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Autore: hinata 92    21/10/2015    2 recensioni
Chi non ricorda Jack-Jack Parr, il neonato dotato di capacità straordinarie? Sarà destinato a seguire le orme paterne, avrete pensato tutti. E se invece durante la crescita avesse perso ogni potere? Come potrà affrontare da solo un'impresa molto più grande di lui?
Genere: Avventura, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Edna Mode, Jack-Jack Parr, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Eroe sì... super forse

 

Non appena anche Melanie ebbe attraversato il muro, J.J. lasciò andare la mano della madre e si guardò intorno. In quella stanza erano presenti schermi e apparecchiature decisamente più grandi e sofisticati di quelli che avevano visto fino a quel momento. Jack-Jack non s’intendeva molto di scienziati pazzi, ma se avesse dovuto immaginarsi lo studio di un supercattivo non sarebbe stato molto diverso da quello che aveva davanti. Per un secondo si chiese a cosa servissero tutti quegli strani aggeggi, ma il sussurro della madre lo riportò alla realtà.

«Probabilmente Edna è qui intorno.»

Aveva ragione, erano lì per la piccola donnina isterica ma geniale. Iniziò a cercare qualcosa che potesse avere l’aria di una prigione, anche solo una gabbia, una leva per nascondere un passaggio segreto o chissà cos’altro.

Un rumore lo fece trasalire e, di puro istinto, senza pensarci neanche un secondo, alzò le mani attirando a sé quattro pistole come se fosse diventato una calamita vivente.

I proprietari delle armi uscirono da sotto i tavoli. Erano sette uomini in camice bianco che lo stavano squadrando interessati, alcuni con dei sorrisi inquietanti che al ragazzo fecero subito venire in mente proprio Edna.

«Interessante… questo non l’avevamo catalogato, vero?»

«No, ci manca… due poteri, a quanto pare.»

«Intangibilità e magnetismo… curioso abbinamento! Come li classifichiamo? Protezione?»

«Il primo indubbiamente sì, sul secondo avrei qualche riserva…»

J.J. rimase sorpreso. Tutto si aspettava dai cattivi della situazione fuorché si mettessero ad analizzarlo sul posto!

Uno degli scienziati si rivolse direttamente a lui: «Ti dispiacerebbe, per il bene della ricerca, lasciarti analizzare un pochino? Sarà una cosa rapida e indolore.»

Anche se coperto dal cappuccio, il ragazzo alzò un sopracciglio: «Ma siete impazziti? Dopotutto quello che avete combinato vi aspettate ancora che collabori con voi?»

Lo scienziato alzò le spalle: «Voi “eroi” siete tutti uguali, egoisti e megalomani, non pensate mai al bene della scienza… ma in fondo meglio così… impareremo molto di più su di te vivisezionandoti direttamente…»

Un collega premette un pulsante e dei raggi laser provenienti da sopra le loro teste si diressero dritti verso il gruppo dei salvatori. Senza rifletterci troppo J.J. allargò le braccia, in un gesto che aveva sempre visto fare a Violetta, e ricreò la sua stessa barriera lillà per deviare i raggi. Al vederlo, gli scienziati interruppero immediatamente l’attacco, esaltati come bambini.

«Avete visto? Avete visto?»

«Tre poteri! Non ci era mai capitato un supereroe con ben tre poteri!»

«Tre poteri di protezione d’alto livello gestiti perfettamente! Questo è un elemento imprescindibile per la nostra ricerca.»

«Potremmo cambiare le sorti dell’umanità estrapolando da lui quelle informazioni…»

J.J. deglutì. Non era sicuro di volere sapere esattamente come volessero estrapolare informazioni da lui, e in quel momento dopotutto era un’informazione secondaria. Approfittando della loro distrazione, si guardò intorno alla ricerca di Edna. Inconsciamente doveva aver attivato la vista a raggi termici, perché l’ambiente intorno a lui aveva cambiato improvvisamente colore, diventando tutto blu e verde, con eccezione delle persone e dei computer, che erano rossi e arancioni. Finalmente, dietro un’anonima parete, vide una sagoma rossa inconfondibile. Strinse gli occhi fino a farli tornare normali, poi prese un profondo respiro e si toccò una tempia.

“Mi sentite? Sto cercando di comunicare senza che questi pazzoidi ci sentano…

I tre compagni sussultarono di sorpresa.

“Jack-Jack, stai… comunicando col pensiero?”

“L’idea era quella, Melanie, se funziona.”

“Ma insomma, fratellino, ma quanti ca…

“Flash, le parole!”

, adesso mi controlli pure i pensieri?”

“Potete continuare dopo? Non so quanto reggo il collegamento e non mi va proprio di sentirvi litigare anche nel mio cervello…

“Scusa tesoro, continua pure.”

Grazie… Edna è dietro quel muro. A giudicare dal calore di quelli che sembrano cavi direttamente dentro la parete, credo ci sia un passaggio segreto. Mamma, credi di riuscire ad andare a prenderla?”

