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Autore: Li_chan    07/03/2005    8 recensioni
La Seconda Guerra è finita, e quattro anni sono passati... Può veramente il tempo curare le ferite e lenire il dolore? Ginny Weasley crede fermamente di sì. Ma forse emozioni e sentimenti non possono essere che congelati e accantonati per un po', in attesa che qualcosa li faccia riaffiorare... E se un ritorno inaspettato incrinasse la serenità del sorriso di Ginny?
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se questo fosse il nostro Cielo


Capitolo I


Incontro d’Autunno


Ginevra alzò una mano, nell’abituale gesto di scostarsi una ciocca di capelli fulvi dal viso e di sistemarli dietro l’orecchio. Alzò gli occhi al cielo: nelle sue iridi si rifletté la maestosa magnificenza della volta celeste, quel giorno perfettamente sgombro da ogni nuvola. Un impercettibile sorriso le aleggiò per un momento sulle belle labbra, e si strinse maggiormente i libri al petto.
Le piaceva fermarsi a osservare l’immensa cupola che sovrastava l’umanità intera, assistendo giorno dopo giorno al dispiegarsi degli anni e dei secoli, sempre uguale, eppur diversa, a se stessa. Trovava un che di consolante nel pensiero che il cielo c’era da sempre e che ci sarebbe stato sempre, immobile ma non immoto, pacato eppur tempestoso, e che ad ogni alba accogliesse nelle sue vesti millenarie la promessa di un nuovo giorno. Attentamente, ne seguiva ogni impercettibile movimento, le buffe figure che le nuvole sapevano disegnare sul suo manto, il variare delle sue tonalità dal celeste chiaro, all’azzurro cupo, all’indaco, il sole e le stelle che si alternavano alla sua corte come menestrelli davanti all’egemonia dell’imperatore.
Aveva preso la singolare abitudine di guardare il cielo, passando dieci minuti con il naso per aria e provocando la curiosità dei passanti, che l’additavano stupiti, durante l’ora di pausa per il pranzo.
Era l’unico momento della giornata in cui poteva stare da sola, con l’unica compagnia dei suoi pensieri. Il corso come Guaritrice Tirocinante al San Mungo la teneva occupata tutta la giornata, dalle otto di mattina alle sei di sera, per dieci ore cumulative, e casa sua sembrava ospitare più fratelli di quanti ne riuscisse in realtà a contenere!
Bill aveva infine deciso di non lavorare più in Egitto, la sede londinese della Gringott gli aveva offerto un eccellente posto di lavoro come Spezzaincantesimi in capo della sezione “Fortune & Tesori”, che comportava per lui la possibilità di continuare ad esplorare gli angoli più angusti del pianeta, oltre che uno stipendio notevolmente maggiorato. E ovviamente la vicinanza continua della bella Fleurs, stabilitasi almeno per qualche anno a Londra per studiare come interprete alla “Scuola Internazionale per le Amichevoli Relazioni nel Mondo Magico”, con la quale faceva ormai coppia fissa... una gran bella coppia, in tutta onestà.
Charlie era in riposo forzato dalla Bulgaria e dai suoi amati Draghi -Ginny non avrebbe mai capito come si potesse avere una tale passione per quei mastodontici e poco simpatici animali- in quanto Connor, un esemplare di Dorsorugoso Norvegese, aveva cercato di schiacciarlo con una poderosa zampata, e non contento gli aveva anche rivolto contro una rovinosa vampata, che per poco non si era rivelata letale. Sua madre aveva quasi avuto un infarto quando i colleghi di Charlie avevano telefonato a casa, e adesso suo fratello era in malattia per tre mesi a causa di una gamba rotta e diverse ustioni di primo e secondo grado sulle braccia e il tronco, che lo costringevano a prendere ogni giorno almeno cinque pozioni diverse, ma che non avevano scalfito il sorriso sul suo volto, la sua proverbiale allegria e il suo sincero amore per tutti gli animali... Draghi compresi.
