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Autore: chichi_ago    21/10/2015    3 recensioni
l'addio non detto distrugge Gaetano. le parole non dette lo portano a essere una persona che allo specchio non riconosce più.
camilla è convinta di essere libera ma così non è.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Camilla Baudino, Gaetano Berardi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non erano una coppia.
Si incontravano nelle indagini, sul pianerottolo, sulle stelle.
Si cercavano, cercavano passione, calore.
Non cercavano un futuro certo, un amore eterno.
Almeno lei non lo cercava.
Lei voleva essere libera come una nuvola, voleva essere portata in giro dal vento, voleva cambiare forma a seconda del momento, voleva vedere il mondo da lassù.
A volte però aveva bisogno di un suo abbraccio. Aveva bisogno di lui? O semplicemente di un abbraccio?
Lui invece aveva un altro modo di vedere la vita. Lui la vita la immaginava solo con lei.
Lui l’amore lo faceva solo con lei.
La sera si vedevano e passavano ore di passione, felicità, perfezione ma poi il sole riportava tutti i problemi, tutta l’insicurezza e la paura negli occhi di lei.
Lui non ne poteva più. Prendeva a pugni la porta dopo che lei se ne era andata da casa sua. Si tormentava, si accusava, si arrabbiava con se stesso. Non era in grado di non amarla.
Passavano i giorni. Le settimane. I mesi.
Lei continuava a essere circondata da Renzo, da Michele, e poi c’era lui, messo un po’ da parte.
Lei non voleva appartenere a nessuno e tutti la volevano. Lui voleva essere solo suo e non lo era.
Prima di quel giorno in ospedale lui aveva passato notti al suo fianco, a guardarla mentre Orfeo la cullava nelle sue braccia, la guardava e la amava, senza sapere perché.
Era convinto che in fondo lei lo volesse, lei lo bramasse quanto lui bramava lei.
Ma aveva capito ormai da troppo tempo che il loro rapporto era diventato malato e folle.
Come possono due persone dormire nello stesso letto dopo essersi divorati di passione quando ad amare è solo uno?
E così arrivo quel giorno.
Lei mise la parola fine. Anzi ancora peggio. Era una fine momentanea.
Lei gli sorrise, lui non capì. Non capì ciò che era diventato.
Quel sorriso era un arrivederci. Un addio temporaneo.
Ma abitavano uno di fronte all’altro. Come puoi dire addio a una persona che incroci ovunque?
Come puoi dire addio a una persona che il destino continua testardamente a metterti davanti ovunque tu vada?
Un pomeriggio lui stava uscendo per una commissione. Chiamò l’ascensore e quando le porte si aprirono vide lei. I loro occhi fissi si capirono. Gli occhi di lui si bagnarono. Si ritrovarono uno davanti all’altro sul pianerottolo.  In silenzio. Lui entrò in ascensore. Schiacciò il bottone del piano terra. Ennesimo addio. Lui dischiuse le labbra. Un sussurro uscì dalla gola di Gaetano.
“Ti amo”. Le porte di chiusero.
Passarono alcuni giorni. Lei provò inutilmente a chiamarlo. Lui non rispose.
Lei provò a bussargli alla porta. Lui non aprì.
Lei andò in commissariato. Lui non la ricevette.
Lei sapeva di avergli fatto molto male. Ma non poteva amarlo a forza.
Lui sapeva che lei non lo amava. E non aveva la forza di farsi vedere in lacrime davanti a lei.
Una sera lui era in casa a bersi in solito whisky mentre leggeva un libro. Aveva preso questa brutto vizio dell’alcol. Lui il perfetto commissario alcune sere si ritrovava a barcollare per casa senza ricordare quanti bicchieri era riuscito a buttare giù.
La mattina si risvegliava con il mal di testa, si prendeva una pastiglia, si faceva una doccia e come nuovo andava a lavorare. Solare e brillante fuori. Marcio dentro.
Quella sera il silenzio della sua casa gli permise di sentire dei rumori provenienti dall’alloggio di lei.
Delle risate. Grandi risate.
Di una donna. Lei naturalmente, era infondibile la sua risata.
Di un uomo. Non era Renzo. Renzo non rideva così sguaiatamente mai. Ormai un po’ lo conosceva anche lui dopo tutti questi anni.
Si scolò l’ultimo goccio e si avviò alla porta.
Cercava di reggersi alla maniglia mentre, barcollante, con un occhio appoggiato allo spioncino fissava quella porta che tante volte si era aperta per accoglierlo in una casa che profumava d’amore e di famiglia.
Rimase in quella posizione per interminabili minuti. Forse anche decine di minuti. Ogni tanto cambiava l’occhio perché la vista si faceva più debole e sfocata.