“Certo, tesoro. Ma mi servirà un diversivo.”

“Flash, mi aiuteresti a dare tempo alla mamma?”

Oh-oh, cosa odono le mie orecchie? Il mio scontroso fratellino che si abbassa a chiedere aiuto a un insopportabile supereroe!”

“Flash, ti prego, piantala che non è proprio il momento!”

“Va bene, va bene, d’accordo, ma quale dei tuoi mille poteri intendi usare?”

“Se lo sapessi, te lo direi, ma saltano fuori un po’ a casaccio, non ne ho ancora un buon controllo.”

“Va bene, improvviserò. Ma Melanie?”

“Mi odierai per quello che sto per dire, ma potresti di nuovo attivare l’optional di invisibilità del costume?”

Melanie non ebbe il tempo di rispondere, perché gli scienziati sembravano aver finito le loro elucubrazioni sui poteri di Jack-Jack e avevano deciso di passare al contrattacco. Flash e J.J. schizzarono in direzioni opposte, mentre Helen si allungò verso la prigione di Edna e Melanie, semplicemente, scomparve. Flash si buttò a tutta velocità fra gli scienziati come un kamikaze per distrarli, J.J., non sapendo cosa fare, alzò le braccia creando un vento fortissimo che avvantaggiasse il fratello e disorientasse ancora di più gli avversari. Con la coda dell’occhio, teneva sotto controllo la mamma, aspettando il momento in cui la stilista sarebbe stata libera, con il cuore che gli batteva a tutta velocità, rimbombandogli nelle orecchie, così forte che in quel momento, in un istante quasi irreale, il mondo sembrò fermarsi. I rumori gli giungevano ovattati, quasi come fosse immerso in una piscina, e le immagini sembrarono sempre più confuse, come se ne stesse cogliendo solo delle scie colorate di movimenti fatti o ancora da effettuare. In quel momento di caos assoluto dei sensi, però, avvertì qualcosa di diverso, e solo in quel momento si rese conto di aver di nuovo attivato involontariamente qualche altro potere. Impiegò ancora qualche istante, che a lui parve infinito, prima di capire definitivamente di stare muovendosi alla stessa velocità di Flash, che ora poteva chiaramente vedere, e che ricambiò il suo sguardo sorpreso. Si fermò di colpo, ritrovandosi faccia a faccia con uno degli scienziati. Dalla sorpresa, lo spinse via con più forza di quanto avesse voluto, facendolo atterrare malamente dall’altra parte della stanza. Si guardò le mani ancora più stupito e deglutì. Superforza, di nuovo. Era passato nel giro di poco più di un minuto per tre poteri diversi e aveva la netta sensazione che la situazione potesse ulteriormente sfuggirgli di mano. Chiuse gli occhi, cercando di respirare profondamente. Lasciare fare un po’ al suo istinto andava bene, ma forse gli aveva lasciato troppa corda, d’accordo fare da diversivo, ma così non ci stava capendo più niente neanche lui. Si voltò verso sua madre e finalmente vide anche Edna, per nulla scombussolata da quanto le stava accadendo, imperturbabile come sempre. Si stavano guardando intorno alla ricerca di una via di fuga, che però non c’era. J.J. si morse un labbro. Giusto, era stato lui a farli entrare, e doveva essere lui a farli uscire.

Pregando di avere ancora in prestito per un po’ la superforza del padre, Jack-Jack afferrò uno degli ingombranti macchinari e lo lanciò verso la parete, creando un grosso buco.

Pur non sapendo bene in che direzione rivolgersi, senza poterla vedere, il ragazzo gridò: «Melanie, seguile

Ma quell’urlo attirò l’attenzione degli scienziati: «Mode sta scappando!»

Doveva fermarli. Doveva permettere loro di fuggire.

A quel pensiero J.J. sentì le mani diventargli gelide, di un freddo che mai aveva avvertito prima, e stranamente intuì anche razionalmente quali poteri gli erano toccati in sorte. Alzò le braccia di colpo e fra le donne e gli scienziati si frappose un enorme muro di ghiaccio.

«È una questione fra noi e voi.»

Il tempo di un respiro e Flash gli fu affianco, schiena contro schiena.

«Bel lavoro, direi che li abbiamo ampiamente distratti.»

«Già. Devo ricredermi, ci sai fare se ti ci metti d’impegno.»

«Grazie, detto da te è un complimento che vale doppio!»

«Peccato che non t’impegni mai…»

«E tu lo fai anche troppo! Dopo tutto il casino che hai fatto, credo proprio che quelli abbiano davvero intenzione di vivisezionarti…»

J.J. deglutì rumorosamente e Flash, stramente, gli sorrise in modo incoraggiante: «Puoi usare ancora i poteri di Siberius

«Se ti possono essere utili, penso di sì. Cosa devo fare?»