Con il ritorno dei due maggiori, la Tana sembrava ancora più piccola, dato che i suoi sei fratelli sembravano riempirla interamente.
Ginny distolse a malincuore lo sguardo dal cielo, e sbuffando attraversò la strada, stringendosi maggiormente addosso cappotto e sciarpa di lana. Era una giornata stranamente fredda; era autunno inoltrato, ma le temperature erano decisamente invernali. Tuttavia a Ginny non dispiaceva, perché il vento aveva spazzato via tutte le nuvole e il cielo era terso e brillante. Mentre la borsa di tela le dondolava su un fianco, varcò i cancelli del parco che si trovava davanti al San Mungo, e nel quale aveva preso l’abitudine di trascorrere l’ora del pranzo. Addentava sommariamente un panino e disintossicava mente e membra dalla frenesia dell’ospedale, snobbando così la mensa dei tirocinanti, che, oltre a servire del cibo pessimo, era anche immersa in un alone di fumo e tanfo di pesce fritto; c’era stata una volta, ma era stata costretta a scappare dopo appena cinque minuti.
Il parco le offriva all’ombra degli alberi la tanto agognata serenità, con lo stormire delle foglie mosse dal vento, con i passi dei visitatori attutiti dalla ghiaia del selciato, con le urla entusiaste dei bimbi che giocavano. Aveva perfino una “sua” panchina, sotto la lussureggiante fronda di un’imponente quercia nel cuore del parco, in una posizione sufficientemente isolata da permettere il lento fluire dei suoi pensieri e al tempo stesso abbastanza centrale da permetterle una visuale completa dei dintorni.
Camminò lentamente, mentre il vento autunnale si divertiva a giocare con le fluenti ciocche che sfuggivano dispettosamente dal capellino di lana, i passi leggeri sull’acciottolato quasi annullati dal continuo sibilare delle raffiche. Aveva le gote e le labbra scarlatte per il freddo quando scorse il suo punto preferito e si lasciò cadere sopra la panchina, non curandosi di levarsi la borsa a tracolla.
Quel giorno c’era una novità: era già occupata. Di solito il parco era semivuoto: solo qualche mamma svagata con i suoi bambini e alcuni pensionati che si erano appisolati al sole si attardavano all’interno dei cancelli, vista l’ora; ma quella mattina un uomo, che stringeva tra le mani un grosso bastone nodoso, aveva scelto proprio quel punto dove sedersi. Per niente infastidita dal dover condividere il suo posto favorito con uno sconosciuto, estrasse dalla borsa la focaccia preconfezionata che aveva acquistato pochi minuti prima allo spaccio del San Mungo e gli sorrise amichevolmente. Le parve che l’uomo sussultasse impercettibilmente, incontrando distrattamente il suo sguardo; ma non diede peso a quella buffa sensazione, dato che egli abbassò quasi subito gli occhi, tornando a scrutare con insolita attenzione qualche punto imprecisato davanti a sé con i piccoli occhi scuri. Ginny scosse la testa e addentò con appetito il panino, giocando distrattamente con la ghiaia del sentiero con un piede, calzati da robusti anfibi di pelle di Drago. Il vento di ponente le scompigliava i capelli, intrecciandoli con rametti secchi e fogliame brunito. D’un tratto sentì una mano sfiorarle l’orecchio con delicatezza ed estrarre una foglia saldamente aggrappata alle belle ciocche fulve.
« Grazie» disse un po’ sorpresa, voltandosi ad osservare lo sconosciuto, il quale abbassò lo sguardo, rifuggendo il suo, ancora una volta.
Era un uomo di circa sessanta anni, di corporatura robusta ma non pesante, vistosi baffi grigi che spiccavano sul viso dalla carnagione olivastra e una fitta ragnatela di rughe attorno agli occhi scuri, ancora vividi e brillanti. Vestiva sobriamente di un completo grigio di tweed, un lungo cappotto nero di lana, una sciarpa scura e un cappello a tesa larga che lo riparavano dal freddo pungente, mentre le mani, lasciate scoperte, stringevano saldamente l’impugnatura di un bastone di legno massiccio, forse noce, e apparivano forti e vigorose, nonostante i segni dell’età. C’era qualcosa in lui che la incuriosiva, una sorta d’energia inespressa in quel corpo scalfito dal peso degli anni, che trovava una via d’uscita nella vivacità dello sguardo e nella presa sicura delle mani.
