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Autore: Kara    20/02/2009    8 recensioni
“Mi fermo solo per cinque minuti! Che volete che siano cinque stupidi minuti?” ribatté accorato, fissando con sguardo supplice quelli che aveva ribattezzato ‘i suoi carcerieri’ e che non sembravano assolutamente propensi a concedergli un istante di tregua.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alan Croker/Yuzo Morisaki, Hajime Taki/Ted Carter, Mamoru Izawa/Paul Diamond, Ryo Ishizaki/Bruce Arper, Teppei Kisugi/Johnny Mason
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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That’s what friends are for


I tiepidi raggi del pallido sole di marzo, che penetravano attraverso i vetri della grande portafinestra, giocavano a rincorrersi sul lucido ripiano del vecchio tavolo di legno, intorno al quale cinque adolescenti sedevano a capo chino, apparentemente immersi nello studio.
Infastidito dal riflesso che continuava a ferirgli inesorabilmente gli occhi, nonostante i ripetuti tentativi di eliminarlo alzando intorno a sé pile di libri e quaderni, uno dei ragazzi sollevò lo sguardo e sbuffò seccato, strofinandosi i corti capelli neri a spazzola.
“Mi spiegate come faccio a concentrarmi se non riesco nemmeno a tenere gli occhi aperti?” si lagnò, lanciando agli altri quattro un’occhiata da ‘sonolavittimadestinataalmacello’, prima di girare la testa verso la finestra. Fuori, al di sopra dell’alto muretto che delimitava il piccolo giardino che circondava la casa, spiccava uno scorcio di cielo limpido. Dopo giorni di pioggia battente e continua, quell’azzurra perfezione gli sembrava quasi un miracolo.
Il suo umore non era dei migliori in quel periodo, era costretto a studiare continuamente, senza potersi concedere neanche il lusso di una mezza giornata di riposo e il tempo uggioso contribuiva soltanto a peggiorare la situazione. Diventava insofferente, la sua pazienza si riduceva al lumicino e la sua già scarsa voglia di aprire i libri moriva ancora prima di nascere.
Anche se, a pensarci bene, non è che il cielo azzurro lo stimolasse a farlo, anzi…
A voler essere del tutto sinceri era una battaglia persa in partenza, e se non fosse stato per i suoi amici che si stavano seriamente impegnando ad aiutarlo e lo spauracchio del fallimento agli esami di ammissione al liceo, che incombeva sulla sua testa come uno spaventoso fantasma con tanto di lenzuolo bianco e lugubri gemiti, avrebbe già bruciato tutta quell’inutile cartaccia da tempo.
Il suo sguardo sofferente si staccò a malincuore dal cielo per vagare sul prato, alla ricerca di una via di fuga, e quando scorse un pallone tristemente abbandonato in un angolo, un’idea si fece strada nella sua mente, facendogli immediatamente dimenticare le date cruciali della seconda guerra mondiale che stava inutilmente cercando di memorizzare da più di un’ora.
“Questo sole mi sta uccidendo, ho bisogno di una pausa di cinque minuti” continuò senza guardare nessuno, nel timore che la sua faccia da scimmia mostrasse le sue vere intenzioni, che non erano certo quelle di riposarsi solo per cinque minuti. “Esco un attimo in giardino, così prendo un po’ d’aria e mi schiarisco le idee”.
Mentre il suo cervello, commosso, ringraziava a mani giunte e stava già tirando fuori cuscino e coperte per farsi una sonora ronfata, il ragazzo spostò indietro la sedia e fece per alzarsi.
Non ci riuscì.
Il compagno riccioluto seduto alla sua sinistra gli mise una mano sulla spalla e lo spinse violentemente giù, costringendolo a riprendere posto.
“Ahia!! Sei matto Kisugi-kun?” urlò, massaggiandosi il fondoschiena dolorante con una mano e fulminandolo con un’occhiataccia.
“Non accampare scuse. Non ti serve una pausa” rispose Teppei, ricambiando lo sguardo con espressione severa, le labbra tese a esprimere disappunto.
“Ha ragione lui, Ishizaki-kun, ti sei già riposato a sufficienza” rincarò Hajime, smettendo per un attimo di rosicchiare il cappuccio della penna, senza sollevare gli occhi dagli esercizi di matematica che stava risolvendo.
“Mi fermo solo per cinque minuti! Che volete che siano cinque stupidi minuti?” ribatté accorato, fissando con sguardo supplice quelli che aveva ribattezzato ‘i suoi carcerieri’ e che non sembravano assolutamente propensi a concedergli un istante di tregua.