«Aiutarmi ad andare ancora più veloce. Se continui a distrarli così posso fermarli tutti. A meno che non ci tenga a farlo tu, in tal caso per questa volta potrei cederti il posto…»

«Scherzi, vero? L’eroe sei tu, l’onore è tutto tuo!»

Flash ridacchiò, mentre il fratello si limitò a sospirare: «E va bene, proviamoci.»

Aspettò di sentire nuovamente le mani gelide, poi con un ampio movimento creò una pista di ghiaccio. Flash ci si buttò subito dentro: «Perfetta così, grazie!»

Il supereroe schizzò a tutta velocità contro gli avversari, con una foga tale da sciogliere il ghiaccio non appena i suoi piedi lo sfioravano. Gli scienziati cercarono di recuperare i telecomandi e le armi varie che erano sopravvissute alla mezza devastazione avvenuta durante il primo diversivo. Uno di loro recuperò il comando del laser, costringendo J.J. a innalzare muri di ghiaccio qua e là per proteggere se stesso e il fratello e riflettere i colpi. In un momento che gli sembrò favorevole, il ragazzo tentò la sortita e sbatté violentemente il piede per terra, causando un piccolo terremoto. Non aveva calcolato però che così, oltre a disorientare gli scienziati, avrebbe fatto perdere a Flash la solidità della base su cui stava correndo, facendolo inciampare.

«Ops! Scusa!»

Un momento di distrazione che fu fatale. Lo scienziato che aveva sbattuto via in precedenza e di cui avevano scordato tutti l’esistenza, ne approfittò per digitare qualcosa in un computer alle loro spalle e attivare due paia di braccia meccaniche, che in un secondo immobilizzarono J.J. afferrandolo per le braccia e le gambe, nello stesso modo in cui era stata fatta prigioniera la sua famiglia. Preso completamente di sorpresa, il ragazzo andò in puro panico, pensando contemporaneamente a una marea di modi in cui potersi liberare e non riuscendo ad attivare neanche un potere che gli permettesse di farlo.

Gli scienziati esultarono per aver catturato un nuovo esemplare di ricerca e insieme il peggiore ostacolo al loro piano, ma vedere il fratello in quelle condizioni mandò Flash su tutte le furie. Strinse i pugni e digrignò i denti, sussurrando: «Nessuno tratta così il mio fratellino di fronte a me…»

Raccolse tutte le sue energie, concentrandole nelle gambe. Non aveva mai fatto uso di quella mossa, ma per Jack-Jack, per il suo insopportabile e apatico fratellino che non faceva che fregarsene di qualunque responsabilità attaccando tutto e tutti, per lui, che quel giorno, per loro, aveva mostrato un coraggio che mai e poi mai gli avrebbe attribuito, diventando, per salvarli, la cosa che più odiava al mondo, per lui sì, l’avrebbe fatto. Perché dopotutto aveva maledettamente ragione, lui, a differenza sua, non si impegnava mai al massimo delle sue possibilità, pensando sempre che la sua velocità fosse sufficiente per aggirare qualunque difficoltà e pericolo e che dunque l’unico modo per mostrarsi straordinario, per lui, degno almeno dei suoi genitori, che erano sempre stati costretti ad impegnarsi molto di più, fosse sconfiggere i suoi avversari senza avere neanche un po’ di fiatone o una goccia di sudore alla fine. Invece quel giorno J.J., mettendosi in una marea di guai, finalmente dimostrandogli che qualcosa del mondo importava persino a lui, gli aveva sbattuto in faccia una verità scomoda e dolorosa: non aveva importanza il tipo e la potenza dei superpoteri, senza impegnarsi al massimo non poteva considerarsi un vero eroe. Sì, si vergognava di fronte a quel fratellino impacciato, che senza avere il minimo controllo delle sue capacità era riuscito ad arrivare fino a quel punto, mettendo in gioco non solo la sua vita, ma tutte le sue più profonde convinzioni. Era giunto il momento di restituirgli il favore.

Per Jack-Jack, appeso a testa in giù e immobilizzato, fu impossibile capire davvero cosa accadde in quel secondo, e per poterlo comprendere pienamente dovette impiegarci successivamente parecchi minuti. Se avesse potuto vedere la scena al rallenty, avrebbe visto suo fratello puntellarsi sulla gamba destra e fare uno scatto tremendo, così violento da lasciare incisa sul pavimento l’impronta della sua scarpa con evidenti segni di bruciature, correre verso il computer, armeggiarci un po’ per cercare di capire come liberare il fratello senza riuscirci, perdere la pazienza, tirare un pugno alla tastiera, chinarsi, sfondare con la sola forza d’urto uno dei pannelli, tirare fuori una marea di cavi, srotolarli, andare dagli scienziati e legarli insieme, mandando in tilt il computer e liberando il fratello. Quello di cui quest’ultimo poté rendersi conto fu la sensazione di caduta libera, fermata prontamente da Flash che lo afferrò al volo.

J.J. si ritrovò fra le sue braccia, appoggiato al suo petto che, per la prima volta, sentì sudato e in continua contrazione per il fiatone.

