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Autore: MaddaLena ME    24/10/2015    2 recensioni
Un repayment un po’ per tutti:
* Hermione
* Neville
* Piton
* i secondogeniti
* i secondi nomi
* i Serpeverde
* l’Occlumanzia e le Arti Oscure
* i sognatori, gli appassionati e i caparbi
* gli studenti
* i professori

Il cambiamento è goccia che scava la roccia: di fronte ad una mente brillante, un'altra non può evitare di esserne influenzata.. il rapporto è biunivoco!
Capitoli totali: 12
Dal cap. 2:
Squadrò la divisa, avvicinandosi, con un moto serpeggiante e sinuoso, fino a vorticare attorno al ragazzo. Con stupore evidente:«Dunque, sei un Serpeverde, per via del tuo secondo nome… per me?» domandò, ripensando a quanto gli aveva detto il giorno precedente.
Piton era incredulo. Lui ha fatto e avrebbe fatto qualsiasi cosa per Lily. Ma nessuno, che lui ricordasse, aveva fatto mai qualcosa per lui, solo per lui. Appositamente per lui. Tutto ciò gli parve insolito, per non dire sospetto.
Infatti, con una smorfia dipinta sul volto sgraziato, gli si avvicinò, per indurlo a parlare.
«Già, esattamente » disse appena, in un soffio, il giovane Albus Severus.
Genere: Comico, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Albus Severus Potter, Nuova generazione di streghe e maghi, Severus Piton, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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UNA POZIONE DI LIVELLO AVANZATO
 