Ginny si scansò un ciuffo di capelli dal viso e gli rivolse un sorriso affabile.
« E’ la prima volta che viene qui?» chiese, tornando a concentrarsi sulla focaccia, ma osservando il suo taciturno compagno con la coda dell’occhio.
Egli sussultò, rivolgendole una fuggevole occhiata, ma tornando subito a scrutare fisso davanti a sé con espressione accigliata. Ginny sorrise tra sé e sé, notando che le folte sopracciglia grigie dell’uomo quasi si toccavano, manifestando apertamente il suo disappunto per essere stato scosso dalle sue meditazioni.
« No, non è la prima volta che vengo qui» mormorò a denti stretti, dopo qualche attimo di silenzio imbarazzato. « Qualche anno fa abitavo nelle vicinanze.»
Ginny ingollò frettolosamente un boccone, e replicò:
« E’ da molto tempo che non veniva? Io trascorro qua la mia pausa pranzo quasi tutti i giorni, e ho imparato a conoscere di vista i frequentatori abituali del parco.»
L’uomo scosse la testa in segno affermativo.
« Era un po’ che non passavo da queste parti. Sono stato lontano per qualche tempo.»
Improvvisamente l’uomo si voltò e la scrutò in volto; sembrava seccato.
« Ma perché perdo tempo a parlare con una ragazzina, poi? E le racconto anche fatti personali!» brontolò, rivolto più a se stesso che a lei.
« Oh, se è questo che la preoccupa, non me ne farei un cruccio, al posto suo» rispose Ginny allegramente, terminando il suo panino e pulendosi le dita con un fazzoletto di carta.
Le parole sgarbate dello sconosciuto non l’avevano infastidita, né tantomeno offesa. Era abituata ad avere a che fare con persone bisbetiche, il suo lavoro richiedeva una notevole dose di pazienza e ironia. Inoltre l’essere cresciuta con ben sei fratelli maggiori l’aveva preservata dal diventare una ragazza suscettibile, e avere passato parte della sua vita a contatto con una persona ombrosa e chiusa in se stessa, facile alle reazioni eccessive e agli attacchi di rabbia - del tutto giustificati, almeno secondo lei - l’aveva resa per contrasto ancora più solare e allegra. Lo doveva essere, e capiva perfettamente i suoi fratelli Fred e George, che avevano continuato ad inventare scherzi sempre più elaborati anche durante i giorni più cruenti della Seconda Guerra.
« Come, scusa?» le domandò l’uomo, la sorpresa palese nella voce.
Ginny sorrise, mentre afferrava una bottiglietta d’acqua dalla borsa.
« Ho ventun anni, non sono più una ragazzina. E dicono che il confidarsi con uno sconosciuto spesso sia più facile che con un membro della propria famiglia. Forse perché, non conoscendo, non può nemmeno giudicare.»
Lo sconosciuto non rispose; pareva costernato dalle sue parole. Il suo sguardo tornò a fissarsi in lontananza, ma il silenzio che interpose nuovamente tra loro non aveva più traccia d’imbarazzo.
Ginny bevve a piccoli sorsi, e richiuse la bottiglietta, sistemandola poi dentro la borsa; e fu sorpresa quando vide una robusta mano nodosa tendersi verso di lei.
« Mi chiamo... William Grant» disse l’uomo, con fare brusco ma cordiale.
Ginny tese la mano piccola e bianca, che parve quasi sparire nella stretta vigorosa di lui, e rispose, con un sorriso sereno:
« Ginevra... Ginevra Weasley.»
« Ginevra... Un bellissimo nome, ricco di storia e di fascino.
Conoscevo una Ginevra, tanti anni fa, ormai... Una ragazza deliziosa. La chiamavamo tutti Ginny.»