«Come…»

«Non ho tenuto il nome Flash senza ragione. Velocità della luce, fratellino! Un po’ stancante, ma in un secondo si possono fare una marea di cose… se non mi credi, dovresti udire il rumore del pugno che ho dato… ora!»

Jack-Jack, ancora fra le braccia del fratello, trasalì. Flash aveva ragione, il rumore si era sentito, eccome! Ma non era stato un tonfo… bensì due…

Entrambi si voltarono, in direzioni opposte. Flash fu attirato dalla sirena poco rassicurante che era partita dal computer che aveva appena distrutto, ma J.J., voltandosi nell’altra direzione, vide l’ultima cosa che avrebbe mai voluto vedere.

Melanie.

Incastrata dentro un macchinario.

Coperta di sangue.

Con la testa completamente vuota, Jack-Jack si precipitò da lei.

«Cosa… cos’è successo?»

Melanie, con un bel taglio orizzontale sulla fronte che sanguinava imperterrito, ancora cosciente ma parecchio ansimante, gli fece un mezzo sorriso, incapace di muoversi ulteriormente: «Perdonami J.J., non sono stata… abbastanza veloce… per scappare quando… me l’hai detto…»

Il ragazzo ripercorse la sequenza degli eventi nella sua mente. Sì, le aveva detto di fuggire, ma essendo lei invisibile, non si era assicurato che ci fosse davvero riuscita…

«Ho schivato… tutto… e poi qualcosa… mi ha quasi investita… e il colpo… ha rotto il costume, credo…»

Nella testa di J.J. tutto prendeva drammaticamente posto: impossibile, per Flash, vederla… doveva averla sfiorata alla velocità della luce, sbalzandola con una violenza inimmaginabile fin lì. E tutto perché lui le aveva detto di attivare l’invisibilità del costume. Anzi, era stato proprio lui a erigere quel muro di ghiaccio che le aveva impedito di salvarsi. Voleva proteggerla e invece… invece…

Quello che nell’animo di Jack-Jack era già stato incrinato si ruppe completamente. Il ragazzo rimase lì, immobile, con gli occhi sbarrati, sordo alle richieste del fratello di allontanarsi subito da lì e cieco a null’altro che fosse il sangue di Melanie. Quasi non notò che la ragazza, sforzandosi oltre ogni misura, chiamava aiuto agitata, accorgendosi che qualcosa in lui non quadrava. Vedeva solo rosso. Rosso sangue. Sangue sulle sue mani, sui suoi occhi, sulla sua coscienza.

Ed esplose.

 

Bob si guardò intorno preoccupato: «Helen, senti, io entro. Ci stanno mettendo troppo.»

Violetta annuì: «Ha ragione papà!»

Helen guardò Edna e Steve alla ricerca di un appoggio: «Aspettate ancora un attimo, forse…»

La donna trasalì. Quasi come se si fosse teletrasportato, si ritrovò davanti Flash, ansante, accompagnato dai sette scienziati impacchettati e da una figura piccola, gracile e ferita che teneva in braccio.

«FLASH!»

«MELANIE!»

«Oddio, Melanie, ecco dov’eri…»

L’urlo attirò l’attenzione della maggior parte dei supereroi liberati, che si avvicinarono incuriositi. Il ragazzo, nonostante il fiatone, parlò velocemente e con molta ansia: «Mi serve aiuto! Lei è ferita, ho distrutto il computer e temo di aver fatto un pasticcio e J.J. …»

Helen lo fermò: «Una cosa per volta o non capisco! Cosa le è successo?»

«L’ho sfiorata mentre mi muovevo ad altissima velocità e l’ho fatta schiantare contro un computer.»

Bob trasalì: «Bisogna portarla subito in ospedale!»

Steve intervenne: «Non possiamo, medici e infermieri sono ancora tutti sotto l’effetto del fischio, non ci ascolterebbero!»

Uno degli scienziati sbuffò: «Tanto sarebbe inutile, tra poco esploderemo tutti…»

«COSA???»

«Questo genialoide ha distrutto in un secondo anni di lavoro, e ora sta per andare tutto in fumo… e voi con noi, insieme a tutto il resto della città.»

Flash annuì imbarazzato: «Ve l’ho detto che avevo fatto un pasticcio…»

Bob cercò di fare mente locale. Da una parte, il fatto che tutta la città fosse ancora sotto ipnosi era un vantaggio, non sarebbero riusciti a gestire una crisi di panico così grande; dall’altra, però, significava nessun aiuto dalla popolazione, che anzi sarebbe rimasta inerte a saltare in aria invece che mettersi in salvo. Prendendo un profondo respiro, chiese a Violetta di radunare un gruppo di supereroi in grado di cercare di annullare o limitare l’esplosione, mentre lui si sarebbe occupato di un altro gruppo volto a mettere in salvo i cittadini. Detto questo, ognuno di loro si allontanò dagli altri.

