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Autore: AlfiaH    23/10/2015    11 recensioni
Piccola shot partorita in un momento di disagio estremo in seguito alla 11x03.
["Dean ammutolisce per un attimo, arresta la sua avanzata stringendogli un polso, sulla bocca una smorfia di dolore. “Ti ho già detto che non voglio essere guarito”.
“Non lo sto facendo”, risponde, sfiorando il livido sullo zigomo con la punta delle dita. “Anche se vorrei”.
“Che stai facendo, allora?”]
Rigorosamente Destiel.
Genere: Angst, Fluff, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Forgiven
 





La notte è chiara a Lebanon, nel Kansas, ed è immensamente lunga per chi non può dormire; un tempo Castiel avrebbe potuto aspettare per ore senza battere ciglio, ma allora l’inquietudine che muove l’animo umano non si era ancora appiccicata alla sua grazia e lui era ancora soltanto un angelo del Signore. Adesso è diverso e, per quanto la creazione possa essere divina, Castiel ha smesso di guardare il cielo per abbassare lo sguardo sull’uomo che ha accanto, che non ha nulla da invidiare agli astri celesti .
“Sono felice di averti qui, amico”.
E’ il cacciatore a spezzare il silenzio: poggia i gomiti sulla ringhiera, preme il ghiaccio sul viso tumefatto trattenendo un gemito di dolore. Nemmeno lui riesce a dormire – nemmeno lui guarda il cielo.
Ed in qualche modo le sue parole sanno di promessa, sanno di casa e per la prima volta dopo anni Castiel si concede un sospiro di sollievo, malgrado l’Oscurità, malgrado gli angeli, malgrado tutto.

Stanno bene.
Sono a casa.

“Mi dispiace per oggi. Se Sam non fosse intervenuto…”
“Te l’ho già detto, Cas. Me lo sono meritato”.

Dean si stringe nelle spalle, una folata di vento lo fa rabbrividire e Castiel non può fare a meno di pensare che forse una coperta servirebbe anche a lui; è un pensiero stupido, che gli sfiora la mente e rimane lì, insieme alle sue dita sulla spalla e ai ricordi buoni che ha della Terra – immensamente pochi, inevitabilmente legati a Dean.

“Ti ho perdonato, lo sai”.
“Cas, non c’è bisogno –”
“Ti ho perdonato”, lo incalza l’angelo. “E dovresti farlo anche tu. Eri sotto l’effetto del marchio, Dean. Non eri tu”. E anche se lo fosse stato?

A Castiel, comunque, non importa.
Quello che gli importa è Dean e, sinceramente? Lo capisce, sa come si sente, ma l’idea di non poterlo guarire gli crea quasi del dolore fisico. E lui non è un esperto di rapporti umani e dimostrazioni d’affetto, sa soltanto che attualmente toccarlo è l’unica cosa che potrebbe farlo stare meglio – che potrebbe fare stare meglio entrambi.
Così gli poggia una mano sulla spalla, come ha fatto il cacciatore con lui, stringendo appena prima di risalire sul collo e poi lungo la linea della mascella.
Dean ammutolisce per un attimo, arresta la sua avanzata stringendogli un polso, sulla bocca una smorfia di dolore. “Ti ho già detto che non voglio essere guarito”.

“Non lo sto facendo”, risponde, sfiorando il livido sullo zigomo con la punta delle dita. “Anche se vorrei”.
“Che stai facendo, allora?”

La sua presa si allenta e l’angelo può continuare: gli avvolge il viso col palmo, le dita tra i capelli, traccia la linea delle labbra col pollice, si sofferma sul taglio ancora aperto. Castiel non ha una vera e propria risposta perché, in effetti, sta semplicemente facendo ciò che desidera fare. Accarezza ogni ferita, sente il dolore sul proprio corpo, il sangue pulsare sotto la carne lesa, l’idea di passarci sopra le labbra è sconvolgente. “Mi dispiace”, mormora.

“Smettila”.
“Lasciami fare questo, Dean. Almeno questo”.

Stavolta baciare Dean ha un sapore più dolce, che non sa di urgenza e addii, è soltanto uno sfiorare di labbra sulla ferita alle tempia, sulle rughe della fronte, sulle palpebre, sugli zigomi martoriati, ed è molto più di quanto il cacciatore possa sopportare. Così la sua stretta diventa più forte, senza avere il coraggio di allontanarsi; stringe i denti, ma non è dolore fisico quello che prova – Castiel lo sa, se lo sente sulla pelle.

“Dio, io sono stato uno stronzo con te. Cos’è, porgi l’altra guancia?”
“Dean…”
Perché fai così? Ti ho quasi ammazzato!”
“Ma non l’hai fatto”.
“Ma volevo farlo!”
“Non importa”.

Dean emette un verso esasperato, fa scontrare le loro bocche, impetuoso, gemendo per l’impatto; il sapore del sangue sulla lingua lo riporta in Purgatorio, alle notti scure, alle chiome grige.
“Mi dispiace”, sussurra il cacciatore, le dita artigliate al trench, la fronte poggiata alla sua. Sembra sia la cosa più difficile che abbia mai detto e forse lo è, forse è il primo passo affinché Dean perdoni se stesso e va bene, Castiel può accettare le sue scuse anche se l’ha già perdonato. “Cas, sul serio, non sai quanto -”
“Lo so. Ti ho già perdonato”.

Ed è l’ultima parola che viene pronunciata; nessuno guarda il cielo, ma la notte a Lebanon, Kansas, non è più così limpida.

 


#Angolodellaprocrastinazione ovvero: il festival dei titoli banali

Lo so, ve tocca sorbirvi pure sta cosa informe, ma non potevo non scriverci qualcosa. Quindi ecco la mia versione, con tanto di riferimenti al purgatorio perché si, ci sta, ed è un parallelismo che mi fa morire tantissimo (così come quello con Caino---)
E niente, è difficilissimo evitare la seconda persona quando l'hai usata per un casino di tempo owo
Ringrazio a prescindere tutti voi che avete letto e chi si prenderà la briga di lasciare un commento. Ve amo sempre<3
*sparge zucchero, biscotti e corre a fare dolcetto o scherzetto in aticipo*

 
  
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