Finché la porta si aprì.
Lei. Lui. Camilla. Michele.
Occhi iniettati di sangue. Di lacrime. Di disgusto. Di rabbia.
“Aveva bisogno di essere libera e indipendente, ma che vada a quel paese”
Michele uscendo le diede un bacio sulla guancia. Uno di quei baci a rallentatore. Uno di quei baci che assapori fino in fondo per ricordarteli tutta la vita.
Lei sorrise e chiuse la porta.
Lui diede l’ennesimo pugno alla porta. Non era più lui. Era diventato la sua ombra. Di lui rimanevano solo i resti.
Avrebbe voluto urlarle ancora una volta:” Non possiamo, non possiamo buttare via tutto perché ora sei confusa, perché stai passando un momento difficile. Lascia che io ti aiuti, non mandarmi via”
Ma aveva trovato qualcun altro che la poteva aiutare, lui non serviva più.
Lui non serviva più come un porto sicuro. Non servivano più le sue braccia per avvolgerla.
Non servivano più le sue labbra per sfiorarle il collo. Le sue mani per accarezzarla. I suoi occhi per guardarla.
Il suo cuore per amarla.
Un delitto perfetto. Aveva compiuto un delitto perfetto. Lo aveva ucciso con un sorriso, con degli occhi scuri, con le parole non dette. Il suo non amare era stata l’arma più tagliente. Aveva lasciato tracce ovunque. Impronte. Dna. E l’arma era lì in bella vista. La porta chiusa. Un addio mai detto, un addio conficcato nel cuore.
Lui era un commissario. Aveva risolto moltissimi casi. Sapeva come ragionavano gli assassini. Lei era la prof, era astuta, infallibile, poteva aver compiuto il delitto perfetto ma era pur sempre un’assassina. E gli assassini tornano prima o poi sulla scena del delitto.
Lui lo sapeva, prima o poi sarebbe tornata. O forse no?
Lei intanto aveva cominciato in quel periodo a uscire regolarmente con Michele. Da amici.
Ricordavano i vecchi viaggi fatti insieme. Le gite della domenica. I progetti che avevano fatto per il futuro.
Si trovavano in giro per Torino a passeggiare, visitavano musei, avevano cominciato un corso di yoga insieme (su consiglio di George).
Ridevano molto. Lui era un uomo calmo, riflessivo, le trasmetteva la pace in quel periodo le era mancata.
Un giorno le chiese: “Sei felice?”
Lo guardò con gli occhi interrogativi.
“Perché me lo chiedi?”
“Perché nei tuoi occhi manca qualcosa.”
“Cosa manca secondo te?” chiese lei con un mezzo sorriso un po’ tirato.
“Manca l’amore. Quello vero.”
Quel giorno Camilla era tornata a casa con un senso di stranezza, di mancanza.
Si sentiva così libera da sentirsi persa. E ogni cosa persa è uno spreco, di tempo, di affetto, di vita.
Ma il tempo perso a correre dietro all’amore, alla felicità non è mai perso.
Tutti finiamo per cadere in un mondo di sconfitte, forse per errore, per mancanza di testardaggine, forse per destino.
Possiamo restare nell’errore per tutta la vita. Possiamo rimanere nel limbo, nell’intontimento, nella paura per tutta la vita. Lei aveva quella faccia, la faccia di una persona libera e intrappolata nella sua libertà. La libertà l’aveva portata a non vivere.
Forse era la verità che aveva affondato nel cuore che poteva portarla alla vera libertà?
Era sera. Le arrivò un messaggio.
Michele.
"Non lasciare che la tua libertà e la tua paura di permetta di perdere la cosa più bella che il destino ti ha regalato"
Michele l’aveva capita. L’aveva rispettata. Sapeva di non poter vincere. Aveva compreso che non l’avrebbe mai avuta tutta per se.
Esatto. Aveva paura. Le cose belle fanno una paura bestia, ovvio.
Perché quando stai bene, quando non desideri altro ti ritrovi ad avere paura che tutto finisca. Ma Lei aveva bisogno di rendersi conto che la felicità è fatta di attimi, di secondi vissuti. Sarebbe stato tutto più facile se avesse cominciato a vivere di attimi.
Si maledisse. Cominciava a vedere con altri occhi l’amore che lui le aveva donato.
Passarono alcuni giorni. Michele era sparito.
Lei mise da parte la paura. La libertà.
Bussò a quella porta che un anno fa si era aperta per trasportala in un mondo bellissimo.
La porta si aprì.
“Mi manchi troppo. Voglio vivere tutta la mia vita con te”
Lui impassibile la guardò negli occhi.
La porta si chiuse.
   
 
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