Intanto Steve, chino su Melanie, fece segno a tutti di stare zitti: «Sta dicendo qualcosa, non sento se parlate anche voi!»

Con un sussurro appena udibile, la ragazza declamò con fatica: «J.J. … non me, J.J. … aiutatelo, io… non posso…»

Flash fece una smorfia: «Ecco, questa è l’ultima parte del problema…»

Helen si fece improvvisamente seria: «Cos’è successo?»

«Non sono riuscito a portarlo via in alcun modo. È rimasto imbambolato di fianco al computer che sta per esplodere.»

In quel momento un piccolo boato li fece voltare tutti. Per un attimo molti pensarono che il macchinario fosse già esploso, ma quello che videro li lasciò tutti a bocca aperta, mentre Steve ed Edna sbiancarono.

«No…»

Qualcosa aveva sfondato la parete del laboratorio, ma era impossibile definirlo ulteriormente, perché il suo aspetto e dimensione variavano in modo continuo e inarrestabile, passando da figure pseudo umane a mostruose o a elementi naturali, influenzando in modi sempre nuovi l’ambiente circostante. L’unica cosa visibile e riconoscibile era un paio di occhi. Occhi rosso sangue.

Edna si precipitò da Melanie: «Ragazzina, non dirmi che quello…»

«Aiutate… J.J. … è più… importante… J.J. …»

Steve deglutì: «Ha perso il controllo…»

Helen prese per il bavero Edna, sollevandola di peso: «Cosa. È. Successo. Al. Mio. Bambino?»

La donna, per la prima volta da quando la supereroina la conosceva, aveva gli occhi sbarrati e spaventati: «La cosa peggiore che potesse accadere a Jèjè… non ha solo perso il controllo dei suoi infiniti poteri, ha perso completamente la sua personalità e la sua coscienza! Quello ora non è più Jèjè, è… non so nemmeno cosa possa essere.»

Steve intervenne: «Si era reso conto subito del rischio, non appena i suoi poteri si erano risvegliati, così ha chiesto a Melanie di aiutarlo a mantenersi cosciente, chiamandolo se necessario. Ma ora che ha passato il limite…»

Helen era a dir poco terrorizzata. Non potevano dirle che aveva appena perso l’ultimo dei suoi figli, non così.

Steve, senza preavviso, corse verso la creatura. Helen allungò un braccio per fermarlo.

«Cosa stai facendo?»

«Cerco di salvare il mio migliore amico, ecco cosa sto facendo! Se Melanie non può più chiamarlo, lo farò io.»

Edna lo richiamò: «Cerca di ragionare, ragazzino! È fuori controllo, potrebbe non riconoscerti nemmeno!»

Steve si aggiustò gli occhiali, per non far vedere le lacrime: «Nemmeno io l’ho riconosciuto la prima volta che ha cercato di salvarmi! Lasciatemi andare. Voglio salvarlo! Voglio passare altri pomeriggi con lui, a ridere, a scherzare, ad ascoltare musica insieme… vi prego…»

Helen annuì: «Flash, vai a chiamare papà, per favore, potremmo avere bisogno di lui. Io vado con lui. Due voci sono meglio di una.»

Edna tirò fuori la sua amata bacchetta e gliela puntò al collo: «Tesoro, stai pensando davvero di lasciarmi a fare da tappezzeria?»

«E Melanie?»

Flash intervenne: «Me ne occuperò io, dopo aver chiamato papà. Farò in fretta, promesso. E poi è colpa mia se si è ridotta così… e se J.J. …»

La madre allungò il collo per schioccargli un bacio sulla guancia: «Non pensarlo nemmeno, tesoro. Ho già i sensi di colpa di un altro figlio da calmare, non darmi altro lavoro, ok?»

Flash, con gli occhi leggermente lucidi, annuì, per poi sparire.

«Andiamo

 

«Jack-Jack!»

«J.J.!»

«Jèjè

«Tesoro, mi senti? Sono la tua mamma!»

La creatura senza nome e senza passato udì le voci, ma quasi non ci fece caso. Non avevano significato, per lui. L’unica cosa che avvertiva era un profondo senso di vuoto a cui non sapeva dare né un nome né un senso. Intravvedeva appena le tre figure che gli giravano intorno, ma ai suoi occhi erano equivalenti a un sasso posato sul terreno. Continuò ad avanzare, senza rallentare né accelerare. Quasi non si rese neanche conto della bacchetta che gli venne lanciata contro e della vocetta stridula che gli gridò: «Un minimo di rispetto quando tua madre ti parla, Jèjè, insomma!»

Fu l’unica voce maschile ad attirare la sua attenzione, per la prima volta: «Capisco che sei dispiaciuto per Melanie, ma non è questo il modo di affrontare la cosa, e lo sai!»

Melanie.

Un nome che gli risultava familiare, in qualche modo.

Era forse il nome che poteva dare a quella stretta nel petto?

No.

