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Autore: Gwen Chan    21/10/2015    0 recensioni
"Hari Seldon ha previsto il futuro".
L'Impero cadrà e sarà il caos.
Cinque storie. Cinque storie per raccontare le vite di individui a volte straordinari, a volte semplici, ma ugualmente importanti. Il tutto durante il primo secolo della Fondazione.
Perché i singoli sono il punto debole della Psicostoria, il suo angolo cieco.
[CicloDellaFondazione!AU][Prima Classificata al Beware the warning contest/Second edition di Rota]
Genere: Generale, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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PARTE QUINTA
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“MATHIAS KOHLER. Detto il “mercante gentile”.
... Molti faticano a credere che sia lo stesso mercante arrivista coinvolto nell’incidente ...
Operò soprattutto a Korell, dove conobbe ...”
ENCICLOPEDIA GALATTICA

Il primo elettrodomestico a guastarsi era stata la lavastoviglie. Le avvisaglie si erano manifestate in piatti ancora coperti di macchie dopo un ciclo o negli aloni sui bicchieri. Le due dita d’acqua sporca sul pavimento della cucina una domenica mattina erano state l’ultimatum.
Berwald aveva provato a ripararla, perché era bravo con i lavori manuali, ma senza risultati soddisfacenti. Pertanto Tino si rassegnò a lavare le stoviglie a mano, nell’acqua del lavello. Scendeva gelida, spesso a singhiozzo, con l’impianto di riscaldamento che tossiva in cantina.
Tuttavia, il giovane non si demoralizzò. Dopotutto, aveva fatto a meno dell’energia atomica per diciotto anni. Ora ne aveva venti e il suo pianeta, Korell, da due era in guerra con la Fondazione. Non comprendeva appieno le cause dietro al conflitto, commentato alla radio con enfasi fasulla, nella migliore tradizione propagandistica.
Poi era stato il turno del forno e addio arrosto. Delle piastre elettriche. Della lavatrice. Ogni volta, Tino si arrangiava come poteva, sebbene avesse sfiorato la crisi isterica di fronte alla montagna di panni sporchi che cresceva di ora in ora.
Berward trascorreva giorni e giorni nel suo piccolo laboratorio, nel tentativo infruttuoso di far ripartire almeno un elettrodomestico.
Qualsiasi cosa per aiutare Tino, col quale conviveva da qualche mese. I vicini non si erano mai lamentati, almeno non apertamente. I pettegolezzi di certo passavano da orecchio a orecchio dietro le porte chiuse. Ufficialmente nessuno osava criticare Berwald in sua presenza, perché aveva un volto sempre ombroso che incuteva timore, sorrideva raramente e parlava a monosillabi, nonostante fosse la persona più premurosa che Tino conoscesse. Lui stesso si spaventava quando il compagno, in risposta a una battuta detta per rompere il silenzio, sollevava i gelidi occhi acquamarina dal lavoro di cucito e lo investiva con una smorfia di apparente rabbia. Il più delle volte era solo imbarazzo, unito al dispiacere di non poter esternare una ricchezza emotiva insospettabile.
Il campanello aveva cessato di funzionare il giorno prima, perciò non fu un allegro trillo, bensì un sordo, ma insistente bussare alla porta ad annunciare l’ospite. Tino si asciugò sul grembiule le mani insaponate di detersivo.
“Arrivo! Ciao, Mathias” accolse l’uomo sulla soglia. Da lì a sedersi al tavolo davanti a una tazza di latte caldo, il passo fu breve.
Mathias era un mercante, di un pianeta di cui Tino non ricordava il nome. Smyrno? Metà dei mercanti erano nativi di Smyrno, dopotutto.
Prima che il Commodoro di Korell dichiarasse guerra alla Fondazione, privando i cittadini del prezioso apporto dei mercanti che periodicamente giungevano con le loro navi cariche di meraviglie, Mathias aveva frequentato con assiduità casa Oxiesterna-Vainamonen. Nel giro do pochi mesi, Aveva venduto la lavastoviglie, la lavatrice, il frullatore e tutto il resto. Promise di rimanere disponibile per ogni guasto, con la sua parlantina allegra. Ogni garanzia recava in calce la sua firma a svolazzi.