“Hai già avuto i tuoi cinque minuti. Mezz’ora fa”.
Il tono di Mamoru non ammetteva repliche. Il numero otto della Nankatsu, a differenza degli altri, sedeva cavalcioni alla sedia e ripassava gli appunti di biologia con i gomiti comodamente poggiati sullo schienale e i palmi delle mani a sostenere il mento. I lunghi capelli scuri gli ricadevano ordinatamente sulle spalle anche se spesso era costretto a scostare qualche ciuffo ribelle che gli scivolava sul viso, disturbandogli la lettura.
“Ma quelli non contano! Mi sono serviti per andare in bagno!”
“E la pausa che hai fatto…” Teppei alzò il polso per leggere l’orologio. “...un’ora fa? Nemmeno quella conta?”. Un sopracciglio si inarcò interrogativo sotto i morbidi riccioli scuri.
“Dovevo pur mangiare qualcosa. Stavo per avere un calo di zuccheri!”
“Certo…” riprese il centravanti della Nankatsu, chiudendo con entrambe le mani il testo di letteratura, che emise un tonfo secco, e mettendolo da parte. “In effetti dal pranzo era trascorso parecchio tempo... un’ora e mezza è un'eternità...”. L'ironia era palese nella sua voce. Studiò per un attimo la catasta di libri alla sua sinistra, indeciso, poi prese il manuale di storia che era in fondo, rischiando così di far precipitare la pila addosso a Takasugi che gli era affianco. L’alto difensore allungò prontamente la mano destra per evitare una rovinosa caduta, ricevendo in cambio un sorriso di ringraziamento e una strizzata d’occhio. Dopo aver scorso l'indice e trovato il capitolo che doveva riguardare, Teppei tornò a rivolgersi a Ryo. “Avevi già mangiato più di una dozzina di onigiri e, francamente, non credo che stessi morendo di fame”.
Ryo lo guardò con un’espressione da cane bastonato, mentre la sua speranza di uscire in giardino per tirare due calci al pallone gli faceva ciao ciao con la manina.
Deciso a non arrendersi spostò lo sguardo su Shingo. Il compagno di squadra, forse per la mole non indifferente e il carattere serio e taciturno, incuteva soggezione in chi non lo conosceva. Fortunatamente per lui quello non era il suo caso. Sapeva bene che in quel gigante dall'aria riservata si nascondeva un animo gentile. Ed era proprio su quel lato tenero che stava per puntare il tutto per tutto.
“Takasugi-kun…” esordì, con una voce melliflua e un sorriso così melenso che fece pericolosamente impennare la glicemia agli amici, suscitando le smorfie esasperate del 'Trio Shutetsu' che si girò all'unisono, fissando Shingo con un'espressione intimidatoria. Se lui avesse ceduto sarebbe stata la fine, non sarebbero più riusciti a riprendere il controllo del recalcitrante numero quattordici. E loro erano fermamente intenzionati a mantenere la promessa di aiutarlo a superare gli esami di ammissione al liceo Nankatsu e poter continuare a giocare nella stessa squadra.
Shingo era gentile, non stupido, quando si trattava di difendere – in questo caso era indifferente che fosse la propria porta o un proposito comune - tirava fuori una grinta invidiabile e diventava un vero e proprio osso duro.
“No”.
Il monosillabo risuonò nella stanza, provocando tre sospiri di sollievo e altrettanti cenni di approvazione.
“Ma non ti ho ancora chiesto nulla!” esclamò Ryo contrariato, spalancando gli occhi e storcendo la bocca.
“Volevi chiedermi se potevi fermarti, giusto?” fece l'altro, posando la penna sul tavolo e allungando una mano verso il vocabolario.
“Si, ma...”
“La mia risposta è no” confermò, aprendo il pesante tomo per cercare un kanji di cui non conosceva il significato e ignorando il verso disperato di Ryo, che ormai non sapeva più cosa inventarsi per svignarsela.
“Guarda, il riflesso del sole è andato via. Ora non hai più scuse. Studia”. Teppei gli allungò uno scappellotto sulla nuca. “Gli esami sono vicini e tu sei indietro con la tabella di marcia”.
Il mugugno afflitto che ottenne in risposta non lo preoccupò minimamente. Con la coda dell’occhio si accertò che il compagno avesse ripreso la lettura e tornò a immergersi nel paragrafo che descriveva l’ultima, eroica missione della corazzata Yamato.
Ma la fortuna sembrava essere ben disposta quel giorno con Ryo perché, circa dieci minuti dopo, il trillo del campanello gli fornì un nuovo motivo per riposarsi.
“Sarà sicuramente Morisaki-kun” li informò Teppei, alzandosi per andare ad aprire la porta. “Aveva detto che sarebbe passato, se avesse fatto in tempo”.
