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Autore: Piperilla    21/10/2015    0 recensioni
[Dal Capitolo 3]
«Lei è una Sibilla?» ripeterono in coro Giovanni e Sofia. In tutti i viaggi che avevano intrapreso, non ne avevano mai incontrata una.
«Proprio così. Tuttavia non credo di potervi aiutare. Noi Sibille possiamo predire il futuro solo alle persone normali... i Portatori sfuggono in gran parte alla nostra Vista. Dovete rivolgervi altrove...ma questo lo sapete già» disse Samaah.
«Però lei sa perché siamo qui. Sa cosa vogliamo sapere» insisté Giovanni.
«Lo so benissimo, ma voi non comprendete i misteri della Vista e della Verità. Ci sono segreti che possono essere rivelati solo se si domanda, e misteri che possono essere svelati solo se a domandare sono i giusti» cantilenò la vecchia.

Dopo la tregua costata tanto sangue, Giovanni e Sofia si ritrovano per un nuovo viaggio: quello che li porterà a scoprire la verità sul quel legame così potente e misterioso che impedisce loro di separarsi.
[Per capire la storia, è necessario leggere "I Testimoni del Fuoco"]
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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- Questa storia fa parte della serie 'Saga degli Elementi'
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Michele bussò leggermente alla porta socchiusa, prima di entrare nello lo studio di Prospero.
   «Buongiorno signor Limardi. Mi stava cercando?» domandò con voce attenta e controllata.
   L’uomo scattò in piedi, picchiando con forza un pugno sulla scrivania.
   «Toreggiani!» ululò. Michele non si scompose.
   «Sì, signore?»
   «Qualcuno si è introdotto nella mia biblioteca» lo informò Prospero con aria minacciosa. L’altro ostentò un’espressione stupita, confusa, incredula.
   «Non è possibile!» esclamò. «Chi è stato, che tracce ci sono?»
   «Nessuna» ringhiò Prospero in risposta, «tranne un dettaglio».
   Sbatté sul tavolo alcuni libri; avevano l’aria antica. Ne prese uno e lo lanciò all’uomo al di là della scrivania. «Le sembra normale quel libro, Toreggiani?» domandò.
   Michele ne osservò attentamente la copertina, prima di sfogliare rapidamente le pagine.
   «Direi di sì, signore» rispose infine.
   «È un libro scritto da un Portatore degli Elementi» sottolineò Prospero. Michele aggrottò la fronte.
   «Ma non ci sono tracce di Aura» disse pensieroso.
   «Appunto: è una copia». Il tono di Prospero si era inacidito. «E poi c’è questo» aggiunse, lanciandogli un altro libro. Michele lo agguantò, e il suo stomaco si contrasse in modo spiacevole: in quel libro c’era un frammento dell’Aura di Sofia. Minuscolo, ma comunque riconoscibile.
   «Chiunque si sia introdotto nella mia biblioteca, rubando i libri originali e lasciando queste copie al loro posto, ha eseguito un lavoro magistrale. Avrei pensato a un uomo, ma l’Aura in quel libro è chiaramente femminile» ammise Prospero di malavoglia.
   «Davvero degno di nota» convenne Michele in tono piatto, «non fosse che per questa piccola sbavatura».
   «Quello che non mi spiego è: perché prendersi la briga di rubare gli originali, pur essendo già in possesso delle copie?» rifletté Prospero alta voce.
   Michele non rispose: sapeva bene che quelle copie erano state create al momento del furto, ma parlare non avrebbe giovato né a lui né a Sofia. Perciò rimase in silenzio.
   «Di certo, però» riprese Prospero, «sappiamo quando sono stati rubati»
   «Il giorno in cui quel ragazzo l’ha avvicinata qui fuori, più di due mesi fa» annuì Michele. Era l’unica cosa insolita accaduta negli ultimi mesi.
   «Già. Mattia Liverano. Abbiamo fatto dei controlli, su di lui» la voce dell’uomo era poco più di un sussurro, «e il ragazzo che quel giorno era qui di certo non è chi aveva detto di essere»
   «Sicuramente è lui, il ladro» disse immediatamente Michele; percepiva vagamente dove volesse arrivare Prospero, ma non aveva alcuna intenzione di aiutarlo ad arrivarci.
   Il sorriso di Prospero era molto più simile a un ghigno feroce che a un sorriso vero e proprio.