Non era la prima volta che inventava una pozione. Ma prima d'allora erano sempre state cose di poco conto, come la pozione-fertilizzante che aveva rinvigorito le begonie della mamma. Per altro, nessuno aveva saputo che era stato lui; del resto, essendo minorenne, non ci teneva a far sapere a tutto il mondo quella piccola magia che, pur innocente, era comunque illecita.
Bezoar tritato, dittamo in quantità, qualche foglia di valeriana e due lacrime di Fenice; naturalmente ci aveva unito un lembo del mantello che gli era appartenuto. A logica, aveva senso: erano ingredienti di guarigione tutti quanti e, fermentati a dovere, avrebbero potuto dare un buon risultato. Tuttavia, questo rimaneva in realtà un'incognita, perché nessuno era riuscito a ridare la vita a morti, di decenni fa, per altro.
Era però speranzoso: le pozioni gli erano sempre riuscite facili; del resto bastava solo un po’ di determinazione, attenzione e, soprattutto, concentrazione. Tutte caratteristiche che suo fratello James non possedeva né si curava di incrementare: a quest’ora, in genere, le pozioni di suo fratello esplodevano o emanavano cattivo odore: il motivo era, quasi sempre, lo stesso: mentre ne attendeva la fermentazione, James si metteva nelle orecchie un aggeggio babbano che riproduceva musica, oppure scartava delle Cioccorane, si distraeva, o ancora, pensava a qualche scherzo ai danni dei più piccoli. La verità era che James poteva fare sicuramente di più, impegnandosi, ma definiva Pozioni “una materia per sottomettere gli spiriti liberi” come lui ed evitava di esercitarsi, fino a che non si rivelava assolutamente indispensabile,
Albus invece seguiva sempre con grande attenzione le lancette correre sul vecchio orologio del nonno, e cercava di mantenere sempre al massimo la propria concentrazione. Anche se, naturalmente, anche lui si abbandonava talvolta a qualche ricordo. In quel momento, ad esempio, stava pensando a quando gli era venuto in mente di prendere quel calderone “di riserva”, così aveva detto a suo fratello, quando l’aveva visto tornare da Hogsmeade, con le gambe che gli tremavano sotto il peso del recipiente, che era quasi più grande di lui. Un calderone di riserva, lui? Albus - perdente - Severus, il secchione che non sbagliava una pozione e che era forse il miglior allievo in Pozioni, non solo del suo anno di corso, ma probabilmente dell’intera Hogwarts? No, James non se l’era bevuta affatto, aveva sghignazzato e stava sicuramente cercando il modo migliore per umiliarlo. Tuttavia, gliel’aveva acquistato, dal momento che al fratello minore non era consentito ancora andarci. Ma, provvidenzialmente, in quel momento, erano passati alcuni amici di James che lo avevano distratto, consentendo al fratello minore di battere strategicamente in ritirata, allontanandosi in fretta, col suo prezioso carico, dirigendosi nel luogo dove si trovava anche in quel momento.
Definirla caverna sarebbe stato probabilmente inadeguato. La parte in cui si trovava in quel momento ne poteva essere, al massimo, l’imboccatura, la parte più esterna. Conduceva da qualche parte? Chi poteva dirlo? Non lo sapeva, ma, tutto sommato, neppure gli interessava. Suo fratello si sarebbe illuminato al pensiero di una nuova avventura per scoprirlo. Ma lui non era James. Quello era il posto ideale, perché farsi domande inutili? Seminascosta alla vista altrui da alcuni arbusti, un po’ umida, ma riparata dai raggi del sole e fresca anche d’estate, a pochi passi dalla Foresta Proibita (ma appena prima, di modo che nessun professore avrebbe potuto rimproverarlo per esservici inoltrato): che poteva chiedere di più, a quel luogo? Era l’ideale per pensare, studiare, farsi gli affari suoi in tranquillità, lontano dalle malsane idee di suo fratello e dei suoi amici, o di Scorpius e dei suoi compagni di Casa.
No, non dovete pensare che fosse un asociale assoluto. Aveva, naturalmente, i suoi pochi e selezionati amici, a cui erano da aggiungere i suoi cugini e fratelli, naturalmente, con cui spesso giocava o s’intratteneva. Semplicemente, talvolta, sentiva il bisogno di stare un po’ da solo, senz’avere addosso gli sguardi di tutta la scuola che gli rinfacciavano d’essere il fratello minore di James Sirius o il figlio sbagliato di Harry Potter, l’eroe del mondo magico. Un posto, in cui essere, semplicemente, Albus Severus, dodicenne smilzo e poco appariscente, appassionato di Pozioni e di Difesa delle Arti Oscure, con il segreto desiderio di divenire Guaritore, con un’insaziabile sete di conoscenza e la necessità di volersene stare un po’ tranquillo, ogni tanto e che, in quel momento, in abiti civili, si stava cimentando con la pozione più complicata che avesse mai affrontato fino a quel momento della sua breve vita.
Si avvicinò al calderone e mescolò un paio di volte, controllando, un po’ perplesso, il contenuto che ribolliva, schiumava e cambiava più volte il proprio colore.
«Ci siamo quasi!» disse, ad alta voce, controllando l’orologio.
 Una strana luce colorata si levò dal calderone, che, al contempo, schizzò liquido per tutta la grotta. Le piccole luci si unirono insieme, prima lentamente, poi sempre più velocemente, cambiarono forma nuovamente, poi colore, s’ingrandirono, s’allargarono, per un momento sembrò perfino che fossero scoppiate, finché.. iniziarono ad inseguirlo. Lui iniziò a correre, si addentrò nella caverna per un tratto, ma inciampò e cadde. “Forse si è arrabbiato… forse non dovevo.. forse ho fatto una magia oscura e adesso non so come rimediare!”. Mille pensieri si affollavano in quella giovane mente, mentre le mani si misero istintivamente innanzi agli occhi serrati: in silenzio, rassegnato, aspettava il peggio.
Ma non udì altro che un rumore secco, come lo scoppio di un palloncino. Poi il silenzio.
Non udendo altri suoni, dalla pozza in cui era scivolato, aprì cautamente prima un occhio, poi l’altro. Osservò attraverso le mani, di cui aveva allargato con discrezione le dita, per poter sbirciare cosa fosse avvenuto a pochi passi da sé, circospetto e sospettoso.
Ritta innanzi a lui, a circa mezzo metro, una creatura evanescente, un ectoplasma di un lieve azzurro dalle fattezze del professor Piton, si stagliava con eleganza, a circa mezzo metro dal suolo.
Si scrutarono a vicenda, per un paio di minuti abbondanti.
Fu il fantasma a rompere gli indugi, rivolgendosi, con malagrazia, ad Albus: «Be’, e tu? chi saresti? La buona educazione esige che almeno ci si presenti, non credi?»
E tra sé e sé sicuramente pensò che, con l’andare del tempo, le nuove generazioni continuavano a perdere di vista sempre più le buone maniere. Probabilmente doveva essere Babbano, questo: non riusciva quasi a vedergli gli occhi, da quanti capelli li ricoprivano. Forse era una nuova moda babbana, questo ciuffo sugli occhi. Di pessimo gusto, per altro.
Era ancora in silenzio, con gli occhi rivolti al pavimento, per cui lo spettro lo sollecitò: «Un ragazzo dovrebbe rispondere, quando gli viene fatta una domanda, specie se da qualcuno di più anziano di lui. Allora?»
«Sono solo… uno che non è riuscito del tutto a completare questa pozione, signore. Mi dispiace» rispose una voce sconsolata, che però lo spettro ascoltò distrattamente. Il ragazzo aveva alzato lo sguardo. Aveva gli occhi di Lily! Com’era possibile? Dopo tutti questi anni!
Lo spirito si agitò, iniziando a svolazzare su e giù.
Albus rimase a guardare, ancora seduto nella pozza d’acqua.
«Coraggio, ragazzo! In piedi e dimmi come ti chiami!» esortò, imperioso  come un generale
«Albus Severus Potter, signore. Figlio di Henry James Potter e di Ginevra Weasley, fratello di James Sirius e Lily Luna» rispose obbediente, tutto d’un fiato.
Ai fantasmi poteva mancare il respiro, come ai comuni mortali? Questa fu senz’altro la domanda che si fece Piton, in quel preciso momento. Incredulo ed interdetto, ripeté: «Figlio di Harry Potter!»
Il ragazzo annuì soltanto, ritenendo poco conveniente intervenire, dato che sembrava che il grande mago stesse parlando tra sé e sé.
Il fantasma si guardò intorno. Mise a fuoco il calderone, gli schizzi di pozione (pensando tra sé e sé: “così giovane da non saper tenere a bada le pozioni!”), gli ingredienti avanzati, disposti con cura in un angolo (pensando tra sé e sé: “piuttosto ordinato, per essere un piccolo Potter!”) ed infine il proprio mantello, o meglio un lembo sdrucito e rovinato dal tempo e dalla polvere.
«Cosa volevi fare, con quella pozione, Potter?» indagò l’ex Mangiamorte.
«RestituirLe la vita, signore. Ma forse qualcosa è andato storto. Non avete un corpo, signore. Voglio dire, professore!»
«Quanti anni hai?»
«Dodici, è il mio secondo anno!» rispose, con un tocco di emozione nella voce.
«E hai già fatto pozioni… di questo tipo?»
«Di quale tipo, professore?»
«Di questo… tipo. Di livello avanzato. Molto avanzato, Potter. Questa è magia oscura!»
«Cosa c’è di oscuro, nel voler riportare in vita un eroe?» domandò tutto d’un fiato, con un curioso miscuglio d’indignazione e purezza nel suo sguardo, sul suo volto accalorato.
«Perché me?» domandò, alzando improvvisamente il tono della voce, come se fosse arrabbiato «Sono morti in molti per salvare quell’idiota di tuo padre, che pareva divertirsi e fare di tutto per mettersi nei guai!» constatò, sinceramente aspro.