“Ed eccomi qui!” esclamò. Salutò con energia Berwald, che bofonchiò una risposta.
“Come sta Lukas?” chiese Tino. Lukas era per Mathias quello che Tino era per Berwald.
“Il solito. Voleva venire, ma ha l’influenza.”
Tino aveva incontrato Lukas in una sola occasione, durante la consegna di un carico particolarmente delicato che, secondo quel poco che era riuscito a capire, Mathias non sapeva gestire. Un dettaglio, però, gli era rimasto in mente: il comunicatore mascherato da spilla cruciforme tra i capelli chiari. L’eleganza dell’oggetto aveva colpito anche Berwald.
“Allora, comincio da quello?”.
Mathias indicò il telefono, ora della stessa utilità di un fermacarte.
“Oppure questo?” e il suo indice puntò il cubo in plastica, ex televisore. A ogni opzione, Tino scuoteva la testa. Berwald grugniva il proprio disappunto.
“Certo, che sbadato! La lavatrice! Volete che ripari la lavatrice” esultò Mathias, come se stessero giocando al gioco dei mimi. Tino gli sfiorò il braccio.
“Temo non sia possibile. Non devi riparare nulla.”
Notando l’espressione confusa dell’ospite, aggiunse: “Come reagirebbero gli altri se si accorgessero che i nostri elettrodomestici funzionano? Unici in tutta la città o in tutto il pianeta. Verremmo accusati di collaborazionismo e linciati.”
Il sorriso di Mathias si spense.
“Lukas aveva ragione.”
Lukas, sepolto sotto una spessa coperta termica, si infilò un dito nell’orecchio per cacciare un inspiegabile e fastidioso fischio. Si girò nella sua cuccetta. Fu colto da un nuovo attacco di tosse: certe cose sarebbero rimaste le stesse per tutta la storia dell’uomo. Sputò il catarro in una bacinella ai piedi del capezzale, desiderando una doccia. Il pigiama era fradicio di sudore, ma lui aveva a malapena la forza per tenere gli occhi aperti, figurarsi per alzarsi.
Per questo motivo lanciò uno sguardo accusatore a Mathias quando a tarda sera lo vide comparire nella cabina. Dall’inusuale silenzio dell’amico comprese come l’uscita non avesse avuto esito positivo. La lingua gonfia gli impedì di articolare un rimprovero degno di questo nome. Riuscì però a mugugnare un “Mettimi giù!” quando Marhias lo prese in braccio.
Era imbarazzante: non era un bambino o una fragile donna bisognosa di cure. Nonostante la gola in fiamme, il cerchio alla testa, il naso pieno di muco, la febbre a quaranta, i coltelli nelle ossa, rimaneva uno scienziato della Fondazione. Anzi, un tecnico uscito a pieni voti dalla migliore università di Terminus.
Eppure, con Mathias nulla di tutto ciò aveva importanza. Per essere più precisi, Mathias aveva la fastidiosa tendenza a ignorare i dettagli sopracitati e, alla fine, Lukas non aveva altra scelta se non arrendersi all’essere infilato sotto il getto fresco, come una bambola. C’erano momenti in cui Mathias lo faceva sentire così e Lukas li detestava.
Passò un altro anno, durante il quale l’idea di recarsi in territorio nemico non fu ripetuta - Hobert Mallow aveva minacciato di chiuderli in prigione buttando via la chiave - e la guerra finì. Korell, stremata, firmò la resa incondizionata. Il Commodoro, che non doveva più essere tanto Ben Amato dalla popolazione, ammise l’impossibilità di governare un popolo stanco, affamato, infuriato, stremato, gonfio di risentimento per un sovrano che li aveva ridotti all’età della pietra.