   «Oh, no. Io credo che quel ragazzo fosse soltanto un’esca, un diversivo» lo corresse, passeggiando avanti e indietro dietro la scrivania. «Il vero ladro è qualcun altro… e lei lo sa benissimo, visto che proprio quel giorno si trovava nella mia biblioteca».
   Michele non si diede la pena di negare; i suoi colleghi sapevano che quel giorno si era allontanato, durante la dimostrazione di Prospero, e ad Aldo aveva detto di stare facendo un giro di controllo proprio sul piano su cui si trovava la biblioteca. Attese in silenzio che Prospero proseguisse.
   «Non parla, Toreggiani?» lo dileggiò. Si aspettava qualche segno di agitazione, di panico, ma il volto di Michele era inespressivo. «Negli ultimi mesi, qualcuno ha consultato l’elenco dei Custodi della Verità. Quell’elenco è riservato, e nessuno ha richiesto la mia autorizzazione per prenderne visione: inoltre nessuno può incontrare un Custode e uscirne vivo. Quindi perché non la facciamo finita e non mi dice cos’ha in mente?».
   Non si aspettava davvero che l’altro rispondesse; ma la reazione di Michele lo spiazzò.
   «Io gliel’ho detto, di non farlo» sbottò; «è troppo pericoloso, e poi si sta consumando, non può reggere all’incontro con un Decano, o peggio, con un Oracolo! È già un miracolo che sia sopravvissuta all’incontro con gli altri Custodi!».
   Non credendo alle proprie orecchie, Prospero strabuzzò gli occhi.
   «Mi sta dicendo che il ladro, questa donna, è già stata da ben due Custodi della Verità? Ed è sopravvissuta? E soprattutto, lei ne conosce l’identità?».
   Rendendosi conto troppo tardi dell’errore che aveva commesso, Michele tenne la bocca chiusa.
   «Allora? Come ha fatto?» lo incalzò Prospero. Non ottenne risposta.
   «Toreggiani, lei ha permesso a un’estranea di penetrare nella mia biblioteca privata e di rubare dei libri di inestimabile valore. Inoltre ha consultato dei documenti riservati senza autorizzazione. Se mi dice tutto quello che sa su questa donna, non subirà le conseguenze delle sue azioni» gli fece presente. Per qualche minuto un silenzio carico di attesa si dilatò tra i due uomini; lo sguardo di Prospero s’indurì.
   «Non m’interessa come, né quanto ci vorrà» decretò, evocando dal nulla un bastone nodoso e portandosi di fronte a Michele «ma lei mi dirà quello che voglio sapere». Con un movimento fulmineo fece roteare il bastone, colpendo l’altro sulle costole dal basso verso l’alto; alcune ossa scricchiolarono sinistre. Michele si piegò su se stesso, boccheggiando.
   «Come si chiama la ladra?» domandò; Michele scosse la testa, in silenzio. Senza esitare Prospero gli assestò un colpo violento in mezzo alla schiena con il pomo del bastone, facendo crollare a terra l’uomo.
   «Dove posso trovare quest’audace ladruncola di libri?» insisté. Infilò un piede sotto il corpo steso sul pavimento e lo rivoltò. Stordito, Michele scosse di nuovo la testa, rifiutandosi di parlare. Prospero lo colpì allo stomaco, poi si accovacciò accanto a lui.
   «Perché si dà tanta pena per proteggere questa donna?» gli domandò. Sollevandosi a fatica su un gomito, Michele mise a fuoco la figura che gli stava vicino.
   «Non ho mai saputo dove vive. Ma se anche le dessi quello che vuole – un nome, un numero di telefono, qualunque cosa – non le servirebbe a nulla» disse a fatica.
   L’altro lo guardò, sollevando un sopracciglio. Michele proseguì.
   «Non riuscirà a prenderla. Mai. È stata addestrata in maniera eccellente, molto meglio di me e dei miei colleghi».
   Prospero lo prese per i capelli, costringendolo a reclinare la testa all’indietro.
   «E io che credevo foste il meglio sulla piazza, quanto ad addestramento» disse con voce mielata.
   «È così» replicò Michele, dolorante. «Ma lei è… diversa. Troppo abile, e in grado di fare qualunque cosa, pur di raggiungere un obiettivo»
   «Non importa. La intrappolerò come fa un gatto col topo non appena lei, Toreggiani, si deciderà a collaborare» replicò Prospero, sferrandogli un pugno in pieno volto prima di uscire dalla stanza, lasciandolo abbandonato sul pavimento.

