo della Cloud 9, ne tanto meno con la pallida stella di New Caprica, tanto debole e fioca, insufficiente per soddisfare i nostri bisogni.
Miei Dei, come avevamo fatto per quattro anni senza il calore del sole sulla pelle?  Senza il fruscio del vento, senza le nuvole, senza i versi degli uccelli? Certo, questi uccelli erano diversi da quelli che cinguettavano nel nostro quartiere, ma sentirli era una gioia, una vera gioia.
Stavamo seduti sotto un albero in cima ad una piccola collina, a meno di cinquecento metri dall’accampamento del nostro gruppo;  avevamo davanti a noi una prateria immensa che si estendeva per diverse centinaia di metri, un chilometro o forse di più; l’erba era bassa, giallognola e puntellata qua e là da ciuffetti e arbusti verdi.
Ogni tanto, qualche albero si ergeva, alto si e no sei metri, con i rami incredibilmente diramati in orizzontale; assomigliavano vagamente a quelle piante che crescevano negli aridi deserti di Gemenon, con le fronde tuttavia più folte e meno rossicce.
Dove l’erba era più verde pascolavano una miriade di animali che non avevo mai visto: colli lunghi, criniere a strisce nere e bianche, macchie marroni.
Assomigliavano a quelle strane bestie di cui avevo sentito parlare negli antichi racconti dei padri di Kobol, e adesso invece li avevo davanti agli occhi!
Non stavo sognando! Quanta vita su questo pianeta.

2
Steven giocava gentilmente con i miei capelli mentre eravamo abbracciati; aveva un mezzo sorriso, la sua solita espressione a metà tra l’introverso e la sfida che gli avevo sempre visto in faccia in cinque anni che lo conoscevo. Io indossavo una sua maglietta bianca, usurata e ormai piena di piccoli buchi; lui aveva addosso una cannottiera con una stella azzurra; la usava durante le lunghe lezioni di danza, anni prima.
Era stato in silenzio per quasi mezz’ora ed era piacevole, in quel momento le parole non erano necessarie: era tutto finito, non potevo crederci, nessuno di noi poteva.
Eravamo finalmente a casa, la nostra nuova casa, e non dovevamo più scappare.
Certo, avremmo dovuto ricominciare da zero in un nuovo mondo, ma questo non mi spaventava; non mi spaventava la mancanza di cibo, il doverci arrangiare, il costruire tutto da capo.
Dopo quello che avevamo passato sarebbe stato sciocco preoccuparsi per il futuro.
Sapevo che ce l’avremmo fatta .
“Ti ricordi quando quella sera al cinema facesti il giro della stanza invece che entrare dalla porta davanti a me? “ Disse ridendo mentre strappava un filo d’erba da terra.
“Miei Dei, te lo ricordi ancora? Credevo avessi poca memoria per gli aneddoti!”
“Questo me lo ricordo, D” mi chiamava sempre così, D, era l’iniziale del mio secondo nome che secondo lui, in qualche modo suonava meglio del mio nome completo.
Non credo ci sia molto da spiegare.
“Potrebbe darsi che sia ancora in piedi.. il cinema intendo. Era una piccola città, non credo sia stata bombardata.” Dissi giocherellando con un bastoncino.
Steven sorrise e indicò un gruppo di alberi alla nostra sinistra:
“Guarda come sono disposti, assomigliano al parco davanti a casa nostra. Mancano solo i lampioni e i marciapiedi!”
Era vero, quegli alberi, tanto diversi dagli altri nella prateria, ricordavano tanto il parco davanti al nostro appartamento, su Virgon. La nostra piccola casa, quella che avevamo curato e vissuto con tanto amore. Sospirai.
“Beh, forse è un segno Steve. Dovremmo costruire qui la nostra casa, non credi?”
Sarebbe sicuramente stato bello e romantico.
Oh, che dico, è stato esattamente così.           
                                                                                       
3
Ci alzammo e ci incamminammo verso l’accampamento; c’era un sacco di gente, militari in uniforme che correvano avanti e indietro per collina portandosi dietro sacchi e valige piene di chissà quale strumentazione, ufficiali sotto i tendoni intenti a consultare i documenti inviati dalle navi in orbita.
I civili si erano sistemati oltre la collina, all’ombra.
Faceva davvero caldo.
Il cielo era terso, l’aria secca e tiepida; sembrava quasi che ci accarezzasse la pelle e ci cullasse nonostante fossimo tutti svegli.
Sentivo il rombo in lontananza di alcuni Raptor che lasciavano l’atmosfera e altri che vi entravano simultaneamente.
Mentre camminavamo, guardavo le decine di persone che mi circondavano intenti a sistemarsi nell’accampamento come meglio potevano; sembravano tutti così sereni, come se fossero in un sogno.
Vedere i loro sorrisi e sentire le loro risate mi fece riflettere: non credevo che avremmo trovato davvero la Terra; avevo sempre nutrito la speranza che il vecchio Adamo avesse ragione, o che il presidente dicesse la verità quando ci giurava che era certa della volontà degli Dei di condurci su questo mondo,  ma quella speranza era andata sfumando ed era diventata sempre più flebile dopo i primi due anni del viaggio. Dopo che avevamo perso così tanti compagni durante il viaggio, così tante navi erano andate distrutte, così tante vite.
In realtà ci eravamo scoraggiati tutti quanti in alcuni momenti; avevamo vissuto situazioni che qualunque psicologo avrebbe considerato al limite della sopportazione umana senza ombra di dubbio.
E invece eravamo proprio lì, finalmente, dopo tanto sangue, sudore e lacrime.
Stavamo per scrivere un nuovo capitolo nella storia dell’umanità, e io avevo tutto quello che potessi desiderare: avevo Steve, l’uomo della mia vita, ed era lì accanto a me e mi bastava.
Lo avremmo fatto insieme.
“Dovremmo unirci agli altri per sentire cosa dicono gli ufficiali, non si sa mai che possano dire qualcosa di utile, no?” Disse accelerando il passo.
“Ok, arrivo, lascia che vada a salutare Cassie, non l’ho ancora vista da quando siamo atterrati, ti raggiungo là!” Risposi alzando la voce per farmi sentire. Mentre mi dirigevo al tendone, infilai una mano nella tasca sinistra: dentro avevo ancora il mio cellulare, lo presi e lo spensi.
Non immaginavo che sarebbe stata l’ultima volta, non pensavo che non lo avrei acceso mai più.

Continua...
   
 
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