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Autore: serClizia    24/10/2015    5 recensioni
Rexburg, Idaho, la città dove Castiel ha trovato lavoro con lo pseudonimo di Steve, mi ha dato l'ispirazione per questa storia.
Si distribuirà tra passato e presente, cercando di capire cosa è andato storto nel primo incontro tra Castiel e Dean, e come andranno a finire 8 anni dopo.
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
Capitoli:
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Rexburg, Idaho 2007
 
Castiel, 18 anni compiuti da tre giorni, era alla festa di compleanno più noiosa di sempre.
Era partito da casa con il vestito buono, la cravatta blu di papà e il trench coat che la mamma aveva insistito indossasse contro il freddo di Novembre. (“Hai voluto comprare questo obbrobrio, Castiel. Adesso hai occasione di sfoggiarlo.”)
Era la sua prima festa, era eccitato.
Non c’era assolutamente nulla di divertente nel partecipare a queste cose, però. La città dove abitava era piccola; si conoscevano tutti, anche quelli che non frequentavano lezioni insieme, e si ritrovò a fare la stessa esatta fine che faceva a scuola: la fine che tocca a quelli strani.
Castiel non era esattamente un tipo riservato, né eccessivamente timido. Era proprio che quando apriva bocca, i suoi coetanei, o per meglio dire quelli della sua intera generazione, lo fissavano come se fosse un alieno. E lui li fissava di rimando.
Aveva imparato a fissare presto, Castiel. Cercava di imprimersi nella mente i comportamenti umani, cercando di carpirli, di poterli in qualche modo capire ed imitare.
Così alla festa vide formarsi gli stessi gruppetti che si riunivano nei corridoi, nella biblioteca, nel cortile. Ci fu qualche occasionale tentativo di mischiarsi, ma per lo più i ragazzi se ne stavano tra loro e Castiel non apparteneva a nessuna di queste cricche. Perché Castiel non chiacchierava durante le lezioni, non si fermava ad intralciare il passo nei corridoi, e suonata l’ultima campanella filava dritto a casa.
Sostanzialmente, Castiel guardava gli altri vivere.
Al momento stava guardando dentro il bicchiere, sperando di trovare una risposta a qualche quesito, tipo come facesse a piacere la musica che stava pompando dalle casse.
Alzò lo sguardo e rimirò le pareti bianche della casa della festeggiata, Ester, che lo aveva invitato semplicemente perché aveva invitato tutta la scuola con dei volantini appiccicati per tutti i corridoi e gli armadietti con dello scotch ingiallito.
Fece tamburellare le dita contro la plastica del bicchiere suo malgrado, la musica non sarà stata piacevole ma era accattivante. Forse questo preciso pezzo era un po’ più accattivante degli altri, almeno aveva una linea vocale nitida che Castiel poteva ascoltare, magari scoprire un testo che gli potesse piacere.


Stop and stare
I think I'm moving but I go nowhere
Yeah, I know that everyone gets scared
But I've become what I can't be, oh


Castiel strinse il bicchiere tra le mani, infastidendosi contro la canzone. Non era vero, non si dicesse mai che fosse spaventato, che fosse un codardo. Gli era capitato di fare a botte a scuola, quando qualche simpaticone credeva di trovare in lui un nerd mingherlino incapace di difendersi. Castiel aveva sputato a terra il sangue del primo pugno e si era difeso con tanta maestria che alla fine erano stati i loro genitori a lamentarsi con il Preside.
Naturalmente la cosa l’aveva reso ancora più alieno a scuola, ma almeno aveva ottenuto un certo rispetto.
Non c’era nessuna paura in lui, dunque. Si riteneva una persona equilibrata, decisa, e quindi decise di mischiarsi alla festa. Sarebbe andato a parlare con qualcuno, qualsiasi persona possibile.
In quel momento, per volontà divina, destino, o qualunque nome – meglio se inizia con la D – salti alla mente, la folla si aprì in due, come una specie di fetta di torta tagliata dall’alto, quasi fosse passato di lì un Mosè in erba.
Castiel si trovò davanti un corridoio vuoto per guardare dall’altro lato della sala e puntare la sua preda.
La preda in questione era un gruppetto di 5 o 6 persone, ognuna con il suo bicchiere in mano e intenta a chiacchierare. Castiel li studiò tutti, mentre prendeva coraggio e infilava quel corridoio provvidenziale.
C’erano una ricciola bionda, una ricciola mora, una liscia mora e un castano… Castiel si fermò sul ragazzo, ignorando gli altri.
Capelli corti, cortissimi, tranne una specie di ciuffo sul davanti. Beveva e ridacchiava, completamente a suo agio, non come Castiel-lo-stoccafisso-alieno. Aveva una giacca di pelle nera, jeans sdruciti e stivali. Quando cominciò a mordicchiare il bordo del suo bicchiere, Castiel seppe che sarebbe stato lui la sua missione. La persona con cui parlare. Castiel voleva intensamente sapere il nome di quel ragazzo dalle labbra imbronciate.