*

Seduto al proprio tavolo, Michele scrutava impaziente la folla di avventori che ciarlava allegra nel ristorante.
   «Ehi, eccoti qui!». Una mano si posò con forza sulla sua spalla, facendolo trasalire mentre una scarica dolorosa gli si propagava lungo tutto il braccio.
   «Finalmente sei arrivato!» disse in tono di rimprovero, scrutando con la fronte aggrottata suo fratello.
   «Per qualche minuto di ritardo non c’è bisogno di fare tante storie!» replicò Luca.
   «Fai tardi tutte le volte» sottolineò Michele con una smorfia. Pranzavano insieme una volta a settimana da anni, ormai, e non c’era stata una sola occasione in cui suo fratello fosse stato puntuale. «Ti ho portato un regalo» annunciò poi, porgendogli un pacchetto rettangolare.
   «Cos’è?» domandò Luca incuriosito, mentre si accingeva a strappare la carta. Suo fratello lo fermò.
   «Non aprirlo qui. Aspetta di essere a casa» gli mormorò.
   «Va bene… certo che hai un aspetto orrendo! Ma che ti è successo?» chiese Luca, guardando attentamente suo fratello per la prima volta. Aveva un occhio nero e un taglio sul naso, era pallido e, da come si muoveva, sembrava avesse qualche costola rotta. Quando alzò appena il braccio destro per richiamare l’attenzione di un cameriere fece una brutta smorfia di dolore.
   «Non è niente… è stata una settimana complicata» tagliò corto. «Sto benissimo».
   «Non si direbbe affatto…» cominciò Luca, ma fu subito interrotto dal telefono. Rispose brevemente e poi chiuse la comunicazione. «Scusa Michele, ma Linda è rimasta a piedi e non sa come andare al lavoro, devo scappare».
   Suo fratello abbozzò un sorriso.
   «Sta’ tranquillo, ci vediamo la prossima settimana» disse, mentre Luca si alzava e correva via.

*

«Ti passo a prendere alle otto».
   Quando Linda scese dall’auto Luca spense il motore e afferrò il pacchetto che gli aveva dato Michele. Strappò la carta che l’avvolgeva e scoprì un libro: Dona Flor e i suoi due mariti.
   «Un libro?». Perplesso, Luca sfogliò distrattamente le pagine: sparse, trovò tre lettere chiuse e complete di destinatario e indirizzo e un biglietto per lui stesso.
   «’Spedisci queste lettere e brucia il biglietto. Non parlarne con nessuno. Non chiedermi niente. Michele’».
   «Ma che accidenti…» mormorò tra sé. Poi chiuse di scatto il libro, mise in moto la macchina e fece ciò che suo fratello gli aveva chiesto.