L’attaccante sparì nell’ingresso e gli altri approfittarono della forzata interruzione per scambiarsi opinioni e impressioni su quello che era uno dei motivi principali che li spingeva a studiare con tanto accanimento per entrare nel liceo Nankatsu: il suo ottimo club di calcio.
“Quante possibilità abbiamo, secondo voi, di diventare subito titolari?” chiese Shingo, allungando le braccia sopra la testa per stiracchiarsi. La forzata immobilità gli aveva irrigidito i muscoli della schiena. Si ripromise di fare un po’ di stretching una volta giunto a casa.
“Secondo me, parecchie” rispose Hajime, rilassandosi contro lo schienale della sedia e intrecciando le mani dietro la nuca. Sbadigliò sonoramente, mettendo ancor più in evidenza i suoi incisivi da coniglio.
“Sono d’accordo con Bugs Banny”.
Mamoru si alzò per fare due passi e sgranchirsi le gambe. Dopo tutto quello studio anche lui avvertiva l’esigenza di una pausa, inoltre non era abituato a passare tante ore al chiuso e stava diventando insofferente.
Si avvicinò alla portafinestra per guardare fuori e i suoi occhi neri non tardarono a individuare lo stesso oggetto dalla familiare forma sferica che poco prima aveva attratto anche Ryo.
Si illuminò. Ecco quel che ci voleva per allontanare quella fastidiosa sensazione di irrequietezza. Qualche palleggio avrebbe sicuramente scacciato la noia e calmato l’inquietudine.
“Solo parecchie? Ma non scherziamo! Abbiamo vinto per ben tre volte il campionato nazionale delle medie e facciamo parte della squadra juniores campione del mondo! Ci stenderanno il tappeto rosso sotto i piedi, vedrete!” ribatté ammiccando Ishizaki, sfregandosi l’indice sotto il naso. Era certo che non avrebbe avuto problemi con la squadra, sempre se fosse riuscito a essere ammesso al liceo, fatto questo del quale non era altrettanto sicuro. Guardò con affetto i suoi compagni, se ci fosse riuscito sarebbe stato merito loro, negli ultimi mesi li aveva stressati in tutti i modi possibili e immaginabili ma loro non l’avevano mai abbandonato, anche quando si sarebbe meritato un sonoro calcio in culo per le sue continue lamentele.
Il vocio eccitato che provenne dall’ingresso li fece voltare tutti verso la porta, impedendo a Mamoru di mettere in pratica il suo proposito. Incuriosito, si allontanò dalla finestra per riavvicinarsi al tavolo.
Teppei, con gli occhi brillanti per la gioia, rientrò nella stanza agitando una rivista patinata. Dietro di lui veniva Yuzo, le labbra piegate nel caratteristico sorriso ingenuo che piaceva tanto alle ragazze e gli attirava le simpatie di tutti.
“Guardate cos'ha portato Morisaki-kun!”.
Raggiunto il tavolo, spostò alcuni libri per fare spazio e posò la rivista al centro. Subito i compagni gli si affollarono intorno, impazienti di conoscere la causa di tanto entusiasmo.
Teppei non si fece pregare e sfogliò velocemente le pagine, alla ricerca dell’articolo che Yuzo gli aveva mostrato ancor prima di varcare la soglia di casa.
“Ecco qui” annunciò, mostrando la pagina e battendovi sopra l’indice. Sulla carta lucida spiccava una splendida immagine di Genzo Wakabayashi realizzata durante una parata. Il portiere sembrava quasi volare tra i pali, il corpo proteso al massimo nel tentativo di afferrare il pallone.
“Ma è tedesco. Nessuno di noi capisce il tedesco!”
La costernazione di Ryo si rifletté nelle espressioni afflitte degli altri.
“Niente paura” li rassicurò Yuzo, aprendo la cartella che aveva portato con sé ed estraendone un block notes. “Ho la traduzione dell'intero articolo”.
Mamoru guardò l'amico come se improvvisamente gli fossero spuntate due teste.
“Da quando conosci il tedesco?”.
“Ma no” sorrise l'altro. “Non sono stato io. Il giornale non è mio. Mi è stato prestato. Vi avevo detto che oggi non avrei studiato con voi perché venivano alcuni parenti a trovarmi, vero?”. Vedendoli annuire continuò a spiegare. “I miei zii stanno ospitando un amico di mio cugino che è tedesco. E' sua la rivista, ed è stato lui a tradurre il tutto. E' un tifoso dell'Amburgo”.
“Dai Morisaki-kun, leggi cosa dice” lo incitò Teppei, facendo segno a tutti di sedersi.
La lettura dell'articolo fu interrotta varie volte da domande sulle squadre che militavano nella Bundesliga, da commenti sulle notizie che riportava, da esclamazioni di approvazione e dai ricordi del loro soggiorno in Germania l'estate precedente.