Stop and stare
You start to wonder why you're here not there
And you'd give anything to get what's fair
But fair ain't what you really need…


Castiel non stava più ascoltando il testo, ma fece esattamente quello che diceva.
Si fermò a pochi metri dal gruppo e si mise a fissarli. Li studiava, inclinando la testa di lato nel suo atteggiamento meditabondo, cercando un giusto modo per approcciare.
Per avviare la conversazione, almeno. Non gli giunse nessun altro aiuto divino purtroppo, e il suo cervello si rifiutava di collaborare. Non era la sua area di competenza d’altronde. Dategli un problema di matematica e quello se la faceva sotto dalla gioia, ma con le interazioni umane? Era parecchio arrugginito. Era nato arrugginito, pareva.
Così fece gli ultimi passi avanti, colmando la distanza tra lui ed il gruppo, arrivò alle spalle del ragazzo e gli poggiò una mano sulla spalla.
Il ragazzo si voltò immediatamente, sicuramente certo di trovare un amico, o almeno un conoscente, dall’altra parte di quel braccio. Invece si trovò Castiel. E Castiel trovò lui, e i suoi occhi verdi, e strinse i propri nel tentativo di non confondersi a contare tutte quelle lentiggini.
Il ragazzo lo fissò ancora un po’, abbassò lo sguardo sulla mano ancora appoggiata sulla spalla e tornò a guardare lui. Le ragazze da cui era accerchiato si zittirono quando si resero conto della scena.
“Amico, mi stai facendo male.”
Castiel lasciò la presa di botto. “Le mie scuse.”
La ricciolina bionda ridacchiò nel palmo della mano e sgomitò l’amica rossiccia alla sua sinistra. Probabilmente stavano per raccontarsi qualche aneddoto strano che Castiel poteva o non poteva aver fatto a scuola (molto probabilmente l’aveva fatto).
La liscia aggrottò la fronte. “Lo conosci?”, chiese al ragazzo.
“No,” rispose lui semplicemente.
“Sono Castiel,” gli venne in mente di presentarsi.
“Ti serve qualcosa?”
Il ragazzo non sembrava infastidito, solo perplesso, con una vena di preoccupazione. Forse Castiel stava davvero facendo una figura da pazzo, lì impalato in silenzio.
“Dobbiamo parlare,” affermò finalmente.
Il ragazzo contrasse la mascella, indurì lo sguardo.
Annuì, e gli fece cenno di seguirlo. Castiel lo tallonò per la sala, attraverso la portafinestra in vetro e fuori in giardino. Il piccolo cortiletto era vuoto, un’altalena giaceva arrugginita ed abbandonata in un angolo. Castiel osservava sempre i dintorni con minuzia di particolari – per esempio l’edera che saliva su tutta la staccionata di legno. Il ragazzo invece aveva poggiato la bibita a terra e fece scoccare i talloni, come un toro che si prepara alla corsa (un toro dalle gambe arcuate).
“Allora, di cosa dobbiamo parlare?”
Castiel fu preso in contropiede. Non capì la domanda, non c’era un argomento preciso, visto che si erano appena conosciuti. Ah, ecco la risposta. Non sapeva il suo nome, potevano partire da lì.
“Possiamo iniziare da come ti chiami.”
Il ragazzo fece saettare la testa da un lato, lo sguardo dall’altro per poi ripuntare entrambi su di lui. “Cosa?”
“Non conosco il tuo nome. Penso sia educato saperlo per iniziare una conversazione con qualcuno.”
“Iniziare una conversazione? Non sei qui per picchiarmi?”
Castiel assottigliò lo sguardo, confuso. “Perché dovrei picchiarti?”
Il ragazzo batté le mani, poi gli porse i palmi. “Non lo so, forse perché sei arrivato tutto dritto e rigido a dirmi ‘Dobbiamo parlare’?”
“Oh, capisco il fraintendimento,” Castiel strusciò un po’ i piedi. “Intendevo dire che io dovevo parlare con te. Con qualcuno, almeno. Ho deciso che non sarei tornato a casa senza fare conversazione.”
Il ragazzo si passò una mano sulla bocca. “Amico, sei ritardato?”
“Il mio Q.I. è impeccabile.”
Castiel non trovava la parola ‘ritardato’ adatta, né alla situazione né per riferirsi ai portatori di handicap. Fece mostra della sua opinione squadrando male il ragazzo, che lo squadrò male a sua volta, prima di scoppiare a ridere.
“Devi essere uno dei quei tipi alla Rain Man.”
“Alla cosa?”
Un’altra risata. “Amico, ed io che pensavo di averti rubato la ragazza e volessi farmi il culo!”
Castiel si infilò le mani nelle tasche del trench. “Non sono interessato alle ragazze.”
Il ragazzo smise di ridere di colpo. “Oh. Beh...”
Castiel recuperò la bibita da terra e diede un sorso. Era birra, ma lo aveva sospettato già da prima.
Mentre lui aveva preso un analcolico, era ovvio che giubbotto-di-pelle fosse uno di quelli che beveva prima del tempo legalmente consentito. Il sorso gli lasciò una scia amara in gola, e fece una smorfia.
L’altro intanto lo stava fissando. Castiel si rese conto di essergli ad una spanna, di nuovo dimentico della concezione di spazio personale. Non sapeva perché agli altri causasse disagio, ma lo aveva notato, e poteva solo supporre che anche in questa situazione fosse lo stesso.
Stava per muoversi quando l’altro inghiottì un cumulo di saliva, facendo saliscendere il suo pomo d’adamo. “Dean,” affermò all’improvviso. “Il mio nome è Dean.”