*

«Bene. Ora concentratevi… Marcos, se fai di nuovo una cosa del genere ti retrocedo ad Apprendista di primo livello… ed evocate un muro di Fuoco»
   «Sofi!».
   Martina stava correndo – cosa già di per sé insolita – verso di lei, per di più tallonata da Aleja e Claire.
   «Va bene ragazzi, quindici minuti di pausa». Mentre gli Apprendisti di secondo livello si dividevano in gruppuscoli, le tre ragazze la raggiunsero. «Martina, ma tu non avevi del lavoro da sbrigare a Roma?»
   «Sono tornata» rispose sbrigativa l’altra. «Ho ricevuto una lettera. Anche Claire e Aleja ne hanno ricevuta una uguale».
   Sofia non capiva. «E allora?»
   «E allora, riguarda te». Martina si schiarì la voce. «’So che questa lettera suonerà strana, ma per favore, leggila fino in fondo. Di’ a Sofia che non possiamo più vederci e che non deve cercarmi, né venire a Roma o dovunque io mi trovi. Michele’».
   «Più che una lettera, sembra un telegramma» sottolineò Claire.
   «Sono arrivate una settimana fa, ma tra il Natale e tutto il resto non ce ne siamo accorte fino a oggi» aggiunse Aleja a mo’ di scusa.
   Sofia allungò una mano e afferrò il foglio che Martina stringeva tra le dita. Rilesse il breve messaggio mentre le altre la osservavano in silenzio: poi, sempre senza parlare, restituì la lettera a Martina e uscì dalla sala a grandi passi. Arrivata nell’Ala Est, aprì una porta e mise la testa in una delle sale più ampie.
   «Laurence, ce l’hai un minuto?».
   Lui le lanciò un’occhiata di sbieco.
   «D’accordo ragazzi, per oggi abbiamo finito. Potete andare» disse rivolto agli Apprendisti di terzo livello. Mentre i ragazzi sciamavano verso la porta, chiacchierando e confrontandosi, Sofia scivolò dentro, chiudendo la porta non appena tutti furono usciti.
   Perplesso Laurence la guardò, aspettando in silenzio che parlasse. Non ricordava che Sofia avesse mai interrotto una lezione prima di allora, e da quando erano alla Valle aveva vietato a tutti di farlo; ora non riusciva immaginare quale motivo l’avesse spinta a violare una regola che lei stessa aveva posto.
   «Mi serve un favore. Vieni con me» gli disse a bassa voce andando verso le stanze dei Maestri, al piano superiore; la sua camera da letto e quella di Laurence erano divise da quella di Blaze.
   «Entra» lo esortò, aprendo la porta della propria e andando alla scrivania. Laurence la seguì, sedendosi su un angolo del letto: anche così era alto almeno quanto lei. Sofia frugò in un cassetto, spostando quaderni e pile di fogli; quando ebbe trovato quello che cercava, andò a sedersi accanto a Laurence e in silenzio gli mise in mano una foto.
   L’uomo osservò attentamente il viso allegro ritratto accanto a quello della sua amica. Poi alzò lo sguardo su Sofia e si schiarì la voce.
   «E così, questa è…» iniziò, esitante.
   «La persona di cui abbiamo parlato, sì» concluse la ragazza al suo posto, tormentandosi le mani.
   «Perché mi fai vedere questa foto proprio adesso?» le chiese Laurence dolcemente. Lei sospirò.
   «Ho bisogno che tu vada in un posto per me» rispose Sofia. Laurence annuì.
   «Cosa vuoi che gli dica?».
   Lei lo guardò sorpresa.
   «Oh, non devi dirgli nulla! Solo… controlla che stia bene» mormorò. Lui annuì di nuovo mentre Sofia gli spiegava dove andare. Poi l’abbracciò fugacemente.
   «Ci vado subito» le disse sorridendo. Non pensò neanche per un istante di chiederle il perché di quella strana richiesta: non conosceva gli avvenimenti che l’avevano portata a chiederle un aiuto tanto singolare, ma sapeva perché Sofia aveva scelto proprio lui, per essere aiutata, e cosa la spingesse a preoccuparsi tanto di una persona che vedeva solo di rado. Così uscì, mentre il vento gelido gli frustava il volto e gli faceva turbinare davanti agli occhi una miriade di fiocchi candidi, e si incamminò oltre le prime colline.

*

Nascosto dietro a un giornale, Laurence spiava tra il via vai di turisti cercando di farsi notare il meno possibile, per un uomo alto due metri. Dopo un paio d’ore vide avvicinarsi due uomini in completo scuro: uno parlava con aria severa e, a tratti, supplichevole; l’altro si muoveva lentamente, a fatica, e nonostante sembrasse piuttosto malridotto, aveva in volto un’espressione risoluta. Quando entrarono in un bar lì vicino, Laurence ripiegò il giornale e li seguì velocemente.
   Ordinò un caffè, parlando in inglese; il posto era pieno di turisti ed era facile mimetizzarsi. Fingendo di non capire una parola si avvicinò al bancone, tendendo le orecchie per ascoltare il discorso dei due che avevano attirato la sua attenzione.
   «…e se ti ostini a non parlare potrebbe finire veramente male» stava dicendo uno dei due. «Si può sapere perché non dici a Prospero quello che vuole sapere?».
   L’altro lo ignorò.
   «Che qualcuno si sia introdotto nel palazzo di Prospero sotto il nostro naso e abbia persino rubato dei libri antichi è un fatto gravissimo, ma che tu sappia chi è il ladro e non ti decida a parlare è, se possibile, ancora più grave!» insisté il primo uomo.
   «Luigi, basta!» sbottò Michele, infastidito. «Non cambierò idea, va bene? Quindi è inutile che tu insista a farmi la predica!».
   Risentito, Luigi gli rivolse un’occhiata offesa.
   «D’accordo, fai come vuoi, ma sono tre settimane che la cosa va avanti e non so per quanto tempo ancora potrai resistere. Di questo passo, Prospero ti romperà tutte le ossa» sottolineò.
   «Se anche gli dicessi quello che vuole sapere, non cambierebbe nulla. Non lo prenderà mai, quel ladro, perché è molto, molto più abile di tutti noi» ribatté Michele in tono definitivo, ed entrambi tacquero.
   Decidendo di aver sentito abbastanza Laurence andò via, desideroso di tornare alla Valle il prima possibile.