Melanie era qualcosa di diverso, lo sapeva. Doveva solo ripescarlo dai meandri della sua memoria. Era qualcosa di… rosso…

Un flash a ritroso, fatto di associazioni mentali a catena.

 

Rosso.

Sangue.

Una ragazza coperta di sangue.

Una ragazza rimasta lì per colpa sua.

Sua.

Di un ragazzino incapace di controllare i suoi poteri.

Un ragazzino che aveva bisogno di lei per controllarsi.

Che per colpa sua si era ridotta così.

Sua.

Di Jack-Jack Parr.

Uno stupido incapace combinaguai.

 

Helen vide la creatura portarsi le mani alla testa, per poi piantare un grido di disperazione.

«Io ho ucciso Melanie! L’ho uccisa!»

La donna trasalì. Associare quella voce disumana al suo bambino era per lei quasi impossibile. Vide la sua disperazione e si sentì impotente. Avrebbe voluto proteggerlo, come ogni brava supereroina, come ogni buona madre. E invece cosa aveva fatto per aiutarlo? Niente.

Steve, quasi indifferente, continuò: «Non l’hai uccisa, stupido di un J.J.! È viva, tanto per cominciare. E poi non sei stato tu!»

Quasi come se fosse stato colta sul vivo, la creatura prese finalmente un aspetto definito, quello infuocato, e si voltò prepotentemente verso il ragazzo: «Come fai a dire che non è colpa mia? Io le ho suggerito di rendersi invisibile, io l’ho illusa di poter fuggire e poi le ho sbarrato la strada! Io. L’ho. Ferita! Lei doveva aiutarmi e io l’ho ferita! Che scusa posso avere, Steve? Quale? QUALE?»

Edna diede una gomitata ad Helen: «La buona notizia è che a quanto pare abbiamo recuperato, in un modo o nell’altro, il nostro Jèjè

«E la cattiva?»

«Che s’incendia sempre quando è arrabbiato e non è mai riuscito a controllare quella forma. Tra pochi secondi si scorderà di tutto e di tutti e inizierà a incendiare qualunque cosa si trovi di fronte.»

«Come lo fermiamo?»

«Come abbiamo fatto finora, tesoro, parlandogli. Ma non l’ho mai visto così furioso, non so se basterà stavolta…»

Bob, nascosto dietro un angolo, reclinò la testa all’indietro, appoggiandola stancamente al muro. Era accorso non appena Flash l’aveva chiamato, ma si sentiva comunque in tremendo ritardo. Aveva desiderato tanto per il suo figlio più piccolo una vita super, ma non così, non a quel prezzo. Perché era stato così sconsiderato da non dargli ascolto, da non accontentarsi di quello che aveva? Aveva un figlio buono, gentile, bravo a scuola e con un gran senso del dovere. Perché non l’aveva visto fino a che non l’aveva perso?

Prese un sospiro. Era lui che lo aveva spinto a quel punto e toccava a lui rimediare. Si allontanò velocemente, correndo verso l’università. Nei sotterranei una ventina di supereroi cercava in ogni modo d’impedire l’imminente esplosione. Riconobbe immediatamente la sua bambina, che manteneva un campo di forza attorno al macchinario per trattenere l’esplosione, e la persona che stava cercando.

«Ho bisogno del tuo aiuto.»

Siberius gli rifilò un’occhiataccia: «Scusa, Bob, forse non l’hai notato ma sarei un filino impegnato a congelare un’esplosione!»

«E io sarei molto impegnato a salvare Jack-Jack. Ho bisogno di un favore che posso chiedere solo a te.»

L’uomo smise immediatamente quello che stava facendo: «Ti ascolto.»

 

Jack-Jack era furioso, come mai lo era stato in vita sua. Non con qualcuno in particolare, ma con se stesso. Si sentiva stupido, idiota, incapace, inutile e dannoso. Se avesse capito come fare, si sarebbe autodistrutto, ma non ci riusciva. Così faceva l’unica cosa che era in suo potere, sfogare la sua rabbia nella speranza di dimenticare il suo insopportabile dolore.

Steve si riparò sotto una panchina per schivare una fiammata: «Non so se ho migliorato o peggiorato la situazione…»

Edna, avendo perso definitivamente la sua bacchetta, prese un sasso. Sconvolgerlo urlando il suo nome e colpendolo la volta precedente aveva funzionato, poteva riprovarci. Lanciò il sasso, ma prima che potesse anche solo aprire bocca, questo si sciolse al contatto con il corpo di J.J., lasciandola basita.

«Oh , a quanto pare Jèjè stavolta ci sta dando dentro. È un ragazzo che s’impegna con tutto se stesso in quello che fa, dovresti essere fiera di lui, Helen.»