Sulle labbra piene della ragazza comparve un sorriso appena accennato.
« La mia famiglia e i miei amici mi chiamano tutti così» confermò.
Subito dopo aggiunse, con una risatina fanciullesca che colpì molto l’uomo:
« Scommetto che la Ginevra che conosceva lei non aveva i capelli rossi! Non sono adatti ad una regina!*»
« E invece si sbaglia!» replicò l’uomo, piegando le labbra in un sorriso quasi impercettibile, il primo che Ginny gli vedeva sul volto. « Aveva una cascata di bellissimi capelli rosso fiamma, e lo sguardo fiero di una vera regina.»
Nel volto della ragazza comparve un’espressione intenerita.
« Le doveva volere molto bene. Ne parla con una tale dolcezza nella voce...»
William parve rabbuiarsi; scelse accuratamente le parole prima di rispondere, e quando parlò la sua voce risuonò appena incrinata.
« Sì, le volevo molto bene... Era una ragazza straordinaria, sotto molti punti di vista.»
Ginny appoggiò la schiena alla panchina, stringendosi maggiormente addosso il cappotto, e tacque. Parve riflettere per qualche istante; quando tornò a guardare William, lui aveva ripreso a fissare un punto indefinito davanti a sé, con un’espressione seria e concentrata nel viso brunito. Scosse lievemente il capo, rinunciando a rivolgergli la domanda che le era salita spontaneamente alle labbra. Con un piccolo salto si rimise in piedi, sistemandosi sulla spalla la borsa di tela. Con un sorriso dolce che le rischiarò il volto, facendola sembrare più piccola dei suoi ventuno anni, tese una mano verso il suo compagno in segno di congedo.
« Arrivederci, William. La mia pausa pranzo è finita, e devo tornare al lavoro. E’ stato un piacere conoscerla... Spero di rivederla. Dico sul serio!»
William le strinse con energica cordialità la mano che gli porgeva, e le sorrise di rimando... Un vero, caldo, sorriso gentile.
« Il piacere è stato mio, mi creda. E scusi per i miei modi sgarbati... Sono solo un vecchio brontolone! Arrivederci, Ginevra.»
Con un ultimo, caloroso sorriso e un cenno della mano, Ginny si voltò, incamminandosi verso l’uscita del parco. William rimase solo, seguendo con lo sguardo la figuretta che si allontanava lentamente, le belle ciocche fulve agitate dal vento.
« Ginny...» mormorò. « Ginny...»

Era stata una giornata estenuante. Al San Mungo si erano verificati diversi casi di avvelenamento da Aconito durante il ricevimento di un matrimonio, e circa la metà degli invitati erano stati ricoverati con le pupille che sembravano piattini da tè e un inconsulto tremore in tutto il corpo. Tutti i tirocinanti erano stati richiamati ad assistere e dare una mano ai Guaritori che si affannavano con coperte e pozioni, stretti tra i gemiti dei pazienti e le veementi richieste di notizie dei loro parenti, che pigiavano contro la porta dell’accettazione minacciando di farla saltare, tanto che si era dovuto ricorrere alle minacce di incantesimi Pastoia TotalBody su larga scala per placarli un po’. Inoltre, dopo aver prestato le prime cure agli intossicati in mezzo a quel marasma di urla e accuse reciproche, sia guaritori che tirocinanti si erano dovuti trattenere ben oltre la scadenza del turno per rassicurare i parenti inferociti e rispondere alle domande specifiche degli Auror assegnati al caso, uno degli episodi di avvelenamento collettivo più consistenti da duecento anni a quella parte.