«Perché… è il mio secondo nome!» cominciò titubante, poi prese un respiro profondo, si fece coraggio e proseguì, vuotando il sacco, quasi si trattasse di un misfatto: «Perché Lei è stato sempre come un secondo nome. Importante sulla carta, ma trasparente nella vita quotidiana. Perché il secondo nome, di solito, non si usa. Resta inutilizzato, come se fosse senza vita: sempre, ostinatamente, in secondo piano. Perché… al secondo nome nessuno presta mai attenzione!»
E sulla frase finale mise uno strano accento, quasi indispettito, quasi fosse un sindacalista in procinto di chiedere il rispetto del contratto appena stipulato!
Lo spettro rimase pensieroso per qualche momento, colpito dalle parole del piccolo Potter che gli stava innanzi: piccolo d’aspetto, nient’affatto coraggioso all’apparenza, ma decisamente volitivo e determinato nelle sue scelte, così come nella loro esecuzione, se era riuscito a concepire e realizzare una pozione di quel tipo, che certamente non rientrava neppure lontanamente nel programma scolastico di Hogwarts!
Il ragazzo lanciò un’occhiata furtiva, inquieta, oltre gli arbusti che nascondevano l’ingresso della caverna al resto del mondo. Il sole stava tramontando dietro le montagne.
«È molto tardi, professore. Devo andare, se non voglio beccarmi qualche punizione super. Credo sia opportuno essere puntuali per la cena. Spero di trovarVi di nuovo, la prossima volta. È un onore poter parlare con un grande mago come Voi!» si accomiatò, facendosi strada tra gli arbusti.
«Arrivederci, Albus Potter!» disse soltanto lo spirito, soffermandosi a guardarlo, mentre spariva, inghiottito dall’oscurità, diretto verso il castello.
Ma, se non fosse stato per il suo colore evanescente, si sarebbe detto che sul suo volto brillava un tenue sorriso compiaciuto.

   
 
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