«Non è il momento di fare ironia, Edna! Io sono sempre fiera di lui, anche se forse non glielo dico abbastanza…»

La donna provò più volte ad allungare le braccia, ma era sempre costretta a ritirarle per il troppo calore. Essere una donna elastica era problematico quando si voleva abbracciare il proprio figlio in fiamme, non riusciva neppure ad avvicinarsi che si sentiva sciogliere come cera. Era certa che l’unica cosa che gli servisse era un po’ di consolazione e lei non poteva dargliela.

Jack-Jack, intanto, si dirigeva proprio verso i palazzi del centro. Dimentico delle persone che erano chiuse all’interno, desiderava solo scioglierli e bruciare tutto, tutto, compreso il suo dolore, compresi i suoi sentimenti, compreso lui stesso e la sua coscienza. Tanto nessuno poteva fermarlo.

«Jack-Jack, adesso basta.»

La creatura di fuoco sussultò dalla sorpresa, non tanto per il tono di voce calmo, quanto per la mano sulla spalla che lo teneva con presa salda e sicura. Chi poteva essere in grado di toccarlo a quelle temperature?

Si voltò, trovandosi faccia a faccia con suo padre, che, seppur con gli occhi lucidi, gli sorrideva orgoglioso: «Sei stato bravo, bravissimo, hai fatto molto più di quello che dovevi. Sono orgoglioso di te, da molto tempo, non solo da oggi.»

«Ma… Melanie…»

«Sai quante persone abbiamo sulla coscienza io e la mamma? Tante, tantissime. È umano commettere degli errori, e anche noi siamo esseri umani, anche se a volte le persone sembrano dimenticarlo. Anche noi ci siamo sentiti come te. Ogni volta fa male, malissimo, ma per fortuna! Quando smetteremo di sentire questo dolore, smetteremo non solo di essere eroi, ma persone degne di questo nome. Però non devi affrontarlo da solo, mai, o ti sembrerà di soffocare. Ci siamo noi per te. Tutti.»

Lacrime di lava scesero sul volto di J.J., che per asciugarle abbassò il volto. Solo allora notò il braccio sinistro che stringeva con forza la sua spalla. Non era bruciato, né avrebbe mai potuto esserlo. Era completamente congelato, incastonato in un ghiaccio così spesso che ancora non aveva iniziato a sciogliersi.

«Papà… cosa»

Di tutta risposta l’uomo lo strattonò al petto: «Un braccio vale molto ma molto meno di un figlio… di te, così come sei. Ti voglio bene, Jack-Jack.»

Il calore di quell’abbraccio e di quelle parole rotte dall’emozione fu così forte che al confronto J.J. si sentì un mucchietto di cenere fredda, e si spense, piangendo disperatamente al petto del padre, che lo cinse con entrambe le braccia.

Da lontano, Melanie sorrise nel vedere nuovamente Jack-Jack in forma umana, e il sollievo fu così grande che finalmente si sentì libera di perdere i sensi fra le braccia di Flash.

 

Il silenzio completo fu rotto delicatamente da qualche piccolo rumore di sottofondo, che la fece passare in dormiveglia. Molte volte Morfeo cercò di riprenderla fra le sue calde braccia e le ci volle un tempo che le parve quasi infinito prima che trovasse la forza di aprire gli occhi. Sbatté le palpebre più e più volte, fino a mettere fuoco i volti che aveva davanti.

«Melanie!»

«Melanie!»

«Ti sei svegliata!»

«Finalmente…»

La ragazza dovette inumidirsi un po’ le labbra prima di poter rispondere: «Steve… J.J. …»

Sbarrò gli occhi, cercando di mettersi seduta: «J.J.! Come…»

Una fitta alla schiena la costrinse a desistere dal suo tentativo di alzarsi. I ragazzi subito le furono affianco, cercando di sostenerla e di riappoggiarla con delicatezza sul letto d’ospedale. Jack-Jack, con gli occhi un po’ lucidi, le sorrise: «Calma, calma. Mi dispiace, ma temo che dovrai prenderti un po’ di riposo forzato dopo quest’avventura.»

«Quanto?»

Steve le rivolse un mezzo sorriso: «Almeno due mesi. Hai tre costole rotte, un paio di distorsioni al ginocchio e alla spalla e si è appena riassorbito l’ematoma al cervello.»

La ragazza esclamò con voce allarmata: «L’ammissione al conservatorio!»

Steve sospirò: «Temo che dovrai rimandarla…»

La ragazza alzò un braccio, legato da flebo e cerotti, per toccarsi la fronte, trovando un grosso cerotto che l’attraversava.

J.J. fece una smorfia: «Di quello potrebbe rimanerti la cicatrice. Mi dispiace…»

Melanie scosse appena la testa: «Non fa nulla. Cos’è successo? Ricordo che tuo padre ti abbracciava e poi…»

Steve continuò per lei: «… poi finalmente gli altri supereroi sono riusciti a impedire l’esplosione del computer e a disattivare il fischio ipnotico e la mimetizzazione della città. Così abbiamo potuto portare te in ospedale, gli scienziati pazzi in carcere e subire l’assalto di tutte le persone che erano appostate fuori dalla città.»