In poche parole... Una serata infernale. Erano passate le due di notte da poco più di cinque minuti quando Ginny mise piede nel salotto della Tana, scrollandosi dalle spalle e dal cappotto i residui della Polvere Volante. La casa era immersa nel sonno, si sentivano solamente i borbottii del fantasma della soffitta, che giungevano ovattati attraverso le scale. Ginny sospirò di sollievo nel non scorgere la madre che l’attendeva alzata, vigile e inquieta, come durante il primo anno del tirocinio, quando l’aspettava in piedi ogni volta che era trattenuta al San Mungo per un’emergenza. Con il tempo, era riuscita a convincere l’indomabile Molly Weasley che non era necessario fare le ore piccole e rinunciare al meritato riposo per prepararle l’abituale latte caldo, che aveva preso la consuetudine di bere ogni volta che era costretta a rientrare a tarda notte, specialmente nei giorni particolarmente freddi, quale era stato quello appena trascorso.
Era stremata, sentiva la stanchezza pesarle sulle spalle come un poltergeist dispettoso, e non riusciva a tenere gli occhi aperti; ma non avrebbe rinunciato al suo amato latte caldo, che le avrebbe ristorato le membra intirizzite e conciliato un sonno sereno.
Estrasse dalla tasca la sua bacchetta, e mormorò: « Lumos!»
La punta della bacchetta s’illuminò, ferendo l’oscurità e consentendole di vedere; si diresse cautamente verso la cucina, facendo attenzione a non provocare il minimo rumore, dato il sonno leggero di sua madre. Invece i suoi fratelli... Oh, loro non li avrebbe tirati giù dal letto nemmeno il terremoto!
Varcò la soglia della cucina, sempre tenendo davanti a sé la bacchetta. Era immersa nell’usuale ordine marca Molly Weasley, ma a Ginny bastò qualche passo per rendersi conto che qualcosa non andava.
C’era una sagoma scura davanti alla credenza... e stava rovistando con malagrazia nello stipo più alto. La reazione di Ginny fu fulminea.
« Expelliarmus!» gridò, afferrando al volo la bacchetta che era schizzata via dalle mani del malfattore.
Approfittò quindi dell’attimo di smarrimento del figuro per scagliarglisi addosso, colpendolo alla mandibola con un pugno; quello andò a sbattere di spalle contro la credenza, provocando un intenso fracasso di cristalleria, e Ginny lo fece cadere con un abile sgambetto. Si chinò infine sopra di lui, facendogli aderire le braccia al tronco con la forza delle gambe, e, puntandogli la bacchetta alla gola, sibilò:
« Cosa ci fai in casa mia? Cosa stai cercando?»
Improvvisamente le luci si accesero, e Ginny si voltò d’istinto.
Ron comparve sulla soglia della stanza, trafelato e con i capelli in disordine; dietro di lui fece capolino Molly, con una vestaglia rossa sopra la camicia da notte, e Bill, a petto nudo: tutti e tre levavano la bacchetta.
« Cosa diavolo sta succedendo, Gin?» domandò Bill, guardando stupefatto la sorella.
« Ho trovato questo farabutto che rovistava in cucina» spiegò lei, stringendo le ginocchia e strappando al suo ostaggio un gemito di dolore.
« Mio Dio! Lascialo andare, Ginny!» mugolò Molly, sconcertata.
« Mamma...? Cos...»
« Ginny, ma sei forse impazzita?» ruggì Ron, accostandolesi.
Sembrava furioso, e si chinò affianco a lei, lanciandole uno sguardo di fuoco.
« Tutto bene?» domandò... ma non era rivolto a lei.
Con un pessimo presentimento, Ginny abbassò gli occhi, fino ad incontrare quelli della persona sotto di lei. Le sembrò quasi che il sangue smettesse di fluire all’interno del suo corpo, e impallidì vistosamente. La bacchetta le scivolò via dalle dita, rotolando sul pavimento.
Era Harry.
« Ciao, Ginny» disse Harry, con un sorriso sulle labbra, nonostante il suo pugno gli avesse spaccato il labbro e un rivolo di sangue gli scivolasse lungo il mento.
« Potresti farmi alzare? ... Grazie.»
La sonora risata di Bill riecheggiò nella sala, e dovette poggiarsi allo stipite della porta per non cadere.


FINE PRIMO CAPITOLO.


* Ovviamente Ginny si riferisce alla sua omonima Ginevra, moglie di re Artù e regina di Camelot.
  
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