*

«…e così lo sta mettendo sotto torchio per sapere chi si è introdotto nella sua biblioteca».
   Appena tornato alla Valle, Laurence si era precipitato da Sofia per raccontarle la conversazione che aveva origliato.
   «Che razza d’idiota» commentò la ragazza, camminando su e giù per la stanza con le mani nei capelli. «Perché non gli dice il mio nome e non la fa finita con questa storia assurda?»
   «Credo tu lo conosca, il perché» disse Laurence, rivolgendole un’occhiata penetrante.
   «Certo che lo conosco, ma è da pazzi che debba rimetterci lui!»
   «E allora cosa vuoi fare? Andare a bussare alla porta di Prospero Limardi e dirgli: “Ehilà, salve, sono io la ladra che cerca con tanta insistenza!”?» domandò Laurence con la voce intrisa di sarcasmo.
   «Ed entrare nella tana del lupo? Mi ci vorrebbe un miracolo per uscirne… anche se…». Sofia tacque, soprappensiero.
   «Anche se, cosa?» indagò l’altro, sospettoso.
   «Mi hai dato un’idea. Un’ottima idea, e la metterò in pratica il prima possibile» rispose la ragazza, spingendolo fuori dalla stanza. Poi sedette alla scrivania, accese il portatile e iniziò a delineare con maggior precisione il proprio piano.

*

Dopo due notti passate a studiare informazioni, controllare itinerari e verificare date, Sofia era pronta. Erano le dieci e trenta: gli allievi si erano ritirati da un bel pezzo e lei si era chiusa nella propria stanza, apparentemente a causa di un forte mal di testa. Nabeela, appollaiata sullo schienale della sedia, osservava la ragazza darsi un’ultima controllata allo specchio e indossare un soprabito nero sopra il vestito.
   «Che ne dici, Nabeela?» esclamò Sofia ruotando su se stessa. La Fenice agito la coda ed emise un versetto tremulo. «Perfetto. E adesso andiamo» ordinò la ragazza.