Jack-Jack rabbrividì: «Non voglio mai più avere a che fare con così tanti giornalisti… sono riuscito a dileguarmi prima che iniziassero a subissarmi di domande, ma sono comunque riusciti a scattarmi delle fotografie e la stampa si sta facendo mille domande sul “nuovo supereroe della città”. Edna se lo sogna che rimetta quel costume, ma neanche…»

Melanie rise nel vedere le smorfie sul volto dell’amico, ma dovette smettere quasi subito per il dolore.

«Quanto sono rimasta qui?»

«Una settimana. A me è toccato l’ingrato compito di sorvegliare questo qua…»

E rifilò a J.J. una gomitata nelle costole.

«… prima che non vedendoti sveglia gli prendesse un altro attacco di sensi di colpa. Uno ci è bastato e avanzato.»

Melanie sbarrò gli occhi: «E tuo padre? Il suo braccio?»

Jack-Jack sospirò: «Stavo per avere un’altra crisi di sensi di colpa quando ho visto che si era fatto ibernare il braccio per me, ma ho sottovalutato la sua invulnerabilità. Qualche mese di riabilitazione e dovrebbe tornare come prima, per questa volta ha scampato l’amputazione, ma i medici, e soprattutto Siberius, gli hanno fatto presente che non è più un giovanotto e che è meglio che eviti altri colpi di testa.»

La ragazza sorrise sollevata: «Meno male… e tu?»

J.J. sospirò: «Io cosa?»

«I tuoi poteri? Li hai ancora o sono spariti di nuovo?»

Di tutta risposta il ragazzo prese un bicchiere di vetro dal comodino, allungò il dito indice e dalla punta partì un piccolo getto d’acqua che lo riempì in pochi secondi. Glielo porse.

«Lievemente frizzante, come piace a te.»

Melanie prese il bicchiere ma non bevve: «Cosa ti succederà, ora?»

«Ho già fatto tutte le visite prescritte dal Governo, e sono arrivati alle stesse conclusioni di Edna. Morale della favola: avrò a mia disposizione vita natural durante uno psicologo e uno psicanalista completamente spesati e pronti ad aiutarmi a controllare le mie emozioni e miei poteri. Mi hanno addirittura offerto uno stipendio da favola se accettavo di diventare un supereroe a tempo pieno.»

«Ma tu hai rifiutato.»

«Esattamente. Questa città ha già abbastanza supereroi, meno problematici e pericolosi di me, e troppi pochi odontoiatri.»

La ragazza ridacchiò: «Questo è il Jack-Jack che conosco!»

«Ma ho accettato di sottopormi a un duro addestramento. Non sarò un supereroe, ma devo assolutamente imparare ad usare e controllare i miei poteri. Ho assicurato tutti che seguirò la natura dei miei poteri, e se ce ne sarà bisogno, solo e soltanto se ce ne sarà bisogno, ritirerò fuori il costume di Edna e mi renderò utile. I fondo i miei poteri funzionano solo in caso di necessità, no? E stavolta sembrano tutti d’accordo, persino papà! Vuoi mettere? Potrò essere l’unico odontoiatra per supereroi!»

J.J. l’aveva messa sul ridere, ma la settimana che aveva passato era stata davvero pesante, e solo in quel momento, in cui vedeva nuovamente il sorriso di Melanie, si sentiva finalmente libero da quel peso e pronto ad affrontare quello che lo aspettava. Steve aggiunse con un sorriso: «E lo sai che Edna mi vuole assumere come apprendista?»

«No! Davvero?»

«Dice che con il dovuto addestramento potrei cavarmela nel campo della moda supereroistica. Ma mi preoccupa molto la parola addestramento, conoscendola…»

Rimasero a chiacchierare, ancora per un po’, poi J.J. si alzò.

«Scusate, ma devo andare dallo psicologo. Buona guarigione, Melanie.»

Fece per allontanarsi, ma Melanie lo afferrò delicatamente per il polso. Conosceva quello sguardo, ormai, e aveva capito cosa stava passando per la testa del ragazzo.

«Tornerai, vero?»

Il ragazzo sentì il cuore riempirsi di gioia. Era pronto ad allontanarsi per sempre da lei, per non metterla più in pericolo, ma in fondo aveva sperato con tutto se stesso in quelle parole. Con la coda dell’occhio, vide Steve sorridere e fargli un segno d’incoraggiamento con la testa.

«Ogni volta che avrai bisogno di me.»

 

Ciao! Dunque, si direbbe che la storia sia finita... ma nessuno ha notato che non è ancora comparsa la dicitura “completa”? Già, perché ho deciso di fare un piccolo extra, qualcosa per farvi capire come andrà la vita di J.J. d’ora in poi.

Per intanto ringrazio mergana per l’ultimo commento e tutti quelli che mi hanno seguita, vi aspetto per l’ultimo saluto a Jack-Jack e compagnia!

Alla prossima!

CIAO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

 

Hinata 92

  
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