Stop and stare…

La festa finì, i ragazzi sciamarono nel cortiletto d’ingresso della villa verso le macchine, diretti a casa.
Castiel, che aveva passato il resto della serata appoggiato ad uno stipite in quieta osservazione di Dean, era di nuovo solo, per strada.
Fissò il marciapiede, cercando di assimilare la voglia di tornare a casa a piedi. Non ne aveva perché non sentiva sonno, né l’urgenza di tornare dentro le mura familiari per la prima volta da che avesse ricordo.
Non aveva più avuto occasione di parlare con Dean-dalle-labbra-imbronciate, ma si erano guardati.
Mentre chiacchierava con un altro e poi un altro capannello di persone, Dean non mancava mai di lanciare uno sguardo nella sua direzione. Così Castiel se n’era stato lì, ad osservare i suoi movimenti in silenzio.
Non aveva di meglio da fare d’altronde, no? Nessuno con cui parlare, nient’altro con cui passare il tempo.
Un clacson lo distolse dalla contemplazione delle crepe grigie sotto i suoi piedi.
Dean gli accostò accanto in una lunga macchina nera, tirò giù il finestrino e si appoggiò nel vano con il gomito all’infuori. “Ti sei perso, principessa?”
“So perfettamente come arrivare alla mia abitazione da qui, e non sono una principessa.”
“Okay, okay, non te la prendere  per aver chiesto. Vuoi un passaggio?”
Castiel studiò la macchina, e il suo proprietario, che si premurò di allargare il sorriso – non prima di essersi bagnato le labbra con la saliva.
Salì semplicemente, senza rispondere. Dean appiattì il sorriso con fare compiaciuto e ripartì, sfidando la legge di gravità e almeno 50 regole stradali dell’Idaho.
“Dove ti porto, principessa?”
Castiel snocciolò l’indirizzo con contorno di sguardo della morte per il soprannome. Dean ingranò la marcia con un sorriso soddisfatto, prima di prendere ad armeggiare con la radio.