*

Di pessimo umore, Prospero stava scolando un drink dietro l’altro mentre, mollemente abbandonato su una comoda poltroncina, osservava gli avventori del locale ciarlare a vuoto. Diverse donne lo guardavano con interesse; un gruppetto di persone – suoi conoscenti – passando, lo salutò.
   «È incredibile il modo in cui sprecano il loro tempo» notò a bassa voce. «E quanto siano superficiali».
   «Fanno ciò che ci si aspetta dalle persone ricche o di potere: si mettono in mostra» replicò una delle sue guardie, anche lui a bassa voce.
   «Così pare». In un solo sorso Prospero vuotò il bicchiere e attirò l’attenzione di un cameriere con un gesto. «Me ne porti un altro» ordinò; il cameriere annuì ossequioso e sparì. Ricomparve un minuto più tardi, con un bicchiere pieno e una busta da lettere bianca sul vassoio.
   «Per lei, dalla signorina al bar» mormorò. Senza degnare la lettera di uno sguardo, Prospero la lanciò sul tavolino e afferrò il bicchiere.
   «Una donna che abborda uomini in un bar? Audace» ridacchiò una delle guardie. Quello al suo fianco fece una battuta volgare, scatenando le risate degli altri cinque.
   «Sarà una delle solite sciocche» commentò Prospero, indifferente. «Pare che le clienti abituali di questo posto, pur essendo ricche, manchino completamente di classe e dignità».
   «Non è una nostra cliente. Nessuno l’ha mai vista prima d’ora» disse il cameriere.
   «Ah no?». La risposta non richiesta del cameriere aveva suscitato la curiosità di Prospero. «Qual è la signorina in questione?» domandò, sporgendosi in avanti e riprendendo la lettera.
   «Quella seduta da sola al bar, signore, laggiù» rispose l’altro, indicando con discrezione davanti a sé.
   Seguendo la direzione del dito del cameriere, Prospero allungò il collo tentando di vedere oltre la folla. Intorno all’elegante bancone del bar si affollavano coppie e gruppetti di persone che bevevano, chiacchierando allegramente; e proprio in mezzo a quel bailamme sedeva una donna vestita di nero, sola. Gli dava le spalle: non se ne vedeva altro che la schiena, lasciata completamente nuda dalla profonda scollatura dell’abito che indossava, e una gran massa di capelli raccolti in cima alla testa. Come se avesse sentito lo sguardo dell’uomo, la ragazza si voltò e gli rivolse un’occhiata che lo colpì: sembrava studiarlo con lo stesso interesse con cui un predatore studi una preda che ancora non sa di essere caduta in trappola. Era uno sguardo di sfida.
   Ipnotizzato da quegli occhi color ambra che gli sembravano stranamente familiari, Prospero guardò la donna alzare il bicchiere al suo indirizzo in un tacito brindisi. Dopo averlo vuotato, scivolò giù dalla sedia: l’abito aderente e accollato la fasciava come un guanto. Con la gonna che le arrivava appena sopra il ginocchio e le maniche lunghe, senza alcun gioiello addosso, contrastava in modo quasi bizzarro con le altre donne presenti: era come un’ombra sfuggita a ogni controllo.
   Con un’ultima occhiata ironica, la ragazza afferrò il soprabito e si diresse con passo altero verso il bagno. Scuotendo la testa, Prospero aprì la busta.
   «Sembrava una ragazzina» commentò una delle guardie.
   «È una ragazzina» replicò Prospero, spiegando il foglio che aveva in mano e scacciando la strana sensazione di aver già visto quegli occhi. «Non avrà avuto più di venticinque anni».
   Tutti tacquero mentre l’uomo leggeva la lettera – che era lunga non più di mezza pagina – scritta con una grafia minuta. Quando ebbe terminato scattò in piedi, il volto impallidito dalla collera.
   «Andate a prendere quella ragazza. Subito!» sibilò, stringendo convulsamente il foglio nel pugno. Obbedendo all’ordine tre delle guardie scattarono verso la toilette, ma tornarono a mani vuote. Prospero li guardò, impaziente. «Allora? Dov’è?».
   I tre si guardarono l’un l’altro, a disagio.
   «Ecco, lei è… sparita» ammisero a testa bassa.
   «Nessuno sparisce così!» replicò l’uomo, furioso.
   «A quanto pare, lei sì» disse uno dei tre uomini. «C’erano alcune donne, lì. Hanno detto di averla vista entrare in uno dei bagni e accostare la porta; un attimo dopo la porta si è aperta e lei… be’, non c’era più».
   Prospero si prese la testa tra le mani.
   «Cosa vi pago a fare, mi chiedo? E voi sareste stati addestrati? Sarà uscita dalla finestra! Possibile che debba dirvelo io?» li rimbrottò, incollerito.
   «Il bagno non ha finestre» si giustificò un’altra delle guardie.
   «Va bene, ora basta» sbottò Prospero, dirigendosi a lunghi passi verso l’uscita. «Stasera voglio chiarire questa faccenda una volta per tutte» ringhiò.

*

Il trillo del campanello fece sobbalzare i due uomini.
   «Ci penso io» disse Luca, andando alla porta. Non fece in tempo ad aprirla che un drappello di uomini lo spinse da parte e si fece strada nell’ingresso, Prospero in testa.
   «Signor Limardi» salutò Michele, alzandosi a fatica dal divano. «A cosa devo il piacere?»
   «Lo sa benissimo». Tremante di rabbia, Prospero gli lanciò la lettera che tanto l’aveva turbato. Dopo averla letta, Michele non riuscì a trattenere un sorriso.
   «Lo trova divertente, Toreggiani?» ruggì Prospero.
   «Molto, in effetti. Gliel’avevo detto, che non sarebbe riuscito a prenderla» replicò l’altro con aria compiaciuta, restituendogli la lettera.
   «La sta aiutando, Toreggiani» sibilò l’altro. «Altrimenti come avrebbe potuto sapere dove trovarmi?»
   «Sofia è piena di risorse. Non ha bisogno del mio aiuto, e in ogni caso non l’ho vista né sentita» replicò Michele. Prospero sbuffò, incredulo.
   «Non si aspetterà che io ci creda!» disse.
   Luca s’intromise. «Signor Limardi, sono rimasto con mio fratello dalle cinque di questo pomeriggio e le posso garantire che da quel momento non ha visto né sentito nessuno» disse con sguardo duro.
   «Potrebbe aver telefonato» insisté Prospero, guardando torvo Michele.
   «Non l’ho fatto»
   «Non ci credo»
   «Allora controlli» ribatté sfrontato Michele.
   «Lo farò» rispose Prospero in tono definitivo. Con un cenno richiamò i suoi uomini e uscì spedito dall’appartamento. La porta sbatté dietro di loro e nel salotto rimasero solo i due fratelli, uno divertito, l’altro confuso.
   
 
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