“Wakabayashi-kun sta facendo un ottimo campionato” concluse Yuzo, chiudendo il blocco e rimettendolo a posto. “E se vogliamo diventare dei veri professionisti come lui, dovremo impegnarci al massimo”.
“Non potrei essere più d'accordo” esclamò Ryo, mettendogli un braccio intorno al collo e stringendolo con entusiasmo.
“Lui sta realizzando il suo sogno” annuì Shingo, con un largo sorriso sul volto solitamente serio. “Noi non saremo da meno”.
“Si” concordò Hajime. “Anche noi realizzeremo il nostro e un domani giocheremo nella J-league”.
“Si, nella J-league” sussurrò Teppei, con lo sguardo perso nel vuoto e il pensiero rivolto al futuro.
“E allora che ne dite di iniziare subito?” chiese Mamoru, indicando con il pollice il pallone in giardino. “Il nostro amico sta aspettando”.
“Siiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!” gridò Ryo, mollando il collo di Yuzo, che si strinse nelle spalle con un sorriso divertito, e scattando verso la portafinestra per spalancare la vetrata.
“Ehi tu! Fermo là!” lo bloccò Teppei in tono secco, facendolo inciampare sul gradino che portava in giardino.
Il difensore riuscì a non cadere saltellando su una gamba sola, come una gru zoppa, e agitando scompostamente le braccia per mantenere l'equilibrio.
“Ma dì, sei scemo o cosa?” chiese arrabbiato, quando riuscì a rimettere entrambi i piedi a terra. “A momenti finivo con la faccia sull'erba”.
“Non preoccuparti Ishizaki-kun, una botta in più non avrebbe potuto peggiorare la situazione” ridacchiò Hajime, raggiungendolo sul prato e sollevando la palla con un tocco del piede.
“Cosa vorresti insinuare?”.
“Che il tuo viso è abituato a prendere botte. Lo sanno tutti che è la tua arma segreta per stoppare i bolidi imprendibili” lo canzonò Mamoru, uscendo a sua volta, seguito a ruota da Shingo e Yuzo.
“Hai ragione” rise Ryo, grattandosi la nuca con imbarazzo.
“Teppei? Non vieni?”.
Il portiere si fermò sul gradino, girandosi per osservare il centravanti che era rimasto fermo sulla soglia, le mani sui fianchi e la fronte corrugata.
“Voi potete anche fermarvi per oggi, ma Ishizaki-kun non ha ancora finito di studiare” .
“Cosa????? Ti prego, ti prego Kisugi-kun, soltanto due tiri, ti prego. Poi imparerò a memoria tutte le date che vuoi, te lo prometto ma ora fammi giocare. Per favore!”.
Era impossibile resistere a quella fervente preghiera e Teppei fu costretto a cedere. Capiva bene, così come tutti gli altri, il profondo piacere e il senso di libertà che si provava nel praticare quello sport che per loro non era un semplice divertimento, ma la promessa di un sogno e la speranza del futuro.
“Va bene ma prima di sera dovrai sapere la lezione a menadito, altrimenti giuro che ti legherò alla sedia e non ti libererò fino al giorno degli esami” dichiarò minaccioso. “E ora datemi quel pallone!” così dicendo saltò giù e con un tackle perfetto rubò la sfera dai piedi di Hajime.
“Ehi! Non vale!” gridò quest'ultimo, rincorrendolo per riprendersi la palla.
E mentre il giardino risuonava delle loro risate e del rumore sordo del pallone che veniva calciato da una parte all’altra, Ryo pensò che era molto fortunato ad avere dei compagni come loro, disposti a dividere con lui sia le difficoltà che le gioie, perché è per questo che ci sono gli amici.

Fine...


...e palla al centro.

Questa fanfiction è dedicata:

in particolare a Eos75, che ha avuto la pazienza di sopportare tutte le mie nevrastenie mentre la scrivevo e mi ha fatto notare alcune cose che non andavano. Grazie cara:)

e a tutti i miei amici, vicini e lontani:)

Un grosso ringraziamento e un bacione anche a Melanto che m'incoraggia sempre:)  

Credits:

I personaggi di Capitan Tsubasa sono di Yoichi Takahashi che ne detiene tutti i diritti.

Il titolo è preso dalla bellissima canzone "That’s what friends are for" di B. Bacharach e cantata da vari interpreti tra cui la bravissima Dionne Warwick. Ovviamente sono loro a detenerne tutti i diritti.


Inutile dire che è stata questa canzone a ispirare la fiction. Non sempre servono gesti eclatanti per dimostrare amicizia e non sempre si può scrivere di tragedie e problemi. A volte c'è anche bisogno di un pò di leggerezza:)

  
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