This town is colder now, I think it's sick of us
It's time to make our move, I'm shaking off the rust
I've got my heart set on anywhere but here
I'm staring down myself, counting up the years


“Merda! Questo schifo è ovunque!”, Dean si allungò per cambiare stazione ma Castiel gli bloccò il polso.
Dean rimase congelato lì, dimenticandosi completamente di stare percorrendo una strada comunale ai 70 all’ora. Castiel ritrasse la mano, paventando un incidente mortale. “A me piace.”
Dean tornò a guardare davanti a sé; lasciarono che le note riempissero l’abitacolo.

Steady hands, just take the wheel
And every glance is killing me…


“La casa è questa.”
Dean parcheggiò davanti al vialetto con un ennesimo sorriso, uno più piccolo, quasi di compiacimento.
Castiel non sapeva se chiederne il motivo o godersi semplicemente l’effetto che faceva, non era da tutti avere un sorriso così. Dei denti così. Decise di non continuare la lista, o ne avrebbe avuto per un bel po’, e magari a quel punto Dean si sarebbe finalmente innervosito di tutto quel fissarlo.


Stop and stare
I think I'm moving but I go nowhere
Yeah, I know that everyone gets scared
But I've become what I can't be
Oh, do you see what I see?

 
Quella era una bella domanda. Do you see what I see?
E quello che vedeva Castiel era il figo della festa e niente di più, ma si chiedeva cosa ci fosse nello sguardo di Dean. Per una volta immaginò di vedere con gli occhi di un altro. Guardò il proprio riflesso nelle iridi verdi e vide solo la propria faccia accigliata.
Non avrebbe trovato risposta, non stasera. Sospirò.
Scese dalla macchina e fece due passi, prima di ricordarsi le buone maniere e tornare indietro. Si chinò a guardare dal finestrino.
“Grazie del passaggio.”
Dean alzò le spalle. “Non c’è problema.”
Assunse di nuovo quell’espressione compiaciuta di sé che aveva messo su qualche minuto fa. Castiel si chiese se dovesse domandargli qualcosa. Un modo per restare in contatto. Chiedergli se potessero rivedersi a scuola, magari. Invece, il rimbombo sordo del motore di sottofondo era l’unica cosa che riempiva quel silenzio. Dean prese a tamburellare il sedile del passeggero, sembrava altrettanto incerto se aggiungere qualcosa. Castiel sventolò mollemente una mano.
“Buonanotte, Dean.”
“’Notte, Cas.”
 
 
 
Spazio autrice:

Questa fanfiction è per lo più un esperimento.
Si alternerà con un capitolo nel passato ed uno nel presente, otto anni dopo.
Prevedo angst e fluff ugualmente a palate.
Il banner è come sempre della lovely everlily, E OMMIODDIO QUANTO È BELLO.
Per la canzone da cui ho tratto il titolo, cliccare
qui. Per quelle inserite nella storia, sto cercando di rispettare la data di uscita. (Esempio: Stop And Stare degli One Republic è di Novembre del 2007)
Se avete domande, critiche costruttive, suggerimenti, se trovate errori nel testo o nella caratterizzazione / svolgimento della trama, sono tutta orecchi.
Mi potete trovare anche sulla mia pagina Facebook
qui.
Also, non riesco a smettere di scrivere di questi due. Se sapete come fare, siete pregati di farmelo sapere.
Sincerely yours,
ser

 
  
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