Per Mathias questo significava non tanto la riapertura di un polo commerciale non indifferente, ma soprattutto la possibilità di riparare ogni apparecchio funzionasse ad energia atomica nella casa di Tino. Che Berwald minacciasse di congelarlo con una sola occhiata ogni volta che si avvicinava troppo a “sua moglie”, era un particolare trascurabile.
Korell somigliava a un pianeta fantasma. Nelle case, dove i cittadini avevano da poco ricominciato a vivere, si vedevano i moccoli di candela e le strisce di cenere sul pavimento, residuo di falò di fortuna. In alcune stanze, la tappezzeria sudicia brulicava di insetti e non sarebbe stata poi una grande sorpresa se un paio di pantaloni avesse iniziato a camminare da solo. Anche l’abitazione di Tino e Berwald era abbandonata. Meglio tenuta di altre, ma abbandonata. Abbandonata e aperta.
Mathias, violando il domicilio senza preoccuparsi delle conseguenze, si ricordò di una fiaba raccontata da Tino, qualcosa a proposito di una festa persa nel passato pre-Impero e di regali portati ai bambini buoni.
“E’ un’idiozia!”, gli pareva quasi di sentirlo, con le braccia incrociate e l’espressione di rimprovero che tanto amava. Tuttavia Lukas era altrove, ad addestrare un riluttante fratello minore, Emil. Riluttante persino a riconoscerlo quale suo parente.
Mathias si sfregò le mani. Agire da solo avrebbe richiesto più tempo del solito, aggiungendo a ciò una componente di rischio variabile dovuta al non conoscere l’entità dei danni. Stava giusto svitando una serie di minuscole viti che bordavano il frigorifero, quando un fumo sottile cominciò a diffondersi per la sala. Mathias lo ridusse a: contrattempo facilmente superabile. Che gli causasse un violento attacco di tosse era trascurabile.
La verità era che stava invecchiando. Aveva quasi quarant’anni e i numerosi viaggi interstellari lo avevano logorato. Sempre più spesso si sorprendeva ad immaginare come sarebbe stato accasarsi, magari con Lukas. L’idea gli piacque e si ripromise di rendere l’amico partecipe del progetto. Poi, si immaginò i rimproveri di Visser, suo mentore in gioventù, e un largo sorriso gli abbellì il volto. Si passò una mano sulla fronte. Ah, Jan Visser era quasi una leggenda nel mondo dei mercanti. Vent’anni prima aveva contribuito a forzare il blocco di Kyto e quella era solo una delle sue imprese. A sentire il vecchio mercante, esisteva ancora spazio per nuove conquiste.
Mathias se lo immaginò, ormai decrepito, a gestire una fitta rete di affari dalla lussuosa villa su Terminus, circondata da un giardino tenuto in maniera impeccabile.
Fu distratto da un ringhio; fece appena in tempo a girarsi verso la fonte del rumore che venne travolto da un batuffolo di pelo uggiolante, sparato a tutta velocità contro il suo petto.
“Ma guarda un po’” esclamò Mathias: i cani, così come ogni altra forma di vita animale, erano quasi scomparsi. “Da dove sbuchi fuori? Come ti chiami?”.
La risposta alla seconda domanda giunse tramite un urlo, mentre Mathias stava già coccolando la bestiola.
“Hanatamago! Qui, bello!”, seguito poco dopo da un viso molto familiare. Tino esibiva un volto scavato da anni di privazioni, ben diverso dalle tenere rotondità con cui Mathias lo ricordava, ma era comunque inconfondibile.
“Cosa ci fai qui?”
“Il cane è tuo? Ripeti il nome!”
Sì, la cagnolina era sua. Sua e di Berwald, si intendeva. Perché, Hanatamago non era un bel nome?.
Mathias scoppiò in una fragorosa risata: “Ho pensato che vi servisse una mano con questo”. E allargò le braccia a indicare la casa e il suo contenuto.
“Non sta andando bene” constatò Tino, annusando l’aria. “C’è puzza di bruciato.”
“Un contrattempo col frigorifero.”
Tino soppesò il fatto per cinque minuti buoni, prima di chiedere: “Piuttosto. ripareresti la lavatrice?”


   
 
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